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Autore: Obiter    16/05/2021    1 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Londra, correva l’anno 1750, quando un professore di chiara fama e dotato di una intelligenza straordinaria iniziò a impiegare le proprie conoscenze e le proprie abilità intellettuali nel peggior modo possibile, aiutando i delinquenti a farla franca nelle loro abominevoli cause. Malfattori, ladri e assassini si recavano da lui a chiedergli consiglio sulla pianificazione e la consumazione del crimine e in cambio lo pagavano profumatamente con somme di denaro o con una percentuale sui proventi del delitto. Si può dire che Wild esercitava un’attività speculare e contraria alla mia, e fu solo per merito di un reo confesso (la cui fine fu tragica) che venne scoperto e arrestato dalle forze di polizia.

La stampa lo definì brillantemente come “consulente criminale”, cioè come una figura nuova, una sorta di maestro fuorilegge da cui si recavano i dilettanti, dietro ovviamente la corresponsione di un’ingente somma di denaro. I professori all’epoca infatti non erano ricchi, guadagnavano sì e no settecento sterline l’anno (indicativamente, sulle mille sterline al mese ai giorni d’oggi), tuttavia Wild si dimostrò ricchissimo, con una galleria d’arte firmata dai più noti e artisti dell’epoca.

Perché sto dicendo questo?

Intanto perché sono le tre del mattino e non riesco a dormire, e poi perché mentre leggevo le note biografiche di questo intrigante soggetto ho avuto come un’illuminazione.

Sto riflettendo molto su quanto è accaduto, senza sosta. Sembra che le cose mi scivolino addosso ma non è così, ho ben in mente che Mike è bloccato in un letto di ospedale, ci penso dalle sei alle otto volte al giorno.

E più riflettevo, più mi rendevo conto quanto James Moriarty fosse stato estremamente cristallino e sincero con me. Mi ha rivelato tutto, usando un linguaggio tutto suo, ma lo ha fatto. Dalle domande che mi poneva, da certe allusioni, da ricordi sbiaditi di sguardi, frasi o dialoghi ora ho perfettamente compreso cosa ha in mente di fare e che tipo di uomo vuole diventare. Me lo ha detto, se non a chiare lettere, quasi. 

Jim ha sempre avuto un talento nel riesumare i casi più raccapriccianti e abominevoli della storia e io ho sempre avuto la vaga, strisciante sensazione che lui cercasse di prendere lezioni da me per diventare un delinquente formidabile. Quando ci soffermavano sull’esame dei cold case, io ero sempre quello che parlava senza sosta sugli errori dei criminali e sui minimi ma fatali dettagli che li avevano traditi, lui invece era quello che poneva i quesiti e che complicava lo scenario. Credevo lo facesse per il gusto di mettermi in difficoltà, invece ciò che lo spingeva ad agire così era mero interesse personale, opportunismo. Potrei sbagliarmi, ma credo che stia cerando di imparare dagli errori dei delinquenti suoi predecessori per non commetterli a sua volta, e sappiamo bene che la criminalità è un fenomeno ciclico e che i crimini si ripetono nel tempo con caratteristiche a volte sorprendentemente identiche.

Per dirla in parole povere, Jim secondo me aspira a fare lo stesso lavoro di Jonathan Wild. Un lavoro brillante di pianificazione, strategia e genialità, un lavoro in cui non ti sporchi le mani e prendi solo la parte migliore e più entusiasmante dell’operazione delittuosa. 

Sono sicuro di questo al 98%.

Se così non fosse, perché dimostrarsi tanto interessato allo studio dei cold case, altrimenti? Perché vuole diventare un detective come il sottoscritto? Perché aspira a diventare delinquere formidabile? No, non esattamente. Non gli interessa rapinare una banca o diventare l’ennesimo, banale serial killer che l’ha fatta franca e che nessuno conosce. Capirai quanti ce ne sono stati nella storia, sarebbe come una goccia in un lago. No, lui vuole qualcosa di più raffinato e sensazionale, qualcosa che lo esalti e che non lo annoi nel giro di venti minuti. Lui ambisce allo stesso lavoro che vorrei io, con la non piccola differenza che è schierato nell’esercito contrapposto.

Ho realizzato pienamente tutto questo soltanto adesso, prima l’avevo solo intuito, ma ciò non significa che io abbia mai ignorato o sottovalutato questa mia intuizione. Non bisogna mai farlo. Non confondiamo le intuizioni con le presunzioni, con l’intuizione sfioriamo la verità, la vediamo balenare di fronte ai nostri occhi come la freccia scagliata da un arco, con la presunzione invece la costruiamo e la forziamo a nostro uso e consumo. Sono due concetti ben diversi. Visto che avevo già intuito cos’era Jim, ogni volta che lui mi poneva domande che reputavo scomode, gli davo una risposta appositamente sbagliata. Ma il bello è che probabilmente lui deve averlo capito, per cui ragiona per esclusione a partire dalla mia risposta errata, indi per cui io un paio di volte gli ho dato la risposta giusta, tanto per confonderlo ulteriormente.

Stando così le cose, cosa dovrei fare, quindi? Che tipo di approccio devo avere con lui? Ammesso e non concesso che io abbia ragione (e ce l’ho, che mi colpisse un fulmine se non è vero), come incastrarlo? Come impedirgli di diventare ciò che temo?

