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Autore: Rosette_Carillon    12/05/2021    3 recensioni
La guerra civile è terminata. Bucky vive a New York con Steve, cerca di ritrovare un pò di serenità e recuperare i suoi ricordi.
L'eredità appartiene a lei, ma Marta non sa davvero che farsene, e decide di accettare una proposta di lavoro che la porta a New York: viene assunta da Fury per occuparsi dell'ex Soldato d'Inverno.
[ Captain America; Knives out ]
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Black and white photos'
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                                                                                                                            Capitolo 9
                                                                                                                        Vite che si incrociano

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Marta e il Capitano li osservano da lontano, in silenzio. L’uomo è preoccupato, e non cerca nemmeno di nasconderlo.
Wanda gli si avvicina silenziosamente, e gli prende un braccio.
<< Scusa, i miei pensieri sono troppo forti perché tu possa ignorarli, vero? >> sospira l’uomo, voltandosi verso di lei.
La giovane donna annuisce.
L’uomo si scusa nuovamente, e Wanda cerca di rassicurarlo.
Steve torna a guardare fuori: in piedi sul prato che circonda la New Avengers Facility, Bucky e Natasha stanno ancora parlando.
<< Capitano, >> si intromette Marta lasciando da parte la sua borsa medica << Bucky ha bisogno di ricordare, per quanto non sia piacevole. >>
Natasha l’ha conosciuto in un periodo di cui lui non ricorda quasi nulla, pertanto è l’unica in grado di restituirgli quei ricordi.
Sono ricordi che, per la maggior parte, portano sofferenza, e Steve è stanco di vedere l’altro uomo soffrire.
<< Deve lasciargli la possibilità di scegliere, anche se dovesse pentirsene. Deve abituarsi a prendere decisioni autonomamente. >>
L’uomo annuisce e solleva le mani in segno di resa. << Potrebbero almeno parlare dentro, >> mormora poi, guardando il cielo << sta per piovere. >>
È stata una mattinata lunga, resa ancora più lunga dalla presenza del segretario Ross.
Marta sospira e si abbandona sul divano su cui è seduta. Ama sempre di più il suo piccolo, tranquillo appartamento a New York.
Quella tranquillità dura ancora una settimana, poi Captain America deve trasferirsi alla New Avengers Facility.
È positivo, significa che gli Avengers stanno riuscendo a trovare un punto d’incontro, che torneranno a essere uniti.
Per la sicurezza mondiale ciò è positivo.
Per Barnes, meno.
Lui non fa parte degli Avengers, e non vuole farne parte. È stanco di combattere, ma il mondo lo vede ancora come un pericolo.
Ogni suo passo falso ricadrà su Captain America: è un grosso peso, e lui ha paura di sbagliare.
È confuso e spaventato, non sa come comportarsi.
Forse la cosa migliore sarebbe prendere le distanze, aspettare che tutti si dimentichino di lui e restare da solo nell’appartamento, ma è egoista e stanco della solitudine.
Steve gli ha chiesto di andare con lui. Inoltre, come è stato fatto notare dal segretario Ross, lui è una fonte di informazioni sull’Hydra: dopo tutti i crimini commessi, il minimo che può fare è condividere tutto ciò che sa.
Incerto, si rivolge a Marta per avere un consiglio.
Lei sorride comprensiva, e mormora un ‘sii egoista’, ben conscia che ciò implicherà anche il suo trasferimento.
All’inizio l’uomo non sembra convinto, e si prende del tempo per pensarci. Solo alcuni giorni.
Due settimane dopo, Marta mette piede nella sua nuova stanza alla New Avengers Facility.
Quando comincia a riconoscere i corridoi, le scale, e si rende conto che, dopotutto, orientarsi non è così difficile.
