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Autore: Obiter    21/05/2021    1 recensioni
Prendete Sherlock BBC e tutti i suoi personaggi, diminuite drasticamente la loro età anagrafica e metteteli tutti nella London High School durante il loro ultimo anno. (No, aspettate, non dileguatevi. Non è una storia di adolescenti, non sul serio. Okay, tecnicamente lo è, ma il narratore sarà il nostro maturo, disilluso e geniale Sherlock. Sarà forse un po' più insicuro, un po' più impacciato, un po' più con gli ormoni in subbuglio... Ma sarà sempre lui).
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, De-Aging | Avvertimenti: Tematiche delicate
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In questo sconclusionato, illeggibile e disorganico zibaldone di pensieri c’è una cosa che non ho detto, una cosa che avevo deliberatamente deciso di ignorare.

Lasciate che vi rinfreschi la memoria. Il giorno seguente all’incidente di Mike Stamford ho esordito dicendo che erano accaduti due fatti, uno degno di nota e un altro poco importante che avevo deciso di ignorare. Quest’ultimo fatto l’ho ignorato nella convinzione che fosse una questione di poco conto, qualcosa di talmente frivolo che non meritava nemmeno un accenno qui o un solo istante della mia attenzione. 

Sto parlando del compleanno di un certo Henry Baskerville, un baronetto sfaccendato che ha letteralmente più soldi in banca che capelli in testa. Costui, per celebrare la tanto osannata maggiore età, ha deciso di organizzare una festa in piscina nella sua tenuta fuori città, nel Devonshire, alla quale io naturalmente non sono stato invitato. E fin qui è tutto nella norma. Da un lato mi sono anche sentito sollevato, dato che provo una sincera repulsione per le feste di questo tipo, dall’altro però ho provato la famigliare sensazione di amarezza ed emarginazione sociale alla quale ancora non mi ero rassegnato. Sia chiaro, non ci sarei andato in ogni caso, ma avrei comunque preferito declinare gentilmente l’offerta piuttosto che venire escluso a prescindere. 

Ebbene, circa una settimana prima di tale chiacchierato evento, sono andato a correre con John e lui, con pacifica tranquillità, mi ha chiesto se ci sarei andato.

“Non ho l’invito” gli ho risposto pertanto, come se ciò  fosse ovvio. Anzi, ero stupito che non l'avesse immaginato da solo.

“Ti invito io, allora. Tanto Henry ha detto che, se vogliamo, possiamo portare degli amici, per cui…” e insinuato ciò, John mi ha fatto l’occhiolino. Lo stesso occhiolino da playboy che ha rivolto anche a Sarah Sawer e a Mary Morstan. “Dai, Sherlock" insistito, vedendo la mia faccia "Chissà quanta gente ci sarà! Non se ne accorgerà nemmeno”

Dopo ha corso più veloce, o forse ero io che mi ero fermato all’improvviso. Sta di fatto che il giorno della festa è alle porte e John è convinto che io verrò.

Non ci andrò, naturalmente. Non posso immaginare scenario più degradante e disagevole di una festa in piscina. Non immaginatevi una festa in costume da bagno, comunque, grazie al cielo siamo a Londra, non a Beverly Hills. La piscina è semplicemente un arredo scenografico e se non vado errato insieme a questa ci dovrebbe essere anche una veranda con un ampio pergolato impreziosito da un glicine, dove il signorino Baskerville suppongo avrà inserito dei climatizzatori per il riscaldamento, un piano bar e delle costossisime casse per la musica da discoteca. 

Puro sperperio di denaro.

Sicuramente, qualche simpaticone nel corso della festa finirà dentro la piscina illuminata, Sebastian primo fra tutti, seguito a ruota da Godrfrey Norton e da un paio di Cheerleader.

A questo punto, credo sia abbastanza chiaro che io non avevo alcuna intenzione di andarci. Del tipo che nemmeno su ordine del medico ci avrei messo piede. Avevo già pianificato come si sarebbe svolta la mia serata: me ne sarei stato in camera a leggere con la sigaretta in bocca, deluso e disincantato dalla vita come una prostituta in pensione.

Dovevo solo trovare l’occasione di dirlo a John.

Non che la mia assenza lo avrebbe sfiorato minimamente. Lui ha già una ragazza e spesso esce con i suoi compagni di squadra, figuriamoci cosa gli poteva importare di Sherlock lo strambo. Però me lo aveva chiesto ed era convinto che io venissi, mi sembrava corretto informarlo di questa mia decisione.

E poi continuva a sedersi di fianco a me. Questo era strano, era come se aspettassi il momento in cui avrebbe aperto gli occhi sul mio conto e se ne sarebbe andato. Nel frattempo comunque mi godevo la sua compagnia.