Non è semplice, è come se qualcuno si chiedesse come dissuadere me dal diventare un detective: è semplicemente impossibile riuscirci. Sono nato per questo, ho solo questo, e se non l’avessi la mia vita non sarebbe nemmeno degna di essere vissuta, sarei solo un inutile spreco di spazio e di ossigeno. 

Non credo che Moriarty pensi la stessa cosa di se stesso, ma certo non può essere ugualmente dissuaso. O gli propongo qualcosa più interessante e meno pericolosa per il genere umano, oppure mi mobilito per coglierlo in flagrante di reato, il che è quasi impossibile… Quasi, sì. In realtà un modo sleale e poco ortodosso ci sarebbe. Potrei proporgli di commettere un crimine epico e memorabile e poi tradirlo nel cuore dell’operazione. Collaborare sottobanco con George e fare il doppio gioco. Potrei farlo, anche se non è nel mio stile. Oppure ancora, potrei chiedere a qualcuno di spiarlo e di fornirmi le informazioni utili di cui necessito, ma a chi? Lui non dà molta confidenza alla gente. La dà alle prostitute, ma non credo sia il caso.

Mi sono addormentato con questa pulce nell’orecchio.

 

 

 

 

Sono sceso in salotto per la prima colazione e come sempre mi sono trovato di fronte il solito desolante panorama della mattina.

Mia madre stava guardando delle stregonerie matematiche sul tablet con gli occhiali da vista calati nel naso, mio padre fingeva di ascoltare l’andamento della Borsa sul telegiornale e Mycroft era intento a sfogliare l’ennesimo depliant di Cambridge. Vuole prendere una terza laurea (la seconda è in lingue slave, l’ha conseguita mentre studiava economia e ora parla russo come un cosacco) ed è orientato sulla facoltà di legge. 
A me 
 l’idea stessa di frequentare l'università non mi piace. Altri tre o cinque anni bloccato in un’aula ad ascoltare un vecchio presuntuoso che si mette in cattedra e pretende di darmi lezioni di vita, no, non credo che potrei sopportarlo. Sarà già tanto se prenderò il diploma. Anche se ho una media altissima, cosa me ne importa del titolo? Cambierebbe qualcosa se non mi diplomassi? Ma certo che no. Anzi, ho sempre avuto la mezza idea di mollare tutto e non presentarmi agli esami di fine anno, ma la mia coscienza mi suggerisce di non precludermi la possibilità di accedere all’università, non si sa mai cosa può riservarmi il futuro. Meglio tenersi le porte aperte piuttosto che chiuse… E poi voglio uscire da questa casa. Potrei andare a dormire sotto un ponte dentro una scatola, ma ho particolarmente a cuore la mia igiene personale e questa è forse l’unica cosa che mi tiene lontano dalla strada. L’unica.

Ho preso una banana e l’ho sbucciata senza dire una parola. Speravo di starmene zitto e quieto nel mio malumore mattutino, ma le mie speranze sono state vane. Mia madre mi ha presto raggiunto col tablet in mano e un’espressione minacciosamente confusa e smarrita. Ho chiuso gli occhi per un istante, odio quando succede.

“Sherly, si è bloccato il video” ha interloquito per l’appunto, mettendomi l’apparecchio sotto il naso “Me lo fai ripartire?”

“Non si è bloccato” le ho risposto, sfinito "Hai cliccato il tasto stop”.

“Il tasto stop?” ripetè stupita, e poi la persone si sorprendono se sono insofferente “Ma non l’ho cliccato”

“Evidentemente lo hai fatto” le ho risposto gentilmente, anche se la mia pazienza ormai stava cominciando ad esaurirsi.

“No, che non l’ho fatto!” obbiettò lei, testarda “Questi affari non si possono neanche prendere in mano che si impallano subito!”

“Se tu clicchi il tasto stop si fermano, se non lo clicchi, non si fermano” mi sono spazientito, come sempre quando rimarco l’ovvio “Questo è un elementare nesso di causalità che perfino un docente di matematica sarebbe in grado di comprendere”

William!

“Non mi chiamo William” ho replicato prontamente “William è un nome da damerino idiota. E tu hai cliccato il tasto stop”

“Ti dico di no!”

“Io se fossi in te ci costruirei sopra un caso, Sherlock” si è intromesso Mycroft “L’incredibile caso del tasto stop che si cliccava da solo”

Ho rivolto a Mycroft uno sguardo fulminante.

“Parlando di cose non mi abbassano il quoziente intellettivo al solo sentirle, io e Charlotte ci siamo lasciati” ha continuato lui, io ho alzato gli occhi al cielo “Ahimè, era francese, pensava di tenermelo nascosto. Ma ora sto frequentando un’altra ragazza, molto meno volgare, si chiama Elizabeth. Già il nome promette bene”.

Devo assolutamente andare a vivere da solo.

“Mike, presenta qualche ragazza anche a William

“Chi è William?” ho domandato io a mio fratello, piccato “Tu lo conosci? Io no”

“Sarà un amico di Mike, suppongo” rispose Mycroft, per una volta era dalla mia parte.

“Siete insopportabili” decretò colei che ci aveva partorito “Tutti e due. Povere donne quelle che vi staranno di fianco”

“Se avrò una donna, sarà tutto tranne che povera” interloquì Mycroft.

“Io ho il teschio di una donna” risposi candidamente “Va bene lo stesso?”

