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Autore: edoardo811    18/05/2021    4 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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42

L'unica festa a cui non è concesso divertirsi

 

 

Erano successe troppe cose in troppo poco tempo. Era appena tornato e aveva a malapena avuto il tempo di dormire – male – per un paio di ore prima di essere svegliato da Rosa, che gli aveva sbraitato che si stava facendo tardi.

Naturalmente lui se n’era sbattuto alla grande e si era girato dall’altra parte, ragion per cui lei lo aveva trascinato giù dal letto senza troppi complimenti. 

Avrebbe potuto almeno fare colazione, invece neanche quello: la sorella lo aveva spedito a farsi una doccia e a prepararsi in vista del Consiglio. Così, con l’umore di una gomma da masticare schiacciata da uno stivale, si era ritrovato con l’acqua che gli scorreva addosso nel tentativo di ridestarsi e di scacciare via il sonno che ancora lo avvolgeva nel suo abbraccio.

Le mani gli scivolarono sul petto e sullo stomaco. Fece una smorfia di dolore mentre con le dita accarezzava le profonde cicatrici che Izanami gli aveva lasciato. 

All’inizio, aveva creduto che fosse stata tutta un’illusione. Era finito nello Yomi, aveva affrontato la dea della morte, era tornato indietro, era assurdo! Come cavolo c’era riuscito, se era uno spettro? Non ne aveva idea. Eppure, ricordava molto bene il volto di Izanami, i suoi occhi fatti di sclera nera, il suo sorriso sadico, la sua voce graffiante. E soprattutto, ricordava quei tentacoli che si schiantavano su di lui, arrecandogli dolori a cui nemmeno riusciva a pensare. 

E a quanto pareva, i segni che gli aveva lasciato si erano mantenuti anche nel mondo dei vivi. Soprattutto la ferita all’altezza dello stomaco, un cratere grosso quanto il suo pugno, profondo almeno due centimetri, che si era cicatrizzato male. La sua pelle sembrava la buccia di un’arancia spappolata.

L'acqua calda scivolò anche lungo la sua schiena, facendogli sfuggire un mugugno. Non poteva vedere le cicatrici che erano rimaste lì, ma era sicuro che nemmeno quelle fossero un bello spettacolo. Se non altro non sentiva dolore. Di solito. C’erano momenti in cui alcune fitte lo coglievano alla sprovvista, facendolo sussultare. Si era svegliato diverse volte quella notte, con la fronte imperlata di sudore, il corpo che faceva male e il sorriso di Izanami ad un palmo dal suo naso. 

Quel corpo mostruoso, tutto quel sangue che emergeva dal suo abito, i suoi versi agghiaccianti... non sarebbe riuscito a dimenticarseli tanto presto.

E meno pensava a lei che si leccava le labbra bramosa di lui e meglio era.

Dopo la doccia si era ritrovato nella sala creativa, accontentandosi di alcune tortillas per colazione. Aveva sperato di finire quella riunione al più presto per andarsene al padiglione della mensa a riempirsi il piatto di waffles, ma ovviamente era troppo sperare pure in qualcosa di così semplice.

Vedere gli altri capicasa cedere il posto lo aveva sorpreso, ma lo aveva anche fatto felice. Tommy e Stephanie se l’erano davvero meritata una promozione. Senza di loro non sarebbe mai arrivato a San Francisco. Senza di loro e di Rosa, forse avrebbe davvero regalato la spada ad Orochi dicendogli di ammazzare tutti gli dei anche da parte sua e poi se ne sarebbe felicemente andato a quel paese. 

Era grato di averli conosciuti. Tommy, Steph, Rosa, anche Konnor e Lisa, era felice di averli attorno. Era la prima volta che si sentiva davvero parte di qualcosa, dopo tanti anni. Erano amici, erano famiglia, e non avrebbe potuto desiderare di meglio.

Poi, anche lui era diventato capocasa. La cosa lo aveva sorpreso in realtà, e per un momento aveva perfino pensato di rifiutare. Tuttavia… sapeva che presto o tardi gli dei lo avrebbero cercato di nuovo. Ne aveva parlato con Artemide e Susanoo a San Francisco. Non aveva soltanto raccontato loro cos’era successo con Orochi, aveva parlato dello Yomi, del corvo a tre zampe, di Izanami, e loro due – guarda caso – avevano detto di essere al corrente di tutto. 

A quanto pareva, la donna del corvo a tre zampe aveva parlato con loro. Cominciava ad avere il sospetto di chi si trattasse in realtà. In effetti era piuttosto palese. Non avevano detto altro, ma gli era bastato quello per capire che non era ancora finita. Inoltre, era certo di essere lui il motivo per cui Zeus aveva coinvolto anche Apollo nel suo incontro con Amaterasu. Per questo motivo aveva accettato il posto. Sia gli dei orientali che quelli occidentali gli stavano con il fiato sul collo e lui, volente o nolente, avrebbe dovuto dimostrarsi pronto a tutto, anche a guidare la sua cabina.

C’era solo una cosa che aveva omesso ai due dei, la parte riguardante l’uomo che credeva di aver visto poco prima di svegliarsi di nuovo nel mondo dei vivi. Non sapeva come, ma era certo di sapere chi fosse.

Era certo che fosse Apollo.

Infine, dopo che Konnor aveva sfidato Buck e aveva chiesto a Stephanie di uscire di fronte a lui – perché le belle notizie non erano mai troppe – era stato di nuovo portato nella Casa Grande per essere interrogato ancora un po’, giusto per buona misura.

Si ritrovò di nuovo nella stanza col camino, seduto sulla poltrona. Rachel prese posto sul divano, Chirone invece rimase sulla sedia a rotelle. Dioniso non si fece vedere, invece. Meglio così, non era in vena dei suoi stupidi commenti. Non riusciva a credere che un fantoccio come quello fosse il padre di una ragazza come Lisa. In realtà, il padre era Bacco, ma da quanto aveva capito non c’era molta differenza tra i due. Quella fondamentale era che uno beveva Diet Coke, l’altro Diet Pepsi. 

Il leopardo, Seymour, non sembrava essersi dimenticato di lui e del teatrino che aveva messo in piedi una settimana prima, quando aveva minacciato il Signor D con la spada. Per tutto il tempo lo fissò ringhiando tra i baffi. 

«Allora…» Edward si spostò sulla poltrona, ignorando i crampi allo stomaco per la fame. «Che volete chiedermi?»

Rachel si sporse verso di lui con un sorriso accomodante. «Abbiamo solo bisogno di sapere se la profezia che hai ricevuto si è compiuta o no. Non ci vorrà molto, non preoccuparti. Ricordi i versi?»

