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Autore: elfin emrys    18/05/2021    3 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Gli Hanbury – Capitolo 3
????? – Capitolo 1


Non è facile cercare di iniziare e vincere una guerra quando uno dei tuoi alleati viene ucciso in maniera misteriosa e sua moglie sembra essere molto più astuta di lui e decisa a prendersi ogni briciolo di potere che può ricavare.
Hanbury si sentiva un po’ come quando Grant era ancora in vita, costretta a fare da marionetta per qualcuno di più grande di lei, anche se i Macbeth erano, anzi, una tribù ben meno ricca della sua. Del resto, però, lo erano stati anche i Grant. Era stato il carattere di quell’uomo, la sua prepotenza e la sua determinazione, a tenerli sotto scacco a lungo, e Macbeth e Hanbury avevano pensato di fare lo stesso. Il primo aveva già pagato lo scotto. Lei, ebbene, cercava di allontanarsi il più possibile da quel momento, eppure ogni cosa sembrava andare storta.
La regina aveva la mascella serrata, l’intero corpo teso. Tremava nel suo tentativo di celare l’ira che provava.
Sibilò.
-Come è possibile che vi sia sfuggito un uomo morto?
Il generale fece un passo indietro e, a capo basso, sussurrò con un tono più acuto del normale.
-Avevate ordinato che fosse lasciato lì, mia regina, affinché i lavoratori lo trovassero. Non sappiamo che fine abbia fatto.
Hanbury deglutì e si umettò nervosamente le labbra.
-Almeno dimmi che la notizia che è morto è passata, che nessuno va più in giro a decantarlo come se fosse il vero Re Artù.
L’uomo si fece, se possibile, ancora più piccolo. La sua risposta fu quasi impercettibile.
-Per un po’ di giorni non si è fatto altro che ripetere che era morto, ma la mancanza di un cadavere, il fatto che nessuno sapesse come era accaduto, e le voci…
-Voci? Quali voci?
-Il popolo non è persuaso, mia signora, e il fatto che vostro figlio…
Hanbury sbuffò.
-Mio figlio, eh?
Scosse la testa e posò le mani sul tavolo che aveva di fronte. Osservò la mappa, i segnalini che indicavano le truppe Donald che erano avanzate nel suo territorio, quelli della Città Vecchia ammassate nell’accampamento che avevo stabilito non molto lontano da lì.
Sapeva che al sud le battaglie stavano andando male a causa dell’improvviso cambio d’opinione dei nomadi. Sperava soltanto che ciò che era accaduto in precedenza avesse indebolito abbastanza i Niall da non permettere loro di intervenire più su, nel suo territorio.
-E da quel ragazzetto, Callum, si sa qualcosa?
-Nessuna notizia.
-Giuro che se ha fallito anche quell’idiota io…
Hanbury digrignò i denti e indicò la porta.
-Fuori. Lasciatemi sola.
Il generale esitò un attimo, poi fece un cenno anche al suo secondo, che non aveva parlato per l’intero incontro, e i due uscirono rapidamente.
La porta si chiuse lentamente dietro di loro e la regina iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, cercando di sfogare l’energia che stava reprimendo.
Rizzò la testa, udendo un rumore di passi e si guardò intorno. Nessuno. Uscì dalla porta, ma anche lì vi era solo silenzio. Hanbury tirò fuori un coltello dal vestito, stringendo il manico, e si mise in ascolto per sicurezza, ma c’era solo lei e, alla fine, si rimise al tavolo e si versò un bicchiere di vino.
Sarebbe stata in piedi anche tutta la notte se necessario, per preparare una battaglia che era ormai imminente.
Dovevano vincere, a qualunque costo.

-Galahad?
Il ragazzo si mise a sedere sul letto quando udì la voce dell’amica.
-Virginia?
-Galahad, non hai idea di quello che… Tua madre… Ho sentito…
-Ehi, calma. Che è accaduto?
La ragazza si sedette sul bordo del materasso.
-Ero andata da tua madre per chiederle quello che mi hai detto, perché non ti stanno arrivando notizie dalla grotta di cui ti stai occupando. Ho visto che era entrato il generale, allora mi sono messa ad aspettare e ho sentito che… È una cosa orribile, ma da quello che ho capito…
-Aspetta aspetta: hai spiato la regina?
-Sì, ma non mi hanno visto, mi sono nascosta quando sono usciti e quando lei è rimasta sola sono scappata via.
-Sei sicura che nessuno si sia accorto di te?
-Lascia perdere la mia incolumità, Galahad, non è questa la cosa importante. Ciò che ho capito è che tua madre ha ordinato l’uccisione di Arthur proprio nel sito su cui tu stai lavorando e che voleva venisse trovato il suo corpo lì.
Il ragazzo aprì le labbra, esterrefatto, ma non fece in tempo a commentare che l’altra continuò.
-E poi ho sentito anche che questo corpo non è stato trovato, che si pensa che Arthur, in qualche modo, sia rimasto in vita, e che in tutto questo c’entri anche tu e quindi forse verrà a parlarti, non lo so, magari vuole convincerti a…
-No no, ferma, ferma.
Galahad si passò le mani tra i capelli, riflettendo. Sapeva bene che sua madre era molto contraria ai lavori che lui stava finanziando, ma il ragazzo pensava che non avrebbe fatto nulla per impedirli, perché lei doveva sapere che erano tutto per lui.
Un tempo era stato un giovane molto attivo – “promettente”, come dicevano i suoi insegnanti all’epoca – ma da quando c’era stato quell’incidente, da quando aveva perso la vista e la sua gamba destra non si era più totalmente ripresa…
-Non capisco. Lei aveva accettato, alla fine, mi aveva detto che andava bene, che avrei potuto portare avanti le ricerche.
Il peso sul bordo del letto si spostò più avanti e Virginia gli accarezzò una mano.
-Non lo so, Galahad. Sapevamo che con la situazione con Arthur e Merlin, con tutto quello che si diceva, che fossero quelli delle storie, tua madre non era contenta. E quando le hai detto che avevi ragione di credere ci fosse qualcosa nelle grotte ai confini sud-ovest, che potesse essere uno dei luoghi da cui ebbe origine l’intera leggenda di Re Artù, Mago Merlino e la Tavola Rotonda… Insomma, l’hai sentita, era impazzita. Era davvero tanto arrabbiata con te.
-Sì, ma l’avevo convinta! Almeno credevo di averlo fatto.
-Galahad…
-È lei che mi ha rinchiuso qui, è lei che ha pensato che farmi leggere tutte quelle cose potesse aiutarmi, è lei che mi ha spinto a studiarle, non si può certo lamentare che, alla fine, io abbia realizzato questi suoi desideri.
Virginia rimase in silenzio, ascoltando il principe – il suo amico – e continuando a tenere stretta la sua mano, per fargli sentire a pieno la sua vicinanza.
Galahad fece un sogghigno amaro.
-Ora, invece, spunta fuori che non va bene neanche questo? Se lì sotto ci fosse davvero qualcosa come credo, potrebbe essere una… una svolta enorme, capisci? Ho passato ogni minuto di questi anni a fare il possibile per unire i punti, per cercare di capire se ci fosse qualcosa di vero. Tu stessa mi hai dovuto leggere i racconti più rari e sperduti e hai dovuto scrivere gli appunti che ti dettavo. Non è solo una cosa importante per, non so come chiamarli, i posteri, ma anche per me e per te. Voglio che tu sappia che tutta la tua pazienza ha portato a dei frutti. E voglio anche avere qualcosa di tangibile, no? Una… Una dimostrazione che…
Il ragazzo esalò un sospiro stanco. Sapeva che quello che gli aveva detto Virginia doveva essere vero, perché lei non gli avrebbe mai mentito. Gli era stato vicino tutto quel tempo, in un modo o in un altro, sostenendolo nelle sue fantasie come nelle sue ricerche. Lo stesso, del resto, non si poteva dire di sua madre. Inoltre la regina era sembrata davvero irata quando lui le aveva detto che desiderava usare il proprio denaro per quella ricerca e, sebbene lei avesse tentato di tenergli celato l’inizio di una guerra, le voci gli erano comunque arrivate. Il principe sapeva che sua madre avrebbe desiderato investire ogni centesimo per l’esercito e sapeva anche che lei pensava che le sue ricerche avrebbero alimentato e legittimato le dicerie sul conto di Arthur e Merlin.
Galahad sperava tanto fosse vero. Si sentiva in imbarazzo a quel sogno infantile, eppure non riusciva a smettere di desiderare di star davvero assistendo al ritorno di Re Artù. Gli sarebbe piaciuto così tanto.
Il ragazzo storse le labbra. Era consapevole di essere, senza volerlo, un grande insuccesso per sua madre. Lei non glielo aveva mai detto esplicitamente, ma il solo fatto che non lo facesse vedere a nessuno rendeva il tutto molto chiaro. All’inizio buttarsi con tutta l’anima nello studio e nelle ricerche era servito per fargli pesare di meno il disprezzo di lei e, in realtà, anche il disprezzo che lui provava per se stesso, l’angoscia, quel pozzo profondo e interminabile di delusione. Quando aveva capito che non sarebbe mai più tornato quello di prima, senza rendersene conto, aveva iniziato a pensare a sè come un essere umano a metà. Aveva accettato tutto quello che gli era stato imposto senza fiatare per quel motivo. Ma il tempo, l’amicizia sincera di Virginia, la soddisfazione che provava nell’avere successo nei propri studi – un successo che all’inizio non aveva creduto di meritare – lo avevano risvegliato lentamente.
Sua madre gli aveva dato il nome di Galahad, il più puro tra i cavalieri della Tavola Rotonda, come un augurio, memore della grande impresa che egli era riuscito a portare a compimento.
Ma sir Galahad non aveva trovato il Graal per sete di potere, per superbia, bensì per devozione, e non come premio per la propria abilità, bensì per la sincerità del suo animo. Quel giovane cavaliere avrebbe potuto anche essere cieco e zoppo, ma avrebbe comunque compiuto la propria missione.
E anche lui avrebbe fatto lo stesso, per quanto la prospettiva lo intimorisse. Era rimasto inerte troppo a lungo. Era pronto.
Galahad si tolse le coperte.
-Virginia, portami il bastone per favore.
-Il bastone? Ma… Dove vorresti andare?
-Vado al castello da mia madre.
-A piedi?
-No, volando.
-Non fare tanto lo spiritoso, non hai mai camminato così tanto.
-Sì, lo so, ma vedrai che sarà una bella passeggiata.
-E il popolo non ti vede più di persona da…
-E non credi che sia ora? Non sono morto.
Galahad aggiunse sottovoce un “Checché se ne dica in giro” e si alzò, poggiandosi sul bastone. Fece un cenno all’amica.
-Una giacca.
-Sei sicuro?
-Più me lo chiedi e più lo sono. Dai, muoviti, abbiamo della strada da fare e messo come sono messo non andremo veloci. Su!
La ragazza scattò.
-Agli ordini, capo!
Galahad rise e udì il cassetto venir aperto e il rumore della stoffa che veniva mossa. Gonfiò il petto, sperando di riuscire ad apparire il più dignitoso possibile.
Quella notte persino sua madre sarebbe stata costretta ad accettare il fatto che non era defunto qualche anno prima.

