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Autore: FreDrachen    16/05/2021    1 recensioni
Luca aveva davvero tutto nella vita. Era una promessa del calcio, popolare tra i suoi coetanei tanto da essere invitato a ogni festa, ed era oggetto di attenzione di ogni ragazza e non.
Insomma cosa si poteva volere dalla vita quando si aveva tutto?
Basta, però un semplice attimo, un incidente lo costringerà a una sedia a rotelle, e per questo sarà abbandonato dalle persone che un tempo lo frequentavano e veneravano quasi come un Dio.
Con la vita stravolta si chiude in se stesso e si rifiuterà di frequentare la scuola. Sua madre, esasperata da questa situazione, riesce a ottenere la possibilità, dalla scuola che Luca frequenta, di lezioni pomeridiane con un tutor che avrà lo scopo di fargli recuperare il programma perso.
E chi meglio di uno dell'ultimo anno come lui può riuscire nell'impresa?
Peccato che Luca sia insofferente agli intelligentoni e non sembra affatto intenzionato a cedere.
Peccato che Akira non sia affatto intenzionato ad arrendersi di fronte al suo carattere difficile.
Due ragazzi diversi ma destinati ad essere trascinati dall'effetto farfalla che avrà il potere di cambiare per sempre le loro vite.
[Storia presente anche su Wattpad, nickname FreDrachen]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 11 parte 2


Ce la mise tutta. Si vedeva dal suo sfogliare con fare frenetico il libro di testo per cercare anche solo il minimo dettaglio che potesse affossarmi.

Ma la mia difesa era impenetrabile. Dopo la sessione turbo di un mese con Akira di tutte le materie ero pronto anche a ripeterle alcuni argomenti di cui tra poco non era a conoscenza nemmeno lei.

La vidi sedersi stancamente sulla sedia massaggiandosi le tempie e mormorando a mezza voce pensando che non la sentissi, anche se mi trovavo a neanche mezzo metro di distanza, che ero la reincarnazione del diavolo arrivato sulla terra con il solo scopo di renderle la vita un inferno.

Sinceramente parlando doveva essere molto egocentrica se pensava di essere protagonista dei miei pensieri 24 ore su 24.

Alla fine dopo il suo imprecare cedette nell'assegnarmi un bel otto di voto, proprio da lei, la megera tirchia che per strapparle un voto alto dovevi prosciugarla di chiacchiere.

Gongolai, felice come una Pasqua che lo studio con Akira avesse dato i suoi frutti.

A ricreazione lo avrei senz'altro aggiornato, e sperai che fosse fiero di me. Non sapevo il perché ma ci tenevo al suo giudizio.

Mi mossi sulla sedia e nel mentre continuai a fissare la prof che mi regalò uno sguardo colmo di odio che sembrava urlare vendetta. E meno male che i professori dovevano essere imparziali con tutti e accantonare le preferenze. Sarebbe stato da riferire a qualcuno di questo suo comportamento.

Il poco che era rimasto dell'ora passò abbastanza in fretta e la prof spiegò (o meglio lesse le pagine del libro con le pause foniche corrette) un nuovo argomento e non appena suonò la campanella uscì dall'aula come se le avesse preso fuoco il sedere.

Quanto era infantile a non ammettere una sconfitta. Anche se anch'io, forse, mi sarei comportato allo stesso modo. Nella vita c'era chi vinceva e perdeva, e io senza dubbio avevo sempre voluto essere dalla parte dei vittoriosi.

L'ora successiva fu di matematica. Nessuno aveva avvisato la prof del mio ritorno perché non appena mi scorse mi fissò come se fossi un'allucinazione, un alieno a tre teste e otto braccia.

Ma insomma, tutta questa contentezza nel vedermi potevano proprio evitarsela.

Anche lei, da perfetta sanguisuga travestita da signora distinta sui cinquant'anni dai capelli castani, palesemente tinti viste le radici sul grigio, e gli occhi azzurri, si premurò di darmi un caloroso bentornato interrogandomi sullo studio di funzione.

Ovviamente da persona misericordiosa quale era mi fece smuovere da posto e con non poca difficoltà mi avvicinai alla lavagna a gessi. Se c'era una cosa che non sopportavo era quella fastidiosa polverina che lasciava sulle mani dopo l'uso. Che urto!

La prof cominciò a dettare l'esercizio e stancamente cominciai a scrivere, ma quasi subito dopo che cominciai lei mi interruppe.

«Se scrivi così in basso rischi di non farci stare tutto lo svolgimento dell'esercizio».

Le scoccai un'occhiata eloquente per farle capire che quella a cui stavo scrivendo era l'altezza massima a cui riuscivo ad arrivare stando seduto sulla sedia a rotelle. Ma dal suo sguardo intuì che non avesse colto.

Per cui ignorai completamente le sue parole e sviluppai l'esercizio, cancellando più volte visto lo spazio ristretto che mi era concesso, solo la parte bassa ma del alto sinistro, visto che il resto mi era precluso dalla presenza della sedia che ingombrava lo spazio.

