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Autore: Verfall    12/05/2021    6 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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6. 12 Novembre 1983 – Ryo
 
Era da poco passata l’una quando Ryo si decise ad aprire gli occhi, in realtà sarebbe rimasto ancora a letto ma il suo stomaco aveva deciso che era stato ignorato fin troppo. Riemerse dal lenzuolo, che lo aveva avvolto in un bozzolo disordinato, e senza contenere un sonoro sbadiglio si mise a sedere pigramente mentre si passava una mano sugli occhi. La giornata nuvolosa faceva filtrare attraverso le veneziane dei fasci di luce fiochi e plumbei che dipinsero la camera di una luce malinconica; dopo aver terminato l’opera di stiracchiamento Ryo mise a fuoco l’ambiente circostante e la visione lo impressionò negativamente. Sembrava fosse esplosa una bomba: un cumulo di vestiti e asciugamani sporchi erano ammucchiati per terra, vicino all’armadio semiaperto; le sue amate riviste giacevano sparpagliate sul divano e per tutto il pavimento assieme ai giornali che aveva letto e che doveva ancora catalogale negli appositi raccoglitori e, come se non bastasse, dei simpatici batuffoli di polvere, come tanti coniglietti, avevano colonizzato gli angoli della camera. Cacciò un rassegnato sospiro e, dopo aver preso la sua Python da sotto il cuscino, si diresse con passo strascicato verso le scale per raggiungere il bagno.
“Dovrei dare una piccola sistemata alla stanza… Mi faccio schifo da solo” pensò mentre in velocità si faceva la barba a secco per poi buttarsi sotto un getto di acqua fredda che lo avrebbe aiutato a svegliarsi.
In fin dei conti, se la sua camera si trovava in quella situazione precaria era solo perché nelle ultime settimane si era lasciato andare a uno stato apatico che ricorreva abbastanza frequentemente da quando si trovava in quella casa così grande. Sebbene ci abitasse da otto mesi, non si era ancora perfettamente abituato ad avere tutte quelle stanze a sua disposizione e, se all’inizio ne era stato entusiasta – non aveva mai vissuto in un appartamento così grande –, con il passare delle settimane gli era sembrato che quel lungo corridoio, quella libreria enorme, quel soggiorno solitario, amplificassero una sua inquietudine latente. Lui, lupo solitario che si muoveva tra le tenebre della società, non avrebbe mai pensato di trovare la sua vita vuota come quella casa e tale analogia lo aveva turbato sin dalla prima volta che gli era affiorata nella mente. Non era tipo che si lasciava andare a stupidi sentimentalismi, anzi li trovava nocivi e deleteri per la propria sopravvivenza, ragion per cui cercava di passare il minor tempo possibile in casa, riuscendo così a tener a bada quelle sensazioni così sgradevoli. Se non ci fosse stata Fujiko – la drag queen che occupava due stanze al terzo piano – che una volta a settimana passava per sistemare alla meno peggio l’appartamento, tutti gli ambienti sarebbero stati nelle stesse condizioni precarie della sua camera; quella, infatti, era assolutamente off limits, era il suo antro personale e preferiva fosse una discarica piuttosto che permettere a qualcuno di metterci le mani. In fondo lì teneva conservati i pochi ricordi di una vita assurdamente fuori dagli schemi che non voleva condividere con nessuno.
Riemerse dalla doccia per constatare contrariato di non avere più un asciugamano pulito da usare; imprecò mentalmente e, dopo aver rimosso l’acqua in eccesso con ampi movimenti delle braccia, si mosse veloce lungo le scale lasciando una scia d’acqua dietro di sé. Si era lasciato fin troppo andare e capì che la priorità della giornata sarebbe stata fare una lavatrice, idea che si rafforzò quando faticò a trovare un jeans pulito che indossò velocemente insieme a una maglia nera a maniche lunghe. Ormai perfettamente sveglio posò un ginocchio sul letto e si affacciò cautamente alla finestra; attraverso le veneziane vide una cupa nebbia avvolgere la città e dopo aver registrato l’assenza di Nobu, il suo informatore di Kabukichō, alla solita cabina telefonica, si preparò ad affrontare quella giornata che con le sue tinte plumbee e malinconiche ben si intonava al suo umore, almeno fino a quando non avrebbe fatto colazione. Arcuò lievemente un angolo della bocca: se le sue care signorine dei vari nightclub lo avessero visto in quel momento avrebbero stentato a credere che l’uomo burlone, maniaco e ciarliero della notte era in realtà di pessimo umore appena sveglio e, in generale, serio e riflessivo. Ah se lo era, lo era fin troppo! La sua mente era un continuo turbinio di pensieri, mai sazia di quei monologhi a cui lui cercava di svignarsela sempre il prima possibile. Non amava particolarmente quel suo lato riflessivo che lo costringeva a ragionamenti quasi mai piacevoli e reagiva nel modo che conosceva: non si faceva vincere dall’ozio. Il lavoro, i duri allenamenti, le lunghe sessioni al poligono, anche fare il maniaco in giro e sprofondare in letture culturali; tutto ciò non era che una strategia per rimandare il confronto con quei pensieri a un domani ipotetico che, ne era certo, non sarebbe mai arrivato.
Con un leggero sbuffo si riscosse e scese in cucina, ormai terribilmente affamato, e una volta aperto il frigo si trattenne dal cucinare tutto il contenuto, riservandosi di lasciare qualcosina per un’altra colazione.
“Allora, come prima cosa sicuramente devo fare una lavatrice, in che condizioni mi sono ridotto, poi con questo tempo i panni ci metteranno una vita ad asciugarsi…” si disse mentre spadellava tre salsicce con altrettante uova e bacon “Poi assolutamente devo catalogare i giornali delle ultime settimane, sono indietro con il lavoro e l’ordine con quelli è fondamentale… Se mi vedesse il Professore quante me ne direbbe!” e con un sorriso divertito si allungò per prendere da un armadietto una lunga baguette che iniziò a tagliare e a farcire con abbondante marmellata “Per non parlare della polvere, quella sì che è una bella scocciatura… Pazienza, troverò un modo indolore per sistemare anche questa rogna”.
Soddisfatto per il suo programma mentale prese dal frigo una confezione di gyoza che riscaldò velocemente mentre iniziava a mettere sulla tavola ciò che aveva già preparato; il suo era in realtà un pranzo piuttosto che una colazione, ma era una finezza linguistica del tutto trascurabile e che non lo interessava minimamente. La sua si sarebbe potuta definire una vita sregolata ed effettivamente era proprio così, fin da quando aveva memoria non c’era niente di regolare nella sua esistenza. Con quei pensieri si sedette alla panca e iniziò a mangiare voracemente il suo pasto. Avrebbe voluto continuare a vivere così fino alla fine dei suoi giorni? Fino a qualche tempo prima non si sarebbe neanche posto una domanda del genere, eppure per quanto non lo ammettesse apertamente a se stesso, avvertiva che qualcosa era cambiato in lui nell’ultimo anno e mezzo; un piccolo cambiamento, certo, ma abbastanza incisivo da renderlo diverso dal giovane uomo che era stato nei primi tempi in Giappone. Alla sua solitudine di ghiaccio si era avvicinata una piccola fiammella inaspettata che, goccia a goccia, stava scavando il muro artico che lo rivestiva; si era sorpreso nel constatare che ciò non lo dispiaceva per nulla, tanto che la sua parte più irrazionale – che però veniva prontamente messa in riga – desiderava essere investita da un incendio in piena regola, per scoprire se avrebbe trovato quel calore a cui anelava da sempre. Fantasticheria stupida e pericolosa ribatteva il suo io razionale; se avesse permesso ciò si sarebbe semplicemente ustionato gravemente.
Nel mondo della malavita, dove due occhi non era mai sufficienti per guardarsi le spalle, l’aver trovato un uomo, un compagno di lavoro, degno della massima fiducia gli era sembrato un regalo troppo grande per meritarselo. Ricordava ancora la ritrosia che aveva provato nei primi mesi in cui aveva iniziato a collaborare con l’ex poliziotto, e di come ogni giorno lo sorprendesse in positivo con le sue parole e le sue capacità, riuscendo a piegare la sua naturale diffidenza frutto delle delusioni passate. A poco a poco aveva iniziato ad aprirsi sempre di più nei confronti di Makimura e la paura di essere tradito, di sentirsi annientato e solo al mondo alla fine non si era dimostrata un argomento sufficientemente forte contro quei modi pacati e quegli occhi sinceri. Grazie a lui stava riscoprendo la bellezza del lavorare in squadra, la piacevolezza di condividere parte della propria giornata in buona compagnia e di poter contare davvero su qualcuno che non fosse solo se stesso. Nonostante tutto, però, la sua cara vocina interiore non lo lasciava mai davvero tranquillo, intimandogli di non accogliere ancora completamente quella mano che gli veniva porta così affabilmente; non doveva affezionarsi troppo al buon Maki poiché il suo cuore lacerato aveva paura di soffrire ancora una volta. Aveva già perso Frank e Kenny ma intuiva che il dolore provato in quei frangenti sarebbe stato nulla in confronto a quello che avrebbe avvertito se anche il suo attuale partner gli fosse stato portato via: Makimura era un uomo raro, non era facile incontrarne uno così sulla propria strada ma se si aveva quella fortuna era impossibile non esserne toccati. Aveva odiato Tōkyō, Shinjuku, la sua stessa esistenza fino a quando aveva iniziato a condividere la sua solitudine con lui e il pensiero di poter tornare indietro a quegli anni lo pietrificava… Quel poco di cuore che gli era rimasto non avrebbe retto a un altro colpo del genere e, per quanto gli facesse male, non poteva non pensarci; nel suo ambiente la morte era una compagna di lavoro costante, lo aveva imparato fin da piccolo. Quanti pensieri, quante paure serbava dentro di sé come zavorre che appesantivano il suo animo e anche se cercava di soffermarcisi il meno possibile, di negarle addirittura, loro erano sempre lì; non poteva farci niente, era doppiamente codardo perché si sarebbe fatto ammazzare piuttosto che ammettere le sue debolezze. Per sua fortuna, quando si trovava in quei momenti fastidiosamente riflessivi, la sua parte irriverente e goliardica lo aiutava a svincolare sempre, prendersi troppo sul serio non lo avrebbe aiutato ad andare avanti. Nel suo mondo, dove non c’era posto per i “per sempre” e i “mai” era fondamentale concentrarsi sull’attimo, ignorando qualsiasi progetto futuro; un meccanismo di autoprotezione il suo, che lo aiutava ad apprezzare meglio ciò che aveva in quel momento, tenendo sempre a mente, però, che tutto poteva cambiare in un istante.
Aveva quasi concluso il suo pasto quando un impercettibile fruscio, captato dal suo udito sensibilissimo, gli segnalò che l’ospite atteso avrebbe fatto il suo ingresso in cucina entro pochi minuti. Decise di accoglierlo al meglio e così si stravaccò sulla panca mentre continuava ad azzannare il panino con la marmellata; non c’era gusto a essere sciatti se non c’era nessuno che poteva richiamarlo.