Delilah scese da cavallo, raggiante in volto. Il piano di Josephine aveva funzionato. Avevano cavalcato fino al confine tra i Macbeth e gli Hanbury e la regina riconobbe subito l’accampamento che aveva di fronte come uno del proprio popolo. Ne avevano attraversato un altro durante la fuga, ma gli Jura non avevano voluto farla fermare, dicendole che ce n’era un altro, più piccolo, dove sarebbe stata accolta come desiderava.
Ciò che avevano detto era vero perché non appena i suoi piedi toccarono terra ella si sentì sollevare di nuovo. Una risata le giunse forte all’orecchio e Delilah rise a sua volta, esortando l’altra persona a trattenersi e a metterla giù, così che si potesse girare.
Quando si voltò e vide il viso di David, lui le sorrise e le diede un bacio sulla fronte, poi iniziò a contarle le dita delle mani, a controllarle le orecchie, a invitarla a togliersi le scarpe perché doveva assolutamente essere sicuro che fosse tutta intera.
Visto che era ancora notte, la portò dentro la tenda reale e la aiutò a farsi il bagno, eliminando tutto lo sporco, la polvere, le incrostazioni di sangue e sudore. Nel mentre, aggiornava la moglie su quello che era accaduto, sul modo in cui avevano tentato di far credere a Macbeth che lui stesse nell’accampamento più vicino alla città, quello grande che Delilah aveva intravisto durante la cavalcata; le raccontò anche di quanto avevano dovuto insistere gli Jura per convincerlo a non gettarsi in quella che era evidentemente una trappola e quanto avevo detto e fatto per indurlo a fidarsi di loro.
Delilah ascoltava tutto con estrema attenzione, gioendo nell’udire tutto ciò che il marito aveva fatto anche con l’esercito (“E allora mi sono ricordato di quella volta cinque anni fa in cui tu mi hai detto che la formazione migliore in quelle occasioni non era quella, quindi ho insistito per farla cambiare!”), sia nei suoi successi che nei suoi fallimenti.
Si parlarono anche di Winfred, naturalmente, al quale non era stato detto che la madre era stata rapita, ma che doveva pur sospettare qualcosa, visto che non gli era arrivata la lettera che di solito lei gli inviava ogni due giorni, quindi Delilah si ripromise di scrivergli immediatamente, non appena avrebbe finito di lavarsi e vestirsi. Fu a quel punto che lo sguardo di David si oscurò. Il suo volto si fece cupo, imbronciato, e l’uomo esitò a lungo prima di rivelare alla moglie quello che stava accadendo.
-Sarebbe meglio che tu ti riposassi il più possibile, in realtà.
-Perché? Deve accadere qualcosa domani?
Il re parlò con la bocca impastata.
-Domani mattina muoveremo contro l’accampamento della Città Vecchia che è oltre queste colline, nel territorio Hanbury. Noi attaccheremo da ovest e da sud, gli Jura si muoveranno in modo da chiudere a est i rinforzi che potrebbero essere inviati dal castello. Ci sarà anche un drappello femminile dei Niall, guidato da Theodora. Erano così mortificati di aver potuto inviare solo poco più di una trentina di persone, ma i loro grandi successi degli ultimi giorni sono stati pagati a caro prezzo in termini umani. Con loro, però, è venuta anche uno squadrone di nomadi. Cinquecento persone.
-I nomadi? Si sono fatti avanti?
-Ci crederesti? A quanto pare Nicholas li ha convinti.
-Ah! Sapevo che quell’uomo era un grande affare per i Niall. E come ha fatto?
-Onestamente non so con precisione i termini degli accordi, ma per ora sono l’ultimo dei nostri problemi. Inoltre un gruppo di Lamont e O’Neill dovrebbe aver riconquistato la città di Arthur, a questo punto. Non abbiamo ricevuto notizie, ma speriamo che domani si facciano avanti, se avranno ricevuto il nostro messaggio.
-E se non li vedremo?
-Sapremo che la tribù degli Arthur è ancora governata da un traditore.
Delilah si alzò dalla vasca per andare ad asciugarsi, riflettendo. Si fece dire i numeri totali della loro fazione e di quella avversaria, impallidendo. Erano troppo pochi in un territorio straniero e lei lo sapeva. Avrebbero dovuto cercare di risparmiare fino all’ultimo uomo.
Improvvisamente, il desiderio che aveva di riposarsi e di dare a suo marito la grande decisione che aveva preso durante il viaggio era svanito. Durante la cavalcata fino a lì, infatti, non aveva fatto altro che riflettere su Macbeth, su quanto ella fosse totalmente accecata nel proprio giudizio dall'odio e dal ricordo delle umiliazioni passate. Si era chiesta se anche lei stessa era rimasta indietro, se anche lei aveva continuato a fare delle cose solo a causa della memoria della vergogna che un tempo aveva provato. Nelle sue riflessioni, aveva individuato dei punti critici e aveva realizzato a pieno quanto fosse assurdo che lei non desiderasse provare ad avere un secondo figlio per timore di avere una femmina. Perciò, aveva deciso di annunciare a David che avrebbe accettato definitivamente, che avrebbe dato il massimo, esattamente come aveva fatto quando era in attesa di Winfred. Tuttavia, quella notizia, che pure avrebbe reso suo marito tanto felice, sembrava anche estremamente fuori luogo.
La regina si trattenne e si rivestì con abiti puliti, poi si rivolse all'uomo.
-Hai portato le mie armi personali?
-Non vorrai mica partecipare attivamente domani a...
-Non vorrai mica che io faccia la bella statuina.
Il re sospirò a fondo e chiamò un servitore per farsi portare lo scrigno che effettivamente aveva portato, consapevole del fatto che Delilah le avrebbe volute.
La donna le attese pazientemente, esaminando i suoi ricordi sul territorio degli Hanbury per iniziare a escogitare qualche strategia che potesse aiutarli, e nel frattempo iniziò a mangiare il cibo che le era stato portato.
Dovevano batterli. A qualunque costo.

Il sole non era ancora sorto quando qualcuno venne a recuperare Merlin dalla propria prigione. Lo portarono all’aperto fino all'arena, dove avrebbe dovuto subire il terzo giorno di processo, ma quando arrivò si rese conto che Gregory non era al solito posto. Sul seggio che doveva essere del consigliere c’era, invece, l’uomo che nei giorni passati era stato seduto accanto a lui. Fu lui a rivolgersi al prigioniero.
-Allora, Merlin, probabilmente ti chiederai perché ti abbiamo chiamato qui.
Il mago non rispose e l’altro continuò.
-Sarai inviato alla Città Vecchia, dove il Governatore deciderà della tua fine. Tutte le accuse contro di te sono state giudicate veritiere da ognuno di noi e ti consideriamo colpevole di ogni cosa che è stata detta sul tuo conto negli ultimi due giorni.
Merlin inarcò le sopracciglia.
-Dov’è Gregory?
L’uomo sorrise.
-Gregory è stato reputato da tutti noi inadatto a proseguire con il tuo processo.
-È passato troppo poco tempo perché abbiate parlato col governatore. State agendo alle sue spalle?
-Come osi mettere in dubbio la nostra fedeltà al Governatore? Le tue parole rivelano il tuo animo infido, stregone.
Merlin si trattenne dal rispondere a quell’ultima affermazione e l’uomo riprese.
-Non offuscherai il nostro giudizio come hai fatto con quello di Gregory. La Città Vecchia ha sopportato troppo a lungo la tua presenza su questi territori; da tempo avremmo dovuto intervenire affinché tu venissi estirpato, ma il Governatore, dall’alto del suo buon cuore, ha trattenuto la nostra mano troppo a lungo. E persino adesso che ti abbiamo qui, dopo anni di silenzio, tu pretendi che venga permesso ulteriormente il tuo vagabondare? Hai già dimostrato di essere un pericolo per tutti i popoli della foresta e per l’equilibrio della nostra intera regione. Non ti aspettare che il viaggio sia piacevole, stregone, e spera che il Governatore possa avere compassione di te.
-Come dovrebbe averne di voi?
Tutti si voltarono all’udire quella voce. Gregory, avvolto in una vestaglia che doveva essersi infilato in tutta fretta, avanzò in mezzo allo stadio. Parlava con grande severità.
-Pensate davvero che il Governatore apprezzerà la vostra sfrontatezza, elogiandola come se fosse un più lodevole spirito di iniziativa? Egli ha affidato a me il compito di giudicare i reati di cui quest’uomo è accusato. Io sono colui che deve decidere del suo futuro.
L’altro uomo, rosso in viso, gridò.
-Da quant’è che sei sotto il suo incantesimo?
-Nessun incantesimo. Come potrebbe farne, quando l’abbiamo imprigionato prendendo ogni precauzione affinché la sua magia non funzionasse?
-Potrebbe averlo fatto prima.
-Certo, aveva il potere per sapere che sarebbe stato catturato, maltrattato e portato a processo, ma non quello per non capitare in questa situazione, quindi ha dovuto per forza prendere il controllo della mia mente, di un uomo che neanche aveva mai visto. Mi sembra logico.
L’altro indicò Merlin.
-Non sappiamo perché ti ostini a farlo rimanere qui, quando sappiamo che il Governatore lo sta aspettando con ansia. Le sue colpe sono chiare.
-Per me non sono chiare affatto.
Delle proteste si alzarono da tutti i presenti e l’uomo si alzò dal seggio di Gregory, gridando.
-Finché sarà nostro prigioniero, abbiamo il diritto di farne ciò che desideriamo, seguendo il volere del Governatore. Sai bene che quando egli saprà quello che sta accadendo perderai il tuo posto, i tuoi beni saranno confiscati. Che ne sarà di tua figlia, allora? Non avrai più niente. Smettila di fare lo sciocco e lascia che lo stregone venga portato via.
Gregory spalancò gli occhi. Merlin lo vide mordersi il labbro, in difficoltà, per poi rivolgergli uno sguardo lucido, quasi supplichevole. Per un attimo Merlin pensò che fosse una richiesta di perdono, che l’altro non lo avrebbe difeso. Poi, il suo volto divenne solenne e determinato.
Gregory avanzò fino a raggiungere il mago e tirò fuori delle chiavi, con le quali aprì le manette che stringevano i polsi del prigioniero.
-Finché sarà nostro prigioniero, dite. Ebbene, ho preso la mia decisione: con questo io ti dichiaro libero di andare.
Gli uomini gridarono e iniziarono a scendere dalle proprie posizioni. Colui che, evidentemente, avevano messo come loro nuova guida, gridò, pallido in viso.
-Non puoi farlo.
Gregory si voltò.
-Fino a prova contraria sono ancora io il consigliere, sono io colui che detta legge qui e adesso, non voi.
Il consigliere mormorò verso Merlin.
-Vattene prima che ordinino di prenderti.
-Andarmene? Ma...
-Vattene.
Il mago si allontanò e quando dei soldati provarono a sbarrargli la strada, fece un gesto della mano e quelli vennero scaraventati a terra. Merlin iniziò a correre, cercando l’uscita in maniera frenetica, finché non la trovò. Continuò ad andare veloce, sperando che per la sorpresa nessuno di coloro che stavano fuori capisse quello che stava avvenendo e, anche se con una certa difficoltà, riuscì a sfuggire ai loro attacchi e si nascose dietro a dei massi.
Solo in quel momento si rese conto cosa significava davvero il gesto di Gregory, lo sguardo disperato che gli aveva gettato: il consigliere era convinto che lui non sarebbe tornato per guarire la figlia. Gli aveva dato la libertà pur di non farlo condannare pensando che non lo avrebbe più rivisto.
Merlin chiuse gli occhi e inspirò a fondo. Il cristallo di Arthur era ancora chiaro. Avrebbe tanto voluto rivederlo, stringerlo a sé; se avesse potuto sarebbe andato da lui all’istante, ma l’idea di non terminare il compito che si era preso lo bloccava.
Merlin osservò un uccellino posarsi poco distante e lo richiamò, mormorandogli il proprio messaggio.
Lo esortò a dirigersi verso il villaggio degli Arthur e quello volò via veloce. Il mago lo osservò finché non sparì all'orizzonte, poi si rigirò, spiando le strutture dove era stato incarcerato.

