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Autore: SkysCadet    20/05/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Finiti gli studi d'obbligo aveva chiesto a Simon cosa fosse più utile per lui: se continuare a studiare o aiutarlo all'interno della Struttura. Il Padre si era mostrato ben disposto ad accettare qualsiasi sua scelta. I contributi della Confraternita delle Sette Chiese permettevano a Simon di curare tutti quei ragazzi che, orfani, avevano bisogno di un'istruzione fino ai cinque anni universitari. Fu così che Joshua prese la decisione di lasciare il Centro e trasferirsi nel quartiere residenziale dedicato agli studenti della Grande Università di Filadelfia.

Posta sull'acropoli della Città, faceva sfoggio degli alti palazzi di vetro posti in successione e articolati in diverse sezioni. Ci si poteva iscrivere a cinque facoltà: Giurisprudenza, Ingegneria, Architettura, Medicina e Psicologia.

I padri fondatori di quella istituzione avevano costruito le case dei futuri discenti assieme alla struttura universitaria e, chi avrebbe avuto bisogno dell'alloggio, l'avrebbe pagato unitamente alla retta universitaria mensile.

Joshua, appena uscito dalla doccia del suo alloggio, rifletté proprio su quanto fossero stati lungimiranti quegli uomini che avevano progettato un modo sostenibile di permettere a chiunque di studiare.

Stava frizionando i capelli bagnati con l'asciugamano quando, avvicinatosi alla finestra, aveva notato che alla fermata dell'autobus si erano già avvicinati un bel gruppo di persone.

Il quartiere era articolato in diverse viuzze che confluivano tutte in un'unica strada in salita verso l'università. Le case erano delle villette a due piani e, a seconda della grandezza, potevano ospitare fino a gruppi di dieci studenti.

Certo, questo era per chi, dalle superiori, si era curato di avere il proprio gruppo di studio; lui non l'aveva fatto. Preferiva stare solo e godersi il momento in cui poteva diventare responsabile e non pesare sui contributi di Simon.

Il toast con burro e marmellata si era abbrustolito rendendo difficile il piacere di una buona colazione.

Scese di corsa le scale e, per un soffio, riuscì a prendere il mezzo. Lucia era già arrivata in facoltà grazie al fatto che, vivendo al Centro, veniva accompagnata dal padre ogni mattina, prima che il medico si recasse al Grande Ospedale di Filadelfia. Si sarebbero incontrati, non appena avessero portato a termine tutte le questioni burocratiche.

Nonostante Simon e il Centro di Aggregazione godessero di una buona reputazione, quel che non giovava ai due ragazzi era il fatto che i rettori e molti docenti fossero membri della Loggia dei Lucifer.

Con quel peso sul cuore e una sorta di ansietà all'altezza dello stomaco, camminò verso la porta su cui capeggiava l'insegna "FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA DI FILADELFIA"; non sarebbe stato facile, per lui, incontrare uno degli adepti e rimanere indifferente.

Con lo zaino in una spalla, passò oltre la porta di ingresso di vetro e si diresse in segreteria per prendere il suo numero di matricola dopo essersi registrato al portale online.

Appena entrato, una fila di almeno una ventina di persone attraversarono l'atrio per dirigersi all'info-point. Quando arrivò il suo turno, la signora allo sportello gli indicò la porta in cui doveva entrare. Ringraziò e vi si diresse a passo svelto, urtando un paio di ragazzi che venivano nella sua direzione vestiti con un completo nero. Eccoli qua... sospirò, quando, al loro passaggio avvertì lo stomaco contorcersi. Nel loro viso comparve una smorfia di disgusto e nonostante Joshua si scusò prontamente, i due lo fulminarono con lo sguardo.

«Ma come, ancora non si è ripristinato? E io come faccio a dare esami se non ho il numero di matricola?»

Appena fu poco fuori l'ufficio della segreteria, sentì la voce nervosa di una giovane che si rivolgeva alla segretaria. Lui rimase lì, fuori dalla porta e, appoggiato al muro del corridoio, osservava la scena.

La ragazza dai lunghi capelli neri era così bassa che per farsi sentire doveva alzare la voce e mettersi sulle punte. Joshua si ritrovò a sorridere divertito tanto da portare una mano alla bocca per non farsi notare. In quel momento, nel corridoio si udì il suono si scarpe eleganti e, infatti, gli occhi di Joshua si alzarono verso un ragazzo dai capelli corvini e gli occhi blu che incedeva fiero come un militare e vestito con lo stesso completo dei ragazzi urtati qualche minuto prima. Appena lo vide, lo sconosciuto abbassò il mento in segno di saluto per poi entrare nell'ufficio.