«Ryo sei in cucina?» sentì domandare da un voce fuori il corridoio.

«E dove potrei essere? Che domande» bofonchiò a bocca piena.

Qualche istante dopo la porta si aprì lasciando entrare il giovane uomo con il suo fidato soprabito leggermente bagnato sulle spalle e il solito giornale della mattina in mano.

«Ah, oggi è una giornata terribile» emise mentre avanzava verso il tavolo «C’è una nebbia terribile, sembra stia piovendo farina e…» si bloccò alla vista del partner semidisteso sulla panca, il piede destro sulla tavola imbandita, che sbranava un’intera baguette.

«A volte mi chiedo se tu non sia cresciuto nella giungla insieme alle scimmie… Non ho mai visto un uomo mangiare in questo modo» disse rassegnato, lanciandogli il giornale in pieno viso.

I fogli nascosero il mezzo sorriso che Ryo non riuscì a trattenere all’affermazione dell’amico che, senza volerlo, si era avvicinato fin troppo alla verità. Si ricompose e, mentre spiegava il Maiasa Shinbun1 sul tavolo, emise uno sbuffo sonoro.

«Sempre a rompere Maki, come mi rovini le giornate tu non ci riesce nessuno» e iniziando a sfogliare il quotidiano aggiunse «Se vuoi mangiare qualcosa ti conviene preparartela, ho praticamente finito tutto quello che ho cucinato»

«No, sono a posto così» rispose lasciandosi cadere sulla panca di fronte.

«Meglio così, potrò evitare di fare la spesa domani»

«Sicuro che ti sia rimasto qualche yen?»

«Certo uomo di poca fede! Grazie balia Maki ma non c’è bisogno che ti preoccupi, so badare benissimo a me stesso» esclamò piccato.

In realtà era praticamente al verde, l’ultimo incarico risaliva a due settimane prima e nel giro di una manciata di giorni si era bruciato tutto ma non gli importava molto. Riusciva a scroccare sempre un pasto nei vari locali di Shinjuku durante i suoi giri notturni, a City Hunter nessuno negava un po’ di cibo in cambio della sua protezione, e aveva liste di credito lunghissime praticamente con ogni commerciante della zona. Non poteva biasimare Makimura per i suoi tentativi di civilizzarlo, sapeva che se faceva quelle osservazioni era solo per il suo bene, ma non era certo molto bravo a organizzarsi le giornate e la vita in generale. Si lasciava trasportare dagli eventi, accettando qualsiasi cosa il destino avesse deciso di mettere sul suo cammino: non aveva senso progettare un domani sapendo che non ci sarebbe stato. Era una vecchia abitudine dura a morire la sua.

«Va bene, come non detto signor so-tutto-io» disse Hideyuki e, pulendosi gli occhiali a goccia con un fazzoletto, proseguì «Che lenti sporche non me n’ero accorto… Comunque sembrerebbe che la situazione stia tornando alla normalità; sono stati rimossi i posti di blocco sulle vie principali e si vede molta meno polizia in giro»

«Beh, Nakasone si è proprio impegnato per impressionare il suo special guest; guarda che roba» e indicando con enfasi il giornale continuò «Ben due pagine di esaltazione autoreferenziale in cui si sottolinea come Reagan2 sia rapito dal Giappone, dalla sua cultura e altre cazzate che fanno tanto piacere al cittadino medio»

«Devi capirli i giornalisti… Dopo la condanna di Tanaka3 questa visita di stato è stata un buon modo per risollevare l’opinione pubblica dal clima di generale mortificazione dell’ultimo periodo. La corruzione è talmente diffusa nel Paese da sembrare la normalità, ma solo quando viene spiattellata per mezzo mondo diventa una tragedia sociale»

«Tipico tratto dell’ipocrisia giapponese» sbottò richiudendo il quotidiano.

«Non posso darti torto Ryo» commentò amaramente «Siamo in pochi a non possederla»

Lo sweeper si alzò in uno scatto e mise sul fuoco il pentolino con l’acqua.

«Una tazza di caffè?» chiese guardando il socio uscire fuori dalla tasca interna del soprabito il suo inseparabile taccuino.

«Sì grazie, oggi si lavora»

«Bene iniziavo ad annoiarmi» e mentre si stiracchiava con energia chiese «Che incarico è stavolta?»

«Dipende da te»

«Che storia è questa?» domandò sorpreso.

«Il cliente mi ha detto che la scelta la riservava a City Hunter se uccidere o meno» emise asciutto, guardandolo senza particolare turbamento.

«Ma è -»

«No Ryo, ti dico già che è un uomo»

«Maki vergognati è già la seconda volta che mi rifili un uomo! Continua con questo andazzo e andrò io personalmente a controllare la lavagna!» esclamò ferito, guardando in cagnesco il partner che non si scompose.

«Stai pur certo che se contattassi tu le clienti le faresti scappare tutte»

«Ma che assurdità stai dicendo? Piuttosto è il tuo brutto muso a far spaventare le belle ragazze! Ah, povero me, mi fai sgobbare senza neanche una gioia in cambio»

«Sempre a lamentarti… Mi meraviglio come il mio cervello non sia esploso nel sentire i tuoi continui sproloqui» sospirò sconsolato Hideyuki, appoggiando il mento sulla mano.

Ryo, dopo aver contato mentalmente dieci secondi, spense il gas e versò l’acqua bollente nel recipiente in cui aveva sistemato il filtro conico con dentro il caffè in polvere. Gli piacevano quei piccoli momenti di quotidianità condivisa con il suo socio, le loro erano più chiacchierate tra amici che di lavoro e lo sweeper avvertì che, le nubi che lo avevano accompagnato al risveglio, si erano totalmente diradate.

«Allora, dimmi tutto» disse tornado a tavola con le due tazze fumanti.

«Grazie» e leggendo dalla sua agendina Maki aggiunse «Come ti ho già detto il cliente è un uomo, un certo Tong Min-Jun, cinquantacinque anni e lavora come cuoco presso un ristorante coreano»

«Per caso è uno di quelli che in questi mesi sono spuntati come funghi a Ōkubo4

«Esattamente»

«Mmmh non penso proprio che potrà permettersi i nostri servigi, lì non stanno che miserabili» commentò scettico per poi dare un lungo sorso al suo caffè.

