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Autore: elfin emrys    10/05/2021    3 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Gli Arthur – Capitolo 37
I Macbeth – Capitolo 12


Betty diede un morso al proprio panino e alzò un sopracciglio, notando il colore rosaceo delle palpebre di Jacob e della luna sulla sua fronte.
-Sei contento oggi?
Lo Jura annuì e diede un sorso alla borraccia che aveva con sé. La ragazza sbuffò.
-E come mai? Non mi sembra ci sia così tanto di cui essere contenti.
Jacob alzò le spalle, rispondendo.
-Beh, Callum non sarà mai più un problema, uno dei nostri più cari amici è alla guida e inoltre abbiamo scoperto che Arthur è vivo. Per quel che mi riguarda, questo giorno è meraviglioso.
-Non abbiamo scoperto che Arthur è vivo.
-Beh, si dice lo sia, è quello che i Lamont e gli O’Neill hanno detto, no?
-Lo dicono gli oracoli dei Niall, non credo siano fonti tanto affidabili.
-Lo dicono anche le nostre profezie: il grande Re Arthur non può morire. "Lo vedremo andare per le montagne, i suoi uomini a seguirlo, in una caccia spietata al nemico. Non sentite i vostri muri tremare? Non vedete le vostre stelle cadere? Eccolo! Inchinatevi e suonate le trombe, torna il Re in eterno." eccetera eccetera. Sono sicuro che ancora non abbia finito il proprio compito su questa terra per ora. Quindi è vivo.
Betty si trattenne dal dire qualcosa che sarebbe potuto suonare offensivo e, invece, diede un altro morso al proprio pranzo. Jacob bevve ancora e sorrise, parlando con meno entusiasmo, ma con una serena calma.
-E poi l’odore di Frederick è cambiato.
-In che senso?
-Non ha più l’odore che aveva quando sono venuto qui. È diverso.
-E questo significa per te che…?
-È un buon cambiamento. Credo che qualunque pericolo potesse rappresentare prima, le cose si siano messe per il verso giusto.
Betty fece una risatina.
-Frederick non ha mai rappresentato un pericolo.
Jacob scosse la testa.
-Non è vero. Era solo seppellito. E adesso non c’è più.
La ragazza alzò gli occhi al cielo. Non era innervosita; era incredula, eppure c’era un pizzico di fiducia in fondo al cuore e una tranquilla accettazione delle convinzioni dell’altro.
-Beh, mina vagante o meno, adesso non c’è problema, no?
-No.
I due rimasero in silenzio a terminare il loro pranzo. Betty sospirò.
-Dovrei sentirmi come se tutto fosse tornato alla normalità, penso. Invece mi sembra che siamo solo all’inizio.
Jacob si volse a lei e le donò un sorriso molto ampio.
-Certo che siamo solo all’inizio.
La ragazza rimase per un attimo a guardarlo e sentì qualcosa sciogliersi nello stomaco. Annuì piano.
-Solo all’inizio.

Frederick ordinò a Charles di prendersi una sedia e di non rimanere in piedi troppo a lungo e si allontanò rapidamente dalla tenda centrale. Aveva appena terminato di processare i primi cinque aiutanti di Callum e nel pomeriggio si sarebbe occupato di altri quattro. Forse c’erano altri che avevano avuto compiti minori, ma non erano stati importanti per il progetto e Frederick sapeva che, se avessero dovuto scendere in battaglia, gli sarebbe servito ogni singolo individuo, perciò aveva deciso di fare finta di niente. C’era una persona, però, tra quelli che erano stati graziati da lui o dall’opinione pubblica, che doveva vedere. Aveva sentito che c’era durante la lotta con Callum, eppure lui non ci aveva fatto minimamente caso, troppo preso a seguire con lo sguardo il suo avversario.
Frederick si avvicinò all’abitazione che stava cercando e vide una bambina uscire, accompagnata da un bambino e una donna più grande. Attese che se ne andassero, poi chiamò il nome della proprietaria di casa.
-Eveline?
Dopo qualche secondo di silenzio, rispose una voce femminile.
-Avanti.
Frederick aprì l’ingresso della tenda ed entrò. La donna uscì da dietro un paravento. Non parve sorpresa di vederlo.
-Oh, buongiorno. Accomodati.
Il ragazzo non si sedette. Parlò con severità.
-Sono venuto qui per assicurarmi che sia tutto in ordine. Essendo stata vicina a Callum, potresti avere dei problemi e voglio che tu sappia che potrai presentarli regolarmente, che non hai perso i tuoi diritti di membro di questa tribù.
-Mi fa piacere.
Frederick sporse le labbra e annuì. Tentennò, indeciso sul da farsi, e lei lo esortò.
-Non c’è nient’altro?
Lui scosse la testa e lei alzò un sopracciglio.
-Sai, speravo davvero che tu venissi qui.
-E perché mai?
