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Autore: Mannu    14/05/2021    0 recensioni
Ci sono lavori che nessuno sogna di fare. Come trattare la spazzatura, per esempio. Eppure è un lavoro utile, necessario. Certi tipi di rifiuti poi, hanno bisogno di... attenzioni speciali. Bisogna fare ciò che serve, e spesso nessuno vuole farlo. Nessuno, tranne...
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Nico'
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Un lavoro come un altro
Si svegliò poco a poco e indugiò pigra tra le lenzuola, nel tepore del monolocale. Poi squillò il terminale.
Guardò l'ora, pensando a chi potesse essere il seccatore. Si spaventò: era in ritardo.
«Petra, cazzo! Proprio il giorno della videoconferenza devi farmi questa stronzata? Non sei pronta!»
Era il capo a sbraitare. Era il giorno della presentazione del software.
«Attiva il video, sbrigati! Mancano cinque minuti!»
In fretta e furia si infilò il cheongsam sopra il pigiama e andò in bagno a prepararsi a tempo di record. Per sua fortuna la videoconferenza cominciò con qualche minuto di ritardo.
Osservò attentamente lo schermo del terminale. L'immagine principale era l'inquadratura proveniente dalla sede centrale, dove il Direttore in persona avrebbe assistito alla presentazione del software al Comitato Direttivo. Ma a decidere sarebbe stato solo lui, poiché teneva il Comitato sul palmo della propria mano. Tale infatti era il suo potere, derivato dall'appartenenza a una delle famiglie mafiose più potenti.
Gli altri che già apparivano in piccole finestre video come satelliti erano i suoi colleghi e il capo degli sviluppatori. Quest'ultimo, dopo aver sbraitato contro di lei, si era messo a parlottare preoccupato con il responsabile del marketing. Entrambi avevano finestre video di pari dimensioni, circondate da immagini contenenti i visi dei loro collaboratori. Questi piccoli satelliti dei satelliti erano davvero minuscoli e servivano solo ad aumentare col loro numero il prestigio del rispettivo capo. Lei si cercò e si trovò in mezzo ai colleghi sviluppatori, una manciata di pixel dai quali si intuiva a stento la capigliatura nera, gli occhi cupi e la bocca rossa. Aveva perfino perso tempo a pettinarsi: non si vedeva nemmeno il cheongsam che indossava. Meglio così, si disse, ben contenta di non essere chiaramente visibile.
Poi la riunione cominciò.
Esattamente come previsto, parlarono solo i più alti nella gerarchia. Presentarono il software, risposero alle domande e alle obiezioni del Direttore, del suo antipatico assistente personale, e perfino alle timide osservazioni fatte da un paio dei membri del Comitato. Ebbe quindi tutto il tempo per studiare quell'uomo, anche se non ne aveva affatto bisogno.
Anthony Kesher Bran per il mondo della finanza, Antoniu Kasherban stando alla lunga fedina penale, nome da lui stesso cambiato per sembrare più cosmopolita, da sempre affiliato alla mafia italo-albanese. Questa affondava le sue radici fino ai tempi dei primi cantieri orbitanti. Stava allargando le sue aree di influenza nel terzo settore, approfittando dell'aperto conflitto fra le gemelle e i russi. L'azienda informatica di cui era alla guida era solo una comoda copertura per altri traffici estremamente più redditizi. Il suo grado di affiliazione era cresciuto ultimamente fino a portarlo vicino ai vertici.
Vicino, ma non abbastanza.
La videoconferenza ebbe finalmente termine, ma dovette sorbirsi la tiritera di rito. Kesher Bran aveva autorizzato la fase finale dello sviluppo, e i relativi investimenti. Il capo degli sviluppatori era passato da un teso nervosismo a un insopportabile, euforico ottimismo. Condiviso dai colleghi, com'era facile intuire dai loro visi che affollavano lo schermo.
Il capo approfittò dell'occasione per ripartire i nuovi incarichi e per distribuire la mole di lavoro. I consulenti come lei vennero liquidati con poche, sbrigative parole: avanti come al solito. Non si era aspettata nulla di diverso.
