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Autore: shana8998    11/05/2021    0 recensioni
Lucille è una strega. La sua congrega, scacciata da Cesarine in Francia, è stata costretta a rifugiarsi fra le strade di New York.
Zane è un cacciatore, ha giurato fedeltà alla Chiesa e da sempre vive secondo un unico, ferreo principio: uccidere le streghe. La sua strada non avrebbe mai dovuto incrociare quella di Lucille, eppure un perverso scherzo del destino li costringe ad incostrarsi sulla riva dell'Hudson.
Anche se quella tra streghe e la Chiesa è una guerra antica come il mondo, un nemico crudele ha in serbo per Lucille un destino peggiore del rogo. E lei, che non può cambiare la sua natura e nemmeno ignorare i sentimenti che le stanno sbocciando nel cuore, si troverà di fronte a una scelta terribile.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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                                                                                      Anima

Della mattina seguente ricordo ben poco. Il cacciatore, Zane, mi aveva lasciata davanti ad un portone qualsiasi. Avevo finto fosse casa mia per poi rincamminarmi verso la casa chiusa gestita da Madamme Surett e Baba.
Di giorno Colette, non aveva clienti e solitamente io occupavo la sua stanza per sonnecchiare un po'. Di notte, assistevo ai suoi spogliarelli in un angolino del piano sotterraneo del Moulin Rogue, sorseggiando l'unica bevanda che, da un po' di tempo a quella parte, riusciva a placare il mare di strane sensazioni che provavo. Succo al mirtillo.
Odiavo dover passare le notti li sotto a guardare spettacolini hard e streghe togliere linfa vitale a persone anonime, ma ripensando a quella precedente - forse - starsene li non era poi così male.
«Dove sei stata questa notte?» Surett, che amava vestirsi da Geisha giapponese, apparì dietro la porta di ferro sul retro del locale. Lo sguardo torvo e ammonitore.
«In giro».
Scostò l'anta del tutto. Il locale, a quell'ora della mattina, era pressoché morto. Le luci spente, il silenzio. Neanche il pian terreno adibito a sala massaggi era in funzione prima delle diciotto del pomeriggio.
«In giro?» 
Mi tolsi la giacca e l'abbandonai sul piccolo bancone nocciola accanto all'ingresso.
La tenda ciliegia, che divideva il punto in cui ci trovavamo dall'ala massaggi, era chiusa e copriva anche la gradinata di legno che mi avrebbe portata alla stanza di Coco.
Surett aprì il ventaglio davanti al mento, «Cos'è questa puzza?»,  e brontolò storcendo il naso.
«Di quale puzza parli? Io non sento niente» La sorpassai ma mi seguì come un'ombra.
«Come fai a non sentire niente? Persino un umano la sentirebbe!» 
Scostai la tenda tanto quanto mi bastava per passarci in mezzo e raggiunsi in due falcate la scalinata.
Balzai i primi due scalini. Dovevo allontanarmi da quella megera: sapevo che odore le sue narici pignole stavano annusando.
«Coco è di sopra?»
Aggrottò la fronte «Non cambiare discorso. Dove sei stata questa notte?». Il tono era minaccioso e mi innervosì.
Avevo fretta di buttarmi addosso qualche goccia di Celium, meglio conosciuto come lacrima di strega: un intruglio che per qualche ragione cancellava l'odore di cacciatore dalla pelle di noi streghe.
Veniva usato dopo i combattimenti, poiché, il loro odore per noi è come plastica bruciata che resta nelle narici per giorni.
«Ho marcato.» Proferii serafica. Sperai che anche la mia espressione fosse marmorea.
Surett sollevò un sopracciglio con aria felina «A si? Hai marcato, davvero?».
Ogni qualvolta assumeva quell'atteggiamento, me la immaginavo con la lingua biforcuta che le usciva dalle labbra.
«Lo trovi strano?» Artigliai il corrimano con forza immaginando fosse il suo collo.
Surett socchiuse le palpebre e fece un mezzo giro su se stessa richiudendo il ventaglio, una palpebra le schizzò in aria ed il suo occhio velenoso, come di solito lo era il suo sguardo, mi raggiunse dai piedi delle scale «Non credevo che le mezzane potessero marcare».