Eveline sistemò qualcosa in dei cassetti.
-Quando Callum ha annunciato che avrebbe preso il potere, tutti mi hanno guardato con pietà, perché ero finita tra le mani di un folle, o con sorpresa, perché non credevano sarei potuta rimanere con lui dopo quello che era accaduto. Non tu. Tu eri impassibile, anzi, te lo aspettavi.
Frederick deglutì. Lo sguardo di Eveline si assottigliò.
-Raccontami un po’. Cosa pensi sia accaduto, mh?
Il ragazzo esitò a lungo prima di rispondere.
-Penso che tu abbia cercato la compagnia di Grant. Penso che tu sia stata soddisfatta di avere avuto una figlia da lui. E penso anche che qualunque cosa ci fosse tra voi due ha smesso di funzionare quando Grant ha voluto un erede proprio e che non avete fatto in tempo a mettervi d’accordo che lui è morto. E che, a quel punto, hai cercato un sostituto e Callum ha fatto il caso tuo.
Eveline si sedette e prese un biscotto. Se lo portò alle labbra e lo mangiò lentamente, poi sorrise.
-Capisco perché Callum ti odiava, adesso. Ti hanno mai detto che sei davvero sveglio?
-Dunque è vero?
-A grandi linee.
Il nuovo capo strinse le labbra. Prese un respiro profondo. Chiese.
-Perché hai lasciato che tutto questo accadesse?
Eveline sbuffò una risata.
-E perché tu, quando hai capito che non ero la persona che tutti credevano, non hai detto nulla?
-Non erano fatti loro.
-Ed Elisa? Sono sicura che non l’hai detto neanche a lei.
Frederick rimase in silenzio. La osservò.
-Perché il tuo ruolo era stato così decisivo per la sconfitta di Grant che… Sembrava quasi sacrilego rivelare che era basato su una falsità. Sul nulla. Era necessario che la tua funzione in tutto questo rimanesse invariata. Sei come un pilastro che non deve essere tolto per non lasciare un grande e miserabile vuoto.
Eveline annuì lentamente.
-L’hai detto. Non ho fatto nulla per cambiare ciò che avveniva perché sapevo che era necessario. Ed era anche inevitabile. Se non fossi stata io, sarebbe stata un’altra, ma voi tutti avevate bisogno di qualcuno che, in un modo o nell’altro, fungesse da simbolo. Qualcuno che prendesse la parte che, inconsapevolmente, ho assunto io.
La donna gli fece un cenno col mento, terminando.
-E poi Grant era davvero colpevole di tutto ciò di cui era accusato. Non nei miei confronti, certo, nonostante tutto quello che mio padre pensava, ma lo era. Era giusto venisse punito.
-Ed era giusto anche per Callum?
-Naturalmente.
Frederick si incupì.
-Tu lo amavi?
Eveline sorrise un poco.
-No. E neanche lui amava me. Il nostro era un accordo, ed era un accordo estremamente preciso.
-Accordo?
-Sì. Io desideravo divertirmi e lui era giovane, bello, prestante. Senza contare che, se fossi rimasta incinta, quel nuovo figlio non avrebbe avuto un sangue tanto diverso dalla mia primogenita. E lui…
Frederick continuò tra i denti quello che lei stava per dire.
-Lui desiderava avere dalla sua parte la donna grazie alla quale Grant è stato sconfitto, per migliorare la sua immagine.
Gli occhi di Eveline si accesero e la donna rispose, quasi ridendo.
-A quanto pare sei davvero l’unico sveglio in mezzo a quegli scemi dei tuoi amici. Non lo avrei mai detto. Sì, io servivo proprio a questo. E servivo anche a migliorare il suo stato nel suo gruppo, perché temeva che essere solo gli avrebbe dato un’aria di indesiderabilità e di impotenza. E poi, aveva anche lui bisogno di svagarsi e, modestamente, io non sono niente affatto male.
Frederick rimase in silenzio e lei gli offrì un biscotto, che lui rifiutò. Il ragazzo abbassò la testa, mormorando.
-Lo trovo… Non so… Lo trovo triste.
Eveline socchiuse gli occhi, rispondendo con calma.
-Credo che molti sarebbero d’accordo con te. Ma cosa è peggio? Cercare tutta la vita di avere un genere di rapporto che non desideravo solo per far stare meglio gli altri, oppure prendermi ciò che voglio?
L’altro non rispose e lei continuò, la sua voce severa e determinata.
-Ho ottenuto dai nostri due Grant esattamente ciò che desideravo. Non ho ottenuto nulla di più, certo… Ma neanche nulla di meno.
Il nuovo capo rimase in silenzio, meditando su quanto gli era stato detto. La donna prese un altro biscotto e continuò a conversare.
-Dunque, non vuoi sapere qualcosa? Tipo, quale piano aveva Callum in maniera completa?
Frederick fece uno sbuffo.