Quel luogo, che all’inizio le era sembrato immenso, comincia sembrarle quasi familiare. Le era sembrato anche più caotico, ma forse si era trattato solo della sua immaginazione.
Le camere degli Avengers, e la sua, sono nella zona più appartata, e silenziosa che non aveva mai visto. La sua stanza è vicina a quella di Bucky e di Captain America. È ampia, luminosa, e si affaccia su un vasto prato verde.
Si tratta comunque della base degli Avengers, e la tranquillità non  è mai destinata a durare a lungo.
Ognuno degli Avengers ha le sue caratteristiche, le sue abitudini, e Marta deve abituarsi a tutto e tutti.
La mattina comincia col Capitano che torna dalla sua corsa, spesso assieme a Sam.
Natasha, probabilmente quella che si sveglia prima di tutti, preferisce allenarsi nella palestra interna. O almeno quella è l’idea che si è fatta.
La compagnia degli altri non le dispiace, ma sembra quasi che abbia bisogno di abituarsi a stare serenamente in mezzo alle persone.
Una volta, per sbaglio, mentre esplorava l’edificio, l’ha vista ballare: uno spettacolo etero, e inatteso. Uno a cui sicuramente non avrebbe dovuto assistere, quindi era andata via in tutta fretta.
Non ha ancora deciso come giudicarla.
È sempre stata gentile con lei. Spesso le ha rivolto degli sguardi quasi…materni? Non sa se sia l’aggettivo giusto, ma è quello che più si avvicina all’impressione che ha avuto.
Occhio di Falco spesso è assente. Da quello che ha capito, vive lontano assieme alla sua famiglia.
Wanda Maximoff è la più silenziosa, spesso è facile dimenticarsi della sua presenza, e Marta ha il dubbio che i suoi silenzi siano dovuti a un possibile disagio.
Natasha e Steve l’hanno presa sotto la loro ala, ma la giovane donna sembra sempre piuttosto insicura.
Visione è… bè, non ha ancora deciso come definirlo, però le piace. E le piace vedere il modo in cui riesce a far sorridere Scarlett Witch: sembra quasi che la giovane donna brilli di luce propria.
Infine c’è  Tony Stark. Lui è come un bambino, e Marta è infinitamente grata della presenza della signorina Potts e del tenente-colonnello James Rhodes.
Stark passa lunghe ore chiuso nel suo laboratorio. Esplosioni e altri suoni poco rassicuranti sono all’ordine del giorno. In quei casi sono il capitano Rogers e il tenente- colonnello Rhodes a occuparsene, seguiti da una Pepper ormai troppo abituata per preoccuparsi.
Marta si tiene a distanza di sicurezza, la borsa medica stretta in mano, nel caso possa servire il suo aiuto.
Ha sentito che Fury vorrebbe far aggiungere anche Spiderman agli Avengers, ma Stark si è opposto.
<< È un’importante risorsa. >>
<< È un amichevole Spiderman di quartiere, ed è solo un ragazzino. >>
In pochi giorni si è resa conto che, chi più chi meno, tutti gli Avengers hanno i loro problemi.
Quegli eroi, che si presentano coraggiosamente per proteggere il mondo, hanno un lato oscuro che cercano di nascondere, tenere a bada come meglio possono.
Ansia, PTSD, incubi, sensi di colpa, paura di non essere all’altezza.
È un fatto ovvio, ma lei non ci aveva mai pensato.
È quando crede di aver visto quasi tutto che, nel fine settimana, dei fulmini illuminano la sera che scende sopra la New Avengers Facility.
Il cielo è sgombro, non ci sono nuvole, non piove, ma i fulmini squarciano l’aria e accompagnano un luminoso fascio di luce.
Marta lo guarda incerta. Quei giochi di colore la affascinano, ma è preoccupata per ciò che potrebbe capitare dopo. Si chiede se non si tratti dell’ennesimo esperimento di Stark.
<< È Thor, >> la rassicura il capitano Rogers. È contento, sorride pronto ad accogliere un vecchio amico.
L’imponente sagoma del dio compare nel fascio di luce, seguita da un fragoroso tuono.*
 