Avrebbe volentieri curato la figlia di Gregory quando era prigioniero. Lo avrebbe fatto con ancor più gioia da libero.

Galahad non era mai uscito dalla torre da quando vi era stato rinchiuso. Il soldato che faceva la guardia all’ingresso sembrava piuttosto sconvolto di vederlo uscire e decise di accompagnarlo, poiché non si sarebbe mai perdonato se qualcosa fosse avvenuto al principe. Ci volle molto più tempo del normale perché arrivassero alle mura della città e lì ci furono i primi guai. Gli uomini che erano stati messi a fare il turno di notte non credevano che egli fosse davvero della famiglia reale e pensavano che dei nemici stessero cercando di entrare. Galahad era piuttosto sicuro che li avrebbero colpiti, perciò pretese che chiamassero il soldato di rango più alto della zona. In realtà lo richiese per prendere tempo, ma quando l’uomo che era stato chiamato arrivò, scese immediatamente ad abbracciarlo.
Il giovane non capiva cosa stesse avvenendo, ma quando udì la voce che gli sussurrava “Caro ragazzo” e “Quanto sei cresciuto”, riconobbe quello che per diversi anni era stato il suo istruttore di scherma. Da quando Galahad aveva smesso di allenarsi, l’uomo era stato messo a controllare i turni di guardia sulle mura della città e, fortunatamente, era una persona stimata da tutti. Poté testimoniare che quello era davvero il principe e, a quel punto, il gruppo venne fatto entrare.
Più avanzavano nella città, più persone si univano alla camminata di Galahad. Virginia, il soldato che controllava la torre e l’istruttore erano stati solo i primi; si unirono altri uomini armati, i quali non desideravano che il principe andasse in giro senza scorta, e presto tutti quei soldati e quel giovane vestito tanto elegantemente attirarono l’attenzione di chi era ancora in giro.
Galahad udiva che le persone sussurravano, non capendo chi egli fosse, eppure qualcuno doveva averlo riconosciuto o doveva essere stato avvisato dai soldati che avevano superato, perché ben presto i mormorii si fecero di stupore. Il giovane sentiva il suo nome e il suo titolo su ogni bocca. Non capiva più quante persone lo stessero circondando, ma Virginia gli disse che alcuni non erano neanche in strada: la voce doveva essere corsa rapidamente, tanto che qualcuno, ancora in abito da notte e con gli occhi mezzi chiusi, si stava affacciando dalle finestre per scorgerlo.
Arrivati al castello, fu nuovamente un problema entrare. Uno dei soldati, infatti, era nuovamente convinto che Galahad non fosse chi diceva di essere e ci volle l’intervento di un superiore ancora una volta. Ma quando furono dentro, un uomo si avvicinò, parlando ad alta voce.
-Mio signore, mio signore!
Galahad rimase immobile, non capendo quello che stava accadendo, e percepì le persone che lo avevano accompagnato chiudersi intorno a lui. Virginia gli sussurrò che l’uomo si era inchinato profondamente.
-Mio signore, è un onore per me essere alla vostra presenza, davvero, permettetemi di ringraziarvi a nome di mio fratello.
Galahad non riuscì a dire nient’altro che un “Fratello?” e l’uomo continuò, con voce contemporaneamente supplichevole ed entusiasta.
-Mio fratello aveva perso tutto dopo i terremoti, mio signore, non riusciva a ritrovare un lavoro e lui, sua moglie e i suoi figli stavano morendo di fame. Abbiamo provato ad aiutarli come potevamo, ma la situazione era grave. Poi voi lo avete assunto per lavorare nei vostri luoghi di scavo e ora stanno tutti bene. Mio signore, voi li avete salvati, li avete salvati, vi ringrazio.
Il ragazzo si posò un dito sul petto, confuso.
-I… Io?
Era una cosa stupida da dire e Galahad si vergognò immediatamente. Era, tuttavia, l’unica cosa che sarebbe potuta uscire in quel momento dalle sue labbra. Mai gli era venuto in mente che qualcuno del popolo, una persona qualsiasi, potesse avere un parere su di lui, che potesse addirittura volerlo ringraziare. Le parole dell’uomo smuovevano qualcosa nel profondo del suo animo e Galahad si ritrovò a voler indietreggiare, perché, anche se non poteva vedere l’espressione dell’altro, riusciva a percepire la sua commozione, la sua sincera e intima gratitudine. Era troppo per lui. Non riusciva a fare a meno di pensare di non meritarsi quei sentimenti e quelle parole.
Il suo volto dovette riflettere la profonda tristezza che lo colse a quel pensiero, perché Virginia gli strinse il braccio e si avvicinò al suo orecchio.
-Sai, sono felice che abbiamo incontrato quest’uomo. Hai sempre la tendenza a pensare che in tutti questi anni tu non abbia avuto alcun impatto sulla vita altrui, sebbene io ti dica spesso il contrario. Spero che mi ascolterai un po’ di più d’ora in poi.
Galahad abbozzò un sorriso e mormorò, sarcasticamente.
-Sicura di non averlo pagato tu?
Virginia ridacchiò.
-Se avessi così tanto denaro non lo userei così.
Il principe rimase in silenzio e si raccolse in sé, cercando di rimandare in fondo, almeno per il momento, tutte le emozioni che stavano vorticando dentro di lui. Ringraziò il soldato delle sue parole e gli chiese il nome del fratello di cui parlava. Si sorprese di quanto dignitoso sembrasse il tono della sua voce.
Non erano, tuttavia, entrati nel castello per farsi ricoprire di lodi e ben presto il soldato si unì ulteriormente al gruppo, il quale accompagnò Galahad nei corridoi. Il ragazzo sapeva bene che sua madre era ancora sveglia, poiché ella, fin dalla morte del marito, avvenuta quando loro figlio aveva appena un paio d’anni, aveva sempre avuto problemi di insonnia.
Non fu difficile trovarla, poiché se non era nelle sue stanze poteva stare in un unico altro luogo del castello con quasi la totale certezza.
Quando Galahad entrò dunque nella sala dove di solito la regina teneva le sedute con i propri ministri, tutti gli vennero dietro. La regina si lasciò andare a un verso di forte stupore e si avvicinò al ragazzo in tutta fretta, imbarazzata.
-Figlio mio, cosa ci fai fuori dalla torre a quest’ora?
Il giovane posò entrambe le mani sul manico del bastone.
-Ci sono delle faccende che non possono attendere, madre, e quindi sono venuto qui per discuterne immediatamente.
-Galahad, è tarda notte e ho delle faccende urgenti da sbrigare. Non puoi aspettare fino a…
-No. Adesso.
La donna balbettò qualcosa, poi si rivolse a qualcun altro nella stanza.
-Voi uscite. Preparate le cose come abbiamo detto. Assicuratevi che sia tutto in ordine entro domani mattina.
Tre uomini uscirono dalla stanza, anche se con una certa esitazione, e la regina si rivolse di nuovo al figlio.
-Tutte queste altre persone, invece, devono essere presenti nella conversazione?
Galahad scosse la testa.
-No. Rimanga solo Virginia, per favore.
Tutti obbedirono e, finalmente, madre e figlio rimasero (quasi) del tutto soli.
-Allora, cos’è ciò di cui mi volevi tanto parlare?
Galahad prese il coraggio a due mani e fece il possibile perché la sua voce continuasse a suonare ferma.
-Avete provato a far chiudere le mie ricerche, madre?
-Cosa? Ma quale sciocchezza, perché mai…?
-Ah, questo non lo so, me lo dovete dire voi. Io so solo che avevate pensato di far trovare un corpo tra le gallerie, corpo che non è stato rivenuto, e quindi il vostro piano non ha funzionato.
La regina sbuffò.
-Chi ti ha detto una cosa del genere? Non ha alcun senso.
-Dite? A me non sembra, considerando la situazione.
La voce di lei si fece gelida.
-Quale situazione?
-Avete tentato di tenermi nascosta la politica, madre, ma ci sono cose che non si possono celare. So che le nostre condizioni non sono delle più rosee e so che siete molto impegnata a preparare qualcosa di grosso, suppongo una battaglia importante. So anche che avete fatto tutto il possibile per far sì che questa guerra iniziasse e che è per questo che non volevate che io cominciassi i lavori, per non far parlare ancora delle leggende che si narrano tra il nostro popolo. Avete fatto il possibile, sperando che fosse abbastanza, ma lo è?
Lei rispose freddamente.
-Lo sarà.
-Davvero? Perché non avete aspettato la prossima primavera per iniziare? Qual era la fretta? Temevate che la gente si convincesse troppo che questo Arthur è il Re del Passato e del Futuro del quale tanto si parla, del quale tanto mi avete fatto leggere? Non l’avete nemmeno mai incontrato, non gli avete mai scritto neanche una lettera. Che ne sappiamo di cosa pensa, di quali sono i suoi piani? Non sappiamo neanche se è solo un uomo qualunque o se è davvero…
-Galahad, sei un ragazzo intelligente, sai perfettamente che quelle sono solo storie. Non sono mai accadute, nulla di quello che è narrato in queste leggende è mai successo. Due uomini hanno semplicemente scelto dei… chiamiamoli “nomi d’arte” che, guarda caso, si sono rivelati vantaggiosi. Si stanno approfittando di una fama che non appartiene loro.
-Tante cose assurde sono accadute nell’ultimo anno, però, non credete anche voi? Sfortunatamente io non vi ho assistito, visto che sono stato chiuso nella torre che voi avete fatto mettere in piedi per me, ma ne ho sentito parlare. Un drago, no? Incantesimi curiosi, elfi, profezie di altre tribù che iniziano ad avverarsi. Ho sentito anche qualcosa su dei lupi maledetti. Esattamente da quando sono spuntati fuori loro, tra l’altro. Non credete che sia tutto un po’ strano? Una coincidenza davvero singolare.
-Sono stati fortunati, niente di più, e la loro fortuna si è già conclusa.
C’era una nota di compiacimento in quella frase e Galahad sbuffò.
-Parlate della “morte” di Arthur. Per favore, non c’eravate, non sapete neanche se è davvero deceduto o meno. Anzi, probabilmente non lo è. Di Merlin non so cosa ne abbiate fatto, ma sappiamo già che non può morire.
-Dei del cielo, figliolo! Non puoi credere davvero che quell’uomo sia immortale! È una persona qualunque come te e me, non c’è differenza alcuna.
Il ragazzo alzò la voce.
-Non c’è bisogno ci sia differenza perché le storie siano vere! È questo il punto, non è necessario che non siano persone affinché siano davvero chi si dice siano.
-Certo che non devono esserlo, altrimenti uno non sarebbe immortale e l’altro non sarebbe spuntato fuori dal nulla, altrimenti quello che fanno loro potrebbe farlo chiunque!
-E certo, perché secondo voi quindi, visto che siete una persona ordinaria, tutto quello che fate voi può essere fatto da chiunque, anche dal panettiere o dal macellaio. Ce li vedrei bene a governare una tribù.
-Non significa nulla.
-Sì, perché date per scontato che le abilità che vengono loro assegnate dall’opinione pubblica non derivino dalle loro conoscenze o dalla loro istruzione o dalle loro capacità, no, devono per forza essere improprie della dimensione umana e non vi salta neanche di sfuggita nella mente che voi di loro non sapete niente perché, ripeto, non avete voluto avere fin dal principio alcun contatto!
La donna fece un verso oltraggiato.
-Galahad, non so dove tu voglia arrivare, ma sappi che ho questioni più importanti di cui discutere, non ho tempo per stare a conversare di questioni filosofiche e di dimensioni umane con un ragazzino, quindi qualunque cosa tu voglia dire, dilla chiaramente e senza mezzi termini.
Il giovane respirava affannosamente e cercò di riprendere a farlo in modo regolare. Virginia gli sfiorò il braccio con la punta delle dita, per fargli sentire il suo sostegno, ed egli rispose con chiarezza.
-Voglio vivere qui nel castello e non nella torre. Voglio tornare a essere una presenza per il nostro popolo. Voglio ricominciare gran parte dello studio che ho abbandonato anni fa, con il giusto aiuto. Voglio che ascoltiate quello che ho da dire. Voglio che non cerchiate più di boicottare i miei progetti. Voglio che prendiate in considerazione l’idea di dare una possibilità di spiegarsi ad Arthur e Merlin (e non mi venite a dire che sono morti e cose del genere, perché lo vedremo). Voglio che cerchiate anche di capire perché io e i popoli di tutta la foresta e oltre siamo così pronti a cogliere la verità di queste leggende, perché desideriamo tanto siano reali, cosa dice delle mancanze del nostro sistema di governo.
Avrebbe desiderato aggiungere che voleva anche sedersi – non si sentiva bene, non essendo abituato a stare in piedi così a lungo ormai da anni – ma non lo fece per timore che la regina non lo prendesse sul serio. Si sarebbe spinto anche fino al totale sfinimento, avrebbe resistito fino all’ultimo briciolo di forza che aveva in corpo.
La donna fece uno sbuffo.
-Sono tante cose, molte delle quali impossibili, figliolo.
-Non credo proprio lo siano, mi sembrano tutte molto ragionevoli.
-Se solo tu capissi che…
-Capirei se riprendessi gli studi che mi avete fatto lasciare, se avessi la possibilità di avere ogni informazione e non solo pezzi di notizie, se voi foste disposta a rispondere alle mie domande, se non cercaste sostanzialmente di farmi passare per morto e se avessimo un’idea ben chiara e di prima mano di chi abbiamo di fronte. E queste sono precisamente le cose che ho richiesto.
Galahad non tentennò.
Madre e figlio rimasero testardamente uno di fronte all’altro, ognuno dei due rifiutava di cedere.
Finché non udirono il primo di mille boati.
Hanbury uscì immediatamente dalla stanza, lasciandosi il figlio alle spalle senza neanche salutarlo, e iniziò a gridare ai servitori di portarle un’armatura e una spada.
Non aveva mai combattuto fuori da dei duelli di esercizio, ma avrebbe dovuto. Tutti dovevano partecipare, per assicurarsi che ogni cosa andasse per il verso giusto, una dannata volta.
E solo poi si sarebbe occupata di suo figlio e delle sue richieste assurde.