-Callum non era in grado di comprendere dei grandi schemi, tanto meno di crearli. Qualunque piano avesse, è morto con lui.
Eveline sorrise.
-Diamine, ci avevi inquadrati a tutti, mh? Sì, ti confesserò che infatti non era lungimirante. Pensa che per lui Henry sarebbe dovuto morire e non gli era neanche venuto in mente di cercare di portarlo dalla nostra parte definitivamente, facendo leva sul fatto che era sostanzialmente un incompreso tra di voi. Gliel’ho dovuto spiegare io quanto sarebbe stato vantaggioso.
Alzò gli occhi al cielo e continuò.
-Quindi lui ti odiava per i motivi suoi e tu lo odiavi perché sapevi che era un omino (un gran bell’omino, e anche piuttosto di compagnia quando lo conoscevi bene, su questo non c’è da dire, ma pur sempre un omino). C’è una cosa che non mi è chiara però e che ti vorrei chiedere, già che ci siamo.
Frederick alzò le spalle.
-Dimmi.
-Callum voleva tanto ammazzarti. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma di sicuro avrebbe organizzato a breve. Non hai idea di quanto gli sarebbe piaciuto mettere la tua testa su un palo, era il suo sogno. Ma tu, quando finalmente ti sei deciso, ci hai messo appena qualche minuto a eliminarlo. Quindi, perché ci hai messo tanto?
Il giovane pensò di non rispondere, poi cambiò idea. Sapeva che Eveline non avrebbe detto a nessuno di quella conversazione, perché avrebbe dovuto spiegare tante altre cose che le conveniva rimanessero nascoste. Inoltre, in lui c’era una sensazione diversa: non si sentiva più minacciato da quello che stava per rivelare.
-Esattamente come tu avevi sostituito Grant con Callum, io avevo fatto lo stesso e, per questo motivo, era diventato parte di me. Io ero per lui un impostore, tutto quello che lui avrebbe voluto e che invece, nella sua mente, io gli avevo strappato. Lui era per me tutto quello che sarei potuto diventare se non avessi compiuto scelte diverse. Era un monito e desideravo averlo sempre di fronte: era fonte di timore. Io, d’altro canto, ero per Callum un continuo rimando al suo fallimento.
Frederick guardò la donna negli occhi.
-Il risultato era che lui mi odiava, desiderava grandemente eliminarmi, eppure non si riusciva a convincersi a farlo in maniera semplice e veloce: per lui era necessario accadesse di fronte ai suoi occhi ed era necessaria una preparazione, perché la mia morte fosse come… Come uno scongiuro, no? Una purificazione forse è la parola migliore. Perciò continuava a lasciarmi in vita anche se avrebbe potuto provare a tagliarmi la gola tanto tempo fa. Io, invece, lo odiavo, ma non volevo morisse. Mi sarebbe piaciuto di più vederlo prendere un’altra strada per diventare una persona diversa, che mi dimostrasse che avevo torto, che non era il genere di uomo che credevo, perché se non lo era lui a maggior ragione non potevo esserlo io. Questo è quanto.
Eveline annuì e sbuffò.
-Mi sembra una questione inutilmente complicata.
-Mi parli tu di cose complicate?
-Nella mia storia non c’è nulla di complicato.
Frederick scosse la testa e fece per andarsene, ma si fermò.
-Un’ultima cosa.
-Dimmi.
-Sapevi cosa sarebbe accaduto a Edward?
Per la prima volta da quando il ragazzo era entrato, un’ombra parve cadere sul volto di Eveline.
-No. Sapevo molte cose, ma quello è stato un piano che Callum ha creato sul momento, non appena ebbe l’informazione. Quando ha mandato i suoi uomini, io non c’ero.
-Ma non l’avresti fermato, vero?
La giovane fece un sorriso amaro.
-No.
-Ti chiederei perché, ma non mi risponderai.
-No.
Frederick strinse le labbra e tentennò, poi salutò e uscì lentamente, appesantito dalla consapevolezza di un segreto che non poteva non tenere dentro di sé.

Delilah attese che la luce che intravedeva dalle scale si facesse meno forte e che si avvicinasse il cambio della guardia per seguire l’indicazione che le era stata data. Andò nell’angolo della cella che era adibito a un lurido bagno e colorò l’acqua di rosso con una goccia dalla boccetta. Per sicurezza, si sporcò un poco il cavallo dei pantaloni, anche se, essendo la divisa dei soldati Donald scarlatta, non serviva a molto. Poi, si preoccupò di fare un verso sorpreso e uno infastidito. Si rimise dove era seduta in precedenza e iniziò a gettare occhiate indecise verso il soldato, il quale, sentendosi osservato, si voltò verso di lei. Delilah strinse le labbra e mimò l’espressione più contrariata e imbarazzata che potesse fare. Si schiarì la gola.