Ma proprio in quel momento il cellulare che avevo lasciato imprudentemente sul tavolo vibrò rumorosamente. Lo afferrai con uno scatto fulmineo, ma ciò non fu sufficiente per distogliere la loro attenzione.

“Ma chi ti scrive così presto?” 

“John Watson” mentii subito io, le mie guance si colorarono di un tenue rossore “Un mio amico”.

Sentivo il penetrante nonché aguzzo sguardo di Mycroft sulle mie spalle.

“E cosa vuole a quest’ora?” domandò mia madre, stupita.

“Niente. Correre” dissi velocemente “Ci vediamo dopo”.

“Sherlock! Aspetta! Prendi almeno un paio di biscotti!” gridò mia madre, ma non avevo voglia di trattenermi oltre “Non magia niente! Non mangia mai niente! Cosa devo fare con lui!

Mi chiusi la porta di casa alle spalle, ci mancava solo che loro sapessero di… Di.

Dato che erano appena le sette e dieci minuti, decisi di recarmi verso il cupo istituto a piedi. Presi delle scorciatoie, conoscevo le vie di Londra e i suoi barboni meglio di casa mia. Loro hanno mille occhi e sono una fonte inesauribile di informazioni, vuoi perché nessuno li nota, vuoi perché si conoscono tra loro, sta di fatto che in cambio di un paio di scarpe possono dirti perfino con chi va a letto il primo ministro. Io ovviamente li conosco tutti, li chiamo per nome e loro mi salutano sempre quando mi vedono.

“Ciao, Ronnie” ho rivolto il saluto militare a un ex soldato vietnamita caduto in disgrazia. Il poveretto ha perso la ragione durante le offensive statunitensi del 1965, solo lui sa a quali violenze ha assistito.

Mentre camminavo a passo svelto, mi arrivò un altro messaggino nel cellulare, ma questa volta il mittente era Moriarty.

Il testo del messaggio: “Questo ti ammazza pure la sorella”, era accompagnato da uno spot pubblicitario del “filantropo” che c’è sempre in televisione, un essere umano a dire poco spregevole e raccapricciante, che in quello spezzone pubblicizzava una nota marca di cereali, scherzando sui suoi ben celati e al tempo stesso evidenti impulsi omicidi.

Sono un killer cereale”scrisse poi Moriarty “Che stronzata esilarante”.

“Raccapricciante. SH” gli risposi, secco. 

“Ne ha ammazzati più lui di Hilter” ha aggiunto Moriarty con un iperbole. Certo la lista degli omicidi di Culverton Smith doveva essere lunga, anche Mycroft era d’accordo. “Dovrebbero mandarlo a SHERRINFORD…”

Lessi quello strano nome e rimasi molto perplesso, non avevo idea di cosa fosse.

“Sarebbe? SH”

“Non lo sai?! Ma come…”

Guardai nel browser cosa fosse questo “Sherrinford" ma non trovai nulla, assolutamente nulla. Camminai istintivamente più veloce e bloccai la tastiera del cellulare. Avevo già sentito questo nome, per la verità. E il fatto che mi fosse famigliare mi fece supporre che non si trattava di un luogo di sua invenzione ma di un posto reale, se non letterario o cinematografico. Ma in queste ultime due ipotesi sarebbero dovuti comparire subito l’opera o il film da cui era tratto, cosa che invece non era accaduta.

Il mio telefono squillò ancora:

“Ragiona, idiota. Quel cannibale che hanno arrestato a Ottawa nel 1988, sei anni fa si è mangiato anche il compagno di cella. Dopo dove lo hanno segregato secondo te? Cazzo, uno che si mangia pure le guardie dove lo metti?”

Rimasi inorridito, ma dopotutto anche questo è il mio lavoro. Cannibali, borsaioli, mafiosi, malfattori, spacciatori, “fantasmi", pedofili, indemoniati… Costoro sono il nucleo del mio lavoro, se non ci fossero, sarei disoccupato (e lo sarebbe anche Moriarty). Comunque la sua domanda era in realtà una risposta.

“A Sherrinford?” ho azzardato, omettendo le mie iniziali perché ormai erano diventate superflue.

“Una stellina d’oro per te”

“È un istituto di massima sicurezza sconosciuto al mondo?”

“Sono colpito, Sherlock. Davvero colpito”.

Anche io ero davvero colpito. Era a dir poco assurdo che non lo conoscessi.

“Come lo conosci?”

“Se n’è occupato un giornalista durante un infanticidio particolarmente aberrante...”

A quel punto gli telefonai, odiavo digitare i messaggini e attendere le risposte degli altri. Era uno spreco di tempo.

“Buongiorno, sexy”

“Quale infanticidio?” gli ho domandato rapidamente, li conoscevo se non tutti, quasi. Ovviamente quelli criptici e meritevoli di attenzione.

“Uno famoso” mi ha detto Moriarty con la bocca piena “Un infanticidio perpetrato, stai a sentire, da un altro bambino”

Aggrottai subito le sopracciglia. Non ero impressionato, casi del genere sono stati frequenti nella storia della criminalità, per quanto possano sembrare abnormi.

“Anzi, da una bambina” si corresse lui “Una bambina che ha gettato un coetaneo dentro un pozzo e lo ha lasciato morire di stenti lì dentro. Ha impressionato perfino me! Nah, scherzo. Ti dice qualcosa?”.