Da quando era diventato capo, Frederick non era mai riuscito a dormire bene. Non era neanche l’alba quando decise di alzarsi per iniziare a lavorare e, quando uscì dalla tenda, vide che alcuni dei Lamont e degli O’Neill erano fuori dai loro alloggi.
Il giovane  si guardò intorno, confuso, finché non vide Michael.
-Cosa state…?
-Oh, stavo appunto venendo a svegliarti.
-Ve ne state andando?
Il Lamont fece un cenno e uno dei messaggeri che Frederick aveva inviato si fece avanti. Michael lo esortò.
-Digli quello che hai detto a me.
-Entro poche ore inizierà una battaglia nel territorio Hanbury. Da essa dipenderà l’intera guerra: la conquista di quel territorio e la sconfitta dell’esercito della Città Vecchia lì stanziato sono fondamentali per la vittoria finale. Donald e Jura sono già presenti, nomadi e Niall sono in viaggio, ma è stata inviata una richiesta di aiuto: inviate uomini, per quanto possibile.
Michael ringraziò e si rivolse al giovane capo.
-Di sicuro noi non possiamo tirarci indietro. Eravamo venuti qui già armati, siamo pronti a partire. Non siamo tanti, ma faremo il possibile per fare la differenza. Per quanto riguarda te e questa città, io consiglierei di rimanere qui. L’ordine è stato da poco ristabilito e…
-Non se ne parla.
Frederick si rivolse al messaggero.
-Conosci Charles, no? Vai a casa sua e chiamalo, spiegagli la vicenda.
Il Lamont protestò.
-Frederick, devo insistere. Togliere delle guardie qui sarebbe…
-Necessario. Non ci sarà alcun ordine da difendere se permetteremo ai nostri nemici di vincere adesso. Dobbiamo assicurarci di farcela. Voi iniziate a dirigervi sul luogo, noi vi seguiremo.
Il ragazzo si voltò e iniziò a camminare spedito e Michael lo richiamò.
-Aspetta, dove stai andando?
-A svegliare tutti e ad avvisare qualcuno che dovrà rimanere qui, o che forse verrà con noi, non lo so, vedremo cosa deciderà.
-Ma di chi stai parlando?
Frederick si voltò e gli sorrise, mentre continuava ad allontanarsi.
-Secondo te Aithusa cosa vorrà fare di tutto questo?
Michael rimase un attimo perplesso, finché non ricordò il nome del drago e i suoi occhi brillarono.
Il giovane capo gli fece un cenno.
Non sapeva se sperare che Aithusa si sarebbe unito a loro o meno, l’unica cosa che sapeva era che dovevano essere lì, in battaglia, in un modo o nell’altro. L’avrebbero fatto, senza alcuna esitazione.

