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Autore: shana8998    13/05/2021    0 recensioni
Lucille è una strega. La sua congrega, scacciata da Cesarine in Francia, è stata costretta a rifugiarsi fra le strade di New York.
Zane è un cacciatore, ha giurato fedeltà alla Chiesa e da sempre vive secondo un unico, ferreo principio: uccidere le streghe. La sua strada non avrebbe mai dovuto incrociare quella di Lucille, eppure un perverso scherzo del destino li costringe ad incostrarsi sulla riva dell'Hudson.
Anche se quella tra streghe e la Chiesa è una guerra antica come il mondo, un nemico crudele ha in serbo per Lucille un destino peggiore del rogo. E lei, che non può cambiare la sua natura e nemmeno ignorare i sentimenti che le stanno sbocciando nel cuore, si troverà di fronte a una scelta terribile.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Sovrannaturale
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                                                                                         Zaffiro    
L'arcivescovo mi schiaffeggiò in pieno viso. Il rumore riecheggiò nel  silenzio del suo ufficio vuoto. Era scesa la notte su Sant'Agustina, i cacciatori erano ognuno nella propria cella e i cardinali in preghiera nell'abazia.
Mi portai una mano alla guancia e lo guardai con rabbia silenziosa. Zane si mosse nervosamente accanto a me, a disagio.
«Orribile abominio.» L'arcivescovo strabuzzò gli occhi in maniera allarmante «Come l'hai convinto a farti scarcerare?»
«Non l'ho convinto, Signore.» 
«Osi mentirmi?!»
Si udì bussare da dietro la porta di legno massello. 
«Eminenza, va tutto bene?» Un altro cacciatore, con il tono preoccupato della voce, non osò entrare.
«Tranquillo. Arriverò in sacrestia fra poco.» L'arcivescovo drizzò la schiena e si sistemò la tonaca, traendo un respiro profondo.
Riportò su di me l'attenzione; passò un lungo momento di silenzio dove ci guardammo con odio.
«Cosa devo fare con te?»
Non ebbi il coraggio di parlare. Il mio viso non avrebbe retto un altro mal rovescio.
In compenso, però, il ciondolo che nascondevo sotto la tunica bianca aveva fatto si che le vene increspate sotto la mia pelle sparissero e che anche il mio corpo tornasse rinvigorito. Più o meno.
«Come può essere una strega, signore?» Zane fece un passo avanti e poi esitò nuovamente.
L'arcivescovo lo folgorò.
«Come dici?»
Lo sguardo del cacciatore si impolpò di timore.
«Guarda! Guarda cosa hai fatto, strega!» Il palmo dell'uomo si allargò in direzione di Zane.
«Sei una criminale che si accompagna ai demoni. Hai plagiato e coinvolto un cacciatore in più di un'aggressione, insieme a...altre cose.» Piegò le labbra in un ghigno e mi scrutò con disgusto palpabile. Cercai in vano di ignorare la vergogna che mi ribolliva dentro. Era stato un incidente. Non lo avevo coinvolto intenzionalmente.
Non avevo mai finto di essere una brava persona. Io lo ero, non avevo nulla a che fare con ciò che la congrega faceva ai cacciatori o agli umani.
«Plagiandolo, la sua reputazione è rovinata.» proseguì l'arcivescovo.
«Signore-» Zane si inchinò al suo cospetto: il capo basso e la mano sul petto «questa ragazza non ha fatto alcunché. E' vittima delle circostanze, per quanto, le chiedo solo di non mantenerla nei sotterranei ma di trovarle alloggio presso i piani alti. Sarà a sua disposizione qualora voglia.» Pronunciò l'ultima frase guardandomi, cercando il mio consenso.
Non lo avrebbe mai avuto, ma di certo non avrei obiettato causandogli altri problemi.
L'arcivescovo sospirò, l'aria pensierosa. Raggiunse la sua scrivania e sprofondò a sedere sulla poltrona.
«Sarò costretto a sollevarti dal tuo incarico, Zane. Ne sei cosciente?»
Il cacciatore si irrigidì «Ma io vivo per la nostra causa. Sono il capitano del clan dei cacciatori e-»
«Basta così. Questa è la mia decisione: se lei resta, sarai tu a dovertene occupare. Questo sarà il tuo compito d'ora in avanti» fece una breve pausa e ricominciò «Non posso rischiare che la santità dei cacciatori venga messa in dubbio. Che la MIA santità venga messa in dubbio.»