                                                                                                                                                                     §
 
<< Allora, come ti trovi? >>
Bucky le sorride imbarazzato << dovrei farla io a te questa domanda. Probabilmente ti sembrerà ti essere finita in un manicomio. >> Distoglie lo sguardo, tornando a osservare il paesaggio fuori dalla finestra, e torna serio << sta andando bene. Ma… credo di aver bisogno di altro tempo per abituarmi. >> Si passa stancamente una mano sul volto.
<< È normale. Devi fare con calma. >>
 Lui annuisce distrattamente. << Sai…io e Natasha abbiamo parlato molto ultimamente. >>
<< E? >>
Ha visto spesso i due parlare assieme, ma Bucky non le ha ancora detto nulla di quelle conversazioni, e lei non ha voluto insistere.
<< Eravamo amanti. La sua presenza era l’unica cosa che mi ha tenuto sano di mente in quegli anni. L’ho addestrata io, e-e probabilmente ho anche rischiato di-di ucciderla. Nulla di sorprendente >> si ferma e inspira profondamente << …ci hanno scoperti, e hanno cancellato i nostri ricordi. >>
Si passa una mano sul volto.
I ricordi si succedono rapidi nella sua mente. Sono immagini che non vuole vedere, ma quelle non vogliono lasciarlo in pace.
Scuote la testa, come se potesse bastare a dimenticare, a tornare nel presente.
La voce di Marta gli arriva lontana, cerca di concentrarsi su di essa, ma non ci riesce.
È inverno. È il 1940.
È in guerra. È in Russia.
C’è Natasha. C’è Steve.
L’Hydra. Lo S.H.I.E.L.D.
<< -ente… -finita. >>
Ci sono altri rumori, passi, voci.
<< Si allontani. >>
<< È tutto sotto controllo, >> la donna liquida con noncuranza chiunque abbia cerato di allontanarla. << Guardami. Sei a New York., >> gli prende la mano umana fra le sue, e stringe delicatamente. << Ascolta la mia voce. Immagina- >>
Altri passi. Voci.
Mani calde stringono saldamente le spalle dell’uomo, una voce chiama il suo nome.
Marta tace in attesa.
Il corpo di Bucky si irrigidisce per un momento, poi si rilassa abbandonandosi contro quello del capitano, che lo stringe a sé rivolgendo uno sguardo preoccupato all’infermiera.
<< Va tutto bene, >> mormora lei. << Meglio riaccompagnarlo nella sua stanza, così si riposa. >>
Bucky, stordito, si lascia guidare docilmente. Si appoggia al capitano, e l’infermiera li segue.
Il capitano lo aiuta a sdraiarsi a letto, dove si abbandona stancamente.
Marta resta in disparte, e aspetta che Captain America le si avvicini. << Ha solo bisogno di stare un po' tranquillo, >> comincia, con fare rassicurante << non avete bisogno di me. Vi lascio soli, ma se dovesse succedere qualcosa chiamatemi subito. >>
L’uomo annuisce, e Marta esce dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Sola in corridoio, le sue labbra si piegano in un sorriso. Immaginava che il capitano potesse essere il calmante perfetto per Bucky, ma non ne aveva la certezza.
Spera davvero che i due uomini abbiano ancora molti anni da trascorrere assieme, anche se da un lato sa di dover avvisare l’ex Soldato d’Inverno che dovrebbe fare tutto il possibile perché la sua pace mentale dipenda solo da sé stesso.
In corridoio la raggiunge l’agente Romanoff.
<< Come… sta? >> chiede. Non ha bisogno di specificare a chi si stia riferendo.
<< Stanco, ha solo bisogno di calmarsi. Adesso è col capitano Rogers. Starà bene. >>
Natasha annuisce. È preoccupata. Fa per andare via, poi cambia idea e si volta << lei crede che starà bene? Che riuscirà ad andare avanti con la sua vita? Vivere normalmente… >>
<< La normalità è relativa, >> risponde Marta, avvicinandosi. Le due donne iniziano a camminare fianco a fianco lungo il corridoio deserto. << normalità è ciò a cui si è abituati. Qualsiasi cosa, per quanto orribile, può diventare normale. Credo che Bucky abbia bisogno di conoscersi nuovamente, ricordare chi era e decidere chi sarà. >>
Natasha sorride << non lo consideri pericoloso? Non hai paura? >>
Marta si stringe nelle spalle. Ormai crede di sapere di cosa l’ex Soldato d’Inverno sia capace, e crede di sapere come comportarsi. Inoltre, per quanta paura possa avere lei, è lui quello più spaventato.
L’agente Romanoff tace, poi la guarda in silenzio per un lungo istante. << Grazie per tutto quello che fai, >> mormora poi. << Stare vicina al Soldato d’Inverno… in pochi avrebbero accettato. >>
<< Non è come la gente crede che sia. Nonostante il suo passato, l’Hydra- >>
<< Non si smette di essere assassini. Il passato rimane, non può essere ignorato, o cancellato. >>
<< Ma il nostro presente lo possiamo scegliere noi. Bucky non ha scelto di essere un assassino, non ha potuto scegliere nulla per decenni. Non è il mostro che il mondo vuole vedere solo per il gusto di avere qualcuno contro cui puntare il dito. >>
Natasha sorride e scuote la testa.  
 
                                                                                                                                                        §
 
 
Non credo nella Patria. Credo nelle Patrie.
Possono essere luoghi speciali, a cui ci sentiamo legati per sempre, non importa quanto siano lontani da noi, e non importa da quanto tempo non ci torniamo. Ma di solito sono le persone a noi  familiari, e di cui ci fidiamo.
Casa è dove siete. **
Bucky legge più volte quella frase, l’ultima del libro che gli ha prestato Marta qualche giorno prima. La legge, e se la ripete mentalmente. È triste e confortante allo stesso tempo.
La Brooklyn degli anni ’30 sarà sempre casa sua, anche se non può tornarci. Tante persone del suo passato sono morte, ma casa possono essere le persone che lo circondano adesso.
Casa è Steve, che lo conosce da una vita, e che, nonostante gli anni e le guerre, è ancora con lui.
Casa è Natasha, che l’ha tenuto sano di mente quando si sarebbe dato la morte piuttosto che continuare a essere un assassino.
Casa è Marta, che ha una pazienza infinita e una parola di conforto sempre pronta.
Casa può essere quel presente che è costretto a vivere.
 
 
 
 
 
 
*In seguito alla distruzione di Asgard, probabilmente Thor non potrebbe arrivare in quel modo. Forse ci sarebbe qualche tuono, qualche fulmine, ma il fascio di luce sarebbe il Bifrost che si apre, e ora il ponte è andato distrutto.
So che, per essere più realistico, l’arrivo di Thor dovrebbe essere diverso, ma mi piaceva descriverlo in questo modo XD.
 
**La citazione è tratta da ‘Eure Heimat ist unser Albtraum’. L’ho tradotta io, visto che il romanzo esiste solo in lingua tedesca, ma facciamo finta che Marta l’abbia trovato e letto in inglese ^_^; .
Questo è il testo originale:
Ich glaube nicht an Heimat. Ich glaube an Heimaten.
Das können besondere Orte sein, denen wir uns ewig verbunden fühlen, egal, wie weit wir weg sind, und egal, wie lange wir schon nicht mehr dort waren. Doch meistens sind es Menschen, die uns vertraut sind und denen wir vertrauen.
Zu Hause ist, wo ihr seid.
 
 

 
  
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