Arthur era rimasto smarrito più di quanto avrebbe mai ammesso quando aveva visto che in tutte le gallerie si potevano vedere tanti e tanti uomini di Camelot. Anche loro avevano una vaga luce cerulea intorno ai loro corpi, visibili solo a metà, eppure avevano una fisicità che il fantasma di Freya, per esempio, non aveva avuto.
Il biondo supponeva che il motivo fosse che quegli spettri erano stati richiamati da un incantesimo, mentre la ragazza era in tutto e per tutto uno spirito. Tuttavia, non conosceva i dettagli delle regole della magia per quell’ambito (non vedeva l’ora di chiederne a Merlin, però) e non si interrogò di più.
L’unica cosa importante era che poteva essere piuttosto certo che quegli spettri erano stati richiamati non a forza, bensì per un incantesimo che Guinevere aveva grandemente desiderato, e che qualcuno, probabilmente durante la Prova della Dea, gli aveva detto che avrebbe dovuto suonare la campana quando l’avrebbe trovata. Per quei motivi, Arthur doveva concludere che era necessario che quegli uomini lo scortassero all’esterno.
Il re provò a chiedere ai propri amici cosa doveva fare, ma quelli non potevano rispondergli. Gaius gli indicò la campana e il biondo la prese, decidendo di portarla con sé, e ricominciò a camminare, tornando indietro nel corridoio per prendere il secondo e seguire il fiume, accompagnato dall’elfo, il quale pareva nervoso, irrequieto eppure stranamente affascinato.
L’emozione e la confusione gli avevano fatto dimenticare la fame, la sete e la fatica; Arthur continuava a camminare e, occasionalmente, si voltava per vedere quella folla che lo seguiva. Guinevere era la prima, subito dietro di lui. Da lontano, udiva forti rumori, boati che riecheggiavano in ogni anfratto di quell’immenso luogo sotterraneo, e capì: molto di quello che c’era era stato tenuto in piedi dall’incantesimo che era stato posto sulla campana e sulla stanza. Comprese che non avrebbe mai più potuto entrare nuovamente e che la sua tavola sarebbe stata inghiottita dalla terra.
Solo una volta, quindi, avrebbe avuto bisogno di quegli uomini. Solo in quell’occasione avrebbe potuto combattere ancora come un tempo al fianco di quello che, in passato, era stato il suo popolo.
Il cuore si riempì di rammarico a quel pensiero, ma Arthur strinse i denti e continuò ad avanzare.
I rumori lontani di una battaglia in corso lo raggiunsero prima di ogni spiraglio di luce.
Il re si fermò, volgendo il viso altrove, gli occhi non abituati al sole, e solo quando attese abbastanza, uscì dalla terra.
Quello che vide gli fece trattenere il fiato.
Non riconosceva il territorio e capì di essere ancora dagli Hanbury. Parti della foresta erano state sradicate e una piccola porzione era in fiamme. Ovunque volgesse lo sguardo vi erano soldati su soldati, alcuni combattevano corpo a corpo, altri erano separati da metri di terreno e si sparavano da una parte all’altra. Era una battaglia disordinata e caotica; era chiaro stesse diventando questione non di abilità, bensì di logoramento, poiché i danni e il numero di corpi a terra facevano intendere stesse andando avanti da più di quanto fosse necessario.
L’apertura nella terra dalla quale Arthur era fuoriuscito era su una collina e da lì il re riusciva a vedere dall’alto quello che stava accadendo su un versante, ma i suoni e alcuni movimenti sospetti gli facevano pensare che la battaglia si stesse svolgendo anche in luoghi che lui, da lì, non riusciva a intravedere. Assottigliò lo sguardo e notò dei Donald, riconoscibili dalla loro divisa, ma anche un piccolissimo gruppo che sembrava essere dei Niall, a giudicare dalla formazione che avevano assunto, una che aveva già visto durante gli attacchi dei cani del crepuscolo. L’altra fazione erano Hanbury e dei Macbeth. C’erano altri uomini che Arthur non riconosceva, alcuni forse dei nomadi, altri della Città Vecchia, altri ancora non era sicuro.
Il biondo udì un ruggito che gli fece tremare le membra e vide Aithusa alzarsi in volo in lontananza. Un altro grande gruppo di uomini era appena arrivato e si stava riversando in mezzo agli altri, diviso in diversi drappelli. Arthur sorrise, capendo che erano sicuramente i suoi. Si chiese se fossero riusciti a ritrovare Merlin e se il mago fosse tra di loro. Il pensiero che il moro potesse stare lì senza di lui in una situazione tanto pericolosa lo riscosse.
Il re si osservò la collana, vedendo che il cristallo era ancora limpido, e si ripromise di continuare a controllarlo. Non aveva un’armatura, ma Excalibur era al suo fianco, avrebbe potuto fare qualcosa.
Posò a terra la campana e si rivolse agli spettri che stavano attendendo. Era per questo che erano lì? Possibile che tutto si fosse svolto in maniera così chiara e precisa? Persino quando Merlin gli aveva raccontato di tutte le cose accadute a Camelot, aveva sempre fatto narrazioni intense e complesse, invece in quell’istante tutto sembrava ordinato e puntuale. Arthur non poté fare a meno di chiedersi se non fosse un inganno, ma si riscosse vedendo i volti dei suoi amici, che lo osservavano sì, in silenzio, ma non con freddezza. Quelle erano le stesse espressioni che il biondo si era sempre trovato di fronte, non poteva sbagliarsi. Arthur non li avrebbe delusi.
Normalmente il re avrebbe parlato a voce alta e solenne, come aveva sempre fatto, e invece scoprì che non ci riusciva. Quel momento non era solo di un comandante e i suoi uomini, bensì qualcosa di intimo e abissale, che sarebbe rimasto nel cuore di Arthur per sempre.
-Avete voluto essere al mio fianco anche dopo secoli, dimostrandomi non solo la vostra lealtà, ma il vostro amore. In nome di ciò che ci unisce reciprocamente, sarà un onore per me combattere al vostro fianco un’ultima volta.
Gli occhi degli spettri dei suoi amici si fecero umidi e il re si trattenne dal ricominciare a piangere (non avrebbe mai potuto in quel momento). Riprese in mano la campana.
-Sarete in grado di riconoscere i nemici dagli amici?
Guinevere si fece avanti e annuì, rivolgendogli quel sorriso particolare che solo lei sapeva fare, con quella scintilla che faceva intuire che lei sapesse ben più cose di quanto Arthur avrebbe potuto pensare.
Il cuore del biondo si strinse ancora quando si rese conto che quella sarebbe stata probabilmente l’ultima volta in cui avrebbe visto quella piega sulle labbra, quella luce negli occhi. La sua bocca tremò ed egli chiuse gli occhi, respirando a fondo. Poi, fece risuonare la campana.
Non sapeva quanto distante fosse andato il suono, ma quando riaprì gli occhi notò che molti sguardi erano rivolti in alto, verso la porzione di collina da dove i rintocchi erano partiti.
Per secoli si sarebbe narrato del modo in cui l’intero rilievo si era coperto di un azzurro acceso e penetrante, come se una cascata fosse fuoriuscita da esso. Gli spettri si muovevano fluidamente, un drago dorato brillava sui loro mantelli, i loro corpi ben meno solidi delle loro armi. Il grande numero sarebbe rimasto nella leggenda, così alto da sembrare impossibile.
E Arthur era con loro. All’inizio chi lo riconosceva pensava fosse anche lui uno spirito, venuto dall’Aldilà per aiutare il suo popolo e i suoi alleati in difficoltà, ma non era così. Era un corpo fisico e forte, sebbene debilitato dai lunghi giorni nelle caverne. Se fosse stato chiunque altro, probabilmente non sarebbe sopravvissuto, ma era il Re del Passato e del Futuro e la sua abilità fece sì che riuscisse a combattere poco sconfiggendo molti.
L’accampamento della Città Vecchia fu raso al suolo dal drago, le fila nemiche abbattute dalle tribù unite in rivolta. Si disse che un vecchio spirito guaritore si aggirasse sul campo di battaglia, guarendo i feriti dai loro mali, salvando così tempestivamente molte vite.
Si disse che la campana, abbandonata in cima alla collina, ritmicamente rintoccasse in ogni dove, mossa da una donna meravigliosa che la teneva in movimento, forse uno spettro anch’ella o forse una fata, visto che un elfo minuto e luminoso la accompagnava nell’impresa. Un valoroso cavaliere faceva da guardia, impedendo a chiunque di avvicinarsi troppo, e i due si scambiavano sguardi di intesa e nostalgia, come se il ricordo l’uno dell’altro non fosse mai passato del tutto.
Tante altre parole sarebbero state spese sul momento nel quale Arthur riuscì a rincontrarsi col popolo che era stato costretto a lasciare. Frederick, non appena lo vide, dimentico della battaglia, si inchinò.
“Sono così felice di rivederti”, disse, e l’altro rispose con un semplice “Anche io” prima di abbattere un nemico che si stava avvicinando un po’ troppo e chiedere.
-Hai trovato il documento per l’eredità?
Frederick sorrise.
-Sì.
-Quindi sei stato tu il capo mentre io non c’ero.
-Sì, ma non appena tutto questo sarà finito ovviamente lascerò l’incarico per dare al popolo il suo legittimo capo.
Arthur rise, facendogli una proposta.
-A questo punto potresti avere un ruolo più importante. Non so quale, lo inventeremo per te, ma dobbiamo fare in modo che tu non ritorni esattamente a essere un consigliere dopo che hai governato per giorni sul tuo popolo. Per riconoscere ufficialmente che ti ho scelto, insomma. Mi sembra giusto.
Frederick annuì.
-Se lo desideri.
I due combatterono fianco a fianco, poi il giovane chiese.
-Ci era stato detto che eri morto. Per curiosità, dove sei stato tutto questo tempo?
Arthur borbottò.
-Ehm… È una storia lunga. Ve la racconterò a tutti quando avremo vinto e avremmo bevuto fino al mattino.
Frederick rise quasi istericamente, tanto felice di rivedere l'altro da percepire i muscoli praticamente muoversi da soli, e ricominciò a concentrarsi sulla battaglia.
Fu allora che qualcuno si gettò su Arthur con tutta la forza che aveva in corpo. Il re si scansò con agilità e provò a colpire l’avversario, senza riuscirci. Lo sconosciuto tentò un affondo un po’ maldestro e Arthur lo evitò senza problemi, colpendolo alle spalle con il piede per farlo cadere. Quando l’elmo scivolò dalla testa, il biondo si rese conto di avere di fronte una donna non molto giovane e subito si immobilizzò. Lei lo guardò con un furore indicibile e alzò di nuovo la spada, lanciandoglisi addosso. Arthur la evitò, ma lei non si arrese e continuò nei suoi infruttuosi tentativi. Il biondo si stava stancando, perché la carenza di cibo e di un sonno decente iniziava a farsi sentire nonostante l’adrenalina, ma non poteva permettersi di fermarsi per non farsi ferire. Non voleva ucciderla, anche se capiva bene che non avrebbe avuto altra scelta e che la donna non sarebbe stata contenta finché non l’avrebbe visto morto.
Già una volta aveva esitato, con Mordred, e gli era costata la vita, il suo popolo, e tanti anni di sofferenza e di silenzio per Merlin. Non avrebbe permesso che accadesse di nuovo e non avrebbe rischiato, anche se sospettava che qualunque ferita non avrebbe avuto alcun effetto mortale. Si preparò per sferrare un colpo che di sicuro l’avversaria non avrebbe potuto parare, in quanto evidentemente molto meno esperta di lui, ma ella improvvisamente si bloccò e sbarrò gli occhi, cadendo a terra. Arthur vide del sangue colarle dalla testa e non capì. Quando alzò lo sguardo, non c’era nessuno nelle vicinanze, poi notò che qualcuno da lontano gli stava facendo un cenno.
Il biondo vide una strana struttura con una sorta di lungo e stretto cilindro attaccato, probabilmente una macchina o qualcosa del genere, e sul dorso c’era il simbolo della Città Vecchia. Sopra, però, c’era solo il cadavere del soldato che doveva aver guidato quell’aggeggio fino a poco prima e una donna, che, posata la pistola con la quale aveva sparato, si stava sistemando una massa di capelli nerissimi.
Arthur rise, riconoscendo Delilah, e si disse che non vedeva l’ora di ringraziarla – era strano come persino una persona non proprio tollerabile come la regina dei Donald gli fosse mancata in quei giorni di solitudine sotto terra.
La battaglia non durò ancora a lungo e tutto finì nel giro di qualche minuto. Una metà dell’esercito delle tribù alleate rimase all’accampamento della Città Vecchia per essere sicuri che nulla di strano potesse accadere e che la terra fosse ufficialmente riconosciuta come conquistata, mentre un’altra metà marciò insieme agli spettri fino alle mura della città degli Hanbury, accompagnata dal rintocco della campana. 
Si ritrovarono di fronte alle porte della fortezza al tramonto e, nonostante quello che si erano aspettati, non ci fu alcuna conquista, alcuna occupazione militare. Uscì fuori un ragazzino che si reggeva su un bastone che usava ogni tanto per tastare il terreno di fronte a sé, accompagnato da una fanciulla di evidenti umili origini e alcuni uomini più grandi.
Disse di chiamarsi Galahad, di essere il principe di quel popolo, e pretese un incontro privato con chiunque fosse a comando.
Arthur si fece avanti, proclamando la propria identità, e il sorriso soddisfatto che sfuggì sul volto del ragazzo fu impossibile da non notare.
I due reali si incontrarono a metà strada e iniziarono a parlare tra di loro. Era chiaro che il giovane non aveva un’idea precisa su come portare avanti una conversazione di quel genere, ma fortunatamente per lui Arthur non aveva intenzione di approfittarsene, soprattutto visto quello che gli era stato detto tempo prima sul principe in questione.
Si accordarono che avrebbero atteso il ritorno della regina, la quale era partita per il campo di battaglia e non era tornata. Arthur fece presente che c’erano pochi sopravvissuti, ma concesse fino alla mattina successiva.
Hanbury non sarebbe tornata mai e solo dopo un attento esame su tutti i morti della battaglia avrebbero scoperto che era stata uccisa con un colpo di arma da fuoco che l’aveva presa dritta alla testa, con una precisione da cecchino esperto. Arthur l’avrebbe riconosciuta subito come la donna che lo aveva aggredito e Delilah avrebbe confermato di aver invece capito che era lei da lontano e di aver sparato esattamente per quel motivo.
Per il momento, tuttavia, non era ancora il momento del cordoglio e delle condoglianze, del lutto del popolo e dell’incoronazione di Galahad, e l’esercito iniziò ad accamparsi lì, alle soglie della città degli Hanbury, in attesa.
Il biondo si rivolse agli spettri che erano stati tanto fondamentali per la vittoria e raccolse intorno a sé i membri di quella che era stata la sua Tavola Rotonda. Li osservò uno per uno, ben sapendo che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto il loro viso, e cercò di scolpirselo nella memoria fino al dettaglio più insignificante.
-Amici miei, avete svolto il vostro compito. Non so come potrò rendere onore al vostro coraggio, alla vostra devozione. Spero di potervi rivedere un giorno e di poter…
La voce di Arthur si incrinò e il re alzò il capo verso l’alto, sperando che le lacrime non scendessero sul suo viso. Riuscì solo a strapparsi dalle labbra un "Riposate in pace".
Guinevere avanzò e gli tese la campana, ed egli la prese, dopo un attimo di esitazione. Ella gli sorrise.
Arthur abbassò la testa. Mormorò.
-Non ho mai smesso di amarti, neanche per un secondo. Mai.
Era vero. Tutto il tempo che aveva passato su quella nuova terra non aveva affievolito ciò che provava per lei. Sarebbe stata la sua regina per sempre, qualunque cosa fosse accaduta. Anche se non c’era più. Anche se aveva scoperto di non amarla più di ogni altra persona. Anche se non erano due facce della stessa medaglia.
Lei parve capire ciò che Arthur aveva sottinteso, il senso profondo di quelle parole. Le accettò e, per un attimo, il re pensò che lei gli avrebbe dato un ultimo bacio. Invece sparì, lentamente, come era apparsa in quella strana stanza nelle profondità della terra, e, dopo di lei, anche gli altri spettri si affievolirono, uno dopo l’altro, finché solo un guizzo d’oro dello stemma dei Pendragon rimase nell’aria e, poi, neanche più quello.
Il biondo rimase immobile a elaborare la nuova perdita, portandosi una mano al cuore, come se potesse così sostenerlo. Si voltò verso Frederick, che aveva osservato il tutto con aria sbalordita. Gli chiese, con una tristezza pesante addosso.
-Dov’è Merlin?
Se possibile, il ragazzo impallidì ancora di più.