Mi fissò. Assunsi un'espressione contrita, per paura che gli prudesse di nuovo la mano. Soddisfatto della mia aria pentita, tornò ad alzarsi.
Era chiaro che mi trovava ripugnante, ma il suo sguardo d'acciaio continuava a soffermarsi su di me. Come una falena attratta da una fiamma. Mi studiava in cerca di qualcosa, soffermandosi sui miei occhi, sul naso, sulla bocca. Sulla gola.
Cercava...risposte. 
Risposte che non avrebbe mai avuto da me.
«E' deciso» mormorò in fine, rassegnato.
Mi appellai al cacciatore decisa a far si che tutto quel teatrino poco felice terminasse all'istante.
«Non puoi volerlo sul serio. Stai perdendo tutto a causa mia.»
L'arcivescovo guardò prima Zane e poi me. Di nuovo un ghigno.
«L'eretica dice bene, Zane.»
Avrei tanto voluto tirare un pugno a quella faccia rivoltante.
«Non c'è altro modo.» Le sclere negli occhi di Zane si pieghettarono di capillari rossi.
Il panico mi artigliava la gola, assieme alla consapevolezza di quello che stava accadendo.
Stavo infrangendo ogni regola, ogni patto, ogni...tutto. E stavo rovinando la vita a Zane.
Tornò a sollevarsi da terra, la schiena leggermente incurvata dalla delusione.
«Sei come un figlio per me, Zane.» L'arcivescovo, prima di uscire dalla stanza, allungò un braccio per stringergli la spalla: un topo che confortava un elefante. Una parte della mia mente avrebbe voluto ridere. Zane era di ampi valori, quell'uomo era solo una figura a cui appellarsi in preghiera.
«Cerca di riflettere. Non buttare via la tua vita, la tua carriera, solo per aiutare questa miscredente. Lei non farebbe lo stesso con te.»
Il sangue tornò finalmente sul viso del cacciatore...no, gli infiammò il viso. Risalì sulla gola e si propagò sulle guance. Lo vidi serrare la mascella ed un muscolo guizzò sotto pelle. «Ho preso la mia decisione, signore.»
Ebbi uno spasmo. Poi un altro. Non si trattava di sola agitazione, stavo male. Sentii risalire la bile in gola e, senza riuscire a trattenermi, eruttai uno spettacolare arco di vomito sui piedi dell'arcivescovo, che indietreggiò con un balzo e un grido di disgusto.
«Come osi...!» Alzò il pugno per colpirmi ancora, ma il cacciatore agì con prontezza. La sua mano afferrò il polso dell'arcivescovo.
L'uomo lo guardò con stupore, sbigottito dal gesto del suo sottoposto.
Dalla sua bocca sembrava voler uscire qualcosa ma tacque.
Il cacciatore mollò la presa e mi guardò, e un rossore più intenso gli risalì lungo il collo. «Hai bisogno di riposare» proferì timidamente.
Annuii lasciandomi accompagnare fuori dall'ufficio dell'arcivescovo.
Eppure una domanda restava: cosa voleva l'arcivescovo da me? Perché era chiaro che voleva qualcosa. Gli avevo letto la fame negli occhi. Prima scoprivo di cosa si trattava e prima avrei potuto sfruttarlo a mio vantaggio.

«Avanti, entra.» Zane spostò l'anta di legno di una porta. All'interno una piccola candela accesa, poggiata su un comodino, illuminava appena il rettangolo bianco che era il suo alloggio.
Spoglio, settico, anonimo.
Veramente Zane e gli altri cacciatori vivevano li?
Non vedevo niente di suo. Né una foto, né degli effetti personali. Persino gli abiti erano tutti riposti ordinatamente fra armadietto e comò.
Mi fece cenno di sedermi a bordo letto. Accanto ad esso e al comodino c'era una seconda porta più piccola e stretta. Ci sparì dentro per qualche istante lasciandomi sola con la mia nuova vita.
Osservai le travi di legno scure sotto i miei piedi e il bianco candido del lenzuolo sotto di me.
Cercai con lo sguardo altro che potesse ricordarmi anche solo un briciolo della mia vita fuori da quelle mura, e lo trovai.