Ridacchiò prima di allontanarsi.
Digrignai i denti e dovetti tirare ben due grossi respiri per calmare i nervi.
Surett era sempre stata così: venale, arrogante, prepotente ed amava prendersi gioco di chiunque reputasse inferiore. Questo perché era considerata una delle streghe più forti della nostra congrega e la cosa le aveva pompato l'ego a dismisura.
Salii i gradini che mi restavano con l'amaro in bocca. Mi ero sentita ripetere così tante volte quella parola: mezzana.
Metà strega, metà umana. Un essere che non contava nulla per la congrega.
Non sarei mai stata chiamata in guerra, né tanto meno dalla congrega delle veggenti - la classe più bassa fra noi streghe -, i miei figli sarebbero nati tutti come me o peggio, senza alcun potere, e se ci fosse stato da migrare ancora, questa volta, non mi avrebbero salvata.
Più volte, era stata proprio Surett a rimarcare il fatto che avendo avuto ben poche visioni nella mia vita senza riscontri tangibili, non ero altro che una sensitiva e chiunque poteva esserlo, persino un umano.
«Nemmeno i tuoi genitori ti hanno voluta»
Surett non si era mai fatta scrupolo con me. MAI.
Solo Baba mi aveva accettata per quello che ero, ma sempre con la speranza che per me le cose cambiassero.
«Mio Dio, che faccia!»
Coco era sdraiata sul materasso quando scansai l'anta della sua porta dallo stipite.
 Mi sentì entrare e si buttò la rivista che stava leggendo sul petto lanciando uno sguardo scioccato dritto al mio volto.
«Non ne voglio parlare, per favore.» Mi chiusi la porta alle spalle cercando di fare il minimo rumore. Non so perché, ma avevo bisogno di silenzio; la mia testa ne aveva bisogno.
Coco si sollevò a sedere e di colpo lo stupore divenne un velo di preoccupazione stampato sul suo viso olivastro.
«Erano tutte in pensiero per te. Dove sei stata questa notte?-» - Ma dai...non mi dire - « Non mi chiedere di non farti il terzo grado, perché sai che te lo farò ugualmente».
Mi diressi verso la porticina del bagno accanto al comò chiaro.
«Ho marcat-»
«Lucille-» mi canzonò con la voce «non puoi mentire a me.»
Scivolò giù dal materasso e con un piccolo spostamento d'aria mi piombò davanti. Appoggiò una mano alla mia spalla destra mentre con l'altra mi riportava una ciocca chiara dietro l'orecchio.
Gli occhi di Coco si riempirono di pagliuzze dorate.
«Sei stata sull'Hudson? Sento odore di erba bagnata.»
Se Surett aveva l'olfatto fino, Coco la batteva.
Era un vero segugio, nulla le poteva sfuggire.
Annuii.
«Avevo bisogno di cercare risposte.»
«E le hai trovate?» Mi accarezzò una guancia con due dita.
Ciò che volevo dirle mi arrivò sulla punta della lingua e ci rimase.
Per nulla al mondo le avrei raccontato di Zane. 
Non solo perché Coco stava cambiando nei miei confronti ma, soprattutto perché , conoscendola, sarebbe uscita a cercarlo.
«No. Forse...cioè...» Mi sfregai le dita, une con le altre. Non la stavo più guardando negli occhi, preferivo abbattere lo sguardo sfuggendo al suo «Ho trovato della sabbia stregata nel punto dov'è morta Camille.»
La fronte di Coco si pieghettò per un secondo «Sabbia?»
«Non so-» mi divincolai dalla sua presa spostandomi per la stanza «Quale strega può lasciare  dietro un cadavere della sabbia?»
Coco si fissò a guardare il vuoto. Probabilmente stava immaginando un grande libro e dentro ci stava leggendo tutte le nomenclature e i ranghi appartenenti a noi streghe, proprio come facevamo da piccole.
«Non ne ho idea. Ma questo mi fa pensare ad una strega molto forte, persino più forte di Surett.»
La preoccupazione sul suo volto era tangibile.
«Già...» mormorai a malincuore. I miei pensieri però, in quel momento, erano stati convogliati tutti in un preciso punto: perché non mi chiedeva della puzza del cacciatore?
