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Autore: AmiraDiari    10/05/2021    0 recensioni
La vita di Kaleb, sempre stata solida e dai fermi ideali, viene stravolta dall'insorgere di strane entità che metteranno alla prova la sua solitamente ferrea visione del mondo. Il giusto e lo sbagliato sono sempre stati chiari e ben delineati e lui non ha mai esitato nel prendere una posizione netta. Stavolta però entrerà in una realtà altra, priva di punti cardinali, dove giusto e sbagliato sono confusi e spesso coincidenti.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«There is no greater pain that to cast yourself into hatred of the architect of reality»
                                                                                                    P. Prime

La terrazza che dava sul Vaticano offriva una vista mozzafiato, ma Kaleb rimase quasi indifferente davanti alla cupola di San Pietro che si stagliava nell’orizzonte arancione della capitale. Le fila di tetti rossi, sormontati dagli scheletri di metallo che permettevano la visione della TV satellitare gli sembrarono per un attimo avvoltoi. Kaleb aggrottò le sopracciglia al pensiero di quell’infelice similitudine, e strinse un po’ di più il cellulare. Dall’altro capo del telefono - nonché dall’altra parte del mondo - un rinomato primario di chirurgia faceva il prezioso e la pazienza di Kaleb era agli sgoccioli. Non che normalmente ne avesse da regalare.
- Non m’importa come farà, dottore. Trovi il tempo. - disse con un perfetto inglese, la sua lingua madre, venato di fastidio. La telefonata ebbe termine pochi minuti dopo, quando Kaleb ebbe ottenuto ciò che voleva.
Tuttavia non rientrò, non subito. Sbottonò i primi bottoni della camicia con impazienza, operazione non facile visto il tremito lieve delle sue mani. Aveva compiuto da due mesi diciotto anni, ma se ne sentiva addosso il doppio. La carnagione naturalmente scura, sembrava al momento poco sana, poteva sentire il sudore freddo asciugarglisi addosso nella brezza leggera, mentre gli occhi neri, normalmente considerati belli, erano ora lucidi, cerchiati e gli davano un aspetto spiritato.
“Sembro io quello in punto di morte.” pensò e si concesse un sorriso sghembo. Una battuta infelice la sua, il lato positivo era che nessuno era lì per ascoltarla.
Era arrivato da Atlanta due giorni prima, col primo aereo in economy. Henri avrebbe dovuto apprezzarlo. Quando sarebbe stato meglio glielo avrebbe rinfacciato. Impiegò tutte le sue notevoli facoltà mentali per sopprimere sul nascere quel se che però restò ad aleggiare in un angolo della sua mente. Era come sforzarsi di ignorare un elefante in una stanza.
Rientrato nell'angusto appartamento non seppe darsi pace. Se si sedeva, un minuto dopo si trovava a camminare su e giù per la sala. Non accese nemmeno le luci e lasciò che la stanza diventasse sempre più buia. Il senso di soffocamento con cui combatteva già al momento della telefonata si intensificò. Si fermò all’improvviso, le mani sulle ginocchia come se si stesse riprendendo da una maratona. No, non poteva stare lì un minuto di più.