Si trattava di un ritaglio incuneato nel muro. Una piccola finestra quadrettata da cui - se mi fossi arrampicata - avrei potuto vedere la luna.
Mi rincuorò l'idea che ogni tanto avrei persino potuto sbirciare la libertà.
«Ecco, prendi questo» Zane riapparve dal bagno con un bicchiere colmo d'acqua  fra le dita e me lo porse.
Bruciavo dentro e fuori. Che mi doveva capitare ancora?
Trangugiai l'acqua in quattro sorsate. Non mi era mai mancata così tanto.
«Piano, piano, o la rigetterai tutta.»
Guardai il volto del cacciatore oltre il bordo del bicchiere.
Perché aveva deciso di spingersi fino a quel punto per me?
Mi parve una condanna, per me ma anche per lui.
«Va meglio?» Chiese quando stirai il braccio verso di lui restituendogli il bicchiere.
Annuii.
L'arsura sembrava passata, ma i crampi allo stomaco ancora mi frustavano l'addome.
Dannazione! 
Qualcosa mi bruciava esattamente al centro dello sterno, ma non capivo il perché.
«Ti lascio riposare.» Poggiò il bicchiere sul comodino.
«E tu dove andrai?» Cosa mi interessava? Perché dovevo credere di aver ancora bisogno di lui?
«Farò un ultimo tentativo con l'arcivescovo. Gli chiederò di farmi uscire a caccia.»
Non avrebbe mai acconsentito. Era già un miracolo che io non fossi finita di nuovo nei sotterranei, o peggio al rogo.
«Fa attenzione.» 
Il cacciatore annuì privo d'espressione e lasciò la stanza.

                                                                                Zane
Mi svegliai molto prima di Lucille. Anchilosato. Dolorante. Intorpidito da una nottata passata sul pavimento. Sapevo che era ferita, che il suo corpo doleva più del mio, non potevo rubarle il letto o costringerla a dormire nella vasca.
Mi pentii della mia cavalleria, però, non appena varcai l'ingresso del campo d'addestramento. Evidentemente si era già sparsa la voce per tutta la cattedrale. Uno dopo l'altro, i cacciatori mi affrontarono con una scintilla negli occhi e la determinazione nella spada. Ciascuno mi attaccò con insolita bellicosità.
«Notte lunga, eh, capitano?» ghignò il primo sfidante. Demetrie.
«Combatti!» Lo sovrastai.
Che dei miei sottoposti si rivolgessero così a me, proprio non lo digerivo.
Ci sfidammo per circa un quarto d'ora, poi quest'ultimo lasciò il posto ad Andrè.
«Dormi con una criminale, adesso?» Sferrò un colpo che mi finì dritto fra le costole. Persi il fiato.
«Non sono affari che vi riguardano.» Ringhiai sollevando la spada pronto a replicare.
«Frequenta le streghe»
«Ha abdicato?»
«Perché l'arcivescovo gli permette ancora di stare qui?»
«E' ovvio, perché è il prediletto di paparino»
Colpì alla testa quell'ultimo con l'impugnatura della spada, lasciando Andrè da parte. Allargai le braccia e girai lentamente su me stesso. Sfidando chiunque osasse mettersi contro di me. Sanguinavo da un taglio sulla fronte ed anche quello sulla schiena si era riaperto.
«Qualcun altro ha un problema con la mia nuova condizione?»
Fra tutti, avanzò l'unico che non mi sarei mai aspettato di vedere li, contro di me.
Sebastien. Il mio migliore amico da quando avevo memoria.
«Zane» Avanzò con aria di sfida «Non ti facevo così sicuro di te. Eppure...sei ridotto male.»
Serrai la mascella.
«Sebastien, veramente? Anche tu?»
Gli occhi cobalto del ragazzo mi scrutarono dall'alto in basso.
«Anche io? Perché non io, dovresti chiederti»
Impugnò la Balisarda e con un gesto del capo gettò il guanto di sfida.
La rabbia mista ad un mare di altre emozioni mi inondò come un fiume in piena.
Ci vidi rosso.
Sebastien colpì per primo. Una stoccata semplice, rapida. Gliel'avevo insegnata io.
Quindi, la parai con altrettanta facilità.
«Una strega. Zane, che ti prende? Abbiamo fatto voto, o l'hai scordato?»
Ruotammo su noi stessi e colpimmo solo quando i nostri occhi tornarono ad incrociarsi.