«Cosa succede qui, signorina?» lo vide intervenire con voce melliflua, senza levare lo sguardo da quello della giovane. «Se ha bisogno di aiuto, sono a sua completa disposizione.» le disse poggiandole la mano sulla spalla.

Joshua inarcò un sopracciglio e poi comprese che quel tizio sapeva il fatto suo. Al collo recava una targhetta di quelle che consegnano a chi si occupa dell'help desk e del supporto alle matricole e quindi, quanto meno, doveva essere più grande di lui, anche se non sembrava.

Intanto, la ragazza spazientita si rivolgeva al ragazzo con tono acidulo in uno sguardo accigliato: «Grazie dell'interessamento, ma stavo già risolvendo la situazione. Non è così, signora?» e, sentendosi chiamata in causa, la donna dagli occhi semicoperti da una spessa montatura e i capelli tinti di un rosso acceso digitava qualcosa al computer alla sua destra; la ragazza in quel frangente mostrò il profilo dolce, caratterizzato da grandi occhi marroni. Gli aveva gettato uno sguardo mentre sistemava delle carte all'interno della tracolla nera rimanendo seria.

«Sono sicuro che sta facendo del suo meglio,» era intervenuto il ragazzo con voce calda, rivolgendo il busto alla segretaria e allungando un braccio «Ecco, mi dia quel foglio sotto la sua agenda: è lei D'Asti Ariel?» aveva chiesto riservandole un sorriso compiaciuto.

La ragazza squadrò il personaggio da capo a piedi e rivolse uno sguardo accigliato prima alla signora della segreteria e poi a Joshua, che aveva seguito la scena con occhi sbarrati.

A quanto pareva, lei non era l'unica ad aver notato qualcosa di strano; quindi prese in uno scatto il foglio dalle mani dell'individuo senza nome e ringhiò un 'Grazie' prima di scappare fuori dalla porta, lanciando un ultimo sguardo in direzione di Joshua.

Lui, invece, non ebbe molti problemi per il ritiro del numero di matricola e con il foglio delle materie da seguire durante l'anno, si diresse alla ricerca dell'aula di Diritto Costituzionale.

«Sala D1. Sala... D1» bisbigliava, percorrendo il lungo corridoio ai cui lati comparivano le targhette recanti i nomi delle sale e, una volta trovata la porta con su scritto il codice, attese l'arrivo di Lucia.

Nell'attesa, i suoi pensieri andarono allo sguardo del ragazzo che era intervenuto in segreteria: l'aveva già visto da qualche parte.

«Eccolo! Pace, Joshua!» strillò una voce femminile molto riconoscibile; Lucia stava sbracciando per farsi vedere dal ragazzo mentre saliva le scale. La biondina dagli occhi verdi non era sola.

«Perdonami il ritardo!» si scusò lei, facendo comparire dalle sue spalle la ragazza che la accompagnava e, quando i due si riconobbero, Joshua le porse la mano con la curvatura di un sorriso che la fece arrossire. «Visto, Ariel? Come ti dicevo, è un orologio svizzero. Joshua, questa è la mia amica Ariel. Ariel, lui è il mio fratellone: Joshua.»

«Piacere di conoscerti, Ariel.» fece lui, stringendole la mano. «Il piacere è tutto mio! Ma ci siamo già visti da qualche parte, se non sbaglio...» disse lei, inarcando un sopracciglio, ma lui non ebbe tempo di rispondere, perché un uomo di mezz'età gli passò accanto con una borsa di cuoio; intuendo di aver incrociato il professore, fece cenno alle due di entrare con l'indice sulle labbra, in segno di silenzio.

Dentro l'aula il chiacchiericcio degli studenti andò scemando, e dato che i posti erano quasi tutti occupati, le due amiche dovettero separarsi da Joshua.

Seduto poco più lontano da loro, Ariel lo osservò attentamente: così come era stato quando aveva incontrato Lucia, lui sembrava avere qualcosa di diverso dagli altri ragazzi.

Si sistemarono nel banchetto e quando la lezione iniziò, Ariel cercò di concentrarsi, ma le fu difficile. Guardava sempre in direzione di Joshua. Lo vedeva ora scrivere con sguardo attento, ora mettere la penna tra i denti.