Impossibile che non l'avvertisse.
«Hai il Celium?» La istigai. Non sapevo perchè una parte di me voleva raccontarle tutto. Era la seconda volta in pochi minuti che sulla punta della mia lingua si formava quel breve racconto della notte passata.
Colette aggrottò la fronte «Che devi farci?».
«Niente, ne ho bisogno.» Farfugliai.
Il viso di Coco si distese pian piano, prima che incominciasse a ridacchiare «Oh, mon amour, non è bagnarti con quella roba che ti farà diventare una strega!»
A quel punto mi imbronciai e lei lo notò.
Mi girò attorno e si posizionò dietro le mie spalle: il mento su una e la mano sull'altra.
Sentivo i suoi ricci invadermi il collo e un calore familiare mi avvolse.
Non so per quanto sarebbero durate tutte quelle sensazioni, ma di certo me ne sarei beata fino alla fine. Coco sarebbe stata per sempre mia sorella, seppur non avessimo lo stesso sangue.
Notando che non sembrava affatto infastidita dall'odore che avevo arpionato addosso, mi rilassai e risi con lei.
«Hai ragione» sguisciai dalle sue dita sottili e scostai la porta del bagno.
«Meglio che vada a farmi una doccia.» Dissi. Coco annuì «Ti porto del succo?»
«Volentieri».

La musica assordante che era nella mia testa si materializzò al piano sottostante e mi costrinse a battere le palpebre impastate dal sonno.
Fuori era buio: dalla finestrella dietro il baldacchino non  filtrava un raggio di luce.
Quanto tempo avevo dormito? Dov'era Coco?
Ruotai da un lato. Accanto a me, sul comodino, un bicchiere colmo di succo al mirtillo. Si era ormai scaldato e la condensa aveva formato tante goccioline sul vetro che avevano finito per bagnare tutto il legno.
Sospirai rassegnata. Odiavo quella sensazione: appena ti svegli il mondo ti piove addosso e non è piacevole.
Tornai a rigirarmi fra le lenzuola piombando con la schiena sul materasso e mi passai una mano sul viso.
Sarei potuta restarmene li, rintanata tutta la notte e avrei potuto dormire ancora. Sarebbe stato bello, si, ma non volevo far preoccupare Baba e Coco.
Delle altre non mi interessava un granché, sapevo che nessuna si era chiesta dove fossi finita, in verità. Ah, no! Solo Surett, ma per infastidirmi una volta tornata.
Mi sollevai decisa a scendere giù, negli inferi di quel postribolo.
Dovevo solo infilarmi qualcosa di pulito. Arrivai al comò e feci scorrere un cassetto.
Le mie mani ed i miei occhi perlustrarono capo per capo: ne afferravo uno e lo tiravo sul letto dietro le mie spalle, poi un altro e...niente, via anche quello.
Possibile che Colette non avesse una T-shirt e un pantalone qualsiasi?
Cerano un mucchio di abitini succinti e i miei occhi brillavano di strass e pailette.
Sbuffando agguantai i pomelli del secondo cassetto. Intimo, decisamente non quello che faceva al caso mio.
In fine, dopo aver scavato per bene ed aver starnutito per qualche scialle piumato che mi aveva stuzzicato le narici, trovai ciò che mi ricordava la parola anonimo.
Mi calai dentro un paio di jeans scuri e molto aderenti e infilai la testa in una canottiera a bretelle nera.
Era tutto molto - troppo - aderente, ma non potevo chiedere di meglio a Coco.
Le scarpe. Dov'erano le mie scarpe?
Avevo portato il mio paio di Converse fino al bagno ed ora non ce n'era più traccia.
Girovagai per la stanza senza una meta ben precisa, ispezionando angolo per angolo.
«Siete...sotto il letto!» Sollevai di colpo la matassa del piumone con le lenzuola aggrovigliate attorno e appesi la testa di lato fino a raggiungere il pavimento. 
Niente.
«Allora, siete...» Agguantai l'anta di un piccolo armadietto di legno massello che scricchiolò parecchio aprendola.
Non erano nemmeno li, in compenso però, trovai un mucchio di scarpe col tacco e un paio di stivali simili a degli anfibi.