-Ehm… Non so come dirlo, ma sono…
Si massaggiò la tempia con una mano e continuò.
-È quel periodo del mese, capisci cosa intendo?
Il soldato alzò un sopracciglio.
-No.
Delilah alzò gli occhi al cielo, chiedendosi cosa insegnavano agli uomini di Macbeth, ed esplicitò.
-I dolori di cui mi sono lamentata questa mattina erano dolori di…
Abbassò la voce.
-Di pre-ciclo, capisci?
L’uomo sbatté le palpebre.
-Non capisco cosa ci dovrei fare con questa informazione.
Delilah rispose, profondamente seccata.
-Beh, non credo tu desideri che io sanguini per tutta la cella, no? Quindi vai su, avverti qualcuno, e fammi portare il necessario.
Il soldato saltò in aria, annuì e andò a chiamare un altro soldato o un qualche servo di passaggio per avvisare. Tornò qualche istante dopo, informandola del fatto che sarebbe venuto qualcuno molto presto. Delilah si finse infastidita e si risedette a terra, stringendo le gambe.
In breve arrivò un’anziana signora, la quale doveva controllare che l’informazione fosse veritiera. Le bastò vedere quello che la prigioniera aveva preparato e farle un paio di domande, fortunatamente, e tornò su, dicendo che sarebbe andata ad avvisare la regina per sapere se la voleva graziare dandole il necessario per affrontare i giorni seguenti.
Passarono diversi minuti prima che una servitrice arrivasse con una bacinella e delle pezze pulite. Spiegò la situazione al soldato e si fece aprire. Quando uscì, Delilah andò nello stesso angolo della cella di prima, per fingere di usare il necessario che le era stato dato e udì che stava avvenendo il cambio di turno.
-E tu chi saresti? Dov’è Tod?
Rispose una voce femminile.
-Tod mi ha chiesto di venire al posto suo. Ha pensato che una donna sarebbe stata più adeguata, vista la situazione.
-Ma l’ha detto al comandante?
-È lui che mi ha mandato qui.
-E la regina è d’accordo?
-Se il comandante ha deciso che ero adatta e mi ha convocato, direi proprio di sì. Non deluderebbe mai la nostra regina.
-E chi lo farebbe? Hai sentito quello che è accaduto a Lauren?
-Già, poverino, mi dispiace così tanto. La famiglia non l’ha presa benissimo.
-Già, ma del resto che si può fare? Ciò che aveva osato dire… Che è stata la nostra regina a uccidere suo marito… Ridicolo, no?
-Concordo. E anche se fosse stato vero, non aveva niente da guadagnare a rivelarlo.
-Già… Infatti… Va bene, allora vado. Sai dove posso trovarlo?
-Chi?
-Tod, dico.
-Oh, non so. Forse al posto dove sarei dovuta essere io, a controllare l’ingresso sud della città.
-Ok, grazie. Buona fortuna con la prigioniera.
-Sì, la terrò ben d’occhio.
Delilah sentì i passi pesanti del soldato e fece capolino da dietro l’angolo. Non riusciva bene a vedere se la donna fosse la stessa che le aveva dato la boccetta, ma dalla voce sembrava di sì. Uscì fuori, dunque, e rimase in piedi a guardarla. La soldatessa le fece un cenno col capo.
-Hai controllato sotto le pezze?
La donna alzò un sopracciglio e tornò indietro, alzando la stoffa da dentro il cestino. Sul fondo vi era una maglietta e dei pantaloni.
La soldatessa aprì la cella.
-Cambiati in fretta, non abbiamo molto tempo. Ti troveremo l’elmo su.
Delilah si svestì e si mise le cose nuove, lasciò gli abiti nel cestino al posto di quelli che aveva appena preso e ricoprì tutto.
Le due uscirono in silenzio. Delilah mormorò.
-Come faremo a passare gli altri soldati?
L’altra sorrise.
-Non ti preoccupare per questo.
La prima altra guardia che incontrarono si unì a loro e diede l’elmo a Delilah per coprirsi la testa e il viso, poi le fornì un’arma. Si immisero in un corridoio, poi in un altro e iniziarono a salire le scale. Delilah si rese conto che non stavano facendo la stessa strada dalla quale era passata lei per essere messa in cella, bensì un’altra, che attraversava tutti i sotterranei del castello. Si chiese che percorso stessero facendo esattamente, dove stessero andando, ma non osò chiedere: sapeva che erano amici e seguì in silenzio.
I tre aprirono una porticina per la servitù e salirono fino a sbucare al piano terra del palazzo. Da lì non era difficile uscire fuori e, straordinariamente, non lo fu. Si diressero verso un bordello, dove presero una stanza molto intima, e si sedettero.
I due si tolsero l’elmo, rivelando la luna sulle loro fronti, e Delilah fece altrettanto.
Quella che si era travestita da soldatessa sorrise.