Per sua enorme sorpresa, Edward lì ricordava. Forse era per via del fatto che suo padre fosse il dio degli Oracoli o una cosa del genere. Si spostò di nuovo, questa volta a disagio. Cominciò a capire dove la conversazione sarebbe andata a parare. «“Il Serpente di Yamata, dalla sua prigione si è liberato, del dio delle tempeste la collera ha subito”» cominciò a dire, mentre posava lo sguardo sul caminetto spento. «Il serpente è Yamata no Orochi, il dio invece è Susanoo. Susanoo sconfisse Orochi molto tempo fa e gli portò via Ama no Murakumo, per poi consegnarla a sua sorella Amaterasu.»

«Dei orientali…» mormorò Rachel, picchiettandosi sulla guancia. «È la prima volta che ne sento parlare. Non credevo che avremmo mai avuto a che fare con loro.»

«Continua Edward» lo invitò Chirone.

«“Ladro, l’insegna rubata restituirai. Dove la tua storia ha avuto inizio… tornerai.”» Quello era un verso difficile da spiegare. Cercò di evitare i loro sguardi. «Il luogo dove la mia storia ha avuto inizio… non è un luogo fisico. È… qualcos’altro. L’ho scoperto mentre ero da solo.»

«Cos’hai scoperto?» domandò il centauro con voce morbida, ma facendogli comunque capire che purtroppo non avrebbe potuto nascondere la verità. Non era nemmeno sicuro che ci sarebbe riuscito.

«Si… si tratta dello Yomi» mormorò titubante. «La mia vita… è cominciata nello Yomi. La dea della morte, Iza… insomma, la dea della morte, reclamò la mia anima il giorno della mia nascita.»

Raccontò cos’era successo, ottenendo sguardi allibiti in ritorno. Perfino per lui che aveva vissuto tutto sulla propria pelle era una storia assurda. Quando concluse il racconto, mostrò anche la cicatrice sulla pancia per dissipare ogni dubbio. I due adulti si osservarono mentre un pesante silenzio scendeva nella stanza. Chirone doveva averne viste di cotte e di crude, eppure perfino lui non sembrava trovare parole da dire.

«L’importante è che ora tu stia bene» concluse Rachel infine con un altro sorriso, anche se sembrò molto più incerto. Chirone, d’altro canto, lo squadrò come se fosse appena morto un’altra volta. Proprio il tipo di sguardo di cui aveva bisogno, non c’era dubbio.

«“Il sangue della vergine sarà il prezzo da pagare”» concluse desideroso di cambiare argomento. Si corrucciò. «Ammetto che… questo verso non mi è molto chiaro. I ragazzi mi hanno detto che alcune cacciatrici di Artemide sono morte affrontando Orochi. Anche Talia e Reyna hanno perso molto sangue.»

«Parla di una vergine al singolare, però» osservò Rachel, altrettanto confusa. 

Edward si strinse nelle spalle. «So che Orochi ha anche bevuto un po’ del sangue di Rosa, mentre era svenuta… potrebbe trattarsi di quello.»

Chirone si grattò la barba pensieroso. Non sembrava molto convinto, e nemmeno Edward lo era.

Il sangue della vergine sarà il prezzo da pagare. Quel verso sapeva di morte. Una vergine sarebbe dovuta morire. E forse poteva davvero essere qualcuna delle cacciatrici, ma non riusciva a crederci fino in fondo. Orochi voleva una vergine in particolare, per potersi trasformare di nuovo, e quella vergine era il sacrificio, Rosa. 

Orochi era scomparso, ma il rituale era comunque stato completato. Rosa rimaneva ancora il sacrificio. 

Rosa… poteva ancora essere in pericolo.

«Può… può succedere che una profezia rimanga incompiuta?» domandò allora a Chirone, speranzoso. 

«Che io sappia, no. Possono durare mesi, anni, secoli se non di più. Ma è anche vero che non era mai successo che un greco entrasse in possesso della spada di Amaterasu, o che una profezia riguardasse dei e mostri di un’altra cultura» concluse il centauro, con un sospiro. «Il tuo giuramento sullo Stige nemmeno ha funzionato, quando ti ho chiesto di farlo mentre eri in possesso della spada. Nel mondo orientale vigono leggi e regole diverse dalle nostre. Non possiamo applicare il nostro sistema al loro.»

«I… versi dell’oracolo sono molto criptici» proseguì Rachel, con voce ferma. «Possono voler dire tutto e niente allo stesso tempo. Non preoccuparti, Edward. Sono sicura che adesso non hai più niente da temere.»

Stavano cercando entrambi di tranquillizzarlo, era palese. E per quanto potesse trovare gentile il tentativo, se davvero non ci fosse stato nulla di cui preoccuparsi non avrebbero fatto tanti sforzi. Annuì, senza dire altro in merito, sprofondando sulla poltrona. Ne aveva abbastanza di quella discussione. «Posso… posso andare adesso? Vorrei andare a vedere Konnor che le suona a Buck.»

Chirone annuì, con un altro sorriso gentile. «Certo, torna pure dai tuoi amici. Grazie per la tua collaborazione.»

«Mi ha fatto piacere incontrarti di persona» concluse Rachel, salutandolo con la mano.

Malgrado tutto, Edward riuscì a sorridere. «Il piacere è stato mio.»

 

***

 

Dopo quella parentesi arrivò tutto il resto: Konnor sconfisse Buck, diventando nuovo capocasa, Stephanie lo baciò – di fronte a lui, ovviamente – e per finire Jane lo annaffiò di lacrime come uno sprinkler. 

Un vero spasso.

Era felice per Steph. Era evidente a tutti che lei avesse sempre provato qualcosa per Konnor, mentre il nuovo capocasa di Ares non ne aveva mai fatto davvero un segreto. Forse era meglio così. Edward si era comportato da emerito idiota con lei, dal causare quello scenario inutile quando l’aveva difesa da Jane, al pedinarla nel bosco, al litigarci sul treno. Il loro scontro non era da considerare, dopotutto entrambi erano fuori controllo. Tuttavia, una parte di lui non riusciva a non pensare al fatto che se Konnor si fosse trovato al posto suo, la situazione non sarebbe mai degenerata in quel modo. 

Stephanie era una splendida ragazza, non si meritava una causa persa come lui, si meritava qualcuno che sapesse valorizzarla, qualcuno che tenesse a lei e la proteggesse, e quel qualcuno era Konnor. Il figlio di Ares era ok, forse non potevano andare sempre d’accordo, ma lo aveva perdonato e lo aveva aiutato ad aprire gli occhi. Per quello che lo riguardava, nutriva rispetto per lui.

In realtà, era stato quasi un sollievo vederla prendere la sua decisione. Aveva fatto capire a tutti cosa pensava, levando ogni dubbio, ogni se e ogni ma. Certo, gli faceva male vederli insieme. Avrebbe mentito se avesse detto il contrario e ci avrebbe messo un po’ per superarla, ma se non altro adesso poteva voltare pagina una volta per tutte e poteva guardare Konnor non più come un rivale da scavalcare ma come un compagno, un amico perfino.