Non riuscivo ad immaginare Coco con quelli ai piedi; me però si.
L'odore di bucato pulito mi inebriò. Baba ci teneva molto a tutte noi li dentro.
Ad ogni modo, finalmente potei scendere.
Percorsi la prima scalinata con relativa tranquillità. Il bicchiere con il succo stretto nelle dita, l'aria di una che era di casa li dentro; ma poi, quando arrivai all'arco che sovrastava la fila immensa di scalini in vetro mi parve di avere uno spasmo.
«Hai marcato, ma davvero?»
«Non è possibile»

Surett si era beffata di me una marea di volte ed io l'avevo sempre ignorata, allora perché in quel momento avevo voglia di nascondermi?
Non mi era mai capitato fino ad allora.
Guardai il succo scuro e polposo stretto fra le mie dita, berne un sorso avrebbe potuto aiutarmi. Magari ciò che sentivo faceva parte di qualche sbalzo ormonale da strega.
Mandai giù un paio di sorsi e la gola sembrò rinfrescarsi come se avessi ingoiato un ghiacciolo.
«Lucille»
Una sagoma dai capelli mossi e castani mi si accostò sul primo gradino della scalinata.
All'interno dell'arco le luci soffuse facevano luccicare il vetro delle scale di un unico colore, il blu.
«Amelie» le sorrisi. 
La strega ricambiò subito, quasi contenta, ma poi quando Agatha e Sandrine apparvero alle mie spalle, la curva tiepida sulle sue labbra sparì.
Si afferrò i lati del pomposo abito rosso che indossava e si fiondò giù per gli scalini.
Le altre due mi passarono accanto urtandomi prima una spalla e poi l'altra.
Stronze.
Non potevo considerarle in maniera differente.
Abbozzai - come al solito - e decisi che starmene li avrebbe solo aumentato la possibilità di incrociarmi le altre streghe.
Feci un respiro profondo e mi calai nel buio che traluceva di argento, di blu e poi ancora di mille sfumature di oro, di rosso e di bianco dei fari appesi al soffitto.
Il Moulin Rogue era già stracolmo di uomini e non erano nemmeno le undici di sera.
Sfilai fra due poltroncine e per sbaglio, mi resi conto che gli occhi di un uomo sulla cinquantina si incollarono prima al mio sedere e poi in risalita al mio volto.
Lo fissai senza guardarlo veramente.
«La piccola Lucille! Hai fame?» La voce di Cordelia mi raggiunse da dietro il bancone del bar.
Lo stomaco si aggrovigliò al pensiero del cibo mentre mi issavo sullo sgabello. Declinai la sua offerta.
Lei mi sorrise teneramente. Strano, ma a qualcuna stavo simpatica seppur non sapessi uccidere o lanciare malefici qua e la come coriandoli.
«Che mi racconti? Ho saputo che questa notte hai marcato.» Era raggiante.
«Le voci corrono in fretta» mormorai accennando un sorrisetto «Comunque...si.»
Congiunse le mani davanti a sé «Che meraviglia! Allora posso programmare il battesimo?!»
Abbandonai il bicchiere di succo sul bancone per sventolarle le mani davanti «No, no. Credo sia ancora troppo presto. Ho marcato, è vero, ma dopo aver ingurgitato la prima zaffata di linfa sono stata male.»
In realtà ero stata male, ma non sapevo minimamente quale fosse stato il motivo.
«Oh...» La sua espressione si trasformò in apprensione materna «Sei stata male? Dai, non preoccuparti, la prossima volta andrà meglio»
fece un grosso sorriso incoraggiatore e tornò a parlare poggiando i gomiti sul marmo verde e nero del bancone «Allora? Dimmi, era un vecchio viscido o un pervertito a cui hai dato il ben servito?»
Dov'era finita la mammina premurosa di un attimo prima? Il suo sguardo si era fatto furbo e affamato di vendetta.
Non capivo perché odiassero tanto gli uomini, che in passato una di loro avesse sofferto per amore?
«Ecco...»
«Un Martini» 
Per fortuna il braccio coperto da una costosa giacca di Tailer grigio e il Rolex scintillante sul suo polso, stopparono la conversazione.