Anche quella parte della riunione si concluse: se ne andarono tutti, ma la connessione video non si interruppe.
«Che verme... tutto il lavoro che hai fatto, e nemmeno una parola.»
Stephan: biondo, carino, l'aveva presa in simpatia. Si era pure fatto avanti. Il contratto era in scadenza, era preoccupato di interrompere la relazione con lei, sebbene solo lavorativa. Avevano lavorato allo stesso progetto per una dozzina di ore, ciascuno dal proprio domicilio: era simpatico, collaborativo e molto cortese.
«Tranquillo: il triste destino di noi consulenti a progetto è rimanere nell'ombra...»
Aveva risposto controvoglia: non aveva certo intenzione di dargli ascolto più del minimo indispensabile.
«Mah... non sono convinto - il viso del giovane si contrasse in una smorfia delusa - Tu che fai, inizi subito?»
Si strinse nelle spalle, piegando le labbra in una smorfia dubbiosa.
«Non so... non ne ho molta voglia...»
«Visti i risultati, eh? Tutto il merito a quel buffone del nostro capo.»
Si era divertita a scrivere un po' di codice in quei giorni. Aveva fatto finta di avere un lavoro normale, e per un po' le era piaciuto.
«Se ti va di uscire, magari andiamo a berci qualcosa insieme. Possiamo anche non parlare di lavoro, se vuoi.»
Respinse l'invito più cortesemente che poté, sorridendo. Chiuse il collegamento con gli usuali convenevoli e si sdraiò un poco sul letto, pensando.
Pensò a come avrebbe potuto essere lavorare tutti i giorni per guadagnarsi da vivere, magari proprio scrivendo software: le riusciva piuttosto bene. Pensò alla vita di coppia: ricevere una chiamata dal fidanzato, essere invitata fuori, andare a divertirsi dopo il lavoro. E poi la ricerca di un'abitazione, fare la spesa per due, la routine della vita in comune, i litigi e le tenerezze.
No, si disse scrollandosi di dosso quelle immagini. Se stessa in pantofole e vestaglia, se stessa armata di aspirapolvere mentre pulisce la casa, se stessa alle prese coi problemi del lavoro e con quelli della vita in coppia. No, si disse. Non per me.
Aveva tempo, ma preferì non indugiare oltre. Si recò in bagno e prendendo ispirazione ma non troppo dal cadavere di Petra che aveva accomodato lì, terminò di perfezionare il proprio trucco. Ne imitò il colorito che era stato leggermente olivastro, aggiustò la parrucca scura, sistemò il naso finto e si truccò com'era stata abitudine della defunta collaboratrice a progetto di cui aveva preso il posto un paio di giorni prima. La giacca con le spalline imbottite colmò la differenza di corporatura e un paio di scarpe con la soletta spessa ridusse la differenza di altezza. Quando ebbe terminato controllò il proprio riflesso nello specchio: era perfetta. Chiunque l'avrebbe scambiata per la povera Petra, che invece giaceva lunga distesa sul pavimento del bagno della sua casa, lo sguardo di vetro e la pelle grigia, rigida come un pezzo di ferro.
Ripulì tutto e raccolse le sue cose, incluso il processore vocale che l'aveva aiutata a emulare la voce di Petra durante i collegamenti tramite terminale. Gran bella cosa il telelavoro, si disse. Era uno dei motivi per cui aveva scelto Petra, molto schiva e mediocre consulente informatica: non incontrava mai di persona i colleghi, le uniche persone che frequentava spesso.
Uscì dal minuscolo appartamento, si mischiò alla gente in coda di fronte agli ascensori e presto fu completamente avvolta nel mantello dell'anonimato, circondata dall'indifferenza e dal disinteresse altrui. Il viaggio fino all'enorme edificio nel settimo settore fu soltanto una lunga, noiosa formalità: non accadde nulla e poté concentrarsi a fondo su quanto stava per fare.
   
 
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