Vide il partner restare in silenzio per qualche istante, apparentemente troppo concentrato sulla sua bevanda; Makimura non si era mai sbagliato nello scegliere i casi e quella non poteva essere certo la prima volta, perciò decise di ascoltarlo.

«Avanti Maki, so già che hai accettato questo caso prima ancora di parlarmene quindi sicuramente è roba seria»

«Molto» disse il giovane uomo sistemandosi gli occhiali con l’indice «Stiamo parlando di un caso di omicidio. Di una ragazza» e vedendo lo sguardo dello sweeper farsi più interessato proseguì «Mi ha detto al telefono di aver trovato il cadavere della figlia ieri mattina abbandonato tra i rifiuti vicino al suo locale. La ragazza era uscita nel pomeriggio per andare a lavoro e non si aspettava di vederla tornare a casa così… Mi è sembrato molto scosso e mi ha assicurato che ci fornirà ulteriori dettagli di persona»

«Naturalmente la notizia non è arrivata alle orecchie dalla polizia»

«Assolutamente, la grande maggioranza dei coreani lì è irregolare e, non avendo visto e permesso di soggiorno, è nel loro interesse mantenere un profilo basso, specialmente se si tratta di cronaca nera. Il fatto che lo stesso Tong abbia ritrovato il cadavere ha impedito che la notizia circolasse all’interno dello stesso distretto»

“Altri invisibili come il sottoscritto” pensò Ryo amaramente; storie come quella lo colpivano particolarmente, in un certo senso si sentiva vicino ai deboli sconfitti dalla vita e non a caso il motivo principale che lo spingeva a essere uno sweeper era quello di poter aiutare gli ultimi e poter essere l'unica speranza per chi era affamato di una giustizia che la legge non poteva garantire. In quella città serviva disperatamente qualcuno che si mettesse al servizio degli altri e lui, uomo senza famiglia e senza prospettiva di una vita sua, si sporcava volentieri le mani per chiunque avesse bisogno di lui. Seppur con motivazioni diverse anche il suo caro partner era sulla sua stessa lunghezza d’onda; lui un’esistenza importante per qualcuno ce l’aveva, però, e se solo avesse voluto, avrebbe potuto vivere come un comune cittadino eppure lavorava al suo fianco. Quell’ex poliziotto era l’uomo più pazzo che avesse mai conosciuto. Si schiarì la gola prima di parlare.

«Ok, quando è l’appuntamento?»

«Stasera alle otto. Entreremo nel locale fingendoci normali avventori e aspetteremo la chiusura, quando lui stesso ci raggiungerà»

«Bene, spero si mangi decentemente, non mi piace lavorare a stomaco vuoto» disse in un sospiro per poi cambiare registro «Bene Maki, i piatti ti attendono»

«Come?!»

«Su non fare l’ospite sgarbato: hai disturbato la mia colazione, ti ho offerto un ottimo caffè e il minimo che tu possa fare è lavare i piatti»

«Non cominciare con la solita storia, ti è andata bene già un paio di volte ma non credere di cavartela sempre con questa scusa» disse mentre si alzava pigramente.

«Sei proprio insensibile Maki, così ricambi la mia ospitalità?» mugolò afflitto «E pensare che ho tante di quelle cose da fare…»

«Ovvero grattarti la pancia mentre stai spoltronato sul divano?»

«Non dire fesserie! Sono una persona impegnata, io»

L’ex poliziotto lo guardò per qualche istante in silenzio, con un’espressione tra il divertito e il rassegnato; Ryo aveva imparato a conoscerla in quanto compariva sempre alla fine delle loro improbabili discussioni come segno di resa.

«E va bene, solo per quest’ultima volta» emise alzando le mani sconfitto «Però sono curioso di sapere quali sono le tue ‘tante cose da fare’»

«Beh» disse lievemente in imbarazzo dandogli le spalle «Ecco… I vestiti non si lavano da soli e ho da catalogare le riviste delle ultime due settimane, in camera ho i conigli di polvere… Insomma, cose così…»

«City Hunter casalingo… Ah se lo sapessero tutti perdesti di credibilità. Dimmi, ti metti il grembiulino quando fai le faccende domestiche?» chiese Hideyuki non riuscendo a reprime una risatina.

«Sai che ti dico Maki? Vai al diavolo!» esclamò furente mentre usciva dalla cucina «Grembiulino…Te lo faccio vedere io il grembiulino, quella linguaccia!» borbottò salendo le scale.

Siparietti come quello erano all’ordine del giorno e a Ryo piacevano molto. Per non perdere la testa nel mondo della malavita dove non c’era nulla da ridere, il poter scherzare e concedersi qualche stupido battibecco con un’altra persona che non si prendeva troppo sul serio come lui era in qualche modo ristorante. Si divertiva troppo a stuzzicarlo, sapeva rispondergli a tono ed era palese che anche a lui piacevano quei momenti.
Ryo entrò velocemente nella sua camera, prese il mucchio di vestiti e con poca grazia li portò nell’antibagno dove li buttò dentro la lavatrice. Odiava occuparsi di quelle faccende, lo annoiavano terribilmente, ma non poteva fare altrimenti; era già in debito per la pulizia dell’appartamento, non poteva anche farsi lavare le sue mutande sporche. Sistemata la prima incombenza si occupò poi delle sue amate riviste culturali che iniziò a sistemare negli scaffali che componevano la testiera del letto, non riuscendo a non dar loro un ultimo sguardo sognante. Decise di lasciare i giornali per ultimi visto che sarebbe dovuto scendere nella libreria per catalogarli, perciò si concentrò sui simpatici peluche polverosi che avevano infestato la camera; non gli andava certo di mettersi a pulire come si deve, perciò si limitò a raccoglierli per poi buttarli via dalla finestra.
“Ecco fatto, ora iniziamo a ragionare” si disse perfettamente soddisfatto anche se un occhio esterno avrebbe trovato quella stanza bisognosa di una pulizia e riordinata più profonde, ma per Ryo ciò fu più che sufficiente. Fischiettando scese le scale e una volta in libreria iniziò a sistemare nei raccoglitori i vari giornali, catalogandoli per argomenti, data e luogo. Fu un’operazione che gli prese più tempo delle precedenti poiché su quello era sempre estremamente preciso e meticoloso; nel suo lavoro le informazioni erano tutto, la carta vincente per non farsi mai cogliere impreparati, e il Professore aveva insistito molto sull’argomento per poterlo dimenticare facilmente. Quando anche l’ultimo faldone venne sistemato al suo posto, un Ryo stanco ma compiaciuto del suo operato si avviò verso la cucina dove vide Makimura intento a sgrassare il piano cottura – lavoro extra che a quanto pare aveva deciso di abbonargli. Sorrise impercettibilmente; come avrebbe fatto senza di lui? Era una domanda retorica, certo, ma non volle immaginare una risposta seria, ragion per cui cacciò via quel pensiero lugubre e indossò la sua solita maschera. 

«Non hai ancora finito Maki? Certo che sei proprio una lumaca, io ho già sistemato mezza casa» esclamò saccente mentre gli si avvicinava.

Il socio emise un verso sarcastico «Conoscendoti so come non hai sistemato mezza casa» e dopo essersi asciugato le mani gli lanciò il canovaccio «Tieni, mentre asciughi i piatti faccio una telefonata»

Ryo lo guardò sconsolato e di malavoglia si apprestò a compiere quell’ingloriosa operazione; sapeva già a chi avrebbe telefonato e, sebbene si mostrasse sempre noncurante, in realtà una parte di lui era interessata alla vita familiare del suo partner. Qualche istante dopo sentì la voce Maki giungere dal soggiorno.

[Ciao Kaori sono io, com’è andata oggi a scuola? Hai avuto qualche problema?]

“Che fratello premuroso, quando la chiama fa sempre la stessa domanda…Mi chiedo che problemi abbia sua sorella”

[Mmmh meglio così. Senti, non aspettarmi per cena, va bene?]
[…]
[Devo lavorare ecco perché… Sì, sì stai tranquilla… No, nessuna sparatoria è solo… Ma no, non preoccuparti, tornerò tardi ma non starò fuori tutta la notte] rispose in tono conciliante.

“Poco ansiosa la ragazzina” pensò Ryo con un mezzo sorriso.

[Sì, poi domani ti dico di cosa si tratta ora pensa a studiare. Ah, vedi che il riso è già pronto e prima di uscire ho preparato per cena del salmone marinato, devi solo cucinarlo. Mi raccomando non farlo carbonizzare come l’altra volta… Sì, lo so che è successo tempo fa ma non smetterò di ricordartelo!]
[…]
[Su, non prendertela] disse allegro [Ora fila a studiare… Bene, fai la brava… Sì, anch’io tranquilla, ciao]

Lo sweeper aveva appena terminato l’asciugatura quando sentì il ricevitore abbassarsi, così raggiunse il partner che si trovava ancora davanti al telefono con un tenero sorriso.