-Incredibile, per essere un piano che abbiamo stabilito all’ultimo non è andata male per niente.
Delilah chiese, perplessa.
-Perché siamo qui?
-Perché adesso sarebbe troppo difficile uscire, ci sono controlli ovunque. Tra un paio di ore si renderanno conto che non ci sei più e avvieranno le ricerche. Ci saranno tre soldati nella squadra che si occuperà di questo, in particolare di controllare che la prigioniera non sia fuori città, visto che penseranno tu sia uscita. Siamo noi, ovviamente. Ci forniranno ogni mezzo di velocità per fuggire.
La regina ghignò.
-E immagino che tu ne sia certa perché…
-Perché una nostra amica ha organizzato per bene.
Annuì e si lasciò andare su una sedia. Tese la mano a prendere dei biscotti che erano nella stanzetta e li mangiò con gusto. Chiese.
-Dunque, come mai la sorella della somma sacerdotessa è venuta a salvarmi?
La Jura si sedette.
-Il mio nome è Josephine. In realtà, tuo marito ci ha chiamati. In questo istante mio fratello Jasper dovrebbe invece, star viaggiando verso il luogo dove è imprigionato Emrys.
-Vi siete lanciati a fare i gruppi di salvataggio?
-Per ora sì. Tra l’altro siamo a quanto pare insospettabili, infatti i vostri agenti Donald sono altamente sorvegliati, così tanto che per noi è stata quasi una passeggiata organizzare il tutto.
Delilah sorrise e annuì.
-Vi ringrazierò non appena rivedrò mio marito.
Josephine alzò gli occhi al cielo.
-Sì sì, naturalmente.
L’altro finto soldato, anche lui Jura, nascose un sorriso e si rimise l’elmo per uscire a prendere dell’acqua da dare alla regina.
Ci volle un’ora e mezza prima che tutti i soldati presenti al bordello venissero richiamati per una questione urgente e un ulteriore mezz'ora prima che fossero tutti a cavallo per andare a ricercare una donna che stava già tra loro. Se non fosse risultato sospetto, Delilah sarebbe scoppiata a ridere. Macbeth avrebbe potuto ucciderla subito e farla finita, ma non ce l’aveva fatta. E, ormai, non avrebbe avuto occasione mai più.

Merlin rimase con Gregory e sua figlia un paio d’ore. Dalla spiegazione della ragazza, era chiaro che aveva ricevuto cure solo parziali e questo aveva allungato il tempo in cui era stata male. Il consigliere del governatore della Città Vecchia era sobbalzato quando gli occhi del mago si illuminarono d’oro e le manette si aprirono, ma non fece nulla. Finalmente in grado di muoversi bene, in primo luogo il moro tentò di occuparsi di alcune infezioni di varia natura che si erano aggravate, poi si prese cura di alcuni sintomi minori, ma non riuscì a fare niente di più. Diede delle raccomandazioni alla ragazza e le ripeté al padre mentre si rimetteva le manette e tornavano in cella.
Gregory era silenzioso e Merlin poteva ben capire il motivo: pensavano che il ferro potesse bastare a trattenerlo, ma lui aveva appena dimostrato all’altro che non era così, che si sarebbe potuto liberare in ogni momento. Apprezzò che il consigliere non sembrasse intenzionato a cambiare la sua prigione o a sedarlo di nuovo, tuttavia gli parve curioso che la cosa non venisse commentata in alcun modo.
Semplicemente, Gregory lo riportò in cella e venne a riprenderlo la mattina successiva per il nuovo processo. Le cose si svolsero come il giorno precedente, con più proteste da parte degli altri uomini della Città Vecchia, e Merlin venne rispedito nel solito posto.
Gregory venne a riprenderlo qualche ora più tardi e lo riportò dalla figlia. Osservava ogni suo movimento con attenzione, quando i due ritornarono indietro dopo diverso tempo passato a medicare la ragazza, finalmente parlò chiaro.
-Mi aspettavo di non trovarti stamattina.
Merlin alzò un sopracciglio.
-Mh?
-Suppongo che tu in realtà possa liberarti quando vuoi, che nulla di quello che abbiamo preparato abbia senso per te.
-Devo confessare che è così.
-Allora non capisco perché sei rimasto.
Il mago sospirò prima di rispondere.
-Confesso che avevo pensato di fuggire durante la notte, ma poi mi hai fatto la tua richiesta. Io posso scappare quando voglio, tua figlia no. Ho pensato che potrò andarmene in tranquillità dopo che avrò finito.
-Guariresti la figlia di un tuo nemico quando potresti non farlo?
-Lei non ha fatto nulla per meritarsi la mia indifferenza al suo dolore, né il mio disprezzo. Sembri molto fiero di lei, oltre che molto affezionato.
-Lo sono.