Gregory entrò nella stanza della figlia, nervoso, pronto ad annunciarle che Merlin non sarebbe più venuto e che avrebbero continuato con i consigli che egli aveva già dato loro sperando per il meglio, quando sobbalzò, notando una figura vicino al letto di lei.
Lo stregone alzò lo sguardo e gli sorrise.
-Ah, mi chiedevo quando saresti arrivato. Mi sono fatto portare un po’ di erbe per alleviarle l’infiammazione alle gambe.
Gregory boccheggiò e si portò una mano alla pancia.
-Sei… Sei tornato.
-Avevo detto che vi avrei aiutati, no?
-Beh, sì, ma io pensavo che…
-Pensavi male.
Merlin si rivolse di nuovo alla fanciulla, la quale stava osservando il padre con aria incuriosita e sorpresa dalla sua reazione, e le chiese di avvertirlo se la mistura le bruciava troppo, ma lei gli disse che era, anzi, una sensazione piacevole.
Gregory si sedette in silenzio accanto alla figlia e le accarezzò la testa; sbirciò il lavoro del moro e notò come la pelle della ragazza avesse già un colorito più sano. Non poté fare a meno di pensare che davvero ella avrebbe potuto guarire, che non si stavano solo illudendo di nuovo.
Quando Merlin era stato fatto trasportare lì, era stato convinto che egli non potesse usare la sua magia, ma poi aveva scoperto che non era così. Il fatto che lo stregone non avesse distrutto gli edifici o ucciso le guardie e il fatto che si stava davvero impegnando per la guarigione di sua figlia parlavano più di ogni altra cosa che era stata detta da quegli sciocchi uomini che il Governatore gli aveva affiancato. Gregory non era mai stato propriamente uno scettico, ma era stato di sicuro sospettoso del potere che si diceva fosse in mano allo stregone e aveva sempre creduto che la sua indole dovesse essere l’oggetto del loro esame.
Merlin non aveva dimostrato neanche un briciolo di malvagità da quando stava lì, né di desiderio di potere, né di superbia o arroganza. Vedendolo che sorrideva piano a sua figlia, Gregory si sentiva sicuro che non fosse minimamente pericoloso.
E se non lo era lui, il mago più potente che ci fosse sulla terra, a maggior ragione non potevano esserlo gli altri.
Il consigliere credeva davvero, per la prima volta da un anno, che fosse possibile convivere con la magia in armonia e serenità, e, insospettabilmente, aveva addirittura iniziato a desiderarlo.
Sapeva bene che il Governatore, però, non lo avrebbe ascoltato, ottuso com’era, come anche sapeva che, non appena sarebbe arrivata la risposta al messaggio che gli altri gli avevano inviato, Gregory se ne sarebbe dovuto andare e avrebbe perso tutta la propria influenza. Non sapeva dove sarebbe andato da quel momento in poi, ma l’idea che potesse essere un mondo di pace lo faceva sentire soddisfatto, felice, fiducioso per il futuro della sua bambina.
Il consigliere si guardò le mani, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare perché le sue speranze potessero avverarsi. I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore alla porta e Merlin si voltò insieme a lui.
Gregory si schiarì la voce.
-Avanti.
Uno dei suoi soldati personali aprì.
-Scusatemi, c’è un… un uomo che vorrebbe parlare con lei.
Gregory lo osservò confuso.
-Che uomo è?
-Ehm… Ha una luna tatuata sulla fronte.
-Una luna?
Merlin aprì le labbra e intervenne.
-Uno Jura.
Il consigliere ripeté sbalordito quella parola e il mago gli mormorò.
-Forse conviene sentire cosa vuole.
Gregory si alzò e uscì con il proprio soldato, lasciando sua figlia in quelle che aveva capito ormai essere buone mani, e si avviò verso un’altra stanza. Un giovane uomo con il tatuaggio di cui gli era stato accennato e una lunga tonaca violacea stava attendendo.
Il consigliere chiuse la porta dietro di sé e avanzò.
-Chi è lei?
Lo Jura gli sorrise.
-Sono Jasper, messaggero della nostra somma sacerdotessa Jura. Sono stato inviato fin qui per penetrare nelle prigioni e recuperare Emrys, ma ho saputo quello che è accaduto questa mattina e ho pensato che potremmo ricavare un vantaggioso accordo.
-Emrys?
-Forse voi lo chiamate comunemente Merlin.
-Sì, sì…
Gregory assottigliò lo sguardo e osservò il volto onesto del giovane. In realtà, il suo vestiario lo metteva un po’ a disagio, ma cercò di non far notare il proprio imbarazzo. Ripensò al fatto che presto non avrebbe avuto più potere, né ricchezze, e che avrebbe potuto rischiare addirittura di più quando il Governatore avrebbe saputo tutto. Fece un cenno verso una sedia.
-Si accomodi, Jasper, e mi spieghi meglio: di quale accordo vuole discutere?
Il giovane si sedette e iniziò a descrivere la sua proposta.