“Ehi, Sherlock” mi ha salutato tranquillamente, col suo viso fine, da biondo “Come andiamo?”

“Non male. Tu?” gli ho risposto con una frase fatta.

“Bene, dai. Spero che oggi non mi interroghi perché non ho fatto niente ieri, ma proprio niente” ha interloquito tra una sorsata d’acqua e l’altra “Non so se hai presente Kate, la ragazza con cui mi vedo”.

Perdiana, se l’ho presente. L'ho vista l’altro giorno mentre se lo sbaciucchiava senza alcun pudore nei corridoi.

“So chi è” gli ho risposto, cupo. Non mi stava simpatica.

“Ecco, lei ieri mi ha telefonato, infuriata nera, perchè mi sono dimenticato di fare gli auguri a quella sua amica, quella strafica…”

“Irene Adler?” chiesi subito io, stupefatto. Non era il compleanno di Adler, tanto meno il suo onomastico.

“No, l’altra. Quella che assomiglia a Claudia Schiffer”

“Astrid?”

“Sì, esatto” concordò lui “Volevano farle una catena di auguri per messaggio, solo che la catena ha avuto un buco perché io mi sono dimenticato”.

Non so perché ma ho trovato l’episodio esilarante. Ho dovuto trattenere un sorriso.

“E Kate si è infuriata” ho tratto le mie ovvie conclusioni.

“Esatto”

“Capisco…”

“Quindi chimica non l’ho aperta, come puoi immaginare” ha continuato il mio amico “Ho avuto altri problemi”

“Certo” annuii. Questi erano i momenti in cui mi rallegravo di non avere una vita sociale. “Non ti preoccupare. Se ti chiama, posso suggerirti io. Ho una certa dimestichezza in queste materie”

“Grazie, ma non importa. Se mi chiama, gli dico che non so niente e buon anno”.

Comportamento retto, onesto, leale. Militaresco, di quei soldati umili ma coraggiosi che conservano uno spiccato codice d’onore.

“Ti fa onore, John”

Lui come sempre ha sminuito con un’alzata di spalle. “Te invece come va? Passata una serata tranquilla?”

Avrei voluto potergli dire che anche io avevo litigato con una ragazza, ma invece lo ricambiai con la sua stessa moneta: sincerità. 

“Ho letto un interessantissimo articolo sulla dissezione della vespa mandarinia” gli ho risposto come se niente fosse. Il suo sguardo si fece subito confuso.

“La cosa, scusa?”

“La vespa mandarinia” ripetei io, un po' a disagio “Un grosso calabrone di origini asiatiche che possiede un veleno molto pericoloso, talvolta anche letale per l’uomo”.

“Ah” sillabò John, sembrava a corto di risposte “Caspita”

“Già”.

Lui abbassò lo sguardo in modo pensoso e io mi chiusi in un silenzio imbarazzato. Mi sembrava di essere riuscito ad ammutolire perfino John Watson, la persona più disinvolta e amichevole dell’universo. Stavo per cambiare argomento e virare verso la questione Baskerville, ma lui si voltò di nuovo verso di me con un interrogativo dipinto negli occhi.

“Ma punge come le vespe normali?” mi domandò, del tutto a sorpresa. 

“Oh, sì” gli ho risposto io, dopo un istante di ritardo “La sua puntura è dolorosissima, un noto entomologo ha paragonato il suo pungiglione a un grosso chiodo arroventato”

“Sul serio?” mi domandò interessato.

“C’è stato un killer che ha ucciso ben quattro persone utilizzando queste vespe” mi sono caricato di entusiasmo “Le sguinzagliava nelle abitazioni delle vittime e poi si defilava, senza lasciare traccia. È stato un caso notissimo nella Cina del 1838”.

“Non ci credo!” mi rispose John, sembrava onestamente colpito.

Credo di avergli sorriso.

“L’hanno beccato?”

“Dopo circa un secolo e mezzo” gli ho risposto io.

“È fantastico che tu sappia tutte queste cose, Sherlock” mi ha lusingato “Dovresti scrivere un libro, o un blog”

Stavo per rispondergli ma purtroppo il suono metallico della campanella ci interruppe.

Lo ammetto, stavo iniziando ad adorarlo seriamente. 

Dirgli che non sarei venuto a quella festa non mi risultò facile come credevo. Ho temporeggiato fino all’ultimo, sapere che lo avrei deluso mi impediva di parlare.

E infatti alla fine è stato lui a tirare fuori l’argomento, con nonchalance. Mi ha informato che lui e Bill avrebbero fatto una macchina unica, con quest’ultimo al volante, John nel posto del passeggero, un tizio e la fidanzata di questo tizio, con la conseguenza che c’era un quinto posto in più anche per me vicino ai due tizi. La mia sociopatia ha avuto una crisi di panico al solo sentirlo dire. A quel punto ho dovuto necessariamente sbottonarmi. Gli ho detto tra i denti che non sarei venuto, senza guardarlo, ma lui si è infiammato.