Uscì senza nemmeno prendere la giacca, passandosi una mano tra i capelli corti. Si addentrò nei vicoli stretti e arzigogolati, lì dove con Henri aveva passato sette felici anni. I più felici della sua vita, da quanto gli era dato ricordare. Non era su quella scalinata che Henri si era rotto un braccio? Kaleb lo aveva sfidato a scendere con lo skate sulla stretta ringhiera di metallo e lui ci era quasi riuscito. Era rovinato a terra nell’ultimo mezzo metro ed era rimasto giù un bel pezzo, Kaleb cominciava a pensare che fosse morto. Si era giocato tutta l’estate per via del gesso. E lì dietro quell’angolo? Avevano fumato la loro prima e ultima sigaretta. Avevano undici anni, ed era la sera prima che Kaleb partisse. Il filo dei ricordi si arrestò bruscamente come era nato. La notte era calata già da un po’ quando era uscito, ma la luce aranciata dei lampioni era stata viva e rassicurante. Solo che adesso qualcosa era cambiato. C’era qualcosa di storto nell’aria, una nota stonata in un’orchestra. Era scesa un’oscurità strana, vischiosa, quasi solida. Kaleb si guardò intorno e per un attimo vide il vicolo sdoppiarsi, come quando si è ubriachi. Serrò gli occhi e sbatté più volte le palpebre. Era andato dall’oculista tre mesi prima e tutto sembrava in ordine, per cui pensò che fosse semplicemente stanco. Tuttavia non riuscì a reprimere un brivido lungo la spina dorsale.
- Non preoccuparti, veniamo in pace.- si levò una voce gutturale dietro di lui. Kaleb si voltò d’impeto, ma non vide niente.
- Qui. - disse di nuovo la voce.
Sembrava venire dritta dal muro alla sua destra. Kaleb guardò in quella direzione e vide un’ombra mostruosa proiettata sulla parete. Era alta circa due metri e a meno che la vista non gli giocasse un altro brutto scherzo, aveva sulla fronte due possenti corna ricurve da ariete. Guardandosi intorno, non riuscì a trovarne l’origine.
- Mi perdonerai per la forma che sono costretto ad assumere, per il momento non posso fare di più. -
- Chi sei? - chiese con la voce sorprendentemente ferma, come di uno a cui capitasse ogni giorno di parlare con mostruose ombre proiettate nei vicoli di una città straniera. Ma lui sapeva bene che nei momenti di crisi non bisognava mai mostrare i propri sentimenti, glielo aveva insegnato la vita militare.
- Qualcuno che può aiutarti. -
- Non credo proprio. - rispose piccato Kaleb, voltandosi e camminando fuori dal vicolo, sforzandosi di non farlo di corsa. “Mantieni il controllo, mantieni il controllo.” gli sussurrava non richiesta una voce nella sua testa.
- La vita di Henri vale così poco? -
Kaleb si arrestò senza voltarsi.  - Che vuoi dire? -
- Pensavo che per te valesse due minuti del tuo tempo.-
Malvolentieri, mentre ogni fibra del suo corpo gli urlava di scappare via, Kaleb si girò a guardare l’ombra.
Scoprì che mantenervi lo sguardo era difficile, continuava a sbattere le palpebre come infastidito.
- Che ne sai di lui? E come potresti aiutarlo? Non sembri proprio un medico. - disse con sarcasmo. “A Henri servirebbe più un miracolo.” pensò senza quasi rendersene conto, e poi pentendosene immediatamente.
- A Henri servirebbe più un miracolo. - disse l’ombra, e Kaleb giurò che stesse sorridendo, anche se non poteva esserne certo.
Sentì il suo battito cardiaco accelerare, come se il cuore gli volesse fuggire via dal petto. Era stata una coincidenza? O si trovava davanti ad un’entità che poteva leggergli la mente? E se era così… avrebbe davvero potuto fare un miracolo per il suo amico? Doveva fuggire, lo sapeva: il suo stesso organismo si stava ribellando alla presa d’acciaio del suo cervello, ma se c’era davvero una possibilità per Henri lui non l’avrebbe sprecata per paura.