«Problemi con la sorellina?»

Hideyuki si ridestò a quelle parole e guardandolo gli rivolse un mezzo sorriso impacciato.

«No, si preoccupa troppo per me, tutto qui»

«Come suo fratello… Ce l’avete proprio nel sangue» si lasciò sfuggire debolmente.

«Forse…» commentò fattosi leggermente malinconico.

Ryo lo squadrò un attimo: che si fosse pentito di continuare la collaborazione con lui? Doveva essere difficile conciliare una vita normale in superficie con il loro lavoro, a maggior ragione da quando anche la sua cara sorella sapeva che lavoro faceva. Una vita normale… Non riusciva proprio a immaginarla.

«Ho capito a cosa stai pensando, e la mia risposta è sempre la stessa. Non ti libererai così facilmente di me» sospirò l’ex poliziotto sedendosi sul divano.

“Dannato Maki e i suoi poteri di veggenza” si ritrovò a pensare mentre si limitava a increspare leggermente le labbra in un mezzo sorriso.
 
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«Prego signori, venite pure per di qua»

Ryo reclinò il capo per raccogliere dal bicchiere l’ultima goccia di Soju prima di alzarsi lentamente preceduto da Maki, che aveva finito di mangiare da un bel pezzo. Ormai non c’era più nessuno nel piccolo locale, e i pochi avventori regolari avevano guardato con non poca curiosità quella coppia peculiare, soprattutto quel gigante che aveva mostrato un appetito famelico di rara portata. Aveva avuto la conferma di quanto fosse difficile passare inosservati in quella zona in cui non si vedevano molte facce nuove. Attraversarono un minuscolo disimpegno nel retro del locale e poi salirono lungo una ripida scala in legno leggermente scricchiolante, fino a raggiungere un pianerottolo su cui si affacciavano solo tre porte. L’uomo aprì la prima a destra e fece loro segno di entrare.

«Perdonate il disordine, la mia è una modesta camera» fece l’uomo mentre si sedeva sul pavimento coperto da un tatami liso ma pulito.

“Se questo è disordine allora non so come definire quello che ho a casa” pensò stupito Ryo. La stanzetta era minuscola ma ben organizzata; c’era una piccola finestrella di fronte la porta, sul muro a destra erano posizionati due armadi con accanto un futon ripiegato e a sinistra, invece, si notava quello che sembrava un angolo cottura vecchio di almeno dieci anni. Non un soprammobile, non una foto, tutto dava l’idea di un ambiente impersonale tipico di un monolocale in affitto.

«Bene signor Tong, ha già parlato al telefono con il mio partner ma prima di accettare la sua richiesta vorremmo sapere tutta la storia» emise asciutto Ryo guardando serio il robusto uomo di mezza età di fronte.

«Sì, è più che giusto scusatemi se ho tergiversato ma è così difficile…» e abbassando gli occhi iniziò a esporre «Non voglio tediarvi troppo con la mia storia, che è uguale a quella di molti altri immigrati che sono venuti in Giappone sperando in una vita migliore ma che, nonostante gli sforzi, restano ancora ai margini della società. Se ho sopportato qualsiasi umiliazione e la fatica di turni estenuanti è stato solo per mia figlia e. ora che me l’hanno strappata via, non riesco a trovare più un senso in ciò che faccio… Voglio assicurarmi che abbia giustizia, è il minimo che possa fare visto che sono stato incapace di proteggerla»

«Sua figlia dove lavorava? Era in giri particolari?» domandò Makimura imperturbabile; in quei momenti la sua natura di poliziotto usciva a galla.

«No, mia figlia è… Era una brava ragazza, seria e responsabile. Mi aveva raggiunto da poco più di sei mesi qui a Tokyo quando, dopo mille peripezie, io con due miei fidati amici ci siamo trasferiti qui a Ōkubo. L’ho incoraggiata io a venire visto che questa era la prima sistemazione decente che ho rimediato dopo anni…» evidentemente emozionato l’uomo si fermò un attimo per prendere fiato e prese dal taschino della camicia una foto che guardò con tenerezza «Aveva terminato il liceo e desiderava moltissimo vivere con me, così ha lasciato la casa dei miei genitori e ha iniziato a lavorare come cameriera nel ristorante; sapete lei aveva frequentato in Corea un corso di giapponese per molti anni e i primi tempi ci ha aiutato molto, con i documenti e altro. Era volenterosa, mi aiutava con l’attività e desiderava proseguire gli studi, ma siamo un piccolo ristorante e gli affari non sono così prosperi, abbiamo appena di che vivere una volta pagato l’affitto. Per questo appena Mi-Sun ha sentito che avrebbero aperto un pachinko qui vicino e cercavano personale non ci ha pensato due volte a proporsi, visto che la paga era nettamente superiore a quella che prendeva come cameriera»

«Per quanto tempo ha lavorato al pachinko?» chiese sempre l’ex poliziotto fattosi più attento.

«Con oggi sarebbe stato un mese. Non mi piaceva l’idea che lavorasse in un posto del genere ma era così decisa… Eppure sento che se fossi riuscito a bloccarla lei sarebbe ancora viva…»

«Perché è così certo che la morte di sua figlia sia collegata al suo nuovo lavoro? Potrebbe essere opera di qualche altro ragazzo del distretto o di un cliente» disse Ryo grattandosi distrattamente la testa.

«No, lo escludo!» esclamò l’uomo risoluto «Faceva una vita molto ritirata e i nostri clienti li conosco tutti, sono brave persone. Lei non mi ha mai detto nulla ma fin dai primi giorni in cui ha messo piede in quel maledetto pachinko ho iniziato a sentirla più agitata; come pensava di nascondermi il suo turbamento, lei che è carne della mia carne?! Ultimamente, poi, non mangiava quasi più e quando le ho chiesto cosa la preoccupasse lei mi ha detto solo ‘Non preoccuparti papà, non ti vergognerai di me’. Era il mio orgoglio e l’ho ritrovata all’alba in un sacco nero, buttata tra i rifiuti…» l’uomo non riuscì a dire altro e con rapido gesto si asciugò due lacrime.

Ryo, rimasto impassibile per tutto il tempo, ammorbidì lo sguardo nel vedere quell’uomo distrutto che sembrava fattosi sempre più piccolo man mano che aveva raccontato la storia. Il suo dolore gli era arrivato tutto, senza sconti, fin nel profondo del suo essere e non ebbe ulteriori dubbi nel voler accettare l’incarico; per di più era stata uccisa una ragazza e quello era per lui un crimine intollerabile. Come sempre lui e Makimura erano in completa sintonia quando si trattava di scegliere i casi e quella sera ebbe solo l’ennesima conferma. Le sue riflessioni vennero interrotte dal cliente che riprese a parlare con voce strozzata.

«Vi prego, non posso rivolgermi alla polizia, siete la mia unica speranza per poter avere giustizia per la mia bambina… Chiunque sia stato deve pagare, scegliete voi come ma non può restare impunito. Vi supplico» e prostrandosi per terra concluse «Vi darò tutto quello che possiedo, non è molto ma sono disposto a rinunciare a ogni cosa pur di riuscire a visitare la tomba di mia figlia a testa alta. Se non basta farò tutto ciò che vorrete, consideratemi ai vostri ordini e-»

«Si rialzi signor Tong, non faccia così» gli disse Hideyuki gentilmente mentre lo tirava su «Non si preoccupi per questo, piuttosto può darci qualche dettaglio circa la routine quotidiana di sua figlia in quest’ultimo mese? Anche il più piccolo dettaglio o un nome ci può essere utile»

L’uomo lo guardò con occhi speranzosi «Vuol dire che accettate di aiutarmi?»

«Beh sì, ma a una condizione» rispose Ryo serissimo e dopo qualche secondo di silenzio in cui vide l’uomo fattosi teso fino allo spasmo proseguì «Accettiamo il caso solo se ci farà mangiare gratis nel suo ristorante per il prossimo mese»

Il cuoco spalancò leggermente gli occhi per la sorpresa, non aspettandosi una tale richiesta e si abbandonò a una leggera risata, la prima da quando era stato travolto dalla sua personale tragedia.

«Ah signor Saeba, ma è davvero troppo poco! Altro che mese, vi considererò i miei ospiti d’onore fino a quando vivrò»

«E considerando l’appetito famelico del mio socio temo proprio che i suoi conti saranno sempre in rosso» commentò Hideyuki poco serio.