Il clangore delle spade si riversò su tutta la piana. Nessuno parlava. C'era solo fragore di ferraglia e le nostre voci sommesse da esso.
«Ricordo perfettamente a cosa ho fatto voto-» colpii alla sua destra «ma lei non è una strega» e poi alla sua sinistra.
Parò. Le nostre spade si scontrarono per almeno un'altra decina di volte prima che decidessimo di fermarci per prendere fiato.
Ero stremato. Sopraffatto da tutto ciò che mi stava capitando.
Il petto di Sebastien si gonfiava più velocemente del mio. Dopo tutti quegli anni non aveva ancora imparato a gestire il fiato durante gli sforzi fisici.
«Non è una strega, quindi?» Mi punzecchiò ancora drizzando la schiena «Te lo ha detto lei?»
Qualcuno attorno a noi rise.
Gli passai accanto urtandogli una spalla.
«Falla finita, Sebastien». Attraversai il cortile e gettai la spada nella rastrelliera. I miei sottoposti si spostarono per farmi passare. Bisbigliavano ancora, ma lasciai correre.
Purtroppo Sebastien non aveva scrupoli, e mi seguì come una piaga di locuste.
«Te la scopi? E' per questo che l'hai portata qui? Perché, così, puoi andarci a letto quando vuoi?»
All'impatto con quella frase mi voltai di scatto e gli afferrai il colletto della canottiera.
Avrei preferito le locuste.
«Osa un'altra volta mancarmi di rispetto e giuro che la fine che spetta a quella ragazza, la faccio fare a te.»
La rabbia nei miei occhi si riflesse in quelli di Sebastien che serrò le labbra senza aggiungere altro.
Non ci eravamo mai accapigliati. Eravamo come fratelli e...Non capivo cosa mi stesse capitando. Perché stavo voltando faccia al mio sangue?
Lasciai andare la canottiera di Sebastien e raggiunsi l'androne dell'entrata posteriore della cattedrale.
Dire che ero sconvolto risultava un eufemismo.

                                                                            Lucille
Non riuscii a frenare un gemito di dolore. Mi contorsi sul materasso e strinsi con tutta la forza che avevo in corpo un lembo delle lenzuola.
Quelli che fino a ieri sera erano i crampi di uno stomaco vuoto e irritato, oggi erano vere e proprie frustate di dolore lancinante.
La fronte grondava. Il petto sembrava spaccarsi per il battito accelerato del cuore.
Di quale strano sortilegio ero vittima?
Mi sollevai sul materasso con le braccia tremanti.
Un sole fioco e spento, illuminava il bugigattolo dove ero rinchiusa. Cercai di concentrarmi sui suoi raggi e sulla polvere che riluceva dentro di essi. Ma non bastava.
Gridai. 
C'era qualcosa dentro di me: lo sentivo.
Non avevo la più vaga idea di cosa fosse, ma ero certa che qualcosa aveva avvelenato il mio corpo.
Ripensai alle vene increspate.
«Cosa mi avete iniettato?!» Aggredii Zane appena fece capolino dalla porta.
Lui mi fissò. Gli occhi sbarrati, impauriti.
«Niente» bofonchiò in preda all'ansia.
Chiuse in fretta la porta alle sue spalle e raggiunse velocemente il bordo del letto.
La sua mano sfiorò la mia fronte.
«Bolli»
Diressi lo sguardo al suo viso «Non mi hai detto niente di nuovo».
«Da quand'è che sei in queste condizioni?»
Feci mente locale «Da ieri sera, solo che oggi è peggio.»
Zane si risollevò appena con la schiena, l'aria perplessa. Che stesse pensando anche lui a qualcosa che l'arcivescovo o Surett mi avevano fatto?
«Vado a chiederglielo» proferì deciso.
Gli afferrai un polso prima che potesse muoversi verso la porta «No. Non farlo.»
«Se sono stati loro, sapranno anche come farti stare meglio.»
Scossi la testa leggermente e con aria supplichevole lo guardai dritto negli occhi «Se sono stati loro, crederanno che io sia chissà quale essere infernale e questa, per loro, sarebbe solo una prova».
Dall'espressione che mostrò, probabilmente, anche lui pensava la medesima cosa.
«Mi passerà vedrai. Sarà un'infezione.»