-Molti hanno perso i propri cari durante l’ultima grande guerra e in seguito a causa di ciò che essa ha lasciato dietro di sé. So cosa vuol dire essere costretti ad abbandonare le persone che più amiamo al mondo proprio nel momento della morte, quando compiono questo passo in cui noi non possiamo aiutarle. Sembra che stiano di fronte a un baratro e noi, che abbiamo promesso che non sarebbero cadute, non possiamo fare altro che guardarle mentre precipitano, finché non riusciamo più a vederle, inghiottite dall’oscurità.
Gregory commentò con voce spezzata.
-È straziante.
-Lo è. Preferiremmo dare la nostra vita se fosse possibile, ma la realtà è che sappiamo di aver fallito nel nostro compito di proteggerle.
Merlin inspirò a fondo e continuò.
-Tuttavia tua figlia è ancora visibile. È in bilico, ma ancora non è caduta: può essere ripresa, può essere portata in salvo. A volte è il caso o il destino a riportare i nostri amori da noi, ma più spesso bisogna agire perché ciò avvenga.
-Hai perso qualcuno?
-Ho perso tutti. Eppure io sono stato fortunato, nonostante tutto, perché qualcuno che credevo scomparso è tornato da me, alla fine.
Gregory parve voler commentare, ma attese che l’altro terminasse.
-Voglio sperare che io possa dare la stessa gioia anche a te.
Il consigliere sbuffò.
-Ti sto per rimettere in prigione. Anche se la fuga non è una cosa impossibile per te, comunque sei stato rapito e trasportato qui con la forza. Continuo a non capire perché dovresti provare pietà per me.
-Beh, hai ragione, dovrei ripensarci.
Gregory lo guardò con aria allarmata, ma Merlin sorrideva con aria divertita e anche lo sguardo dell’uomo si fece meno grave. I due rimasero in silenzio finché non arrivarono alla cella e il mago venne rimesso dentro. Il consigliere lo salutò.
-A domani.
Merlin gli fece un cenno col capo.
La porta si richiuse e la stanza si rifece buia e solitaria.

Arthur spalancò gli occhi quando vide che ciò che l'elfo aveva detto era vero, che in fondo alla galleria che stavano percorrendo c’era della luce. Filtrava da uno spiraglio nella parete altrimenti totalmente nera che aveva davanti. Doveva essere per forza una porta. L’elfo illuminò con la propria luce i massi e la polvere che bloccavano l’ingresso e Arthur, dimentico della fame e della fatica, si mise a toglierli. Gli ostacoli non erano molti e neanche particolarmente pesanti e il biondo, emozionato al pensiero di aver trovato un’uscita, li tolse senza alcuno sforzo.
Quello che il re si trovò di fronte era un portone. Il legno era molto vecchio, sembrava tenuto in piedi da chissà quale forza. Arthur sfiorò gli stipiti. Erano di pietra e probabilmente, un tempo, c’erano delle statue ai lati. Al di là non si udiva alcun suono.
Quasi alla cieca, il biondo cercò la maniglia e, una volta trovata, la abbassò, sperando che fosse aperto. Lo era e l’uomo non riuscì a trattenere un sospiro di sollievo.
Aprì lentamente, spiando all’interno per vedere dove fosse capitato. Davanti a sé c’era una stanza in pietra e delle torce la illuminavano. Arthur esitò, notando che non era fuoco quello che bruciava sopra di esse (o, almeno, non un fuoco comune), ma quando non sentì alcun rumore si decise e fece il proprio ingresso.
L’elfo provò a entrare e fece un verso strano non appena oltrepassò la soglia. Quasi si gettò a terra e la sua vocetta stridula rimbombava per la stanza.
Arthur gli si avvicinò.
-Che hai?
La creaturina si lamentò ancora e gridò.
-C’è della magia qui, tanta tanta magia, io non… Non riesco a…
L’elfo gemette e uscì rapidamente, lasciandosi andare a terra subito oltre l’uscio. Tirò un sospiro di sollievo e Arthur si guardò attorno, allarmato.
-È magia cattiva? È malvagia?
L’elfo rispose con meno fastidio.
-No, è solo molto forte ed è rimasta rinchiusa qui per… Per secoli, direi. La porta era aperta, ma gran parte del potere è rimasto qui dentro, sigillato da un incantesimo.
Il re lasciò scivolare lo sguardo lungo i bordi del portone e notò delle incisioni nella pietra intorno a esso. Trattenne il fiato. Cosa si nascondeva in quel luogo? Si voltò per osservare meglio il contenuto della stanza. Era vuota, totalmente vuota, tranne per…
Arthur sentì il petto farsi stretto e serrò le labbra. Aveva smesso di respirare. Si avvicinò alla tavola rotonda che aveva di fronte e ne accarezzò i bordi con la punta delle dita. Vi erano incisi altri segni.
L’elfo esclamò, dalla galleria.
-Ehi, che cos’è?