Ci pensai, ma film dell’orrore a parte, non mi sovvenne nulla, niente di niente. O Jim se l’era completamente inventato o c’era qualcos’altro sotto. Era impossibile che non mi ricordassi un caso del genere, anche solo per il forte impatto emotivo che suscitava. Questi sono i classici casi che fanno scalpore e che perfino la gente comune tende a ricordare.

“No, non mi dice niente”

Lui sogghignò “Ma come? Questo è interessante…”

Il suo tono beffardo mi infastidì moltissimo. Ero già irritato dal fatto che non lo ricordassi, figuriamoci se ci si metteva anche lui.

“Ti faccio una domanda io, adesso” esclamai polemico, mentre mi inoltravo in un vicoletto lurido “Conosci la figura di Jonathan Wild?”

Lui esitò prima di rispondere, il suo seppur breve silenzio fu per me come una rivincita. Non se lo aspettava.

“Wow” esclamò come un bambino “Caspita, Sherlock. Stavo per farti la stessa proposta”

“Proposta?” domandai, cercando di mantenere il discorso su un piano lineare “La mia era una domanda, non una proposta”

“Alle mie orecchie è suonata come una proposta. Parlarne al telefono però non mi sembra il massimo” continuò lui “Insomma, è pur sempre il nostro futuro”

Era talmente illogico che facevo fatica a seguirlo. Odiavo quando succedeva.

“Il futuro è un concetto sopravvalutato, James” gli risposi a tono “Potrebbe durare novant’anni come dieci minuti, meglio impiegarlo in qualcosa di più costruttivo come chiarirsi piuttosto che rimandare e temporeggiare inutilmente”

“Hai ragione” esclamò, il suo tono aveva assunto una sfumatura più seriosa “Hai ragione. Allora devi sapere questo: il tuo amico John ha un debole per le ragazze trans. Me l’ha detto Sally, lei lo conosce”

Ho aggrottato le sopracciglia e ho attraversato la strada senza nemmeno guardare “Se anche fosse, sarebbero comunque affari suoi”

“Io ci penserei, se fossi in te, Sherly…”

“Piantala” gli ho intimato tra i denti.

Lui sogghignò “Magari è la tua vera natura”

“Magari è la tua” gli ho risposto a tono.

“Non devi trattenerla, è sbagliato. Se vuoi metterti la minigonna, fallo! Fallo e ti prometto che ti porto a cena fuori”

Ho interrotto la chiamata. Era evidente che non sarei giunto da nessuna parte. Parlare con lui è difficile, la sua mente va molto veloce, non più veloce della mia, ma segue un percorso tortuoso completamente (appositamente) privo di logica, che mi confonde e che faccio fatica a seguire. Ecco, forse la mia forza è anche un mio limite, perché questo mio modo di ragionare così rigidamente logico assomiglia a quello di una macchina calcolatrice, che appena esce dalle strette maglie degli algoritmi e dei calcoli inizia a rallentare fino a incepparsi completamente.

Sono arrivato in cortile in anticipo, forse per la prima volta in vita mia. Oggi era un’inconsueta giornata soleggiata e c’era un tempore primaverile che invogliava la gente a restare all’aria aperta. Molte ragazze erano sedute col viso rivolto al sole, cosa piuttosto inutile visto lo strato di cerone con cui lo avevano ricoperto, i maschi invece erano assorbiti dal pallone. Io comunque non persi tempo e mi fiondai in biblioteca.

L’essere umano di nome Janine mi salutò. Le ho risposto “buona giornata” e ho tirato dritto. Queste belle signorine devono capire una buona volta che io non sono interessato. Come Mycroft ha deciso di essere etero, io ho deciso di essere asessuale, qualunque cosa ciò significhi. Non sono gay, non sono etero, non sono niente. Basta, il discorso dell’altra volta si era ufficialmente chiuso qui. Avevo ben altro a cui pensare.

Ciò detto, sono arrivato nella sfornitissima biblioteca della scuola, ho virato a sinistra e sono entrato nell’aula dei computer. Mi sono posizionato nella postazione più distante e ho avviato il computer per accedere alle banche dati di Scotland Yard con le credenziali dell’ispettore Lestrade, gentilmente fornitemi da George. Non potevo aspettare stasera, non potevo proprio aspettare un secondo di più. Poco importava se era un rischio. Il fatto che io non conoscessi l’esistenza di un istituto penitenziario top secret era inaccettabile, ma ancora più grave era il non conoscere un infanticidio come quello che mi era stato descritto in narrativa da Jim. Sono quindi entrato nella pagina personale dell’ispettore e prima di tutto ho dato un’occhiata ai casi in sospeso di cui mi stavo occupando in quel momento. Controllo almeno una volta al giorno, ormai la pagina dell’ispettore era diventato il mio domicilio professionale. Ho anche aperto le mail appena arrivate dal Dipartimento di Medicina Legale (non potevo resistere), ma alcune avevano la conferma di lettura e… Che dire, ops. In ogni caso era più importante che le leggessi io piuttosto che lui, con tutto il rispetto. E poi loro avrebbero dato la colpa al computer, come sempre.