Ci vollero altri quattro giorni perché Merlin rivedesse i contorni delle mura della città degli Arthur. Jasper e gli agenti Jura che si era portato dietro, Gregory e sua figlia, la quale stava ogni giorno meglio, erano venuti con lui.
Non appena il moro venne avvistato dalle guardie, queste iniziarono a richiamare la popolazione, che accolse il suo sciamano ritrovato con grande gioia e calore, riversandosi nelle strade, applaudendo, cantando, lanciando petali e muovendo scialli.
Merlin si preoccupò, vedendo i loro volti stanchi, e si rallegrò allo stesso tempo di vederli così commossi e felici. Era un affetto quasi familiare, che gli fece venire un nodo di commozione alla gola, eppure non era ancora arrivato a casa. Edith in particolare gli saltò al collo e iniziò a piangere, baciandogli le guance. Stringendola, lo sciamano si rese conto che ella era dimagrita molto; gli sembrava invecchiata sotto molti aspetti, quasi più spenta, e si chiese dove fosse Edward, che di sicuro avrebbe saputo spiegargli quel cambiamento così forte. Dovette vedere che anche Evan e Harry erano distrutti per capire che qualcosa era andato storto, che si era assentato troppo a lungo. Si sentì così in colpa che gli ultimi passi li percorse lentamente, incapace di comprendere quale tragedia avesse colpito quel popolo affinché Edward se ne andasse. Pensò all'ultima volta che lo aveva visto. Desiderò averlo salutato meglio, avergli detto quanto era stato importante in quell'anno, ma non lo aveva fatto. Era ormai abituato a perdere chi amava, al lutto, eppure ogni volta era un colpo al cuore, un dolore inestinguibile. Ma quando Arthur intravide finalmente la figura di Merlin e gli andò incontro, il mago gli donò uno dei suoi sorrisi più belli, correndo verso di lui, e i due si abbracciarono e si baciarono, ridendo. Ognuno iniziò a controllare ogni parte del corpo dell’altro per assicurarsi che i cristalli avessero davvero funzionato, che nulla fosse fuori posto, poi Arthur prese l’altro in braccio e lo portò nella tenda centrale, dove li attendeva un pasto adatto a dei re.
I due si narrarono tutto quello che era accaduto, spaventati dal fatto che avevano entrambi dato per scontate cose non vere (che Arthur fosse al villaggio uno e che Merlin fosse stato recuperato l’altro). Si rattristarono per le persone che avevano perso, in particolare Edward, e si ripromisero di organizzare un'altra cerimonia cui prendere parte. Il biondo evitò di spiegare bene come aveva fatto a sopravvivere: pensava che il mago potesse sentirsi schiacciato dalla consapevolezza che effettivamente Arthur era morto di nuovo, quindi decise di non dire nulla per il momento e di offrire un racconto piuttosto confuso. Gli raccontò, invece, della campana, e Merlin rimase esterrefatto alla notizia e al sapere delle nuove conquiste territoriali, tanto stupito che, non appena ebbe terminato di mangiare, volle andare a conoscere l'elfo e a incontrare Aithusa per rimproverarlo di non avergli detto nulla.
Quel giorno stesso, i due incontrarono anche Galahad ufficialmente. Fu un colloquio piuttosto breve e  formale, eppure tutti i presenti se lo sarebbero ricordato per la piacevolezza della conversazione. La cosa che più stupì Merlin, però, fu che il giovane non accennò mai alla possibilità che il mago lo guarisse dalla zoppia o dalla cecità e persino quando il moro cercò di immettere nella conversazione qualche informazione sulle proprie grandi qualità mediche, Galahad sorrise soltanto, facendo considerazioni su quanto dovesse essere utile per il popolo. In seguito, a cena, il ragazzo gli avrebbe spiegato che aveva impiegato così tanto tempo a farsi una ragione della propria condizione che ormai era diventata profondamente parte di lui e che, per il momento, non desiderava cambiarla. Forse, gli rivelò, era anche un po’ l’insicurezza che gli dava l'idea di trovarsi di nuovo nel pieno delle proprie facoltà fisiche, l’ansia che provava al pensiero che avrebbe potuto scoprire che, in fondo, non avrebbe apportato nulla di più a se stesso di quanto già non avesse. In futuro forse avrebbe richiesto a Merlin un aiuto, ma per il momento gli andava bene così.
Il mago ascoltò anche il suo dolore per la morte della madre, un dolore che il ragazzo non riusciva totalmente a spiegarsi e che pure era presente insieme alla consapevolezza che si erano separati in disaccordo, in maniera amara. Galahad era di sicuro un ragazzo dalla grande sensibilità e dal grande bisogno di una guida: era stato lasciato da solo con se stesso troppo a lungo. Merlin si ripromise di scrivergli spesso e di assicurarsi che coloro che, per il momento, stavano consigliando il giovane nuovo re fossero tutte persone con davvero gli interessi degli Hanbury in mente.
Lo sciamano e il capo offrirono al ragazzo, oltre alle le loro condoglianze per la morte di sua madre, degli aiuti affinché riuscisse a rimettere in piedi il popolo – ormai un nuovo alleato – con una certa rapidità.
Arthur incontrò anche Gregory. I due parlarono molto e si ritrovarono d’accordo su tante di quelle cose che, vedendoli, qualcuno avrebbe potuto pensare che si conoscevano da molto tempo. Discorsero anche dei cambiamenti che la Città Vecchia avrebbe apportato ai propri piani, sapendo che un consigliere aveva, ormai, cambiato fazione. La situazione si stava facendo davvero misera per quella potenza che, fino a quel momento, era sembrata tanto forte sull’intera regione.
Ma fu solo quando Arthur e Merlin poterono finalmente ritirarsi per rimanere da soli che i due si sentirono davvero soddisfatti e felici.
Nell’oscurità della parte più interna della tenda, Merlin gemette piano quando i denti di Arthur sfiorarono la pelle delicata vicino al suo orecchio. Il mago si lasciò coccolare, poi accarezzò il viso dell’altro e posò un bacio sulle sue labbra, sulla fronte e le guance.
-Quanto mi è mancato il tuo volto…
-Solo il mio volto?
Merlin abbassò il capo, adocchiando il suo corpo nodo.
-Anche qualcos’altro non è male, passabile, dai.
Arthur arrossì.
-Merlin, questo doveva essere un momento romantico.
-Oh, scusatemi, mio amore, volevate anche dei fiori?
-Beh, ora che li nomini, sì, li avrei graditi.
Il mago lo baciò ancora, mordendogli piano il labbro inferiore e, quando allontanò il viso, Arthur riaprì gli occhi per ritrovarsi un mazzo di rose rosse in mezzo ai loro corpi. Merlin ridacchiò, mentre i suoi occhi tornavano del loro solito blu.
-Questi vanno bene?
Il biondo mimò l’espressione che aveva avuto prima l’altro e mormorò un “Passabili”, sperando che il rossore delle sue guance non tradisse la sua soddisfazione. Arthur li annusò e, quando vide che Merlin cercava di allungarsi il più possibile per baciarlo ancora senza schiacciare i fiori, li spostò, permettendo alle loro labbra di incontrarsi ancora. Le sue mani scivolarono sulla schiena candida del moro, stringendo leggermente quando giunsero alle natiche, e l’altro si inarcò per avvicinarsi di più.
Non era precisamente loro intenzione spingersi troppo oltre, perché erano stanchi, tanto stanchi, e perché desideravano riscoprire l’altro dopo che non si erano visti né toccati così a lungo, godendo anche solo semplicemente del calore e del profumo dell’amante, del sapore della pelle lavata da poco.
Entrambi erano dimagriti dall’ultima volta in cui avevano fatto l’amore ed era un dettaglio che quasi li disturbava, perché Merlin era diventato più spigoloso e Arthur meno solido e riconoscevano ogni singolo dettaglio che era cambiato improvvisamente.
I loro bacini si scontravano con lentezza e i loro bassi gemiti erano interrotti solo dal rumore di baci forse un po’ troppo umidi e da sospiri sottili.
In altre occasioni quella calma sarebbe sembrata una tortura, ma non in quel momento. Avrebbero avuto tempo la mattina dopo per il furore, quando Arthur si sarebbe spinto nel corpo dell’altro con abbandono, chiedendosi irrazionalmente come aveva fatto a sopravvivere senza per tutti quei giorni, e quando Merlin avrebbe ricambiato prima di pranzo, stringendo tra le mani quelle cosce forti, amando sentirle intorno ai suoi fianchi. Avrebbero avuto tempo dopo essersi riscoperti e dopo aver ricordato quanto fosse bello desiderare che il momento si inchiodasse e che non sfuggisse dalle loro dita.
Solo dopo essersi rassicurati a vicenda del fatto che niente era cambiato, che, anzi, tutto ciò che c'era stato tra di loro era divenuto più solido e indelebile.
Una curiosa notizia era arrivata a sera del giorno dopo. Macbeth era fuggita, portandosi dietro parte del suo esercito, e aveva trovato forse rifugio dagli agenti della Città Vecchia. Probabilmente desideravano organizzare un altro attacco e non ci sarebbero riusciti se avessero perso troppi uomini in quello che poteva diventare un vero e proprio assedio. La sorpresa migliore, tuttavia, non era ancora stata scoperta. Il popolo di Macbeth, infatti, abbandonato dalla propria regina, accolse con grande gioia l’arrivo di Arthur e decise di eleggerlo come nuovo monarca del territorio. Il biondo accettò la proposta con gioia, già immaginando tutti i cambiamenti che sarebbero stati fatti per unire anche quell’ultimo popolo agli altri due.
Le altre tribù acconsentirono alla cosa, dicendogli che, dopo l’incoronazione, avrebbero voluto parlargli di un’idea che era venuta loro chiacchierando insieme. Sembravano entusiasti e Arthur non provò a rovinare loro il gusto della sorpresa, troppo preso dai preparativi.
Quando arrivò l’alba del giorno dell’incoronazione, Merlin lo aiutò a vestirsi con gli abiti che erano stati preparati per l’occasione e lo pettinò. Il suo aspetto, pensava il mago, non era mai stato tanto regale e luminoso e un sorriso dolce gli incurvava le labbra.
Il moro abbassò il capo.
-Perché mi guardi in quel modo?
Arthur non negò di avere un’espressione particolare, anzi, gli prese le mani.
-C’è una cosa che vorrei chiederti.
Merlin rise.
-Sì, Arthur, diventerò il tuo Mago di Corte o come vuoi che si chiami. Insomma, come sono stato finora, sostanzialmente.
Il biondo incurvò le sopracciglia.
-Cosa? Io non… Insomma, non volevo dirti questo. È ovvio che tu debba essere il mio esperto in cose magiche.
-Ah. Non so, sei rimasto sempre legato ai titoli ufficiali, quindi ho pensato che…
-Non importa, non è questo quello che desidero chiederti comunque.
-E allora cosa…?
Arthur guardò altrove, imbarazzato.
-Sai che tra un paio di settimane sarà la Notte delle Stelle, no?
-Sì.
-E sai anche che ci sono dei doveri che dovremo svolgere. Doveri importanti.
-Mi vuoi dire che devo iniziare a preoccuparmi dei preparativi? Perché, davvero, sai quante cose sto facendo adesso per tutta questa questione delle tribù unite e per la nuova alleanza con gli Hanbury?
Arthur alzò gli occhi al cielo.
-No, Merlin. Ho solo pensato che…
Sospirò e si allontanò, prendendo una scatolina. Ne tirò fuori un lungo nastro intessuto di fili dorati. Si avvicinò al mago.
-Ho visto questo e ho pensato che… Che quest’anno potremmo anche ufficializzare, no? Già tutta la nostra prima tribù ci considera sposati, in ogni caso, e sono stanco che in passato alcuni abbiano sparlato della nostra relazione, non sapendo precisamente in cosa consistesse. E poi per me…
Arthur si morse il labbro prima di continuare.
-Beh, insomma, lo sai.
Merlin guardava il nastro con gli occhi sgranati, boccheggiando in silenzio, e il biondo spostò il peso da un piede all’altro, imbarazzato e nervoso dalla mancata risposta.
-C’è… C’è qualcun altro per te?
Merlin lo guardò e sentì gli occhi inumidirsi di lacrime.
-Non c’è mai stato nessun altro a parte te, Arthur.
Il biondo strinse le labbra, trattenendo l’emozione, e posò il nastro sopra le mani del mago, tenendole tra le proprie.
-Allora penso che ce lo meritiamo, amore mio.
La luce riflessa negli occhi di Merlin parve vibrare e le sue labbra tremarono dolcemente. Due lacrime scesero sul suo viso, una per guancia, mentre si sporgeva a posare un bacio sulla fronte di Arthur. La pelle del re poté sentire le labbra dell’altro squarciarsi per lasciar sfuggire un singhiozzo silenzioso. Gli prese le mani e se le portò alla bocca, sfiorò le sue lunghe dita e le sue nocche, fino ad arrivare ai dorsi. Le girò, posandosi un momento sui suoi palmi caldi. Arthur alzò lo sguardo e vide solo i grandi occhi, umidi e blu, di Merlin. Permise a un sorriso di tingergli le labbra, prima di posarle su quelle del moro.
L’uomo gli cinse il collo con le braccia, sospirando nel bacio. Arthur ci mise tutto il bisogno di lui che sentiva.
Merlin non avrebbe mai sperato di sentirsi chiamare in altro modo se non con il proprio nome e qualche insulto più o meno divertito. Sapeva che il suo re, in passato, aveva parlato qualche volta con Gwen in modi così affettuosi, ma con lui non era ancora mai capitato. Si sentiva così felice da poter esplodere e avrebbe voluto fare qualche battuta per difendersi da quei sentimenti che lo travolgevano, ma nulla gli usciva. Poteva solo pensare a quando le sue mani sarebbero state chiuse in quelle di Arthur, circondate dal nastro che egli gli aveva mostrato. In cuor suo, una voce maligna tentava di sussurrargli che l’altro se ne sarebbe pentito, che per un po’ sarebbe andata bene, ma che non poteva andare avanti per sempre, ma Merlin la zittì.
Il suo re non aveva mai fallito una promessa. E aveva totale fiducia in lui.
Il mago ridacchiò quando sentì le mani del biondo sollevarlo per farlo sedere sul tavolo. Il loro bacio si fece più intenso e profondo, mentre Merlin già proseguiva ad aprire all’altro la cintura che gli aveva appena chiuso, quando qualcuno bussò alla porta.
La voce di Jasper li chiamò da dietro il legno.
-Miei signori? Siamo tutti pronti, vi stiamo aspettando.
Judith, accanto a lui, lo sgridò silenziosamente.
-Non credi di essere stato un po' scortese? Non devi mettere fretta, che figura mi fai fare?
Josephine, anche lei presente, alzò gli occhi al cielo.
I due uomini non si staccarono subito e quando Arthur riuscì a separarsi dalle labbra dell’altro gridò.
-Stiamo arrivando.
Merlin sorrise e lasciò che le mani scorressero sul petto dell’altro.
-Credo che dobbiamo fermarci qui. Stasera avremo l’occasione per festeggiare a dovere sia l’incoronazione che… che la nostra unione.
Arthur chiuse gli occhi e raggruppò in sé tutta la forza di volontà che aveva in corpo per allontanarsi. Merlin gli ridiede il nastro da mettere nello scrigno apposito e il biondo gli parlò con voce quasi minacciosa.
-Sarà difficile aspettare, ma mi consolerò al pensiero che potremo andarcene prima dalla festa di stasera e qualcosa mi dice che non avrò molta voglia di smuovermi dal letto per tutta una giornata.
Il mago sbuffò.
-Pensi di durare tutta una giornata? Arrogante.
Arthur ghignò.
-Beh, credo proprio che non avremo problemi e che non avremo neanche bisogno dei tuoi assi nella manica, onestamente.
I due si diedero un ultimo bacio veloce, a fior di labbra, poi Merlin scese dal tavolo. Il re gli fece cenno.
-Tu vai intanto. Io rileggo un attimo il mio discorso e arrivo.
Il mago annuì e uscì dalla stanza, fermandosi un attimo per riprendersi e per ricominciare a sentire le gambe prima di dirigersi verso la sala del trono.
La stanza era gremita di persone da ogni tribù della foresta, Aithusa era affacciato a una delle enormi finestre insieme all’elfo e a Bwbach e anche tutti i capi erano presenti ad assistere. Merlin si diresse verso la zona adibita proprio a loro e si sedette accanto a Donald, il quale si spostò un poco per fargli spazio.
-Tutto a posto, Merlin?
-Oh, sì sì, Arthur sta rileggendo il discorso.
L’altro re annuì comprensivo.
-Capisco. In ogni caso un paio di minuti di ritardo sono perdonabili.
Il moro guardò gli altri sovrani, quasi tutti sistemati, e gli chiese.
-Ho visto che stavate parlando e sembravate piuttosto concitati.
Donald si avvicinò e iniziò a mormorare.
-Stavamo parlando dell’idea che ci è venuta in mente. Penso di poterti anticipare qualcosina, così ne possiamo discutere con Arthur con più calma in futuro.
-Adoro le anticipazioni. Dimmi pure.
Il re parlò a voce ancora più bassa.
-Abbiamo pensato che per far fronte comune contro la Città Vecchia quando attaccherà ancora ci conviene che i nostri accordi siano solidissimi e conosciuti a tutti, quindi abbiamo pensato di creare forse una confederazione di tribù o una cosa del genere. Stavamo parlando del nome.
-Il nome?
-Sì, perché Nicholas e Theodora propongono qualcosa di totalmente nuovo, Delilah vorrebbe un nome che riprenda in particolare gli stati che erano in questo territorio prima della guerra, ma non sono entusiasta. O’Neill dice che secondo lui qualcosa di molto descrittivo, come un semplice “Tribù unite”, può bastare. Io ho l’idea migliore, secondo me, infatti Judith e il giovane Galahad sono d’accordo con me.
Merlin alzò un sopracciglio.
-Ossia?
Donald si schiarì la voce e accompagnò il nome con un gesto della mano.
-Albion. Che te ne pare? Secondo me è bellissimo, perché ha un bel suono, è molto antico e un tempo non comprendeva solo questa zona, così che se qualcun altro si volesse unire… Ma stai bene? Sei impallidito, non ti piace?
Merlin scosse la testa e ripeté due volte la risposta, perché all’inizio gli era uscita roca e quasi incomprensibile.
-No, lo adoro.
L’altro sorrise.
-Lo sapevo che avresti capito. Ora tocca solo convincere gli altri e Arthur, ma sono sicuro che Albion vincerà alla fine. È rimasto inutilizzato da troppo tempo. A Delilah penso io, ovviamente.
Il re allungò la mano, prendendo quella della moglie e le rivolse un sorriso tenero. Quell'atto di affetto così aperto in una situazione ufficiale sarebbe stato un tempo sospetto a Merlin, il quale però, stordito, si risvegliò solo quando il silenzio calò nella stanza.
Il nuovo re aveva appena fatto il suo ingresso e aveva iniziato a camminare lentamente fino al trono. Si voltò verso la folla, guardandola tutta. Era composto, solenne, e dei dignitari vennero a incoronarlo e a chiedergli della promessa di proteggere quel popolo come se fosse stato il suo. Arthur accettò e promise ufficialmente.
Non appena l’oro toccò il capo del biondo, la folla proruppe in applausi e grida di giubilo.
Merlin trattenne il fiato e si guardò intorno, sentendo la testa girargli, e qualcosa si fece chiaro nella propria testa.
Dei misericordiosi.
Non era stato sciocco? Non era stato cieco? Aveva sempre creduto che il momento di Arthur sarebbe stato al loro tempo, quando Camelot stava lì, eretta su quelle fondamenta solide in pietra che erano ritornate nude davanti al loro monarca, risputate dalla terra insieme ai suoi migliori soldati. Aveva vissuto tutti quei secoli convinto che Arthur sarebbe tornato, sempre, a ogni guerra, a ogni catastrofe.
Ma Arthur era nato per unire.
Arthur era nato per la pace.
E lui, come uno stupido, non aveva capito nulla.
Davvero, non ci sarebbe stato nessun altro momento come quello, e Merlin non vedeva più quell’era d’oro che gli era stata promessa come il futuro – come era stata alla prima, lontana incoronazione – ma come qualcosa di presente.
Gli vennero le lacrime agli occhi quando Arthur si sedette sul trono che era stato posto per lui, con i fiori che cadevano, gettati dalla folla, e le grida di giubilo.
Aithusa rise, Lenore era tanto felice da far, inconsciamente, scendere dei petali, i maghi dei Donald che Merlin aveva aiutato battevano forte le mani, parlottando tra di loro.
Era quello il momento.
Era sempre stato quello il momento.
E Merlin non poté fare a meno di risplendere di gioia, la magia che sembrava fluire dal suo corpo, mentre incrociava gli occhi con quelli del suo Re Eterno.