E senza ombra di dubbio, era felice per Tommy e Lisa. Purtroppo era stato troppo impegnato ad odiare il mondo per accorgersi di come si fossero avvicinati nonostante i problemi iniziali. Ed era stato separato da loro dal deragliamento, quindi non avrebbe potuto accorgersene comunque. In ogni caso, era indubbia la crescita di quel piccoletto coi capelli rossi timido che aveva conosciuto qualche settimana prima. C’era una nuova luce nei suoi occhi, una nuova aura di forza e sicurezza. L’impresa lo aveva cambiato, in meglio. Era come una persona nuova.

Riguardo Lisa, l’aveva sempre trovata una tipetta interessante. Ironica, sarcastica, sempre con la battuta pronta e, ancora una volta, tutta un’altra cosa rispetto a quel babbuino di suo padre. In un mondo alternativo, forse sarebbe finito assieme a lei. Ma quello non era un mondo alternativo, lei aveva scelto Tommy e a lui andava bene così. Erano carini assieme ed era bello vedere Thomas con qualcuno al proprio fianco.

Quando arrivò in mensa era ormai ora di pranzo, quindi i waffles erano andati a farsi benedire. Era ufficiale, le cose peggiori capitavano sempre alle persone migliori. Si accontentò di rimpinzarsi per bene di carne grigliata, patatine e succo di mela, chiudendo il tutto con una bellissima fetta di cheesecake. Quanto gli era mancato il cibo della mensa. Fu un toccasana per il suo stomaco vuoto e le sue papille disabituate a quel tipo di sapore.

Accanto a lui, Rosa parlava con Jonathan riguardo cosa avrebbero potuto suonare quella sera e un sorriso nacque sul suo volto: era felice di vederla andare d’accordo anche con gli altri ragazzi della capanna Sette. 

Il verso della profezia sul sangue della vergine balenò nella sua mente mentre guardava la sorella. Assottigliò le labbra, stringendo i pugni sotto al tavolo: niente, niente, le avrebbe più torto un capello. Tartaro in persona avrebbe potuto reclamare l’anima di Rosa e lui lo avrebbe rispedito sotto terra a suon di calci e a mani vuote.

Per il resto della giornata i cinque semidei dell’impresa rimasero divisi, per ovvi motivi. Le due coppiette trascorsero il pomeriggio assieme, felici e beate, e lui invece rimase solo. Beh, non proprio, ci fu Rosa a fargli compagnia. O meglio, fu lui a fare compagnia a lei mentre si allenava nell’arena. Non c’era stato verso di convincerla a prendersi una giornata libera – e allo stesso tempo non aveva alcuna intenzione di allenarsi con lei tanto presto – perciò rimase seduto sugli spalti a guardarla mentre affettava manichini. 

Non erano soli nell’arena però, questa volta. Alcuni figli delle altre case rimasero nei paraggi e diversi di loro parlarono perfino con lei, cosa che non aveva mai visto prima. Forse avevano capito che in realtà Rosa non era un mostro pericoloso. Alcune ragazze che frequentavano l’arena – figlie di Nike e Atena perlopiù – passarono perfino per parlare con lui, facendogli domande sull’impresa e domandandogli se fosse tutto vero. Diede le solite risposte di rito, cercando di sorvolare sulle questioni troppo lunghe da spiegare. Alcune di loro gli chiesero anche con chi sarebbe andato alla festa e lui rispose che con tutta probabilità sarebbe andato con i suoi compagni dell’impresa. A quella risposta loro avevano riso divertite, congedandosi subito dopo e lasciandolo di sasso.

Infine, arrivò la sera. I semidei raggiunsero il padiglione dove si sarebbe svolta la festa ed Edward notò con sommo stupore che in molti si erano perfino agghindati per benino, a differenza sua che, come uno stupido, si era tenuto i vestiti del campo e la sua fidata felpa ormai logora. Rosa era andata via prima di lui, per preparare gli strumenti e il palcoscenico assieme a Jonathan e gli altri. Alla fine, il suo desiderio di esibirsi si era avverato. Edward era davvero curioso di scoprire che cosa avrebbe suonato. Dubitava che si trattasse di roba spinta, alla fine doveva essere una serata tranquilla, ma era comunque felice per lei.

Quando arrivò al padiglione incontrò decine e decine di ragazzi stipati fuori, in gruppetti, a parlare tra di loro. In disparte, appoggiato ad una delle colonne dell’antica struttura, vide Thomas. Lo salutò, avvicinandosi a lui. Perfino il figlio di Ermes si era tirato a lucido: si era messo dei jeans nuovi di zecca, una camicia blu e scarpe firmate. Aveva perfino messo il gel ai capelli, riuscendo per una volta a domare quei riccioli ribelli.

«Che eleganza» commentò Edward.

«G-Grazie…» Tommy si grattò imbarazzato dietro l’orecchio. «Ehm, Edward?»

«Dimmi.»

«Ti… ti devo ringraziare per… la faccenda di Lisa» disse timido. «Se non ci fossi stato tu probabilmente non me ne sarei mai accorto.»

Edward sorrise. «Sono sicuro che invece lo avresti capito comunque. Ma prego, non c’è di che.»

Anche Tommy fece un tenue sorriso. «E pensare che all’inizio io…» Si interruppe, scuotendo la testa e ridacchiando. «Non riesco a credere a come siano finite le cose.»

«Già, nemmeno io» ammise Edward, per poi alzare le spalle. «Immagino che renda tutto più divertente, no?»

«Immagino di sì.»

I due amici si scambiarono un cenno. Se ripensava solo ad una settimana prima, ogni cosa pareva diversa. Non c’era quell’atmosfera al campo, i semidei erano frammentati, Tommy era ancora più timido e soprattutto aveva una cotta enorme per Rosa. Era felice che alla fine l’avesse superata e si fosse messo con Lisa. Conosceva Rosa e non credeva che Thomas fosse davvero il suo tipo. Probabilmente non avrebbe mai funzionato tra di loro ed era certo che all’hermana sarebbe dispiaciuto spezzargli il cuoricino. 

«E mi raccomando Tommy, non fare come i nostri genitori. Usa sempre le protezioni» concluse Edward con un ghigno, dandogli una pacca sul braccio. 

Il poveretto diventò più rosso dei suoi capelli. «N-Non credo che siano discorsi da fare, qui al campo» farfugliò osservando il cielo, nervoso. 

Edward sollevò un sopracciglio. Che diamine significava che non era un discorso da fare? Erano quasi tutti adolescenti, iperattivi, e c’erano almeno un milione di altre coppie lì in mezzo – e quella sera ne sarebbero nate e morte altrettante – voleva forse fargli credere che nessuno in quel luogo era mai andato oltre i bacetti da scuola media? 