Arthur non rispose, un nodo alla gola gli impediva di farlo. Iniziò lentamente a fare il giro, contando i posti presenti, le sedie in legno, mantenute solide probabilmente dalla stessa magia che aveva fatto reggere in piedi quell’intero luogo.
Mormorò.
-Sedici.
Come a Camelot.
Delle lacrime gli salirono agli occhi quando giunse di fronte alla sedia più grande. Era alta e il legno era ben levigato, intagliato finemente. Arthur posò le mani sullo schienale e trattenne un gemito. Si fermò – il cuore gli batteva nel petto così forte – ed esitò prima di sedersi. Si guardò intorno. Dodici posti erano per i cavalieri. Uno era il suo. Uno era di Gwen e uno di Gaius. E uno quello che sarebbe dovuto essere per Merlin.
Arthur si portò le mani al viso e sperò che l’elfo non commentasse da lontano le lacrime che erano iniziate a scendere sul suo viso. Rimase in silenzio, ricordando nel suo cuore sua moglie, i suoi amici, tutti coloro che non c’erano più. Desiderò avere Merlin vicino, sentire il suo sguardo sulla schiena, la sua mano sulla spalla.
Pianse silenziosamente, nascondendo la bocca che si torceva nel dolore, gli occhi rossi, le guance rigate. Si vergognò di non riuscire a fermarsi, eppure non poté non pensare che la sofferenza che stava esternando fosse troppo, troppo poca per delle persone che gli erano state così vicine, che erano entrate così tanto nel suo cuore. Avrebbe voluto avere la possibilità di abbracciarli come mai aveva fatto un tempo. La vita, in quel momento, gli parve stretta e il suo pensiero corse ancora a Merlin, al suo viso rimasto così giovane e ai suoi occhi che Arthur non aveva potuto fare a meno di vedere invecchiare, giorno dopo giorno, più velocemente di quanto fosse opportuno. Gli occhi che lo avevano riaccolto al mondo fin da quella prima alba. Gli occhi che aveva visto, stupiti e confusi, prima che il mago venisse portato via.
Arthur strinse le mani a pugno e prese un respiro profondo. Si alzò, pensando di allontanarsi, ma notò che una delle sedie, quella che doveva essere di Merlin, era tirata più indietro delle altre. Il biondo si avvicinò e vide che c’era qualcosa sopra, una specie di vaso di metallo. Lo sollevò e vide che anche quello era segnato con simboli e parole che indicavano che qualcuno vi aveva posto un incantesimo. Osservò quell’insieme intricato di marchi, finché non ne vide qualcuno di familiare. Sospirò.
-Merlin.
Erano suoi. Li riconosceva ormai, dopo averli visti tante volte nell’ultimo anno. Arthur iniziò a seguire i segni del moro con lo sguardo, chiedendosi cosa significassero, come mai stessero lì. Poi, un ricordo gli riaffiorò alla mente, di quando ancora non avevano conosciuto i Macbeth.
Gwen era venuta da me. Era molto ansiosa e mi diede una specie di vaso metallico. Mi chiese un incantesimo di rinforzo. Sostanzialmente, qualunque magia venisse applicata a quell’oggetto sarebbe stata ampliata dalla mia. Aithusa insistette nel voler forgiare il vaso con il suo fiato incandescente.
Arthur trattenne il respiro. Gli pareva di ricordare che il moro avesse detto che le intenzioni di Guinevere erano di preparare una difesa per Camelot, in maniera che non crollasse, ma Merlin aveva detto che non era d’accordo.
Le spiegai che la magia di difesa non avrebbe funzionato, ma lei mi disse che non me ne sarei dovuto occupare io.
Arthur osservò il vaso, chiedendosi cosa a fosse servito realmente. Lo girò, per vedere se c’era qualcosa sotto, e udì un rumore forte di qualcosa che stava cadendo dall’interno. Di istinto rigirò subito e guardò dentro, vedendo una sfera legata con una catena al centro del fondo. Era stata aggiunta in seguito, si vedeva.
-Ma cosa?
Poi capì. La forma squadrata lo aveva ingannato come aveva ingannato Merlin, ma quello non era un contenitore, bensì…
Una voce risuonò nella mente di Arthur.
Quando sarà il momento, suona la campana.
Il biondo girò l’oggetto, facendo attenzione che la sfera, cadendo, rimanesse appesa e non toccasse il resto del metallo. Notò che c’era un anello su quella che sarebbe stata la base del vaso. Lo prese e, aiutandosi con entrambe le mani, mosse la campana.
Suonò.
I rintocchi riecheggiarono per tutta la stanza, per la galleria e ancora oltre, per l’intero percorso che Arthur aveva affrontato e forse addirittura più in là. Lentamente, delle figure fumose apparvero dietro alle sedie della tavola e il re rimase senza fiato quando presero forma.
Erano spettri, eppure Arthur poteva quasi sentire il loro calore. Gli sfuggì un singhiozzo e strinse le labbra.