Era del tutto come gli altri ragazzi, ma quando i loro occhi si incontrarono e Joshua le regalò un ampio sorriso, capì il perché di tanta curiosità nei suoi confronti: non era una semplice pietruzza di carbone, lui era un diamante in mezzo alla cenere.

***

Durante la pausa tra una materia e l'altra, Joshua uscì dall'aula prima delle due ragazze, determinato a cercare informazioni su quel ragazzo visto in segreteria. Aveva qualcosa di tremendamente familiare.

Le ragazze, invece, uscirono cinque minuti dopo e si diressero alla caffetteria dell'Università che fungeva anche da mensa e luogo di studio.

Mentre Lucia si dirigeva verso la toilette, Ariel, scrutando i volti dei giovani già accomodati nella sala, cercava il sorriso di Joshua, diretta alla cassa per fare lo scontrino. «Due caffè, per favore.»

Lucia le aveva accennato del fatto che Joshua avesse un fascino particolare, ma Ariel non pensava fosse realmente così; dovette ricredersi incrociando quegli occhi verdi in segreteria. Come non notarlo, appoggiato al muro con il suo fisico statuario, la camicia bianca e il volto da bravo ragazzo in attesa, a braccia conserte. Avrebbe voluto iniziare a conversare con lui, invece di scambiare quelle poche battute col tizio dell'help desk, che risultava essere il suo opposto: completo nero, barba sfatta e capelli neri di media lunghezza. «Quello che prende la signorina, lo offro io.» sentenziò una voce calda dietro di lei spezzando il fluire dei suoi pensieri.

Gli occhi marroni fulminarono il personaggio che aveva pronunciato quelle parole. Non è possibile...

Ariel si era seduta sullo sgabello di fronte al bancone del bar in attesa del suo turno, ma tutto si sarebbe aspettata meno che di trovare il tipo strano dell'assistenza a pochi centimetri dal suo viso.

Un rigurgito di fastidio la colse quando ebbe riconosciuto gli occhi di ghiaccio del personaggio accomodato allo sgabello accanto al suo. Non che il tizio non fosse una bella presenza - tutt'altro- ma lei non sopportava chi invadeva il suo spazio vitale senza nemmeno chiedere il permesso.

«No, guarda che non c'è bisogno. Vedi? Ho già fatto lo scontrino.» pronunciò lei con apparente calma, sventolandogli il biglietto. Quello, senza remore e il volto fiero, era proteso verso di lei con il gomito destro sul bancone, la testa piegata da un lato, gli occhi cerulei indagatori e il mezzo sorriso scaltro.

«È la seconda volta che vuoi farmi un favore» considerò Ariel ad alta voce, aggrottando le sopracciglia. «C'è qualche motivo particolare?»

«Quale motivo migliore se non aiutare il prossimo in difficoltà?» prese un sorso al caffè arrivatogli senza che l'avesse ordinato. Lei lo guardò ad occhi sbarrati e labbra schiuse. «Un gentiluomo non dovrebbe mai lasciare una giovane alle prese con gli inconvenienti della vita.»

Ariel inarcò un sopracciglio e si sistemò sullo sgabello in modo da creare più spazio tra lei e quel tipo che, a quel punto, stava alzando i suoi livelli di fastidio, ma lui, incurante, continuò beffardo: «In ogni caso, io sono Acab Damian e sono a tua disposizione per ogni problema derivante da questo ammasso burocratico e molto noioso che molti chiamano Università.»

Mentre Acab finiva di parlare, il caffè di Ariel arrivò contemporaneamente a Lucia, che stava si avvicinò al bancone asciugandosi le mani con uno strato di carta bianca. «Ariel, ma hai ordinato senza di me?» proruppe poi, senza tener conto del terzo personaggio.

«Tu tardavi!» si giustificò.

«E' che ho incontrato Joshua. Mi ha bloccata per sapere se volevo tornare al Centro con lui.»

Ariel spense il sorriso, pensando che quindi ci fosse qualcosa tra i due nonostante lei l'avesse considerato il suo "fratellone".

«Ah, bene... Prendi il caffè, prima che si freddi. Permette Signor Damian, quel posto è della mia amica.» sentenziò verso l'altro che, senza togliersi il sorriso dalle labbra, annuì lasciando qualche moneta sul bancone.

«Come vuole signorina D'Asti. Alla prossima.» e nel dirlo le prese la mano per lasciar posare le sue labbra sul dorso come solo i gentiluomini del calibro dei Damian sapevano fare. A quel contatto improvviso una scossa elettrica percorse i suoi nervi e dovette ritrarre la mano subito dopo.