Smise di pensarci quando vide l’espressione sbalordita di Thomas. Si voltò e si accorse di Lisa, che avanzava con passo incerto in mezzo ai semidei. Si era messa una giacchetta di jeans sopra la camicetta a quadri e aveva i capelli sciolti, tenendo fermi alcuni dei ciuffi più lunghi con dei fermagli. Edward notò anche un leggero filo di trucco. Non era molto, giusto un alone di rossetto e un po’ di ombretto, ma sembrava comunque abbastanza per farla avanzare a disagio – e anche per farle ricevere occhiatine incuriosite da altri ragazzi. 

Stava davvero bene così. E Thomas sembrava essere d’accordo con lui, perché la sua espressione da pesce lesso fu un’altra da record. La figlia di Bacco si accorse di loro e sorrise, avvicinandosi a passo spedito. Salutò Tommy con un ampio bacio sulle labbra, sporcandolo un po’ con il rossetto, e diede un abbraccio ad Edward, avvolgendolo con un odore di shampoo alla pesca.

«Wow…» mormorò Thomas, osservandola come se si trovasse di fronte ad uno splendido diamante. «Sei… sei incantevole...»

Lisa arrossì imbarazzata. «G-Grazie… anche tu.»

I due semidei si guardarono un po’ impacciati, al che Edward si lasciò scappare uno sbuffo divertito. «Ma che bellissima coppia di androidi!»

Entrambi si voltarono indispettiti verso di lui, strappandogli un altro sorrisetto. 

Konnor e Stephanie arrivarono insieme – di nuovo, ovviamente. E non appena Edward vide la figlia di Demetra, pensò che forse avrebbe fatto meglio a non andarci a quella festa. Perfino Lisa e Thomas spalancarono gli occhi.

Stephanie si era messa un abito da sera verde scuro, che le arrivava fino ai piedi nudi infilati in un paio di scarpe con il tacco basso, combinato con due orecchini di smeraldi. Aveva i capelli sciolti, pettinati in modo che le scivolassero soltanto sopra una spalla e le lenti a contatto che lasciavano in bella mostra i suoi occhi marroni dalle sfumature verdi. Anche lei si era truccata, in maniera molto più approfondita rispetto a Lisa, con un rossetto dello stesso colore dell’abito, cipria, ombretto, eyeliner e anche smalto per le unghie. Era stupenda, da far impallidire perfino le ragazze di Afrodite che erano nei paraggi. 

Teneva Konnor per mano, il quale si era messo un elegante completo a tre pezzi grigio fumo, che sembrava essere stato tirato fuori dalla custodia proprio per quell’occasione.

Inutile dire che quei due catturarono l’attenzione di tutti. La coppia nata quella mattina, quella di cui non si parlava d’altro. Il nuovo capocasa di Ares con la nuova capocasa di Demetra, il guerriero dal cuore nobile e l’umile dama, i due semidei che avevano combattuto fianco a fianco durante l’impresa, coprendosi le spalle, innamorandosi alla follia. 

Edward avrebbe voluto distogliere lo sguardo da loro, forse per invidia, forse per timore di mostrare la sua espressione, ma non ci riuscì. Rimase stregato non solo da Stephanie, ma dalla sensazione di armonia e perfezione che quei due insieme trasmettevano. Nemmeno se si fosse messo d’impegno sarebbe riuscito ad immaginarsi al posto di Konnor, con indosso quell’abito, a reggere con fierezza tutti gli sguardi sbalorditi che stava ricevendo. Sembrava essere nato per quello. Edward, invece, coi suoi vestiti trasandati, il suo aspetto sfigurato e il suo caratteraccio sembrava nato più per starsene in un angolo a osservare gli altri che si divertivano.

Raggiunsero loro tre, salutandoli con calore. Stephanie li abbracciò uno ad uno, incluso Edward. Ricambiò un po’ impacciato, ma lei non sembrò farci molto caso. Odorava di campi di fiori in primavera. Sembrava un po’ imbarazzata dal suo vestito, forse per via delle spalle scoperte – le scollature dovevano essere un altro tabù da quelle parti, perché Edward, purtroppo, non ne aveva ancora vista nemmeno una – ma comunque felice e serena come mai l’aveva vista. 

Gli bastò vederla così tranquilla per smussarsi un po’. Provare invidia non era giusto, non era giusto nei confronti di loro due e anche nei confronti di sé stesso. Avvelenarsi da solo il dente non sarebbe servito a nulla, avrebbe solo reso le cose più difficili e avrebbe rischiato di creare tensioni inutili.

Konnor lo salutò ed Edward si complimentò per l’abito. Il figlio di Ares sorrise. «Grazie. Anche il tuo… non è male.»

Il figlio di Apollo tirò il colletto della felpa, compiaciuto. «Che posso dire, in fatto di moda non mi batte nessuno.» 

I ragazzi ridacchiarono e un piccolo sorriso nacque sul suo volto. Non seppe bene spiegarsi il perché. Forse perché quella pace, quella quiete, gli erano mancati. Forse perché era felice di essere lì, a godersi quel momento con loro nonostante tutto. 

Il volto di Izanami balenò ancora una volta nella sua mente. Questa volta però, Edward distese il sorriso. Nemmeno lei, nemmeno la morte lo aveva fermato. La sua serata non si sarebbe guastata solo perché Stephanie e Konnor l’avrebbero trascorsa limonando da qualche parte.

Non appena ebbe quel pensiero, il sorriso svanì dal suo volto. 

Ok, facciamo che cerco di non pensarci e basta.

 

***

 

Il padiglione era stato decorato con allori, ghirlande e anche delle piccole sfere luminose che fluttuavano sopra le loro teste, cambiando colore ad intermittenza. Non aveva la più pallida idea di cosa fossero, forse qualche diavoleria dei figli di Ecate, ma erano bellissime. 

Non appena i cinque entrarono, tutte le attenzioni andarono su di loro. I semidei applaudirono e li acclamarono mentre avanzavano tra la folla. Del resto, quella festa era in loro onore. Edward sorrise, facendo vagare lo sguardo lungo il padiglione. Doveva ammetterlo, era gradevole essere celebrato in quel modo.

I tavoli erano stati imbanditi di cibo degno del catering più costoso del mondo, mentre sullo sfondo era stato allestito un piccolo palcoscenico, dove i fratelli di Edward stavano preparando gli strumenti. 

Il ragazzo si avvicinò, attirando l’attenzione di Rosa, che stava accordando la sua chitarra. Purtroppo per lei, chitarre elettriche, amplificatori, luci stroboscopiche e quant’altro non erano molto consoni all’ambiente, quindi aveva dovuto accontentarsi di strumenti più tranquilli. Tuttavia Rosa non sembrava turbata, vista l’ampia scelta che avevano: c’erano violini, contrabbassi, sassofoni, chitarre e batteria acustiche e anche un pianoforte verticale. Quando lo vide si avvicinò sporgendosi dal bordo del palco. A differenza di tutti gli altri, lei e il resto dei figli di Apollo si erano vestiti abbinati, con una camicia bianca dalle maniche tirate all'insù, panciotto e pantaloni neri. «Hola hermano.» 

«Ehi.» Edward sorrise. «Allora? Pronta per la tua grande esibizione?»