Il clima si era disteso, il loro cliente aveva ritrovato un po’ di buonumore e in più aveva rimediato un pasto caldo sicuro per i prossimi mesi.
“Bravo Ryo hai fatto un buon lavoro” si disse soddisfatto mentre si apprestava ad ascoltare attentamente ciò che il signor Tong aveva ancora da dire.
 
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C’era un insolito movimento nell’angusta traversa dell’Ōkubo-dori illuminata principalmente dalle pacchiane insegne del nuovo pachinko. Tra gli avventori e i passanti che circolavano su quella strada sinistramente vitale nella notte, c’erano due uomini in soprabito lungo che sorseggiavano una bevanda energetica presa dal konbini all’angolo; appollaiati su un basso muretto sembravano apparentemente troppo presi dalla loro conversazione per accorgersi di ciò che succedeva attorno a loro.

«A prima vista sembra un posto pulito, per quanto pulito si possa considerare un luogo del genere» commentò Hideyuki guardandosi le scarpe.

«Sì, bisogna dire che per essere dei novellini sono stati abbastanza bravi, nella prossima vita potranno migliorarsi»

«Immagino ti stia riferendo allo strano balletto che si sta svolgendo nel vico laterale»

«Già…» commentò Ryo asciutto prima di dare un lungo sorso alla lattina.

Il Lucky House era un brutto capannone dalla forma squadrata, con ampie finestre al piano rialzato oscurate da delle carte adesive; oltre all’accesso principale i due avevano notato una porticina di servizio che faceva capolino sul lato sinistro della struttura – l’unico libero – che dava su uno strettissimo vicolo in cui vi erano accatastati sacchi neri di rifiuti, gli stessi usati per nascondere il corpo della giovane a solo due isolati di distanza. Per essere un’entrata secondaria sembrava fin troppo trafficata, e a degli osservatori attenti come i due partner saltò subito all’occhio come quel passaggio fosse usato come uscita riservata.

«Da quella porta escono solo uomini e tutti con facce soddisfatte… Inizio a intuire qualcosa» disse Ryo ma un leggero sospiro giunse alle sue orecchie.

«Che succede Maki?»

«Niente…» fece l’uomo sistemandosi gli occhiali sul naso.

«Non dirmi che stavi pensando a tua sorella»

L’ex poliziotto lo guardò sorridendogli «Non ti sfugge niente, eh?»

«Stai parlando con lo sweeper migliore del Giappone, dovresti saperlo ormai» emise tronfio.

Hideyuki scosse lievemente la testa e dopo aver sollevato leggermente la manica controllò l’orologio.

«Mezzanotte… Scommetto che quella sciocca starà ancora seduta in cucina ad aspettarmi» e alzando gli occhi al cielo continuò «Posso già immaginarmi la tiritera che mi riserverà domani quando capirà che non solo ho fatto più tardi di quanto le avessi detto, ma che non porterò neanche un soldo a casa»

«Puoi sempre dirle che il suo caro fratellone ha rimediato un po’ di cibo, scusami se è poco»

« ‘Ah, ma con quello non ci paghi le bollette’… Sì, sicuramente mi risponderebbe così. È ancora così ingenua sebbene si sforzi a fare la forte; crede di aver capito che lavoro faccio ma in realtà non ha ben chiaro cosa significhi davvero, che la nostro compenso non è misurabile solo con i soldi… C’è molto di più in questo lavoro, tanto altro, ma bisogna avere delle spalle grandi e robuste per accettarlo, per portare il peso delle responsabilità che comporta e per non lasciarsi soverchiare dalle brutture che lo caratterizzano»

«Mi sembrava strano che non avessi fatto ancora nessuna uscita da vecchio filosofo» lo canzonò Ryo sebbene avesse inteso perfettamente il senso di quelle parole.

Alla fine Makimura aveva riassunto la sua vita in poche parole. Quanto aveva faticato affinché le sue spalle non si piegassero, quanto aveva sofferto prima di riuscire a costruirsi quell’armatura inscalfibile che metteva a disposizione degli altri. Avrebbe voluto esprimere a voce qui pensieri ma il suo cuore, come sempre, vacillò impedendogli di aprirsi davvero, perciò decise di riportare la conversazione su un terreno più sicuro.

«Direi che è il momento di entrare. Facciamo una partita e poi ci vediamo nel bagno per decidere come procedere?» domandò saltando giù dal muretto per poi scalciare leggermente le gambe intirizzite dal freddo.

«Sì, buona idea» e dopo averlo raggiunto aggiunse «Ammetto, però, che mi rode buttare quei pochi spiccioli che ho per acquistare quelle dannate palline»

«Non lo dire a me! Come fanno certi uomini a rincretinirsi davanti a quegli schermi senza neanche qualche donna nuda per me è un mistero»

«Mi sembrava strano che non avessi fatto ancora nessun commento da vecchio porco» gli rispose Hideyuki sornione, parafrasando ciò che lui aveva detto poco prima.

«Ehi Maki a chi hai dato del vecchio?! A un giovincello come me, che razza di modi» borbotto mentre si apprestavano a entrare all’interno del pachinko.

I due uomini fecero l’ingresso in un’ampia sala quadrata coperta da una terribile moquette grigia in cui la musica e i suoni provenienti dalle varie macchinette – disposte in otto lunghe file – creavano un fracasso infernale. A una prima occhiata Ryo non vide nulla di sospetto ma individuò subito le uniche altre uscite presenti, ovvero due porte abbastanza distanti tra loro, su cui riuscì a leggere le scritte “bagno” e “ufficio”; una volta cambiati i soldi alla cassa si sistemarono in modo che ognuno potesse vedere le spalle dell’altro, e iniziarono la loro partita. Passarono un’oretta in quel modo e a Ryo non pesò più di tanto visto che amava giocare e si era accanito ben presto, riuscendo anche a vincere in modo considerevole; per qualche istante si sentì catapultato a San Francisco una vita prima, quando con Frank e Mary si divertiva a giocare a flipper nel retro del loro locale preferito. Quello però era un gioco conviviale, si rideva e scherzava tra ragazzi mentre lì in Giappone gli metteva tristezza quella disposizione così impersonale, dove uomini buttavano via i loro risparmi davanti a quella versione di flipper che somigliava tanto a una lavatrice. Il gioco, però, non lo aveva distratto dalla sua reale missione, infatti non aveva perso d’occhio un attimo le due porte e lo strano movimento che aveva notato verso l’ufficio aveva confermato i suoi sospetti. Tutti gli uomini agivano allo stesso modo: arrivavano decisi, bussavano con tre colpi e poi si avvicinavano sussurrando qualcosa prima di entrare. Nessuno di quelli che vi era entrato era poi uscito.
Soddisfatto si alzò con noncuranza per dirigersi verso il bagno e una volta dentro si assicurò che non ci fossero persone o cimici; poco dopo arrivò il suo socio che, dopo aver bloccato la porta, si avvicinò a lui.

«Mi sembra chiaro che ci sia qualcosa di molto interessante in quell’ufficio e il mio fiuto dice che si tratta di donne» bisbigliò Ryo impercettibilmente.

«Lo credo anch’io, non sarebbe certo la prima volta che un locale nasconda altri usi più illeciti» e incrociando le braccia Hideyuki proseguì «Credo che questo movimento sia ben organizzato; controllando l’ingresso ho notato che gli uomini diretti verso l’ufficio non solo non fanno una partita ma si rivolgono sempre alla stessa cassa. Sicuramente riceveranno per appuntamento»

«Sì è la stessa cosa che ho pensato… Vanno tutti troppo sicuri verso quella porta e sussurrano probabilmente una password. Hanno provato a camuffare un po’ le cose ma si vede lontano un miglio che qui abbiamo a che fare con gente non troppo scaltra»

«Già, ma d’altronde chi è che viene a controllare questi posti? Si sentiranno sicuri visto che i clienti del pachinko sono troppo presi dal gioco per rendersi conto di questi dettagli»

«Infatti, in più di un’ora che ho tenuto d’occhio le porte non ne ho visto neanche uno alzarsi per venire in bagno!»

Makimura gli sorrise per poi domandargli «Come intendi comportarti?»

«Beh, per prima cosa vorrei far uscire allo scoperto uno dei galantuomini che gestiscono questo simpatico locale e riuscire a entrare nel giro dei clienti speciali» rispose guardandolo significativo.

«Qualcosa mi dice che il lavoro sporco toccherà a me e tu ti riserverai il divertimento»

«Andiamo Maki, sai che non mi piace parlare con gli uomini! E poi ci penserò io a farlo venire da noi, tu ti limiterai a parlarci meglio»

«Temo già di intuire come ci riuscirai» emise in uno sbuffo l’ex poliziotto.