Poi, mentre il giovane dal completo nero stava per allontanarsi, si voltò verso Lucia, aggrottando la fronte per dirle: «Attenta Profetessa, hai accanto a te il Leone. Il Leone di Dio.»

Ariel corrugò la sua fronte sempre più stupita e Lucia, seguendolo con lo sguardo fin quando non fosse uscito dalla sala, si sentì preda di un presentimento che gli bloccò l'appetito. «Sai Ariel, non mi sento tanto bene, penso che me ne andrò con Joshua. A domani!»

«Ma...!» protestò Ariel mentre Lucia correva via con lo zainetto in spalla. «Tutti strani oggi, eh?» farfugliò prima di ingurgitare il caffè amaro.

Lucia corse fino al cancello dell'Università. Superò le macchine parcheggiate e, passando oltre una fila di motorini e di bici poste all'ingresso della facoltà, vide Joshua intento a scrivere al telefono, appoggiato con la spalla a un lampione.

Si era fermata per prendere fiato e, poggiando le mani sulle ginocchia, si piegò in avanti lasciando che i capelli biondi le coprissero il viso. Il sorriso le si allargò al pensiero che, sicuramente, stava scrivendo a Simon la sua prima giornata lontano da lui.

Doveva essere dura per Joshua stare nel mondo degli uomini dopo aver vissuto all'interno di un nido in cui, ogni sbaglio, produce motivi di crescita e di perdono. Lei si era ritrovata spesso a dissuaderlo dalla scelta del celibato forzato come usavano fare i membri della Chiesa di Laodicea e Sardi, ma lui non voleva sentire ragioni e, anche Simon, un giorno, le aveva detto di non continuare in quell'intento, data la scelta del giovane.

Alzato lo sguardo nella sua direzione, Joshua la vide e iniziò a camminare verso di lei.

I due avevano preso il primo autobus che conduceva verso il Centro Città e stavano camminando insieme verso la seconda fermata che si trovava poco più avanti della Piazza delle Sette Chiese quando campane della Cattedrale suonavano il canto del mezzogiorno. Lui l'avrebbe accompagnata al Centro e poi sarebbe ritornato nel suo alloggio: non avrebbe mai permesso che la ragazza viaggiasse da sola.

Vedere quella grande quantità di adepti all'interno della facoltà l'aveva fortemente destabilizzato e quel turbinio di pensieri gli aveva provocato un forte mal di testa.

«Secondo te può essere?» gli domandò la ventenne dagli occhi verdi, mentre lo guardava dal basso, camminandogli accanto. Aveva iniziato a parlare del fatto che Caleb, se fosse stato ancora vivo, avrebbe scelto la loro stessa facoltà e, magari, addestrato dai Lucifer, avrebbero potuto sicuramente incrociarlo tra le aule dell'Università.

Lui fissava il marciapiede in silenzio e, abbagliato da un raggio di sole, commentò: «Non dimenticherò mai quella giornata: tu che gli corri incontro disperata. Io che, dalla mia stanza, avvertivo la sua voce carica di tensione e... Lui...» sbuffò, fermandosi con la spalla appoggiata al palo giallo del tabellone informativo della fermata. «Non lo so Lucia, non lo so.» mandò giù la tristezza scaturita da quel discorso.

Lei storse il muso e lo guardò in silenzio prima che le risuonassero in mente le ultime parole che gli aveva riferito Acab, il giovane misterioso del bar.

«E cosa pensi di quella ragazza? Di Ariel, intendo.»

Joshua la guardò inarcando un sopracciglio e poi rispose con una nota di fastidio nel tono della voce: «Nulla, Lucia. Cosa vorresti sapere? Ti sembra che sia tanto stupido da non accorgermi del tuo impegno nel presentarmela? Mi è indifferente. E a parte quello e ha detto quel... Acab? Così si chiama?»

«Si.»

«Ecco, dovresti essere tu a dirmi cosa pensi di lei dato che sei tu, ad avere il dono di profezia...» Rise lui, rendendosi conto di averla afflitta con quelle parole e con un pizzicotto alla guancia destra le fece tornare il buonumore.

«Comunque, lo sai che io parlo solo con Simon!»

«Lo so, lo so.» sorrise lui, allungando il braccio per fermare il mezzo in arrivo, mentre la giovane si massaggiava la zona indolenzita della guancia.