«Sono un po’ nervosa» ammise lei. «È la prima volta che facciamo qualcosa del genere. Per tutta la sera avrò io le redini, Jonathan e gli altri mi accompagneranno solamente. Spero di non combinare disastri…»

«Fingi di essere durante uno dei tuoi allenamenti» replicò il fratello, strizzandole l’occhio. «E pensa al pubblico come se fossi io dopo che ti ho fatta imbestialire.»

«Devo intrattenerli, non ucciderli tutti» ribatté Rosa con una risatina. 

«Basta che ci metti la stessa passione. Andrai bene, vedrai.»

Rosa gli rivolse un cenno del capo, colma di gratitudine. «Se sono qua è tutto merito tuo, hermano. Grazie.»

Edward scosse la testa. Per quanto potesse apprezzare quelle parole, sapeva che non era vero. «No, Rosa, se sei qui è solo merito tuo. Non ti sei mai arresa, hai combattuto con le unghie e con i denti per quello in cui credevi e hai resistito fino alla fine con il mondo che ti remava contro. Mi hai addestrato, mi hai spronato, sei stata l’unica amica che ho avuto nella capanna Sette. Senza di te non sarei mai diventato quello che sono. Senza di te, tutto questo…» Accennò con il braccio ai semidei riuniti, i sorrisi, le risate e l’aria festiva che aleggiava nell’ambiente. «… non sarebbe successo. Hai reso il campo un posto migliore, hermana. Sono io che devo ringraziare te.» 

Il cosiddetto effetto farfalla. Se Edward non avesse mai incontrato Rosa, non gliene sarebbe importato nulla della capanna Sette o del campo in generale. Non gliene sarebbe importato nulla di affrontare Orochi. Doveva tutto a lei, ogni cosa. Era bastata la sua compagnia, la sua amicizia, per spingerlo a desiderare anche lui un futuro migliore per quel posto. Un semplice gesto, che lo aveva portato ad accettare il fardello che aveva addosso e a combattere per il bene di tutti, portandoli a quel giorno.

Sorrise alla sorella, che lo stava guardando sbigottita. I suoi occhioni si appannarono. 

«Stai per piangere, hermana?» 

Lei distolse lo sguardo. «N-No! Sono… sono solo allergica agli allori che hanno appeso…»

«Ah, brutta faccenda. Ce la fai comunque a suonare?»

«Claro que sí.»

Edward ridacchiò. «Allora stendili tutti.»

«Contaci. E grazie… di nuovo» concluse lei, ammorbidendosi. 

«Di nulla» rispose lui, facendo un inchino plateale. Stava per andarsene, ma la voce della sorella lo chiamò ancora. 

«Ah, Edward…» Rosa si abbassò, così che potesse origliare solo a lui quello che aveva da dire. «… questa sera cerca di non fare il lupo solitario come al solito. Esci un po’ dalla tua comfort zone, prova a conoscere gente nuova. Potresti rimanere sorpreso.»

L’idea carezzò la mente di Edward per qualche istante. In effetti, una volta iniziata la festa, gli altri quattro lo avrebbero piantato da solo senza alcuna ombra di dubbio. Già in quel momento non sembravano nemmeno fare caso a lui o a Rosa. Quei quattro piccioni non avevano occhi per nessuno che non fosse la loro rispettiva metà. Il figlio di Apollo serrò le labbra, poi tornò a guardare la sorella. «Ci proverò.»

Rosa sorrise, battendo il pugno sulla sua spalla. Si raddrizzò e tornò a controllare la chitarra, mentre Jonathan impartiva ordini a destra e manca al resto dei loro fratelli. 

Edward ritornò dai suoi amici, che nemmeno si erano accorti del fatto che si era allontanato. Trattenne un sospiro esausto. Era chiaro che avrebbe dovuto seguire presto il consiglio di Rosa.

 

***

 

Non passò molto in realtà prima che lo bidonassero. Anzi, accadde non appena il concerto cominciò, giusto una manciata di minuti dopo. 

Rosa cominciò a pizzicare le corde della chitarra. Il palcoscenico doveva essere stato allestito dai sapientoni della casa Sette, e forse anche dai figli di Atena, perché per com’era messo l’acustica risuonò bene in tutto il padiglione senza l’utilizzo di casse od amplificatori. Jericho, al piano verticale, premette alcuni dei tasti, lasciando una sinfonia in sottofondo. Rosa non aveva nemmeno un microfono, ma quando parlò la sua voce suonò forte e nitida, alzandosi sopra il brusio della folla. Doveva essere una dote dei figli di Apollo.

«Prima di iniziare, vorrei solo ringraziare tutti voi per essere qui, ringraziare i miei fratelli per avermi dato questa possibilità e soprattutto voglio ringraziare quelle quattro povere anime pie che hanno sopportato quel testone di mio fratello durante il suo folle viaggio per venire a salvarmi… e suppongo di dover ringraziare anche lui, credo.»

Vi furono alcune risa, applausi e versi di incoraggiamento. Edward scosse la testa, con un sorriso. 

«Dacci dentro ragazza!» gridò Lisa battendo le mani. Rosa puntò l’indice verso di lei, anche lei con un sorriso smagliante. 

«Mettetevi comodi e tenete pronti drink e spuntini, perché andremo avanti per tutta la sera qui!» concluse la figlia di Apollo, cominciando a pizzicare le corde con più energia, accompagnata dai fratelli. Ripeté la stessa strofa introduttiva due volte, seguita dal piano e dalle note gravi del contrabbassoPoi anche la batteria attaccò, accompagnandola mentre incalzava i primi accordi, in una melodia molto orecchiabile.

Quando cantò, la sua voce risuonò cristallina, limpida e orgogliosa come ogni altra volta. 

«I'll be the roundabout, the words will make you out 'n' out! I I spent the day your waaaay! Call it morning driving through the sound of In and out the valley!»

La melodia rallentò progressivamente man mano che finiva di cantare la strofa, per poi riprendere subito dopo, incalzante, allegra. Edward non conosceva la canzone, i suoi fratelli invece sì, perché non sembrarono avere nessuna difficoltà a seguirla. Non sembrava per niente facile, il ritmo cambiava, c’erano molti strumenti, eppure funzionarono alla meraviglia, come un meccanismo ben oliato. 

Molti semidei, forse aspettandosi un’altra esibizione tipo quelle di fronte al falò, non avevano prestato molta attenzione ai figli di Apollo, ma quando si resero conto di quello che stava succedendo gravitarono tutti verso il palco, attratti dalla stupenda voce di Rosa e dalla bravura di tutti i ragazzi. Il talento vero ce l’avevano, dopotutto, solo che non l’avevano mai sfruttato davvero. 