Ryo precedette di qualche minuto il partner ed uscì dal bagno, dirigendosi verso la sua postazione; nel frattempo la sala aveva iniziato a svuotarsi, visto che la maggior parte dei giocatori apparteneva alla categoria denominata “gente rispettabile” che, conducendo una vita ordinaria, non poteva permettersi un’eccessiva vita notturna. Una volta recuperate le sfere seguì Hideyuki verso la cassa incriminata per effettuare la conversione delle sfere in buoni; lì si trovava una giovane ragazza intenta a scrivere su un’agenda così Ryo, dopo aver rivolto un sorriso furbo all’amico, sfruttò l’effetto sorpresa e in un balzo raggiunse il bancone facendo sobbalzare la cassiera.

«Ah finalmente ti ho trovato mia cara Mokkori-chan!» esclamò con fare libidinoso prendendo le mani della giovane.

«Che cosa fa signore?!» esclamò la giovane in evidente imbarazzo.

«Su non farti pregare troppo mia cara, perché non lasci prima il lavoro e non passi la notte con me?» e lanciandole uno sguardo da perfetto maniaco proseguì «Non puoi dirmi di no, la tua bellezza mi ha distratto per tutto il tempo facendomi perdere sempre… Anche il mio amico ha perso per colpa tua ma tu ignoralo, stai con me invece»

«Deve essere ubriaco signore» emise con un filo di voce la ragazza a disagio, osservando l’omone allupato che non mollava la presa sulle sue mani mentre l’amico accanto la fissava in silenzio.

«Non fare la preziosa, dai un bacino a Ryo tuo»

«No! Lasciatemi andare!» urlò terrorizzata appena vide lo sweeper sporgersi verso di lei, e si accovacciò dietro la cassa.

“Una reazione fin troppo esagerata… Poverina avrà subito molestie più gravi” pensò Ryo con una punta di tenerezza e vide che nella concitazione del momento la ragazza aveva premuto un pulsante nascosto sotto il registratore di cassa. L’esca era stata lanciata e quando qualche istante dopo Makimura gli diede un’impercettibile pacca sulle spalle ebbe la conferma che il pesce aveva abboccato.
Dalla porta dell’ufficio uscì fuori un ragazzo abbastanza giovane, basso e dai lineamenti sgraziati che con aria strafottente si avvicinò a loro.

«Qualche problema signori?»

“Eccoti finalmente piccolo bastardo” si disse appena mise gli occhi su quell’omuncolo la cui sola vista gli aveva fatto venire il prurito alle mani.

«Assolutamente no, stavo solo dicendo a questa bellezza se non voleva aiutarci a tirar su il morale… Non so se mi spiego» fece con uno sguardo famelico che poco lasciava all’immaginazione.

Il ragazzo lo squadrò con un’aria di superiorità che fece venir voglia a Ryo di tramortirlo con un cazzotto all’istante e solo un colpo di tosse del suo partner riuscì a farlo desistere.

«Tutto chiaro, siete stati mandati dagli uomini di Hayan Son giusto?»

«Sì certo, ci ha parlato bene del posto» bleffò con sicurezza Makimura.

«Immagino» fece il nanerottolo con un sorriso sghembo «Comunque non so che informazioni vi abbiano dato ma l’ordinazione non funziona proprio così. Avete buon gusto ma Mi-Yon non fa parte della squadra… Però, se voleste farle un regalo per farvi compagnia…»

«Io e il mio amico siamo molto generosi, sappiamo che non si dà nulla per niente» disse l’ex poliziotto serio ma conciliante.

Ryo lasciava ampio margine d’azione al caro Maki, sapeva che era imbattibile con i modi e le parole; per quanto fosse una persona limpida e buona, quando lavorava diventava un altro uomo riuscendo, però, a essere sempre convincente in ogni sua veste. Nessuno dubitava di lui fin quando si accorgeva che era troppo tardi per sfuggire a City Hunter.

«Bene signori, vedo che con voi ci si accorda alla perfezione» emise soddisfatto, lasciando intravedere gli incisivi d’oro «Ci tengo a fare le cose seriamente, quindi per stasera purtroppo non sarà possibile» e al mugugno scontento di Ryo aggiunse «Però ci possiamo accordare per domani; solitamente con i nuovi clienti preferisco incontrarmi prima di sera per definire i dettagli e prendere un anticipo, sapete non tutti sono come voi. Immagino di giorno lavoriate però se riusciste a trovare un momento… Non ci metteremmo molto»

«Sì, io avrei la pausa pranzo intorno alle dodici, per le dodici e mezza posso essere qui. Il mio amico purtroppo è occupato, spero che basti la mia sola presenza» gli rispose sempre Makimura.

«Ma certo, assolutamente» e sfregandosi leggermente le mani si congedò dicendo «Domani alla cassa chieda di Zanna e sarò subito da lei. Ora vogliate scusarmi ma devo tornare al lavoro» e così dicendo si allontanò veloce per sparire qualche attimo dopo dietro la famigerata porta.

Ryo, che fino a quel momento aveva tenuto stampato sul viso un sorriso compiacente, prese una smorfia disgustata che meglio si atteneva al suo stato d’animo e si scambiò una fugace occhiata d’intesa con Hideyuki, leggendo nel suo sguardo la stessa emozione. Con la coda dell’occhio vide la cassiera che, ancora col capo chino, si manteneva distante dal bancone palesemente turbata; provò una profonda compassione per lei e senza pensarci due volte si sporse nella sua direzione.

«Non temere, presto sarà tutto finito» le sussurrò in tono gentile.

La ragazza a quelle parole alzò la testa di scatto e lo guardò con occhi colmi di sorpresa e lacrime a stento trattenute; lo sweeper le fece un occhiolino prima di salutarla con un’alzata di mano e raggiungere Maki che lo aspettava all’uscita.
La notte era particolarmente fredda, il vento gelido giungeva con colpi impetuosi a graffiare il viso come stilettate ghiacciate ma Ryo non si scompose particolarmente, era temprato a ogni intemperia. Indossava il suo impermeabile lungo, così simile e allo stesso tempo diverso da quello di Makimura, che aveva lasciato aperto ma, grazie al suo peso, non sventolava fastidiosamente come quello del suo partner. Con calma si accese una sigaretta e silenziosamente scivolarono lungo le vie ancora affollate dagli abitanti della notte, categoria a cui apparteneva con orgoglio. Non dissero una parola fin quando non seminarono il ragazzo che aveva iniziato a seguirli dall’uscita del pachinko fino a Ikemen Street e una volta tornati a Kabukicho ruppe il silenzio lanciando via la cicca.

«Sono proprio dei bambocci, pedinare in quel modo così maldestro»

«Ancora mi chiedo con che soldi siano riusciti ad avviare l’attività… Forse sono le ultime ruote di un ingranaggio ben più grosso»

«Probabile… Ma questo non li risparmierà di certo» commentò sprezzante.

«Quindi hai già deciso cosa fare di loro? Tong ti ha lasciato libero di agire, se distruggere il pachinko o uccidere» domandò pianissimo Hideyuki.

«All’inizio avevo pensato di essere clemente ma dopo che ho visto il brutto muso di quel tizio mi è salita la voglia di piantargli una bella pallottola in fronte che si intoni con i suoi denti»

Ryo vide il suo partner annuire lievemente e sentì che non aveva nulla da ridire sulla sua scelta; era uno sweeper dopotutto ed era suo dovere spazzar via i rifiuti che ammorbavano la società.

«Prima, però, vorrei reperire qualche informazione in più su questi tizi dal vecchio; ti unisci a me o vuoi correre a casa per la nanna Maki?» chiese ironico.

«Non c’è bisogno che me lo chieda, è naturale che venga anch’io: primo, perché domani mattina non so se avrò modo di parlare con te visto gli orari che fai e all’appuntamento ci tengo ad arrivare preparato; e secondo perché devo controllare che tu ci arrivi dal vecchio e non ti perda per strada risucchiato dai tuoi locali»

«Ah povero me, balia Maki è tornato!» esclamò alzando le mani.