-Leon… Elyan… Percival… Gwaine…
Sorrise dolcemente e per un attimo il ricordo sbiadito di un uomo e un cane gli apparvero nella mente.
-Lancelot…
Fissò il posto vuoto di Mordred e chiuse piano gli occhi, un’enorme tristezza a coprirgli le membra.
Si girò alla propria destra.
-Guinevere…
Il viso dolce di sua moglie gli sorrideva attraverso le ciglia. Lo sguardo di Arthur le scivolò sul viso, osservò come le onde del passato coprivano il suo volto senza tralasciare un dettaglio. Tese la mano, poggiandola sulla guancia di Gwen, che abbassò lo sguardo in segno di saluto.
-Oh, Guinevere…
Aveva sempre voluto il suo addio. Aveva sempre voluto poter essere capace di guardarla andarsene, di non vivere vedovo senza esserlo davvero. Le sorrise piano e inclinò il capo. Le loro fronti si toccarono e, per un secondo, ad Arthur parve davvero di poter sentire la fronte liscia e calda di sua moglie. Il cuore gli si strinse.
Aprì le labbra.
-Merlin…
Guinevere gli mise due dita sulle labbra e annuì, sorridendo ancora. Il suo sguardo dolce e scuro non aveva perso calore nemmeno dopo la morte.
L’aveva amata così tanto.
Arthur chiuse gli occhi e rimase lì, immobile; era sicuro che, se si fosse spostato, non sarebbe riuscito a trattenersi e avrebbe pianto di nuovo e non voleva farlo, non quando aveva di fronte le immagini dei suoi cari, non in quel momento.
Il biondo inspirò e rialzò il capo, voltandosi ancora a guardare tutti i volti che lo circondavano. Gli parve di vedere l’ombra di un ghigno sul viso ceruleo di Gwaine e, ricordandosi della confessione che Merlin gli aveva fatto, gli venne voglia di tirargli un pugno, anche se immaginava non avesse il minimo senso.
Aprì le braccia, girandosi verso l’unico vecchio compagno che ancora non aveva salutato.
-Gaius…
L’anziano alzò un sopracciglio e ad Arthur venne quasi da ridere al vederlo: aveva appena scoperto quanto gli fosse mancato. Quanto doveva mancare a Merlin.
-Ma chi è tutta questa gente?
Il biondo scosse la testa all’udire il lieve panico nella voce dell’elfo e rispose, con tutta la semplicità del mondo.
-Amici.
-Loro forse, ma questi qui fuori?
Arthur si allarmò.
-Di chi stai parlando?
Si allontanò rapidamente e tornò alla porta. All’esterno era pieno di soldati, lo stemma di Camelot brillava caldo sui loro mantelli. Il re trattenne il fiato.

Note di Elfin
*inspira* Ce l'ho fatta. Ho passato la mezzanotte, quindi ormai è lunedì, ma passatemela, per favore T^T
Abbiamo scoperto un po' di cosine in questo capitolo *^* Abbiamo la conferma di Eveline, abbiamo la scoperta di che diamine era questa cavolo di campana, ossia... Beh, ossia una campana XD Ma adesso sappiamo a che serviva! E sappiamo anche quindi che era questo incantesimo che Gwen aveva voluto e sul quale Aithusa aveva insistito a tutti i costi. Ora, dalle parole di Merlin è evidente che lui non sapesse a che serviva l'incantesimo, non ne aveva idea. Chissà che ne penserà XD
Comunque, la scena della campana e degli spettri è stata tipo la seconda o la terza scena che è stata scritta in tutta questa storia. Qualcuno di voi di recente ha detto che ci sono state delle scene un po' alla Tolkien, ebbene, nessuna penso è simile come questa, ahahahah XD A mia difesa, posso dire che la scena cui mi riferisco Tolkien l'aveva presa dal ciclo arturiano: io mi sono limitata a ridare a Cesare quel che è di Cesare, ecco :P
E niente ragazzi, il penultimo capitolo è andato :0 Il prossimo sarà, purtroppo, l'ultimo, ma vi avviso che sarà bello lungo, ahahahah XD Beh, più o meno come questi ultimi in ogni caso. Non vedo l'ora di pubblicarlo, davvero. Soprattutto le ultime righe, che, come sapete, sono state la primissima cosa, quelle da cui è partita l'intera storia! Muoio al pensiero, davvero.
Ovviamente, il prossimo capitolo svelerà le ultime cose che desidero svelare (perché vi avverto che ci sono delle cose che avevo già deciso non sarebbero state mai confermate perché sì) ù_ù
Mando un forte abbraccio a lilyy, uelafox e dreamlikeview che hanno recensito lo scorso capitolo <3 Vi rivedrò tutti domenica prossima con il finale *^*
Ah, e buona festa della mamma, anche se ormai è passata XD
Kiss

   
 
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