Sono quindi entrato nelle scarne ma utili banche dati di Scotland Yard ma le mie frettolose ricerche sono risultate vane, in sette minuti intensi non ho trovato niente, nemmeno una banale citazione che fosse in qualche modo correlata a questo fantomatico Sherrinford. Tale istituto non era noto nemmeno a Scotland Yard e ciò non poteva fare altro che incrementare il mio già vivido interesse. E ribadisco che il suo nome mi era inspiegabilmente famigliare, era come un ricordo recondito nel mio inconscio, un’antica memoria che mi confermava e rassicurava circa la sua effettiva esistenza. Non mi restava altro da fare che consultare le mie banche dati personali, quelle che sono ben organizzate all’interno del mio encefalo.

Mi sono isolato e ho iniziato a sforzarmi intensamente per riesumare il ricordo, mi rimanevano pochi minuti. Doveva essere un ricordo della prima infanzia, qualcosa di molto importante che la mia giovanissima età a suo tempo mi impedì di comprendere appieno. Vidi tante immagini, tanti suoni, tante parole, cose pressoché inutili. La memoria dei bambini è molto telegrafica, si ricordano scene brevissime, istanti, immagini.

Ero talmente concentrato in me stesso che quasi non ho sentito la campanella suonare, talmente tanto assorto che non ho sentito un paio di tacchi da sei centimetri pichiettare sul pavimento proprio dietro le mie spalle, seguiti da una intensa nuvola di profumo…

Adler mi ha toccato improvvisamente una spalla e mi ha strappato via dal mio palazzo mentale con una violenza inaudita. Ho sussultato e mi sono voltato di scatto, irritato e infastidito, ma quando l’ho vista, sono sbiancato. A parte che era uno schianto, ma cosa ci faceva lei qui. Perché proprio lei era qui. E perché aveva riattivato il mio computer. La mia testa lo realizzò in ritardo: aveva riattivato il mio computer. Stava leggendo lo schermo.

“Scotland Yard?” ha letto con aria interessata “Che sito è questo?”

Ho imprecato mentalmente e ho chiuso di scatto le finestre del browser che avevo lasciato imprudentemente aperte.

“Il sito della polizia” le ho risposto, meno si nega l’evidenza e meglio è “Niente di che”

Lei mi ha sorriso “Cosa stavi facendo nel sito della polizia?”

“Non sono affari tuoi. Ad ogni modo sono stato derubato” mi sono inventato di sana pianta, il mio tono ero aspro come un limone “Volevo solo sapere se c’erano novità sul mio conto”

“E quindi sei entrato direttamente nella pagina riservata dell’ispettore Joseph Alexander Lestrade?” ha replicato lei, appoggiandosi con l’anca sul tavolo “Ma davvero credi che io sia stupida?”

La mia maschera di ghiaccio si incrinò. No che non lo credevo, ahimè avevo imparato a mie spese che quella donna era un’aquila di nome e di fatto. Mi sono sentito nella merda, per dirlo in francese. Ho sempre saputo che prima o poi sarei finito in prigione, ma non credevo così presto. Ma possibile che tra tutti i potenziali deficienti, debosciati e idioti che c’erano qui, dovevo imbattermi proprio in lei? Non sapevo cosa inventarmi, un improvviso grigiore aveva annebbiato il mio cervello. Stavo avendo un malfunzionamento.

“Sai che è un reato?” soggiunse poi, fissandomi senza pietà “Dopo la scenata che mi hai fatto per le mie pillole dimagranti, come le hai definite tu, mi aspettavo che tu fossi un cittadino modello, un uomo integerrimo” sarcasmo a iosa “Non uno che va ad hackerare i sistemi informatici di Scotland Yard. È piuttosto incoerente da parte tua, non trovi?”

Il fatto che pensasse che lo avessi hackerato era una buona cosa, Greg almeno era al sicuro. Comunque, mentre lei parlava, avevo digitato un SOS a John con il cellulare che tenevo nascosto in tasca:

PERICOLO. AULA COMPUTER. VIENI SUBITO. SH

VITA O MORTE. SH

CORRI. SH

Ho inoltrato gli stessi messaggi anche a Lestrade, per sicurezza.

“Cosa stavi facendo in realtà?” continuò lei.

Non le ho risposto, non volevo parlarle.

“Sherlock?”

Mutismo selettivo. Avevo le labbra incollate. Non avrei più parlato fino a domani.       

“Sai che so essere molto persuasiva?” mi ha domandato con aria insinuante. Io mi sono allarmato, potevo solo immaginare che genere di abilità suasorie avesse nel suo arsenale. Costei mi fece un sorriso che dire incantevole era un eufemismo. Lei stessa era incantevole. Una bellezza del genere scatenerebbe l’ira di Afrodite e farebbe scoppiare una guerra. Elena di Troia non doveva essere troppo diversa da Adler. La bellezza estetica è causa anche di numerosi bias cognitivi, come quello di giudicare a prima vista intelligente e moralmente retta una persona dal suo bell’aspetto. Alla bellezza si è sempre associato un’idea di onorevolezza e bontà complessiva fin dall’alba dei tempi, basti pensare che gli eroi greci erano tutti bellissimi, gli angeli sono iconograficamente bellissimi, perfino certe figure sacre del culto religioso sono rappresentate esteticamente belle. L’uomo è sempre stato ossessionato dalla bellezza fisica. È un’ossessione ancestrale, immotivata, che porta l’uomo a fare cose stupide come innamorarsi della sua peggiore nemica, ad esempio.