Al ritornello, Rosa cominciò a battere le mani a ritmo, venendo subito seguita da tutto il pubblico, mentre Jonathan dava strimpellate decise alla chitarra con un sorriso divertito. Non c’era voluto molto prima che Rosa acquisisse quella sicurezza e compostezza che la caratterizzavano. Era così in ogni cosa che faceva, che si trattasse di suonare la chitarra o di maneggiare una spada; quando entrava nel giusto mood, niente poteva batterla.

«In and around the lake, mountains come out of the sky and they stand there!»

«Woooow!» esclamò Rick, passando accanto ad Edward proprio in quel momento. Leyla gli corse dietro, seguita da Natalie, che si fermò a pochi metri di distanza da lui. La figlia di Ermes osservava il palco con un sorriso rilassato, muovendo la testa a ritmo. 

Edward rimase incantato a guardarla senza neanche accorgersene. Era vestita casual, con i capelli lunghi tirati all’indietro, assicurati da una treccia a corona. Quando notò la sua espressione serena, si ritrovò a sorridere senza rendersene conto. Era davvero incantevole. 

Natalie si accorse del suo sguardo e si voltò verso di lui, incrociando i suoi occhi. Si osservarono ed Edward per un momento temette che lo avrebbe strigliato – per qualsivoglia motivo – invece la sua espressione si addolcì e lo salutò con un cenno della mano. 

«Twenty four before my love you'll see, I'll be there with yooouuu!»

Edward sorrise, ricambiando il saluto. Sapeva in realtà che era una brava ragazza. Gli bastava pensare a come fosse venuta a salutarlo il giorno della sua partenza. Era solo molto protettiva verso i suoi fratelli, cosa per cui poteva davvero ammirarla. Avrebbe voluto avvicinarsi per parlarle, ma Leyla arrivò di corsa, tirandola per la maglietta e dicendole qualcosa. Natalie rise e la sollevò sulle sue spalle, per aiutarla a vedere meglio il palco. 

Il figlio di Apollo si portò le mani sopra il cuore facendo un verso intenerito e Nat lo liquidò con un’alzata di occhi, tuttavia senza smettere di sorridere. Le lasciò a godersi il concerto, allontanandosi mentre la voce di Rosa continuava a riecheggiare.

Dei suoi quattro compagni di avventure sembravano essersi perse le tracce, al punto da poter attaccare le loro foto dietro i cartoni del latte. E in una festa senza alcol e senza amici, l’unica cosa che gli rimaneva da fare era una: attaccarsi al tavolo del cibo e rimpinzarsi fino a che non avrebbe dovuto rotolare per muoversi. 

La canzone successiva di Rosa e compagnia sembrava quasi essere una presa in giro apposta per lui. Un blues incalzante, il cui ritornello recitava: «Everybody needs somebody! Everybody needs somebody to love!»

Con la bocca piena di stuzzichini ed un bicchiere pieno fino all’orlo in mano, Edward grugnì infastidito. Mentre la serata proseguiva, vagò in mezzo alla folla di ragazzi che parlavano e coppiette che limonavano, non molto sicuro di come approcciarsi a loro. Vide Alyssa che si sbaciucchiava beata con un’altra ragazza, forse una figlia di Iride a giudicare dalle mèche color arcobaleno, e vide anche due ragazzi tenersi per mano. Era ovvio che ce ne fosse per tutti i gusti, da quelle parti. 

La cosa che lo sorprese di più, però, furono le occhiatine che ricevette da parte delle altre ragazze. All’inizio non c’aveva fatto molto caso, ma più il tempo passava, più notava gli sguardi incuriositi delle donzelle che finivano su di lui. In effetti, anche all’arena delle ragazze erano venute a parlargli, con quello stesso luccichio negli occhi. 

Molte si voltavano non appena si girava verso di loro, altre invece lo salutavano con quell’aria divertita senza farsi troppi problemi. Si domandò se fissassero lui, le cicatrici o se avesse il volto sporco di avanzi di cibo. Nel dubbio, si strofinò la manica sopra la bocca.

Alcuni ragazzi lo chiamarono: erano Xavier, Simon, Seth e Kevin, rimasti a formare un quartetto in disparte nel padiglione. Forse si erano accorti della sua aria da anima in pena e smarrita, o forse volevano sondare un po’ il loro nuovo collega capocasa. 

«I tuoi amici ti hanno abbandonato, eh?» sghignazzò il capocasa di Ecate.

Edward sollevò le spalle. «Rischiare di morire fa innamorare le persone, suppongo.» 

Gli altri ridacchiarono. Rimase a scambiare qualche parola con loro e gli fecero assaggiare uno strano intruglio distillato dal figlio di Efesto, che stava decantando di essere riuscito ad arginare i blocchi contro l’alcol del campo. Peccato solo che quella roba non fosse alcolica, non aveva idea di cosa fosse, sembrava un minestrone di catrame e vetro fuso. Quando glielo fece notare, tutti scoppiarono a ridere e Kevin si indispettì.

«Potresti chiedere a Lisa di aiutarti» suggerì Edward, restituendogli il thermos mentre cercava di allontanarsi quel saporaccio dalla bocca. «Credo che lei sia la più adatta a questo genere di cose.»

«L’ultima volta che le ho parlato, quella mi ha minacciato che se mi fossi avvicinato ancora mi avrebbe ficcato un pugnale nel podex» ribatté Kevin afferrando il contenitore. «Non ho idea di cosa sia un podex, ma non ci tengo a scoprirlo.»

Gli fecero altre domande sull’impresa, soffermandosi su quei dettagli che i suoi compagni di viaggio non avevano spiegato con molta chiarezza. Edward rispose come meglio poteva, senza menzionare cosa fosse successo tra lui e Steph e soprattutto evitando il discorso Yomi e Izanami.

Ancora una volta, il viso della dea della morte balenò nella sua mente, strappandogli una smorfia infastidita. 

«Se Campe e due giganti sono evasi, che cosa ci garantisce che non l’abbiano fatto anche altri mostri più pericolosi?» disse poi Simon, scambiandosi un’occhiata con i colleghi. 

«Tsk. Hai sentito che fine hanno fatto, no? Se ce ne sono altri, hanno solo da farsi avanti» gracchiò Xavier sollevando una mano; un fuoco fatuo verde si accese nel suo palmo. «Li rispediremo in quel buco da cui provengono.»

Kevin si prese il mento, facendo un verso pensieroso. 

«Qualcosa non va, Kev?» domandò Seth, mentre Xavier faceva svanire le fiamme. 

«Stavo pensando… nel Bunker Nove ci sono un sacco di cianfrusaglie che i miei fratelli hanno usato in passato, durante la guerra contro Gea. Li abbiamo chiamati “Progetti di Valdez.” Varrebbe la pena di dare un’occhiata e vedere se possiamo trovare qualcosa di utile.»

«Valdez? Leo Valdez?» domandò Simon. 

«Ah-ah. Il più grande figlio di Efesto della storia… dopo di mua, ovvio.» 

«Sì, credici amico, credici» ribatté Xavier. 