Sorrise impercettibilmente mentre con occhi golosi vedeva gli ingressi dei suoi cari locali e fece uno sforzo per non andarci subito e rimandare così l’incontro con l’informatore; il suo caro collega aveva ragione come sempre, come avrebbe fatto senza di lui che lo rimetteva sulla retta via? Imprecò mentalmente per essersi posto per la seconda volta quella domanda mentre con passo deciso e cadenzato camminavano per la Niban-dori fino a giungere in prossimità del Tokyu Milano5 che con la sua sagoma gli ricordava un hangar appesantito dal rosso slavato. Dopo averlo quasi circumnavigato attraversarono la strada in direzione dell’ingresso pedonale della stazione Seibu-Shinjuku.
Passarono attraverso una stretta cancellata quasi invisibile per la maggior parte della gente e percorsero uno stretto corridoio dai muri leggermente scrostati, illuminato da alcuni neon malfunzionanti che emettevano una pallida luce giallina intermittente. Ryo, dietro la sua aria rilassata, si manteneva estremamente vigile, attento a captare qualsiasi altro suono che non fosse l’eco dei loro passi sul cemento; sapeva che le brutte sorprese potevano giungere inaspettate, anche nei posti più familiari. Arrivarono davanti a una porta di ferro e Ryo batté il pugno ritmicamente, riproducendo in codice Morse le lettere CH. Qualche istante dopo un uomo nerboruto e guercio si affacciò e, guardandoli torvo li lasciò entrare.

«Come te la passi Akira? Sempre di buon umore, eh?» esclamò lo sweeper sollevando il braccio ma come al solito non ebbe risposta.

All’interno si trovarono in un semplicissimo locale in cui capeggiavano un lungo bancone laccato nero e un ben fornito angolo bar; una decina di tavolini tondi erano disseminati in modo abbastanza disordinato nella stanza rettangolare e alcuni erano occupati da uomini che parlottavano fitto, sorseggiando il loro drink. Non c’erano sedie: gli avventori non si trattenevano mai troppo a lungo e se ne stavano appollaiati sulle superfici di formica dei tavolini come avvoltoi. Ryo avanzò con tranquillità verso il bancone, limitandosi a fare un cenno del capo come saluto e, seguito dal fedele partner, vi si appoggiò sopra.

«Il solito ragazzi?» chiese un ometto dal volto gentile, vestito con una camicia bianca e un gilet bordeaux.

«Sì, grazie Yama-sama» rispose affabilmente.

«Mi chiedevo quando sareste passati» commentò il barman mentre versava il whisky nei due bicchieri.

Aveva parlato senza muovere le labbra, come suo solito. Yama-sama era un ventriloquo formidabile nonché il più anziano informatore di Shinjuku; nel loro ambiente la longevità non era certo una caratteristica diffusa e chi riusciva a raggiungere i cinquant’anni era considerato degno di ammirazione. Ormai anziano si era ritirato dal lavoro in prima linea ma aveva aperto quel locale, un luogo di ritrovo sicuro per i vari informatori che affollavano il grande quartiere e per il suo sweeper.
Ryo prese il bicchiere gentilmente offerto e dopo averlo alzato lievemente verso Makimura iniziò a sorseggiarne il contenuto. Ricordava ancora la prima volta che aveva visto quell’informatore così formidabile, glielo aveva presentato il Professore stesso.

«Ryo ti presento Yama-sama. È l’uomo con cui ho iniziato a gestire la rete di informatori a Shinjuku subito dopo il mio arrivo in Giappone. Ha la mia totale fiducia e ti consiglio caldamente di ascoltare attentamente ciò che ti dice. Conosce il quartiere meglio di chiunque altro, ti affiancherà i primi tempi. Ah, è anche un ventriloquo formidabile, non ti farebbe male prendere qualche lezione!»
Ryo guardò quell’uomo piccolo, all’apparenza più grande del Professore, che gli sorrideva cordialmente. Sembrava uno di quei vecchietti che si incrociavano nei parchi cittadini, dediti alle passeggiate o alla meditazione.
«Benvenuto a Shinjuku ragazzo! C’era proprio bisogno di un uomo capace qui e se ciò che ha detto il Professore è vero solo la metà, credo che da ora in poi staremo in una botte di ferro» gli disse tendendogli la piccola mano affusolata.
Il giovane rimase sorpreso dalla stretta vigorosa che l’uomo gli riservò e, dallo strano scintillio dei suoi occhi, intuì che avrebbe dovuto considerarlo con la massima attenzione; quel giorno ebbe l’ulteriore conferma che le apparenze mai coincidevano con la realtà delle cose.

«Abbiamo bisogno di alcune informazioni» disse l’ex poliziotto.

L’anziano sorrise per l’ovvietà dell’affermazione «Certamente, sapete che sono sempre a vostra disposizione» commentò mantenendo le labbra in una linea dritta.

Ryo sorrise lievemente: lo divertiva sempre vedere come Makimura interagiva con i suoi informatori, per quanto si impegnasse risultava ancora evidente come lui non fosse pienamente del mestiere. All’inizio era stato indeciso se portarlo nei suoi giri, se fargli conoscere quel posto che rappresentava un piccolo punto d’incontro per gli uomini di Yama-sama – che rappresentavano una buona fetta dei suoi migliori informatori – e aveva richiesto una buona dose di coraggio fare quel passo. Non ne era pentito, Maki era la persona di cui aveva più fiducia al mondo insieme al Professore, e non a caso era entrato maggiormente nel suo mondo solo dopo che il vecchio lo aveva visto, dandogli la sua approvazione. Makimura gli era stato particolarmente grato per quel gesto; conoscere meglio gli informatori gli era di grande aiuto per addentrarsi nel mondo della malavita e, allo stesso tempo, per proseguire la sua indagine personale a cui non aveva smesso di interessarsi una volta lasciata la polizia.

«Lucky House hai detto?»

La voce del loro barman lo riportò alla realtà; il suo socio non aveva perso tempo con le domande.

«Sì, il nome mi dice qualcosa… Dove hai detto che si trova?» domandò il vecchio.

«Distretto 2 di Ōkubo, nelle vicinanze dell’Ōkubo-dori. Ha aperto da un mese» rispose Hideyuki centellinando il suo whisky.

«Ah sì… Ecco perché non l’ho ancora memorizzato. Perdonatemi ho sempre una certa età e la memoria non è più forte come un tempo»

«Non direi proprio» emise Ryo sornione.

«Ah ragazzo sei sempre il solito!» e increspando le labbra in un lieve sorriso proseguì «Comunque con l’arrivo in massa dei coreani gli equilibri della zona stanno cambiando velocemente e si stanno instaurando così tanti piccoli clan che è difficile tenere il conto»

«Ti dice niente Hayan Son?» domandò lo sweeper mentre giocherellava con il bicchiere ormai vuoto.

«Mmm sì, è uno dei nuovi clan che più sta facendo la voce grossa a Ōkubo. Non sarebbero così potenti se non avessero tutto il denaro che si ritrovano, che proviene dalle loro attività in Corea, ma che io sappia sono abbastanza innocui. Gestiscono alcuni nightclub e per ora non sembrerebbero affiliati a nessun gruppo giapponese in particolare»

«Quindi non ti risulta che abbiano collegamenti con quel pachinko?» incalzò Makimura.

«Non lo confermo ma non lo escludo. Sapete che il gioco d’azzardo è una tentazione troppo ghiotta per la mala e non mi meraviglierebbe se volessero ampliare il giro anche in quel campo. Sono certo che non lo gestiscono loro, questa è l’unica cosa che posso confermarvi senza dubbio»

I due partner si scambiarono un’occhiata eloquente. Ryo si ritenne soddisfatto, alla fine avevano a che fare con pesci davvero piccoli che si sarebbero mostrati di facile neutralizzazione ma volle togliersi un dubbio.

«Giusto per curiosità, hai mai sentito di un certo Zanna?»

«E chi sarebbe questo fenomeno?» esclamò l’uomo mentre passava uno straccio sul bancone lustro «No, sinceramente è la prima volta che lo sento. Scommetto che è lui il campione che gestisce il pachinko»

«Indovinato»

«Bah, certo che questi nuovi arrivati ne hanno di fantasia con i nomi… Credo che non rappresenterà un problema per te ragazzo»

Ryo annuì e dopo essersi rumorosamente stiracchiato si alzò.

«Grazie Yama-sama, ti sei mostrato smemorato come sempre, dovresti farti vedere da un bravo dottore» gli disse senza muovere le labbra di un millimetro.

«E tu sei sempre il solito insolente Ryo» e rivolgendosi a entrambi gli salutò «Alla prossima ragazzi»

Quando i due uomini uscirono sulla Seibu Shinjuku Station Dori vennero accolti da un vento ancora più forte e pungente di quando erano entrati nel piccolo locale, che li fece leggermente rabbrividire. Ryo non perse tempo e con difficoltà riuscì ad accendersi l’ennesima sigaretta della giornata; si sentiva perfettamente tranquillo, il lavoro sarebbe stato concluso l’indomani stesso.

«Direi che ciò che ci ha detto Yama-sama ha confermato i nostri dubbi: non c’è traccia di yakuza in questo caso e direi che è un bene» emise in soffio assieme al fumo.