Risolvetti l'esercizio e quando finì trovai la prof a fissarmi con tanto d'occhioni. Che donna di malafede, credeva che non fossi in grado di risolvere un esercizio così semplice? Akira me ne aveva fatti fare di ben più difficili e articolati, quello che mi aveva appena assegnato era una bazzecola.

Non contenta me ne affibbiò un altro che risolvetti con estrema meticolosità. Alla fine anche lei si arrese all'evidenza dei fatti e con la coda tra le gambe mi mandò a posto e cominciò a spiegare.

Mi sentivo profondamente soddisfatto.

Dopo poco suonò la campanella segno che finalmente avrei potuto vedere Akira le aggiornarlo già dei miei disagi mattutini.

Feci per muovermi quando una figura mi si parò di fronte.

Capì subito di chi si trattasse ancor prima che alzassi lo sguardo verso il suo viso, cosa che feci comunque più per cortesia che voglia.

Agnese mi fissava a disagio mordendosi il labbro carnoso inferiore e ondeggiando un poco sul posto.

«Ciao Luca» mi salutò con voce tremante come se fosse insicura.

Se non aveva questa gran voglia di parlarmi perché farlo? Nessuno la stava minacciando di morte e se anche fosse di certo non avevo poi questa gran voglia di confrontarmi con la mia ex. Non ero poi così masochista.

«Agnese» risposi, in fondo rimanevo pur sempre una persona rispettosa (almeno finché non mi facevano incazzare), con cenno della testa e sperai che intuisse che non avevo alcuna voglia di parlarle.

Lei non parve capirlo perché non si scansò. Se fosse stato qualcun altro l'avrei stirato con la sedia a rotelle.

«Stai bene Lu? Ma proprio bene?»

Ma che cazzo di domande erano?

«Se ti fosse importato qualcosa di più di me non sarebbe necessario chiedermelo» ribattei a denti stretti. Addio simpatia. Non avrebbe dovuto tirare fuori quell'argomento, non con me.

Mi stavo comportando da stronzo ne ero consapevole ma sinceramente ancora mi rodeva che mi avesse abbandonato solo con i miei demoni interiori e la mia rabbia.

Come mi ero aspettato lei mi fissò con quel suo sguardo da cerbiatto impaurito e sbatté le ciglia per cercare di scacciare le lacrime. Era sempre stato un tipo emotivo Agnese e anche molto sensibile. E da bravo stronzo quale ero ne avevo approfittato, ma mi aveva provocato.

«Hai ragione. Sono stata davvero pessima».

«Pessima per cosa esattamente? L'avermi lasciato solo nel momento del bisogno oppure quando mi hai tradito con Ippolito?»

Lei fece un passo indietro e maledissi il fatto che non l'avesse fatto di lato, per lo meno ci saremmo risparmiati questa ridicola messa in scena tra ex.

Ma prima che proferisse parola fu affiancata dalla figura di Ippolito che le fece passare un braccio lungo i fianchi e l'attirò a sé con fare possessivo, un qualcosa che mai avrei fatto.

«Stai forse importunando la mia ragazza, Tremonti?» mi domandò cercando di fare lo sfacciato, ma nei suoi occhi color erba marcia notai un guizzo, come se si trovasse a disagio a rivolgermi la parola.

«E tu forse stai cercando ancora di imitarmi? Perché se è così non sei altro che terribilmente patetico».

Lui strinse gli occhi in due fessure.

«Ancora la lingua biforcuta? Ti conviene scendere dal tuo piedistallo, perché vedi é ora di rendersi conto che non sei più nessuno».

Lo fissai come come se fosse stato un emerito idiota, cosa che effettivamente era.

«Perché? Mi stai forse dicendo che tu lo sei?» domandai con finta innocenza, al che Ippolito strinse la mamo a pugno. Se mi avesse colpito non ci avrei pensato due volte a restituirlo al mittente, magari riuscivo a migliorare quella faccia da rospo che si ritrovava.

«A differenza tua sono riuscito a diventare ciò che avresti potuto essere te se non ti fossi comportato come uno stronzo che credeva di essere Dio sceso in terra».

Era vero che in passato avevo peccato di egocentria ma insomma chi non l'aveva mai fatto nella vita, soprattutto se si aveva ottenuto traguardi su traguardi fino al tragico epilogo? E poi di certo non avevo costretto nessuno a stendermi il tappeto rosso al mio passaggio. Ippolito come tutti gli altri avevano deciso in piena autonomia di stare in mia compagnia, quindi che la smettesse con tutto questo vittimismo da quattro soldi perché non faceva altro che farmi incazzare ancora di più.

«Disse quello che tra poco arriva a imitare il mio stile per poter sembrare la mia ombra. É quello che ti riesce meglio no?» ribattei cercando di rimanere calmo, anche se sotto la superficie ribollivo di rabbia.

Ippolito stirò le labbra in un sorrisetto canzonatorio. «Adesso non ne ho più bisogno, non credi? Non ci tengo a sembrare una nullità».

Mi sporsi leggermente in avanti con fare minaccioso.

«Ripetilo se ne hai il coraggio».