«Non saprei, ragazzi…» mugugnò Edward, grattandosi una guancia. «… direi che per questa sera potremmo anche evitare di pensare a guerre o cose così. Preferirei rilassarmi.»

«Non dobbiamo farlo ora, no» lo rassicurò Simon. «Ma è ovvio che qualunque cosa stia accadendo, c’è il rischio che sia solo l’inizio. Dovremo essere pronti.»

«Lo so, lo so» convenne Edward, alzando le mani con un sospiro. Ecco un’altra sfiga dell’essere solo quella sera: era costretto a sorbirsi meeting di guerra durante quella che doveva essere una festa tranquilla.

«Scusate.» Una ragazza si intromise, afferrando Kevin per il braccio. Era Sarah, la biondina a capo della casa di Ebe. Sorrise gentile ai ragazzi. «Ve lo rubo solo un secondo.» Lo trascinò via e il figlio di Efesto sogghignò, puntando l’indice e il pollice a mo’ di pistola verso di loro. «Ci si becca belli.»

I due svanirono in mezzo alla folla. 

«Ma come cavolo fa quello ad avere la ragazza…» mugugnò Xavier, fissandoli con sdegno. Seth ridacchiò, dandogli qualche pacca sulla schiena. Un sorriso scappò dalle labbra di Edward: sapere di non essere l’unico perdente quella sera lo fece sentire parecchio meglio.

«Suppongo che dovremmo prendere esempio da lui e divertirci anche noi» suggerì Seth, per poi tendere la mano verso di Edward. «Non vedo l’ora di lavorare con te, Edward. Mi ha fatto piacere conoscerti.»

Edward strinse la mano e per poco quello non gliela spezzò. Erano sicuri che quel tizio fosse umano? 

Beh, finché è dalla nostra parte andrà tutto bene… forse.

Salutò anche Simon e Xavier, che ricambiarono nonostante tutto con una certa freddezza – dovevano aver fiutato che stava nascondendo qualcosa – e si allontanò da loro.

Man mano che la serata proseguiva e sua sorella snocciolava cover di canzoni famose e non assieme alla band di fratelli, Edward incontrò altri volti familiari. Alcune delle sue sorelle della casa Sette vennero a parlargli, presentandosi. La cosa lo sorprese, ma gli fece anche piacere: a parte Rosa, le figlie di Apollo erano sempre state molto schive, forse perché si erano sentite minacciate da Jonathan e gli altri. Ripromise a sé stesso di ricordarsi tutti quei nomi e volti ma dubitava che ci sarebbe riuscito. Forse però avrebbe dovuto impegnarsi un po’, visto che era il nuovo capocasa.

Vide anche Chirone, Rachel e il signor D seduti ad uno dei tavoli, intenti a chiacchierare. Perfino il Coach Hedge era seduto con loro, sembrando in tutti i sensi il bambino che cerca di fare il grande stando al tavolo degli adulti.

Non vide Buck e Jane da nessuna parte, invece. Forse erano dispersi in mezzo alla folla, o forse davvero non c’erano. Non che gli importasse granché, in realtà.

Continuò a ricevere altri sguardi da altre ragazze, sempre conditi da espressioni divertite susseguite da bisbigli nelle orecchie. Perfino le figlie di Afrodite si soffermavano su di lui quando passava accanto a loro. Decise di parlarne con Rosa, quando lei e gli altri si fermarono per una piccola pausa di dieci minuti.

«Beh, è normale hermano» rispose lei mentre si abbuffava di tartine ad uno dei tavoli. Si voltò verso di lui mentre masticava. «Sei single, hai completato un’impresa e per finire sei pur sempre un figlio del dio del Sole. Hai anche le cicatrici di battaglia. È naturale che in un modo o nell’altro tu risulti interessante.»

«Sarà…» mugugnò lui, stringendosi nelle spalle. Le ragazze lo guardavano interessate, avrebbe dovuto esserne felice, ma non ci riusciva. Per quanto si sforzasse di non pensarci, l’unica ragazza di cui gli importava era tra le braccia di un altro, a fare chissà cosa chissà dove.

«Mi dispiace che Stephanie e Konnor si siano messi insieme» disse Rosa, come leggendogli nel pensiero. Mandò giù le tartine. «Eravate carini assieme.»

Edward schiuse le labbra, sorpreso da quell’affermazione. Poi, però, si ricordò con chi stava parlando e si rabbuiò. «Ti riferisci a me e Konnor, vero?»

«E a chi shennò?» replicò lei, con la bocca di nuovo piena.

Lo annaffiò con alcune briciole ed Edward si ripulì infastidito. «Potresti almeno deglutire» la rimproverò. 

Per tutta risposta, lei spalancò la bocca e gli mostrò una generosa panoramica di quel ben di dio. 

«Sei proprio una bambina.»

«Una bambina carina, però» rispose lei, facendolo ridacchiare. Se non altro riusciva sempre a tirarlo su di morale. 

Edward si appoggiò al tavolo, incrociando le braccia. «E tu invece? Niente ragazzi?»

Le guance di Rosa si colorarono lievemente, mentre distoglieva lo sguardo. «Beh… è… complicato…»

«Che significa?» 

Per una volta, per suo enorme stupore, Rosa non sembrava trovare il coraggio di guardarlo. «Diciamo che… al Campo Mezzosangue non c’è nessuno che mi interessa…»

Edward sollevò un sopracciglio. Avrebbe voluto insistere, ma notò l’imbarazzo di lei. E siccome lui era un bravo fratello, a differenza sua, decise di non tormentarla. 

«Comunque stai andando alla grande» cambiò argomento. «La folla ti adora.»

Un timido sorriso nacque sul volto di Rosa. «Già. Non mi sembra vero…»

«Te lo sei meritato, hermana.» 

Rosa lo guardò di nuovo, distendendo il sorriso. «Grazie hermano» disse, anche se sembrava diventata assente all’improvviso. Aveva perfino smesso di colpo di rimpinzarsi, cosa che non era mai un buon segno con lei. 

Avrebbe voluto chiederle cosa c’era che non andava, quando una fitta di dolore allo stomaco lo fece piegare all’improvviso, strappandogli un grugnito. Si posò una mano sul ventre e sentì la voce di Rosa chiamarlo allarmata. 

Tuttavia, quando drizzò la testa non vide la sorella: vide Izanami.

La dea della morte gli sorrise sadica, mentre il suo volto si deturpava e veniva ricoperto da scarafaggi.

«La feccia mortale verrà spazzata via.»

Le mani di Rosa posate sulle sue spalle lo fecero sussultare. Sbatté le palpebre, vedendo di nuovo sua sorella in mezzo ad una miriade di puntini neri. 

«Edward, tutto ok?» 

Il ragazzo si sforzò di annuire e di tirarsi di nuovo in piedi. «S-Sì… credo di aver mangiato troppo» borbottò, cercando di ridacchiare e massaggiandosi la pancia. 