Cordelia si voltò verso il ripiano delle bottiglie e afferrò quella richiesta, ma quando tornò a guardare l'uomo l'aria seccata che aveva rasentava l'ira.
Agguantò un bicchiere dal bancone davanti a se e lo tirò su verso il marmo.
«Comunque sei un maleducato. Non hai visto che stavamo parlando?» Versò il Martini senza guardare l'uomo negli occhi.
Il tizio sembrò arrossire dalla vergogna per un momento ma poi, qualcosa - forse il suo orgoglio ferito - lo fece rinvigorire: si infilò una mano in tasca e lanciò sul bancone 5 dollari.
Cordelia si trattenne dall'aggiungere altro, ma sapevo che se avesse potuto gli avrebbe spaccato la bottiglia in testa.
«Adesso capisci perché odio gli uomini?» Riavvitò il tappo e tornò a mettere apposto la bottiglia.
«Credo di capire...»
Se tutti gli uomini erano come quel tipo, be', li avrei odiati anche io.
«Ti verso altro succo?»
Mimai di no con la testa «Ti dispiace se vado a farmi un giro?» Indicai con l'indice la sala ormai gremita di persone -e non solo- dietro le mie spalle.
«Va pure» Agganciò un sorriso alle sue labbra tesissimo.
Non so perché, ma quella sera trovavo tutti troppo strani con me.
Che sia stato per l'odore che emanavo? Ma allora perché né Coco ne lei mi avevano detto qualcosa a riguardo?
I pensieri divennero un onda frastagliata nella mia testa.
Ero confusa e piena di dubbi, ma la cosa peggiore era che incominciavo a sentirmi strana. Di nuovo.
La pelle continuò ad incresparsi di brividi fino a che no raggiunsi il centro della stanza. Sulla mia testa ondeggiava una grata agganciata al soffitto, sopra di essa gattonavano streghe. Abiti succinti, espressioni accattivanti: attorno a me sembravano tutti rapiti da quelle pagliuzze brillanti.
I loro occhi rilucevano di una luce non umana, incantando, uno ad uno, ogni presente.
Restai per un po' con il naso all'insù a guardare verso di loro, fino a che le mie ginocchia non sembrarono molli e la mia testa non si svuotò dai pensieri.
«Sei bellissima questa sera» Appoggiai la testa sul petto della voce che mi parlava.
«Colette»
Ridacchiò nel lobo del mio orecchio quando pronunciai il suo nome.
Le sue mani mi avvolsero la vita e senza volerlo ci ritrovammo a seguire il ritmo della musica che inondava di note il locale.
«Che mi succede?» Già, che mi stava succedendo?
Perché mi sembravano tutti così lontani?
Coco mi fece girare su me stessa. «Sei qui tutta sola?»
«Non sono sola. Sono con te» Risi come se avessi appena mandato giù l'intera bottiglia di Martini che avevo visto versare poco prima.
«E' pericoloso.» La voce di Colette mi parve l'unico suono che riuscivo a sentire. Che volevo sentire.
Mi ritrovai fra le sue braccia e per un momento le incrociai lo sguardo.
Era confusa. Lo ero anche io. 
Rise e mi fece volteggiare di nuovo.
Vidi ombre e forme strane attorno a me e quando piombai fra le sue braccia per la seconda volta, una nuova sensazione mi stava spaccando il petto. Avevo fame, una fame assurda. Volevo un'anima.
Non importava di chi fosse, ma desideravo ardentemente un'anima.
Le pagliuzze nelle iridi di Colette divennero meno luminescenti e pian piano l'espressione sul suo viso si scavò.
Un assaggio allevia il nostro fardello.
Le poggiai le mani sulle guance e lei mi afferrò i polsi delicatamente «Lucille?»
A quel punto la mia mente era totalmente annebbiata.
Mi sporsi verso le sue labbra: il mio stomaco ruggiva.
Le guance di Coco si tinsero di rosso ma sciamò presto.
Quando le sfiorai, la sua anima stava scivolando già nella mia gola.
Il calore mi inondò le vene, lasciandosi dietro una scia incandescente mentre scendeva fino alle dita dei piedi.
Non potevo staccarmi da lei. Non volevo, staccarmi da lei.