Sapevo che i topi o qualsiasi altro agente esterno non potevano avermi causato le vene increspate e quel dolore.
Zane mi guardò impensierito. Si accomodò sul bordo del letto ed incrociò le mani fra le ginocchia.
«Mi riprenderò»
«Non è solo questo il problema.» I miei occhi corsero al suo profilo.
«E quale?»
Deglutì. C'era qualcosa che voleva chiedermi ma che allo stesso tempo che negava a se stesso.
«Sei un demone, Lucille?»
Strabuzzai gli occhi. «Sei impazzito di colpo? Cos'è, l'arcivescovo è riuscito ad insinuare nella tua testa quel pensiero ed ora ci stai credendo sul serio?».
Provò del rammarico. Glielo vedevo stampato in volto.
Chiuse le palpebre per un momento e sospirò.
«Scusami. E' stata una giornata difficile.»
Si passò una mano fra i capelli, come era solito fare e mi rivolse lo sguardo.
«Chiederò a qualcuno in medicheria di visitarti».
«Va bene» mi sforzai di rispondere ammonendo una fitta.
Mi sollevai seduta stringendomi il ventre. Dentro, avevo un tripudio di dolori ma dovevo sforzarmi di sommetterli.
Zane aveva incominciato a credere che fossi un demone e questo remava solo contro di me.
Non sapevo quanto mi fossi potuta fidare di lui.
Sapevo solo che era stato un folle a salvarmi e ancora non trovavo spiegazione a questo.
«Puoi lasciarmi sola?»
Batté le palpebre un paio di volte.
«S-Si, certo.»
Si sollevò dal materasso, mi guardò un paio di volte preda dell'indecisione e poi girò il pomello della porta.
Finalmente sola, raggruppai le mie ultime e uniche forze e corsi in bagno.
Artigliai le estremità del lavabo e giù, altro vomito. Questa volta verde.
I miei occhi liberarono un mucchio di lacrime silenziose. Guardai il mio riflesso nel piccolo specchio sopra il lavandino e chiesi disperata a me stessa di combattere. Anche se non sapevo contro cosa.
Stavo morendo. Ne ero sicura.
Il pensiero che alla fine sarei morta proprio dentro la tana del lupo mi colpi come un destro in faccia.
Separò di tristezza il mio petto e mi fece scoppiare in un lento e strozzato singhiozzo.
Coprii il viso con le mani ricadendo a sedere accanto a me, sul bordo della vasca.
Provavo un terribile senso di incompletezza, come se da sempre avessi vissuto la mia vita a metà. No, anzi, ero stata sempre spettatrice della mia stessa vita.
Mi dicevo di non voler essere una strega solo perché incapace di esserlo, e essere esclusa come tale mi aveva rovinata.
Ed ora qualcuno aveva scelto per me la morte. Quindi cosa stava a significare la mia esistenza sulla terra?
Un'altra fitta mi fece piegare su me stessa. Mi rifiutai di combatterla.
Mi stavo arrendendo? Forse. Ero stanca, provata, vuota.
Un bruciore intenso mi fece pizzicare il centro del petto.
Avevo l'impressione di avere un tizzone ardente sulla pelle che bruciava sempre di più.
All'inizio, mi ricordò la stessa sensazione di quando ci si brucia il polpastrello con la fiamma di un accendino, ma poi, man mano che accresceva ed il dolore si faceva più pungente, arrivó al punto di farmi implorare acqua fredda sulla pelle. Mi costrinse a spogliarmi in fretta e furia della tunica che indossavo.
Rossa. La pelle, li nel punto che mi doleva sembrava ustionata. La bruciatura si irradiava fra i miei seni circoscrivendo il punto esatto dove il ciondolo, lo zaffiro, poggiava.
Le mie dita tremarono avvicinandosi alla pietra. Sfiorandola ritrassi la mano di scatto ed una piccola voluta di fumo si sollevò sia dalle mie dita che da essa.
Incominciai a tremare in preda al terrore.
«Be', se sei una strega dovrebbe impedirti di sprigionare magia, mentre se tu fossi un demone, come credono loro, quell'amuleto ti ucciderà.»
Le parole del cacciatore fecero eco nella mia testa.
Voltai lo sguardo nuovamente allo specchio. Gli occhi verdi ed arrossati che stavo vedendo erano veramente quelli di un demone?

 

   
 
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