Rosa non sembrò bersela nemmeno per un secondo. «Ricordi cos’è successo quando mi hai tenuto nascosta la spada, hermano?» domandò, dura. «Se hai qualcosa da dire, per favore, fallo. Basta segreti. Ti scongiuro.»

Il sorriso svanì dal volto di Edward. Incrociò lo sguardo della sorella, serrando le labbra. Quegli occhioni non transigevano obiezioni. 

«Ehi, Rosa! Stiamo per ricominciare» la chiamò Jonathan in quel momento da sopra il palco, salvandogli la vita. 

«Vai, forza» la incoraggiò Edward. «Ne riparliamo dopo la festa. Va bene?»

Rosa lo scrutò in silenzio ancora per qualche istante, per poi chiudere le palpebre con un pesante sospiro. «Va bene. Ma devi dirmi tutto.»

«Tranquilla.» Edward sorrise, battendo il pugno contro la sua spalla. «Ora va su quel palco e fai la tua magia.»

La ragazza non sembrava ancora molto convinta, ma non discusse più. Si separarono ed Edward attese che salisse di nuovo sul palco prima di volatilizzarsi in mezzo alla folla, stringendo i denti per il dolore mentre la fronte gli si imperlava di sudore. Avanzò tra i semidei, cercando di darsi un contegno e non mostrarsi troppo sofferente. Uscì dal padiglione e si mosse rapido verso il bagno, dove avrebbe potuto controllare la cicatrice e buttarsi un po’ di acqua gelata in faccia. Per fortuna non incrociò nessuno sul percorso.

Arrivò alla porta ormai quasi barcollando, piegato su sé stesso. La aprì con una spallata e avanzò di corsa, paralizzandosi non appena si accorse che qualcuno lo aveva anticipato.

Kevin e Sarah, appoggiati contro i lavabi, smisero di pomiciare non appena varcò la soglia e lo osservarono sbalorditi. Pure lui spalancò gli occhi. Nessuno disse nulla ed Edward indietreggiò, uscendo fuori e richiudendosi la porta alle spalle, sperando che tutti e tre dimenticassero al più presto quello che era appena successo. 

Grugnì per il dolore, colpito da un’altra fitta lancinante. Un formicolio fastidiosissimo si levò dal punto in cui era stato ferito, dissipandosi lungo tutto il corpo e mandandogli una scarica di brividi. Deglutì con gocce di sudore freddo che scivolavano dalla sua fronte e si guardò attorno. In lontananza, individuò la Capanna Sette. Là dentro avrebbe sicuramente trovato un po’ di ambrosia o robe del genere per aiutarlo a lenire il dolore.

Con molta fatica, raggiunse la sua casa. L’odore di ospedale e disinfettante gli pungolò il naso non appena entrò dentro. Si mise a frugare negli armadietti medicinali accanto all’ingresso, trovandoli tutti chiusi a chiave. A quel punto una sonora imprecazione gli uscì dalla bocca. 

Se uno sta morendo cosa deve fare, andare a chiedere la chiave?!

Cominciò a prenderli a pugni e a sforzarli, finché non riuscì a scoperchiarne uno come una scatoletta di tonno. Trovò subito un pacchetto di ambrosia e ne mandò giù un quadratino. Un mugugno di sollievo gli sfuggì dalle labbra mentre il sapore dei waffles lo calmava e il dolore si affievoliva. Abbassò lo sguardo e alzò la maglietta. La cicatrice non era cambiata di una virgola, il che poteva essere tanto un bene quanto un male. Mollò la t-shirt e appoggiò il gomito all’armadietto. Ispirò ed espirò a lungo, per calmare i nervi rimasti tesi come le corde dei violini dei suoi fratelli.

Tutto ad un tratto, alle sue spalle udì un fruscio. Qualcosa lo pungolò alla schiena prima che potesse muoversi, costringendolo a rimanere fermo.

«Vedo che ucciderti non è per niente facile, piccolo dio» biascicò una voce. Una voce che riconobbe non appena la udì. «Alza le mani e voltati, lentamente

Edward strinse la mascella. Non poteva credere a quello che stava succedendo. Bidonato, sbeffeggiato, angosciato, colpito da fitte di dolore atroci e ora quello. Avrebbe davvero fatto meglio a non andarci mai a quella stupida festa. Alzò le mani e cominciò a girarsi. «Cos’è, sei tornato a finire il lavoro…» 

Si voltò, trovandosi una katana scarlatta puntata alla gola. Osservò con insistenza il tizio sbucato fuori dal nulla che gli si trovava di fronte, scrutando il suo ghigno divertito e i suoi occhi – o meglio occhio – rosso sangue. 

«… Naito?»

 

 

 

 

 

 

Salve amici, come va? Scusate per il titolo del capitolo un po' insolito, è che l'idea mi è venuta mentre pensavo a quanto sia sfigato Edward in questa storia. Eh sì, Ed, gli dei ti odiano... proprio gli dei, sì sì.

Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto. So che Riordan nei libri ha palesemente sorvolato sulla questione delle coppie che “consumano” o dei ragazzi che fumano o bevono alcolici perché voleva fare un prodotto family friendly, ma sinceramente io a questo punto ho deciso di sviluppare un po’ la mia “fan theory” (uddio, magari è canonica) e pensare che nel campo queste tre cose siano proprio proibite per… motivi vari. Non proibite nel senso che se qualcuno lo fa viene fulminato seduta stante, proibite magari più da un punto di vista… morale? Lol, non so se mi sono spiegato.

Tipo, abbiamo avuto una coppia come Buck e Jane, pensare che non abbiano mai consumato sarebbe un po’ folle come cosa. E potete star certi che Kevin fa fuori pacchetti e pacchetti di sigarette quando è solo al Bunker Nove a costruire diavolerie. Quindi sì, è proibito da un punto di vista “morale” e di “decoro” (un po’ come la questione delle scollature, ma tanto Steph rimane gnocca lo stesso), però “infrangere” le regole non comporta nulla di grave, ecco, magari una strigliata da Chirone se si viene sgamati e basta.

E... niente, sul capitolo non c'è altro da dire, diciamo che è stato abbastanza tranquillo e ho cercato di riempirlo un po' come potevo in vista del gran finale. Eh sì, gente. Siamo agli sgoccioli. Lo so, è un momento triste e un po' mi angoscia pensarci. Questi ultimi capitoli sono stati davvero divertenti da scrivere, ho visto i miei personaggi crescere di fronte ai miei occhi e boh, penso che mi mancheranno un po'. Comunque ne parlerò meglio alla fine, quando farò i dovuti saluti e ringraziamenti.

Per il momento, grazie a Farkas e Roland per aver recensito lo scorso capitolo e nulla, spero che la lettura sia stata di vostro gradimento e alla prossima!

p.s. Queste sono le due canzoni menzionate nel capitolo, la prima: https://www.youtube.com/watch?v=DwPWGUhEtP0

La seconda: https://www.youtube.com/watch?v=wDvIGZ-_au4

 

   
 
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