“Se me lo dici, ti rivelo un segreto anche io” mi ha proposto su due piedi, io l’ho guardata di scatto “Fammi una domanda e io ti rispondo sinceramente”

Ammetto che mi infiammai di entusiasmo, la mia lingua si rianimò subito. Questa era forse la proposta più allettante che avessi mai ricevuto, non che ne avessi ricevute tante, in ogni caso non potevo perdere un’occasione del genere. 

“Va bene” le ho risposto “Però inizio io”

Lei si è messa a braccia conserte e mi ha guardato in tacita attesa. Santo cielo, mi sentivo come Aladino di fronte alla lampada magica, solo che invece di tre desideri ne avevo uno, dovevo sceglierlo per bene. Avevamo tanti conti in sospeso io e lei. C’erano tantissime cose che nascondeva e che volevo sapere, era forse la persona più torbida e misteriosa che conoscessi. Comunque avevo già scelto la domanda, ricevuta quella risposta molte cose si sarebbero chiarite da sole.

“Vedo spesso che hai dei lividi. Che origine hanno? Chi te li procura?” le ho chiesto rapidamente, e ho visto una luce di stupore balenare nei suoi occhi celesti. 

“Di quali lividi stai parlando?”

“Questi” le ho afferrato un fianco e le ho strappato una infastidita ma rivelatrice smorfia di dolore. Lei mi ha allontanato la mano, sembrava arrabbiata.

“Oh, cielo. Non era meglio chiedermi con chi vorrei andare a letto come farebbe chiunque altro?”

“Non sono certo affari miei” le ho risposto, secco.

“Magari lo sono” ha insinuato col suo modo civettuolo, ma io ero ben focalizzato su quello che le avevo chiesto. Stava temporeggiando nella speranza di distrarmi e farmi cambiare idea, ma io non sono un idiota, non del tutto, almeno. Se non voleva dirmelo, allora avevo fatto centro. 

“Puoi rispondermi?” 

Lei alzò gli occhi al cielo e sorrise “Nessuno mi picchia, se è questo che temi”

L’avevo temuto in effetti. Seguirla una sera e appostarmi sotto casa sua era già nella mia agenda, dopotutto anche questo è il mio lavoro. L’ho guardata senza dire niente.

“È tutto consenziente” aggiunse lei.

Come disse la parola “consenziente”, compresi. Compresi e le mie guance si tinsero di un tenue rossore. Sadomaso, BSDM e tutte quelle pratiche sessuali spinte di cui avevo una conoscenza indistinta e superficiale. Mi sono sentito un ingenuo, come ho fatto a non averci pensato prima?

“Ah” sillabai, imbarazzato “Okay. Ho capito”

“Non pensare a cose troppo strane” mi intimò subito lei.

“No, no” esclamai, ci mancherebbe “Mi dispiace. Non volevo errare in campi così personali della tua vita”

Lei sospirò e mi guardò intensamente “Ormai lo hai fatto” mi disse, ma il suo tono era morbido e gentile “Ora però tocca a te”

Ho sospirato appena, rispetto al segreto che mi aveva rivelato lei, il mio sembrava quasi di poco conto. Anche perché non le avrei certo rivelato tutto.

“Sto solo cercando di non annoiarmi. Nient’altro” la informai rapidamente, contro voglia. Lei continuò a fissarmi.

“Questa sarebbe una risposta?” mi domandò con un sorriso sghembo “E cosa c’entra Scotland Yard con la tua noia?” Mi ha subito chiesto, si era avvicinata. “Non vedo il nesso”

Le mie labbra mi tradirono, ebbero lo spasmo di un sorriso.

“È talmente ovvio, Adler, come puoi non vederlo?”

Ma proprio in quel momento lo scalpiccio di passi pesantissimi e affannati giunse presto alle nostre orecchie.  

Lei si voltò verso la porta “Cosa succede?”

Sembrava che ci fosse una mandria di bufali che stesse correndo su per le scale. Pochi istanti dopo, John spalancò la porta e si gettò dentro l’aula armato di mazza da baseball da una parte e coltellino svizzero dall’altra, Lestrade invece era al telefono con la polizia. E dopotutto quando non sapeva cosa fare, Lestrade chiamava la polizia.

“SHERLOCK! Oddio Sherlock, stai bene?” strillò John affannato, la corsa lo aveva privato completamente del fiato.

“È vivo!” aggiunse Lestrade al telefono, ansimante “È vivo! No, nessun ferito!”

 

***

 

 

Bene. Quello che è successo dopo è stato piuttosto imbarazzante e preferirei ometterlo. Mi domando poi perché tutte le figure più imbarazzanti e incresciose della mia vita si devono svolgere in presenza di Irene Adler. Questo fato burlone che si diverte a mie spese dovrebbe concentrare le sue attenzioni in qualcosa di più proficuo dello sbeffeggiarmi di fronte a una ragazza. LA ragazza, per giunta.

Ciò detto, è arrivato presto mezzogiorno. Ho fatto una corsa in mensa per parlare finalmente a quattrocchi con il mio avversario, ma lui non c’era, il mio tavolo era vuoto. Amara e inaspettata delusione. Ho quindi saltato il pranzo perchè mi ero comprato ben tre affari spugnosi e pieni di saccarosio dalle macchinette e ho ottenuto il perdono sia di John che di Lestrade. Anche se mi sono beccato della Drama Queen e non capisco certo il perché. Io Drama Queen? Ma che assurdità.