Coco sbarrò gli occhi, era terrorizzata. Cercava di divincolarsi ma le mie unghie entravano nella carne del suo viso ogni volta che cercava di scacciarmi, sempre di più.
Guardò di lato, gli occhi umidi di lacrime. La pelle che le si stava ingrigendo.
«Lasciala! Lasciala, Lucille!»
Mi sentii afferrare per le braccia e qualcosa dentro di me protestò.
«Coco» Ad un tratto attorno a noi apparvero Cordelia, Baba e Surett.
Quest'ultima afferrò Coco per la vita mentre Cordelia e Baba mi strinsero per le braccia.
Ci separarono come un francobollo dalla sua busta e solo allora tornai a respirare. - Tornai in me.
Non capivo cosa fosse accaduto, per lo meno non con precisione, ma sapevo di aver spaventato a morte Colette.
Era fra le braccia di Madamme Surett e le lacrime le rigavano il viso, mentre mi guardava come se avesse davanti un mostro.
«Che diavolo le hai fatto?! Che le stavi facendo?!» 
Agatha ci raggiunse come una folata di vento, e si scagliò contro di me.
«Maledetta!»
Sollevò il braccio a mezz'aria pronta a colpirmi e ci volle l'intervento di Baba per fermarla.
«Maledetta mezzana!» Gridò ancora.
Mi sentii come la più miserabile degli esseri viventi. Avevo attaccato una mia sorella.
La vista mi si appannò di lacrime. Guardai Babette «Non volevo farle del male».
Baba che di solito tendeva a giustificarmi, quella volta mostrò del rammarico. Chinò il capo e si allontanò.
Le altre, Colette compresa, la seguirono senza aggiungere altro ed io mi ritrovai sola.
Non mi ero accorta che la pista si era svuotata, non mi ero accorta proprio di nulla. Il locale era vuoto, all'improvviso. Forse erano state loro. Sicuramente, certe scene non erano per un pubblico di umani.
Caddi sulle ginocchia singhiozzando.
Quello non era più il posto per me.

                                                                                           Zane
L'arcivescovo mi scrutò oltre le punte delle sue dita. Occhi gelidi. Labbra strette in un'espressione severa. Capelli striati di grigio sulle tempie. «Qualcosa si sta muovendo. Persino la congrega delle streghe sembra in fermento.»
Aggrottai le sopracciglia, mi agitai sulla sedia. Di colpo, il suo studio mi sembrava  infinitamente piccolo.
«Che siano pronte a sferrare un attacco decisivo? Un'altra guerra?»
Fece un sorriso triste e si sporse con i gomiti sulla scrivania «Se così fosse, saremmo stati noi a dichiarare guerra a loro. Ma no, questa volta si tratta di altro»
Sentii bruciare l'ansia nel mio petto.
Erano secoli che il clan combatteva la congrega delle streghe, sin dai tempi dei roghi e delle persecuzioni. Da sempre, era stata una guerra interminabile durata così tanto, che nel ventunesimo secolo, eravamo stati chiamati di nuovo alle armi.
L'arcivescovo mi rifilò un'occhiata tagliente «Si tratta di qualcosa di serio, qualcosa che mi costringe a vedere te, Zane, in prima linea» Si sollevò dalla poltrona ed incrociò le mani dietro la schiena .
«Me?!».
Che voleva dire? Cosa stava succedendo?
«Questa notte, mi è arrivato un telegramma da Madamme Surrett.»
Sussultai. Da quando l'arcivescovo aveva a che fare con le streghe?
«Pare che una della sua congrega, una strega mezzana, abbia quasi ammazzato una compagna.»
Deglutii.
«Questo è un bene, no?»
Lui passeggiò per la stanza «Lo sarebbe, se non fosse che la mezzana in questione ha quasi ingoiato tutta l'anima della strega. » 
«H-Ha detto anima?» Era impossibile. Le streghe non si nutrivano d'anime. 
 Mi raggiunse e poggiò una mano pesante sulla mia spalla. Fui costretto a sollevare lo sguardo incrociando il suo «Voglio che mi porti quella strega, Zane. Voglio che mi porti, quella che Surett dice di essere  la strega maledetta.»

 E Zane avrebbe adempito ai suoi compiti. Ad ogni costo.

   
 
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