Note di Elfin
*apre spumante* EEEEEEEEEEEEEH :D
Scusate il ritardo, ammetto che scrivere questo capitolo è stato un grande parto, nonostante fosse tutto sostanzialmente già fatto. Tanto per dirvi, ho dovuto praticamente scrivere solo i pezzi degli Hanbury e pochissime altre cose, ma l'idea che... Che, insomma... Che abbiamo finito... Non so che dirvi, mi bloccava tantissimo. Comunque, abbiamo finito con il capitolo più lungo della storia (o forse il secondo capitolo più lungo)! :D Mi spiace di aver saltato tante cose. Mentre rileggevo sentivo molto il fatto che ne ho scritto gran parte tempo fa e ho cercato di risistemare al meglio. Comunque, l'ultimissimo pezzo è stato quello da cui è partito tutto, dall'ingresso di Arthur per l'incoronazione. È stata la primissima parte di questa ff. Mi commuovo un po' a pensare che lo avete letto anche voi. Assurdo proprio.
Prima di passare ai ringraziamenti, volevo avvisarvi di una cosa. Nello scorso capitolo qualcuno nelle recensioni mi ha detto di aver sognato che annunciavo un seguito, ma no, assolutamente no, non lo farò mai XD Però non questa settimana, bensì la prossima, quindi domenica 30 maggio, avrò una sorpresa per voi. Non avrò sempre saputo di voler fare un seguito, ma ho sempre saputo che avrei pubblicato un epilogo (non contato nel numero di capitoli) e lo sto già scrivendo e credo che sia la cosa migliore da fare. Per questo vedete la storia come ancora non completa ;)
Dopo aver pubblicato l'epilogo, mi dedicherò a tante cosine. Innanzitutto, vi annuncio che finirò tutte le guide su instagram delle varie tribù, quindi attendetele. Inoltre ricomincerò a leggere questa ff dall'inizio: avete sempre saputo che era un WIP e ci saranno sicuramente trentamila piccoli errori in giro che mi metterò a correggere XD
Intanto, scriverò anche tutte le ff che ho iniziato in questi due anni e mezzo di Revolution Roots e che non ho mai terminato perché usavo tutto il mio tempo a disposizione per scrivere questa XD Di sicuro uscirà fuori una one-shot post5x13 e la famosa long Omegaverse che vi avevo promesso (prologo+10 capitoli). Poi ho tante altre cose, come finire la serie con fem!Arthur che ho iniziato ormai secoli fa, ho una one-shot sul rapporto tra Merlin e Will che non so se vedrà mai la luce, diversi progetti Merthur di varia natura, di cui uno demenzialissimo il cui concept mi fa troppo ridere, ma che non so se scriverò mai XD
Comunque, non vedo l'ora di donarvi nuove avventure <3
E ora, passiamo ai ringraziamenti.
Prima di tutto ringrazio dreamlikeview e lilyy che hanno recensito ogni singolo capitolo e che hanno seguito la storia passo passo da sempre <3 Sono state preziosissime e senza di loro non sono sicura che sarei arrivata tanto lontano, soprattutto perché nei primi capitoli se la filavano davvero in pochi XD Comunque, sono state di un sostegno immenso.
Ringrazio a parte anche uelafox e royal_donkey che sono le altre due persone che più hanno recensito questa storia e che mi hanno fatto amare ogni singolo momento <3 <3
Poi, un abbraccio forte a tutte le persone che hanno commentato anche un solo capitolo, ossia, in ordine alfabetico,

  1. _Amaryllis
  2. Asialive
  3. _Crossbow
  4. DorotheaBrooke
  5. GaiaPaola94
  6. Merthuriana
  7. Morgana_melissa
  8. Naur
  9. _Quandounaporta_
  10. Rox008
  11. ScarlettEltanin
Spero di non aver saltato nessuno, ci ho messo una vita a controllare tutte le recensioni di ogni capitolo XD Praticamente un'ora! Ma vi meritate tutt* di essere nominati per il vostro grande sostegno e per avermi donato un pizzico di gioia ogni volta che vedevo una vostra recensione <3
Già che ci sono, ringrazio anche tutte le persone che mi hanno commentato su instagram, ma non qui. Non faccio nomi perché non so se le persone hanno piacere e non so se hanno un account qui su EFP con nickname diverso, ma sappiate che ho molto apprezzato anche tutti i vostri pareri e i vostri gesti di affetto <3
Voglio ringraziare anche – e qui permettetemi se ripeto gli stessi nickname – anche tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite:
  1. Asialive
  2. bacieabbracci
  3. bakachan88
  4. cola23
  5. Cometa123
  6. deby97
  7. dreamlikeview
  8. f4nqirlz
  9. FigliadiAde00
  10. floflo1
  11. gems_
  12. Greyisthesun
  13. kit_kat1864
  14. La lettrice insaziabile
  15. MammaGiu
  16. maretta95
  17. Mary_Integlia
  18. Merthuriana
  19. Mery1909
  20. Morgana_melissa
  21. Naur
  22. PrincipessaLove
  23. robias
  24. romana105
  25. royal_donkey
  26. ScarlettEltanin
  27. Tina21
  28. uelafox
  29. Xing
  30.  _Crossbow
  31.  __bebbaa__

​Coloro che hanno messo questa ff tra le ricordate:

  1. Angel87
  2. Asialive
  3. DorotheaBrooke
  4. ele_lock
  5. FigliadiAde00
  6. Giulssss10
  7. Greyisthesun
  8. La lettrice insaziabile
  9. Merthuriana
  10. Morgana_melissa
  11. Neera369
  12. Nihalwilldland
  13. Rmngy
  14. Roberta001
  15. robias
  16. RoosterArrow
  17. Tina21
  18. __rosyy__

​E coloro che hanno messo la storia tra le seguite:

  1. anna_official
  2. bacieabbracci
  3. Black Panther
  4. Blacklife589635
  5. Bledyn
  6. camillavaamare
  7. Camme24
  8. Dany_skywalker
  9. deby97
  10. Derveni
  11. dreamlikeview
  12. Eurekaa
  13. f4nqirlz
  14. Freddie33
  15. Gingeor
  16. Greyisthesun
  17. James Harry
  18. Jane Stevens
  19. La lettrice insaziabile
  20. LadySara03
  21. LadyTsuky
  22. lilyy
  23. lulette
  24. Morgana_melissa
  25. Nanna92
  26. Naruko Namikaze Uchiha
  27. Neera369
  28. Nightshade09
  29. notrachele
  30. ollima95
  31. phaedra
  32. Renshingetsu
  33. Ringil
  34. Roberta001
  35. robias
  36. Rox008
  37. royal_donkey
  38. sara_rinaldi
  39. the_vampire_girl
  40. uelafox
  41. vanessatomasino
  42. Windy
  43. _2Hope2_
  44. _Amaryllis

Ok, credo di aver scritto tutti XD Ripeto, se vi ho saltato per sbaglio scrivetemi pure e scusatemi se ho sbagliato di poco qualche nickname, fortunatamente siete tanti e visto che in questo istante sono poco sveglia potrei aver avuto qualche svista :(
La cosa bella è che io ho iniziato a scrivere queste note a mezzanotte e un quarto e adesso sono le 2 e 20. Dico che è una cosa bella perché ho usato questo tempo per elencare tutti coloro che, in grande o in piccolo, hanno portato avanti questa storia con me ed è una cosa assolutamente eccezionale, anche perché, siamo sinceri, ma chi si legge una storia di più di 100 capitoli con praticamente solo OC e tra l'altro un WIP che quindi ha trentamila errorini sparsi qua e là? Ma chi? Io non lo avrei mai fatto, ma proprio mai, e invece voi siete stati qui, in un modo o nell'altro, e questo solo pensiero è davvero qualcosa di straordinario e commovente.
Quindi grazie ancora, davvero, vi voglio bene a tutti <3
Spero di rivedervi per l'epilogo a sorpresa con le ultimissime risposte ad alcune domande e nelle mie prossime storie ;)
Kiss

   
 
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