L'autobus camminava e Joshua guardava oltre il finestrino, in piedi, mentre Lucia era seduta vicino al vetro, con lo sguardo perso nel vuoto: per la prima volta non avrebbero cenato insieme e non si sarebbero visti per la colazione e gli impegni di volontariato.

Era una Chiesa che si sosteneva da sola, la Chiesa di Filadelfia, e Simon aveva trovato il modo di attuare quel che facevano i primi cristiani a Gerusalemme, dove i ricchi lasciavano liberamente dei beni ai poveri che facevano parte di quelle comunità cristiane. Ciò permetteva al Centro di autosostenersi solo con le offerte e le donazioni dei volontari. Volontari che, a volte, si rivoltavano contro il bene ricevuto; come Moira, che aveva rapito suo fratello Caleb, per chissà quale scopo.

Quella sera, Joshua si ritrovò a pregare per lui, mentre guardava il soffitto di quella casa silenziosa, disteso sul letto. Si convinse che pensare solo a quello che aveva perso avrebbe reso quella possibilità di redenzione, un vero e proprio inferno. Avrebbe fatto meglio a ringraziare per la possibilità che gli era stata data; perciò, si alzò per perlustrare la casa. A piedi nudi e con solo il pantalone del pigiama di cotone, andò verso la cucina per bere un bicchiere d'acqua, dopo aver percorso lo stretto corridoio.

Chiuse le ante ancora aperte del soggiorno, e si rese conto che ormai stava arrivando l'autunno anche se a Filadelfia quella dolce frescura tardava sempre ad arrivare.

La sua casa, al numero civico sette, era ripartita in solo tre stanze, ben strutturata e accogliente. I mobili moderni ed essenziali lasciavano ampio spazio di vivibilità degli ambienti. All'ingresso vi era un open space, che lasciava intravedere una piccola cucina con penisola. La sala da pranzo era uno spazio unico con il soggiorno, così che si potesse mangiare e passare nel divano subito dopo. La zona notte era una piccola stanza con solo il letto, un armadio a tre ante e una scrivania, affiancata dal bagno stretto e lungo. Con un ultimo sguardo alla camera da letto, si avvicinò alla finestra per andare ad osservare la villetta di fronte alla sua, in cui le serrande abbassate lasciavano intuire l'inesistenza di qualcuno oltre quei vetri.

Si sedette in quel letto sfatto dalla mattina e coperto da diverse t-shirt per poi lasciarsi cadere sul materasso senza il desiderio di mettere alcunché sotto i denti. La serranda abbassata e la finestra semichiusa non gli permisero di abbandonarsi al sonno, perché il rumore di un'automobile che sfrecciava a tutta velocità fece udire lo stridio delle ruote sull'asfalto, proprio sotto il suo balcone.

Aprì gli occhi e si mise in ascolto quando avvertì che il vociare indefinito di due persone presagiva una situazione di tensione.

«Ti ho detto di lasciarmi! Non voglio!» esclamava una voce che le sue orecchie pensavano di conoscere. Si alzò di scatto sentendo in quel timbro femminile una richiesta di aiuto al vicinato e non ci volle molto prima che il giovane decidesse di scendere e vedere cosa stesse succedendo.

Indossò la felpa, i pantaloni della tuta e corse lungo le scale.

Al sentire la voce rotta della ragazza, venne assalito dal desiderio di usare le mani contro il volto di chi stava facendo quella violenza, così aprì violentemente il cancello per uscire sul marciapiede. «Ehi!»

Il tipo che sovrastava la ragazza spingendola contro il muro della sua abitazione gli rivolse uno sguardo in tralice, coperto da capelli neri. «Ehi, tu, non mi hai sentito?» lo richiamò , avvicinandosi con i pugni chiusi.

Quello lasciò andare la ragazza per dirigersi verso di lui; si sistemò i capelli togliendo alcune ciocche che gli erano ricadute sugli occhi per fissarle in un codino.

E mentre la ragazza si metteva sotto il lampione, Joshua la riconobbe e un dardo infuocato di rabbia esplose nel suo petto. La giovane Ariel gli mostrò i grandi occhi marroni arrossati e gonfi di lacrime. L'altro dopo aver seguito gli occhi di Joshua fissi sulla ragazza con apprensione, si avvicinò a lui con il sorriso beffardo e caratteristico dei Damian, gli odiosi capi della setta Lucifer.

 

   
 
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