Sapevo ormai da tempo che Ippolito non fosse proprio il prossimo Einstein, difatti non aveva proprio capito che se avesse provato a ripetere le sue parole velenifere avrei trovato un modo per scaraventarlo giù dalla finestra.

Ma prima che lui potesse emettere una sola sillaba intervenne Agnese, che era stata fino a quel momento in silenzio a osservarmi.

«Smettila Poli. Non è necessario tutto questo» disse con un tono talmente remissivo tanto da farmi chiedere se davvero la ragazza che avevo di fronte era la stessa che conoscevo ormai da secoli. Era sempre stata una ragazza molto timida e gentile ma mai si sarebbe abbassata a sembrare sottomessa a qualcuno. E mai avevo provato a esercitare una simile pressione su di lei.

Anche se forse non l'avevo mai amata completamente l'avevo sempre rispettata come persona, come doveva essere naturalmente. Diversamente doveva pensarla, però, quel coso dal cervello di ameba di Ippolito, che a quelle parole appena sussurrate si girò verso di lei con fare adirato.

«Fatti i cazzi tuoi e impara a stare al tuo posto e parlare quando sei interpellata».

Lei di tutta risposta abbassò il capo in segno di sottimissione e a quella vista avvertì un colpo al cuore.

La fama che aveva ottenuto giocando a calcio (ma con che coraggio lo tenevano in campo, dato che pareva un pinguino in lotta perenne con il pallone?) sembrava dargli alla testa da tanto era diventato maleducato e spocchioso, oltre che un emerito stronzo.

«A stare al suo posto dovresti impararlo prima te» gli rinfacciai stringendo le mani sui braccioli. Ma tanto che parlavo a fare? Uno con il cervello pari a un protozoo unicellulare non avrebbe capito neanche quello che dicevo.

«Che hai detto stronzetto?» mi domandò con fare minaccioso e subito intuì di aver espresso quest'ultimo pensiero ad alta voce.

Ops.

Voleva che glielo ripetessi? Doveva conoscermi a tal punto che sapeva che non me ne sarei fatti di problemi a rincarare sulla verità. Di solito i miei pensieri non venivano filtrati lungo il tragitto cervello-bocca e questo aveva fatto si che a molta gente stessi sulle scatole. Ormai avevo capito che chi mi era stato vicino lo aveva fatto unicamente per via della mia evidente magnificenza che loro potevano solo sognarsi.

«Che hai un cervello pari a un...»

«Che sta succedendo qui?»

La voce di Yassine arrivò come amica alle mie orecchie. Forse lui era ancora dalla mia parte. Non sapevo se avesse o meno il mio numero di cellulare, forse era per quello che non mi aveva scritto.
Ma prima che potessi esprimere ad alta voce tutta la mia contentezza, parlò nuovamente e fu come ricevere una secchiata d'acqua gelida.

«Hai finito qua con signor Nessuno? Rischiamo di non riuscire a prendere qualcosa dalle macchinette».

Ah, quindi ero sempre stato circondato da Giuda e Bruto? Ci mancava pure Cassio e avrei avuto al mio fianco tutti e tre i traditori per eccellenza nelle bocche di Lucifero.

Bell'amico che era. Si era iscritto al primo anno con noi che non sapeva una parola in italiano. Si era seduto di fianco a me con fare timido ed era per quello che l'avevo affiancato aiutandolo a integrarsi in classe dove già conoscevo un bel po' di gente, oltre che aiutarlo con l'italiano. Lui parlava solo inglese e la sua lingua d'origine, il tunisino. Con la seconda non ci incastravo neanche se avessi voluto e poi...l'inglese? Certo ero ben consapevole che mi sarebbe servito per il mio futuro di calciatore, ma sfortunatamente non ci andavo granché d'accordo ma tanto a che serviva? Se gli altri volevano capirti che si imparassero l'italiano, no?

Ok l'avevo aiutato perché volevo, solo che mi dava non poco fastidio che adesso spalleggiasse Ippolito.

«Ma si andate. Non ho voglia di perdere tempo con dei traditori» sibilai irritato, beccandomi un'occhiata d'astio da parte dei due ragazzi che si allontanarono senza ribattere. Agnese tardò per un attimo e mi rivolse uno sguardo di scuse prima di andare dietro al suo ragazzo aka Stronzo Megalomane.

Mi sa che non ebbero neanche il tempo di formulare il pensiero su cosa prendersi alle macchinette che la campanella suonò.

Li vidi tornare in aula a mani vuote e a gettarmi un'occhiata manco fosse colpa mia. E lo stesso feci io.

Per colpa loro non ero riuscito a vedere Akira.

 

Angolino autrice:

Buonsalve 😍💞

Eccomi con la seconda parte del capitolo 🙈 ne manca ancora una parte che ho preferito mettere diviso per l'eccessiva lunghezza che anche questa parte avrebbe avuto 😱😱

Ringrazio tutti voi che seguite la storia 😭❤️ spero che Luca e Akira possano allietare un po' le vostre giornate ❤️

A presto con la terza parte 🤗

FreDrachen

P.s. esiste una pagina Instagram per le mie storie 😍 se volete potete trovarmi anche lì:

fredrachen_stories

 

   
 
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