- Se vuoi una prova, continua a camminare di là (e accompagnò le sue parole facendo segno con un braccio d’ombra alla sua destra) tra i bidoni troverai qualcosa. Portamelo. - Kaleb esitò. Che fosse una trappola? Gettò uno sguardo alla fine del vicolo, dove l’oscurità sembrava quasi farsi solida. Addentrarvisi significava allontanarsi dalla sua unica via di uscita, allontanarsi dalla luce e dalla vita a pochi metri da lui. L’ombra tacque, aveva detto ciò che doveva. Ora stava a lui. Combattendo contro l’orribile sensazione di stare disobbedendo all’istinto di sopravvivenza che fa fuggire i conigli dalle aquile, Kaleb raggiunse e superò in rapide falcate la strana entità, ancora immobile, dimostrando una sicurezza che non sentiva affatto. Cercò di fare in fretta, perché le ginocchia gli tremavano al punto che temeva sarebbe caduto e allora cosa avrebbe impedito all'ombra di scagliarsi su di lui? Tuttavia non cadde, né l’ombra sembrò volesse muoversi di un centimetro. Raggiunse i bidoni indicati e si guardò intorno. Sembrava non esserci niente. Gettò un’occhiata nervosa dietro di sé -tutto era in ordine- e si accovacciò. Aveva sentito un suono soffocato, come un pigolio. L’origine del suono era una piccola rondine, caduta da un tetto. Si agitava debolmente tra i rifiuti, contorta in una strana posizione. Era ferita a morte, non serviva essere un veterinario per saperlo. Senza l’ombra di un’esitazione, Kaleb lo prese tra le mani il più delicatamente possibile, il cuoricino batteva all’impazzata sui suoi palmi, come se si sforzasse di fare nel tempo che gli rimaneva tutti i battiti di una vita. Lo portò dalla strana entità proiettata sul muro che tese le mani.
Kaleb si sforzò di non rabbrividire nel constatare quanto sembrassero letali, e preferì chiedersi se fossero solide abbastanza per tenere qualcosa. Gli fece scivolare comunque la rondine sul palmo e dopo un po’ di instabilità, ci restò, dandogli la curiosa impressione che galleggiasse. L’entità pose anche l’altra mano sulla creatura e per un attimo scomparve completamente alla vista. Kaleb si sentì la nausea montare. Aveva l’impressione che la rondine stesse per essere digerita da un demone uscito dritto dall’inferno. Invece quando l’entità riaprì le mani dense d’ombra, la rondine era in piedi, indubbiamente viva che li osservava con gli occhietti neri vivaci e splendenti e non più opachi e velati. Arruffò per un secondo le penne sulle ali ora completamente sane e spiccò un volo sicuro tra i tetti, fino a scomparire. Kaleb era restato a bocca aperta, me tornò in sé abbastanza in fretta da richiuderla e riprendere la sua solita aria distaccata, anche se il suo cuore era in tumulto e non pensava di essere mai stato meno calmo in tutta la sua vita.
- Ora mi ascolterai? -
- Hai guarito una rondine, è vero. Ma questo non significa che puoi metterti a fare il santone con le persone. -
- Non posso infatti, non adesso. Ma voglio fare un patto con te. -
- Sentiamo. -
- Io non posso agire in questo mondo, non ne faccio parte. Ma se tu mi aiuti, fai quelle cose che io non posso fare per il momento e mi aiuti a ritrovare la mia forza, vedrai di nuovo il tuo amico Henri scendere lungo la ringhiera con lo skateboard. -
Kaleb lo rivide per un secondo nella sua mente mentre scivolava sulla ringhiera d’acciaio che aveva sprizzato qualche scintilla lungo la discesa. Lo rivide com’era a dieci anni, coi capelli castani sempre spettinati e lo sguardo vivo, lo rivide gagliardo e pieno di vita. Poi, non richiesto, rivide anche mentre perdeva il controllo dello skate e cadeva. Gli sembrò di udire di nuovo le sue grida e rivedere il braccio piegato in una strana angolazione. Fu come se il suo istinto gli tirasse un’altra feroce gomitata che sembrava dirgli “scappa via, più veloce che puoi.” Ma non poteva abbandonare il suo amico.
- Che vuoi che faccia? -

Lontano da lui, sulla cima di una quercia altissima, una rondine apparentemente scoppiettante di vita, cadde al suolo per dieci metri, morta prima ancora di toccare terra.
   
 
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