Durante la prima ora del pomeriggio ho preso il mio ennesimo dieci nella verifica di biologia e ho scritto a Lestrade di raggiungermi in cortile per i nostri aggiornamenti "top secret" (ho aggiunto appositamente top secret per invogliarlo a venire. Era ancora un po' arrabbiato). John invece doveva fare gli allenamenti e perciò non è venuto. Ci sono rimasto male? La risposta è affermativa. Lui è gentile e simpatico con me esattamente come lo è con tutti, e questo un po' mi amareggia perché vorrei essere tenuto più in considerazione ed essere trattato meglio rispetto agli altri, ma dopotutto non posso nemmeno pretenderlo, visto che ci conosciamo da poco…

In ogni caso, lui è diventato ufficialmente il mio migliore amico, anche se non lo sa.

Ho esultato internamente quando si è seduto vicino a me, durante l’ora di storia. Ho davvero gioito, anche perché c’era un altro posto libero vicino a Bill Murray ma lui ha scelto me, me.

Se sapesse quanto mi rende felice, probabilmente si spaventerebbe. Ma è la prima volta in vita mia che conosco una persona genuina che non mi disturba e da cui non mi sento giudicato. Anzi, in realtà mi sento giudicato, ma in modo eccessivamente positivo, mi fa arrossire. Lui crede davvero che io sia un genio e me lo dice onestamente, senza che ci sia una benché minima sfumatura di invidia a incupirgli la voce. Di solito, quando l’uomo percepisce il talento e la bravura altrui, si amareggia e diventa perfido, scatta la competizione, l’odio, il rancore e appunto l’invida. Beh, non è il caso di John. Lui è modesto e tende a banalizzare le sue qualità, ma malgrado questo è molto sicuro di se stesso. L’arroganza dopotutto è sintomo di insicurezza, e “chi compra le macchine grosse, compensa qualcosa di piccolo”, come dice sempre mio padre (che pure ha una macchina grossa). Per cui John non ha problemi a rapportarsi con qualcuno che considera tanto migliore di lui, cosa che per me invece lo sarebbe. Io se incontrassi qualcuno migliore di me, magari un detective più brillante e intelligente, proverei una tale bile e un tale livore che probabilmente ingaggerei Moriarty solo per farlo fuori. 

Avrei voluto essere come John, sicuro di me stesso e basta, a prescindere da come sono gli altri. Gli serbavo molta, molta stima, anche se lui non lo sapeva.

Ed ero geloso quando lo vedevo ridere e scherzare con i suoi compagni di squadra. Lui era pieno di amici, ne aveva un’infinità. Piaceva, era popolare, usciva con Kate e già si raccontava in giro di come avessero fatto sesso nella macchina del padre di lei alle due del mattino… Insomma, era già diventato “uno forte” e non era relegato ai margini come il sottoscritto.

Quanta amarezza mi veniva. Mi sentivo inadatto alla vita sociale ai limiti dell’insopportabile. L’unica cosa che mi restava da fare era imparare, conoscere. Riuscivo a riempirmi il cervello di calcoli e nozioni molto complicati e questo mi aiutava a sgombrare la testa dai pensieri negativi. Era una triste strategia di controllo, e quando non funzionava, veniva in mio soccorso la cocaina. Mettevo i demoni dell’infelicità nella stiva della mia nave e li coprivo con un telone invece di buttarli in mare.

Avrei dovuto scrivere a John e fargli una sorta di corte, magari con il solito “Come va?”, ma mi sentivo banale. In certe cose ero proprio timido da fare schifo, in altre invece ero spudorato.

Sono complicato

Prima che se ne andasse a giocare, gli ho ricordato sottilmente che essere amico mio e al contempo amico di Sebastian era impossibile… Ma il timore di perderlo ha soffocato ogni mio intento risolutivo e mi ha spinto ad aggiungere che comunque, per adesso, la cosa sembrava funzionare. 

“Ma non parlano mai di te” mi ha rassicurato John “Davvero, Sebastian nemmeno ti nomina. Ma se lo facesse in modo offensivo, non gliela farei passare liscia”

“Certo” ho solo detto, poi me ne sono andato.

Mentre scendevo le scale, il mio cellulare ha squillato di nuovo. Ho visto il numero del mittente e l’ho subito associato al suo proprietario, era lo stesso che mi ha dato il buongiorno stamattina… Ma non è tempo di parlare di queste sciocchezze. 

Mi sono quindi trovato con George. Era appollaiato come un ladro (o come un goffo James Bond) dietro il Suv del professor Stapleton e mi stava facendo dei gesti incomprensibili con le mani.

“Sì, ti ho visto!” gli ho gridato a voce alta, lui mi fece il segno di star zitto. Quanto mi diverte tutto ciò. Solo in quel momento mi accorsi che alle sue spalle c’era anche Molly Hooper con un taccuino in mano.

“Ciao, Molly” la salutai tranquillamente.

“Ehi, Sherlock” arrossì lei “Tutto bene?”

“Sopravvivo” ho replicato brevemente “Molly sa?” ho quindi chiesto a Lestrade. Non che per me fosse un problema, Molly era pericolosa come un pesciolino dentro una boccia d’acqua.