«Già, si vede che quel Zanna vuole entrare tra le fila della Hayan Son e avrà stretto un accordo con loro senza considerare che, probabilmente, una volta che gli affari del pachinko – sia quelli espliciti che impliciti – si saranno affermati verrà fatto fuori in modo che il clan possa metterci le mani direttamente»

«Puoi darlo per certo. Ora capisco perché non ha occultato meglio l’attività parallela, quel pallone gonfiato e i suoi amici si sentono fin troppo sicuri perché si sentono protetti dal clan… Poveri illusi»

Parlottando tra loro raggiunsero la sempre caotica Kabukicho Ichiban-gai e Ryo si lasciò trasportare dal marasma di luci che non mancavano mai di galvanizzarlo e lanciò un’occhiata di striscio al suo partner che, come sempre, aveva affondato le mani nelle tasche del soprabito, incurvandosi leggermente. Sapeva che Makimura non amava particolarmente Kabukichō, specialmente quando la notte lo rendeva un luogo peccaminoso in cui lui sguazzava come un satanasso; lo sorprendeva sempre come un uomo più o meno della sua età potesse sentirsi a disagio in quello che lui considerava il paradiso, ma in fondo Maki era un bravo ragazzo, non era come lui. Decise di toglierlo dall’imbarazzo non prima di aver salutato affettuosamente delle promoter discinte accanto al nuovo strip club, che si ripromise di visitare quanto prima.

«Non sei felice Maki?» gli chiese grattandosi la testa.

Il giovane lo guardò con un’espressione tra il sorpreso e il confuso «In che senso?»

«Che il caso non sia particolarmente difficile!» emise come se fosse ovvio capire i suoi pensieri.

Makimura si rilassò alle sue parole «Sì, anche se in realtà è presto per esprimerci. Sappiamo che la ragazza è stata uccisa da qualcuno del pachinko visto che indossava ancora la divisa, ma fin quando non avrò parlato con quel Zanna non possiamo essere sicuri che sia stato lui e-»

«Ah sei il solito uccellaccio del malaugurio! Io dico che è stato lui, il mio sesto senso non sbaglia mai… Ehi tesoro aspettami tra poco!» esclamò a una ballerina che si era affacciata dall’ennesimo locale di cui era cliente fisso «E comunque è meglio così, non mi piace lavorare troppo se non c’è un bel culetto di mezzo; quello sì che è un incentivo per metterci più impegno» concluse con fare sognante.

«Mi chiedo come tu possa essere così senza speranze» sospirò sconsolato Hideyuki dandogli una leggere gomitata sul fianco.

«Dai Maki non dirmi che non ti fa piacere lavorare quando si ha a che fare con una bella mokkori-chan! Eppure mi risulta che tu l’abbia fatto per diversi anni e non mi sembra ti abbia fatto schifo, anzi, scommetto che in ufficio non facevi che fissare quel bel paio di -»

«La pianti una buona volta?!» sbottò il partner arrossendo vistosamente «Sei davvero incredibile, quando ti renderai conto che questi sono discorsi da adolescenti?»

«Sei così noioso Makimura, mi sembri una vecchia ciabatta quando parli così»

«Tu dici Ryo? Immagina, però, se tutti gli uomini si comportassero come ragazzini in calore – ovvero come fai tu quando rimbambisci dietro alle donne – e ti renderesti conto che questa città diventerebbe un inferno»

«Ora che mi ci fai pensare… Sì, sarebbe abbastanza orripilante…» e dopo aver riflettuto qualche secondo trattenne a stento una risata «Ah, sto provando a immaginarti nelle vesti di maniaco e faresti ancor più senso del normale!» esclamò sghignazzando.

«Sei il solito cretino» gli rispose scuotendo lievemente la testa «C’è un tempo per tutto Ryo, dovresti tenerlo a mente»

«Bah, secondo me sono tutte scuse per non ammettere che non ti si alza più» borbottò guardandolo di sbieco ma in un attimo si ritrovò faccia a faccia con l’asfalto «Maledizione Maki non puoi attentare alla vita della gente in questo modo!» piagnucolò mentre il partner, mosso a compassione, gli tendeva la mano per aiutarlo ad alzarsi sorridendo lievemente.

«Su, non lamentarti che non ti sei fatto nulla» e volgendo uno sguardo verso il caratteristico arco rosso aggiunse «Allora Ryo, domani prima di andare al Pachinko passo lo stesso da te, spero tu stia sveglio. Io vado, ormai sono quasi le tre…»

«E stai morendo di sonno lo sapevo» e dandogli una pacca sulla spalla aggiunse più serio «Vai, tu hai qualcuno che ti aspetta a casa, no?» e senza dargli il tempo di rispondere si allontanò salutandolo con la mano.

Si diresse verso il suo locale preferito, una capatina veloce visto che si sarebbe dovuto svegliare presto per i suoi standard, ma durante il tragitto continuavano a rimbombargli nella testa quelle parole: c’è un tempo per tutto. Non riusciva a spiegarsi perché quella semplice affermazione gli avesse lasciato una leggera inquietudine, una fastidiosa sensazione che avvertiva ogni qualvolta si sentiva colto in fallo e che neanche facendo l’idiota era riuscito a scrollarsi di dosso. Per lui lo scorrere del tempo era un concetto così ineffabile, indefinito e chiaro in egual misura; poteva quantificare ogni giornata, mese, minuto alla perfezione ma non poteva fare altrettanto con la sua vita. L’essere svincolato da qualsiasi limite cronologico lo faceva sentire come un essere impalpabile, un’ombra che camminava dove non c’era che luce. Makimura era tremendo, non faceva che ripeterselo: riusciva a destabilizzarlo, a costringerlo a riflettere su se stesso con minuscole affermazioni lanciate a tradimento, ma non volle soffermarsi oltre. Entrando nel nightclub e stringendo a sé due cameriere che lo accolsero con entusiasmo cacciò via quei pensieri; voleva solo divertirsi, non pensare a niente e rimandò le sue riflessioni a quel domani che non avrebbe mai visto la luce.
 
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1 Rieccoci all’angolo kanji. Nel primo capitolo del manga, quando Ryo fa la sua comparsa, si nota l’immagine di un giornale su cui si intravede la scritta  毎朝新  e curiosa come sono ho voluto verificare se esistesse davvero. Cercando è saltato fuori che il Maiasa Shinbun (questo è il suo nome, mancava l’ultimo ideogramma聞) nasce dall’unione di due dei più importanti quotidiani giapponesi, il Mainichi Shimbun e l’Asahi Shimbun, ed è conosciuto in Giappone come giornale fittizio utilizzato nelle serie tv e nei manga (fa la sua comparsa anche in Doraemon). Cercando un altro po’ ho scoperto che in realtà è stato realmente stampato dal 1978 al 2008 come giornale della città di Tokushima, vicino Osaka. Ultima nota linguistica (non odiatemi): avrete notato la doppia grafia Shinbun/Shimbun (giornale) ma se ho usato l’ultima variante è solo per adeguarmi alla trascrizione rōmaji utilizza ormai diffusamente dalle testate. La confusione si crea perché in giapponese la “n” viene pronunciata più somigliate a una “m” in virtù dell’economia linguistica secondo la quale, quando parliamo, cerchiamo il minimo sforzo. Il fenomeno osservato con Shinbun lo vediamo anche in italiano (se provate a dire velocemente “oggi ho visto un bambino giocare” noterete come il nostro “un” sembri più “um”).
 
2 Dal 9 all’11 novembre Reagan fu in visita ufficiale e concluse la sua permanenza con un discorso tenuto alla dieta giapponese; è stato il primo presidente statunitense a farlo.
 
3 Il 12 ottobre 1983 l’ex primo ministro Kakuei Tanaka fu condannato a quattro anni di carcere, ritenuto colpevole a seguito dello scandalo Lockheed (fornitura di aerei militari tramite tangenti a politici e funzionari), che interessò non solo il Giappone ma anche altri Paesi tra cui Italia, Germania Ovest, Olanda e naturalmente gli USA.
 
4 I coreani iniziarono a trasferirsi a Shin-Ōkubo intorno al 1983 in quanto era considerata la zona più economica di Tōkyō per cercare un alloggio; in poco tempo è diventata famosa come Little Korea ospitando sia immigrati che Zainichi (ovvero coreani aventi residenza fissa in Giappone).
 
5 Il Tokyu Milano è stato un multisala, che ha ospitato anche sale giochi e negozi, aperto nel 1956 e chiuso nel 2014. Successivamente è stato demolito e al suo posto c’è ancora un cantiere, credo stiano costruendo un nuovo cinema. Per chi fosse curioso di vederlo su Maps basta impostare lo Streetview al 2009.
   
 
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