“Sì, lei è con me, possiamo fidarci” mi rassicurò Lestrade con fare austero da agente segreto “Le ho detto tutto. John non c’è?”

Ho scosso cupamente la testa “Ha gli allenamenti” ho tagliato corto, non mi andava di parlarne.

“Con quello stronzo di Sebastian!?” ha insistito lui, voleva infilare a tutti i costi il dito nella piaga. 

“Allora, Molly” guardai subito la mia amica, volevo cambiare discorso “Come mai sei qui?”

…Il perché era talmente ovvio che potrei anche tralasciarlo.

“Ho deciso che voglio diventare un medico legale, come te!” mi ha risposto lei, per l’appunto “Quindi anche io partecipo a questi tirocini segreti col padre di Greg”.

Tra quel come te e quei tirocini segreti mi sfuggì proprio una smorfia di disappunto. 

“In che senso come me?” le ho chiesto, perplesso “Io non voglio fare medicina legale. Ma perché tutti qui credono che io voglia fare il medico? Ho la faccia da medico?”

“Un po’ sì” mi ha confermato subito Lestrade.

“Non vuoi fare medicina legale?” mi domandò invece Molly, delusa “Che facoltà vuoi fare?”

Io la guardai sospettosamente. Avevo la sensazione che se glielo avessi detto, me la sarei ritrovata in ateneo appiccicata al fianco come un francobollo. E da compagna di università a compagna incinta e vestita da sposa il passo è breve. Eh no! Sono Sherlock Holmes, non mi faccio fregare così.

“Non lo so ancora” le ho risposto quindi, avevo assottigliato lo sguardo.

“Comunque, c’è stato un colpo di scena sul caso della donna ritrovata nel fiume, Sherlock” mi informò Lestrade, io spostai lo sguardo su di lui. 

“Fammi indovinare” lo interruppi, deve ancora nascere la persona che può stupirmi con un colpo di scena “È comparso un testimone che dice di averla vista quella stessa notte in compagnia di un soggetto non identificato?”

Lestrade dischiuse le labbra, la sua sorpresa era lusinghiera. “Come fai a saperlo?” domandò, musica per le mie orecchie.

“È il mio lavoro, George” minimizzai, doveva pur iniziare ad abituarsi. E comunque avevo visto la mail proprio stamattina.

Greg” mi corresse.

“Greg, pardon”

“E tecnicamente non è il tuo lavoro”

“Lo sarà presto”

“Criminologia e Scienze investigative!” saltò su Molly “Ecco che facoltà vuoi fare!”

Io sgranai gli occhi “Dammi tregua, Molly”

“In ogni caso hanno accantonato la teoria del suicidio” continuò Lestrade “E ora sono alla ricerca di questa seconda persona, che è diventata il primo sospettato”.

“Questa persona è un uomo o una donna?” domandai io.

“Una donna” mi rispose Lestrade.

“Giovane o vecchia?”

“Giovane”

“Allora non è stata lei” conclusi e mi voltai, stavo ancora pensando.

“Cosa?” Lestrade si alzò in piedi e uscì allo scoperto “Perché?”

“Perché era una prostituta”

Lestrade sgranò gli occhi, Molly aprì la bocca “La vittima si prostituiva secondo te?”

“Ma no” risposi io, scocciato “L’altra era una prostituta. La vittima la pagava”

“Ma la vittima era una donna!” replicò lui, incredulo.

“E quindi?”

Lestrade sbatté le palpebre “Beh, insomma… Era pure sposata con un uomo!”

“E quindi?” ripetei io con la stessa espressione pacifica. Lestrade pareva impressionato, Molly invece annuiva a vuoto.

“Ma perché deve essere proprio una prostituta la tipa che era con lei?”

“Pensaci, Greg” lo esortai io “Come può un senzatetto qualunque ricordarsi dopo due settimane di aver visto in piena notte due passanti che attraversavano il ponte, se non fossero state due giovani donne impegnate in atteggiamenti intimi di cui una probabilmente vestita con abiti succinti? Deve averle osservate con molta attenzione per ricordarsi il viso della nostra vittima”

“Come fai a sapere che è un senzatetto il testimone?!” replicò Lestrade rosso in viso, io alzai gli occhi al cielo.

“Chi dorme sotto un ponte di notte, secondo te? Il primo ministro?”

Lestrade annuì, aveva una sottile linea dura tra le sopracciglia “Quindi la donna è stata uccisa dalla prostituta?”

“Ne dubito” dissi io “Dì a tuo padre di perlustrare meglio la battigia del fiume. Probabilmente troverà un altro cadavere”.

Oh…”

“Un’altra cosa” lo fermai “Chiedigli se ha mai sentito parlare di un istituto penitenziario di nome Sherrinford”

“Sherrinford?” Ripetè lui, stupito “Mai sentito. D’accordo"

“Mandami un messaggio se ti dimentichi il nome” gli ho suggerito mentre me ne andavo. Lo avrebbe dimenticato tra dieci minuti. Sarebbe diventato un mix tra il mio nome e una nota marca di automobili.

“Io me lo sono segnato!” aggiunse Molly, sollevando il quaderno. Le ho accennato un sorriso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore

Ce l’ho fatta finalmente. Vi è piaciuto il capitolo?  (Sulla faccia da medico: ogni riferimento a Dottor Strange è puramente casuale).

Grazie anche a tutti quelli che seguono questa storia!

A presto!

   
 
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