“Che cosa!? Come non vieni?”

Ho scosso la testa. “Ho avuto un contrattempo, mi dispiace” ho tagliato corto “E poi queste cose non fanno proprio per me, sarei avulso dal contesto”

“Ma sì che fanno per te” ha insistito lui e così dicendo mi ha toccato il braccio. I miei occhi guizzarono sulla sua mano calda “Andiamo lì, ci beviamo qualcosa, c’è la musica, ci sono le ragazze… Sarà divertente”

Feci un silenzioso respiro col naso, dovevo riordinare le idee.

“John” dissi, serio “Tu non mi conosci bene, io ho una concezione del divertimento completamente diversa dalla vostra. Per me una festa del genere non è qualcosa di divertente, e più un incubo… No, non ridere! Parlo sul serio!” gli ho intimato, ma lui per l’ennesima volta mi ha sorpreso in modo positivo.

“Ascolta, nemmeno io sono uno da feste in piscina o da discoteche, ma proprio per niente” mi ha detto con tono amichevole, io l’ho guardato subito “Capirai, a me di notte piace dormire, o al limite…”

Si interruppe, ma voleva dire scopare. Gliel’ho letto in faccia.

“… Però, anche le feste più mondane diventano una bella occasione quando si è in buona compagnia” mi ha guardato e mi ha rivolto un sorriso caloroso “E tu sei una buona compagnia, Sherlock. Per questo vorrei che venissi”

Una buona compagnia? Le sue parole mi commossero, l’impeto di abbracciarlo e sbaciucchiarlo fu violentissimo. Non ero abituato a sentirmi dire gentilezze del genere, non sono proprio abituato a riceverne. Ho taciuto e mi ero incatenato mentalmente per non saltargli addosso. Le mie catene mentali posso garantire che sono più salde dell’acciaio inossidabile. Mi sentivo come Redbeard quando si tratteneva dal leccarci tutta la faccia, soffriva, il suo affetto era talmente sconfinato che aveva bisogno di sfogarlo. Io mi sentivo circa così, in quel momento. Una bella pomiciata affettuosa non gliel’avrebbe tolta nessuno.

“E poi c’è un’altra cosa, Sherlock…”

Io l'ho guardato spiazzato, cos’altro poteva dire per convincermi? Che c’era omicidio rimasto irrisolto?

“Pare che ci sia una sorta di maledizione che permea quella villa” ha aggiunto, lasciandomi sbalordito “Praticamente, si narra che ci sia un cane mostruoso che vuole uccidere tutti gli eredi maschi dei Baskerville. È certamente una cavolata, me l’ha raccontata Henry, però il fatto strano è che in passato alcuni suoi antenati sono morti sul serio”

“Sbranati da un cane?” ho domandato al volo.

“Sì”

Trovai subito la questione estremamente interessante, la mia mente era saltata di palo in frasca dal sentimento al ragionamento in meno di un istante. 

“Evidentemente, l’assassino ha sguinzagliato un cagnaccio rabbioso e ha fatto leva sulle credenze popolari per evitarsi la galera, e a quanto pare c’è riuscito” ho ragionato a voce alta “Se non erro, c’è stato un caso simile anche in Sud Africa con un leone fantasma”

“Sì, sicuramente hai ragione”

“Ma sai qual è il fatto interessante, John?”

“Quale?” mi ha domandato con un sorriso.

“Se qualcuno oggi volesse uccidere un Baskerville, magari per motivi successori vista l’ingente quantità di denaro di cui dispongono, potrebbe tuttora approfittarsi di questa leggenda per farla franca. Ha letteralmente la strada spianata”

“Ma no, dai” mi ha smentito John “Chi crederebbe mai a una storia del genere adesso, nel ventunesimo secolo?”

Io ho scosso la testa bonariamente “Sei molto ragionevole, ma sottovaluti troppo la debolezza umana. I tempi passano, ma le scaramanzie e i timori ancestrali restano. Siamo tecnologicamente più evoluti, ma siamo creduloni e suggestionabili proprio come lo eravamo nell’età della pietra. Se Henry Baskerville vedesse in piena notte un grosso cane, magari un dolcissimo Terranova con un paio di corna finte tra le orecchie, stai certo che gli verrebbe un colpo esattamente come è venuto al suo trisavolo nel 1700”

E su questo ci avrei scommesso il mio cervello. John sogghignò e annuì.

“Sì, forse hai ragione” mi disse con tono amichevole “Quindi? Ti ho convinto a venire?”

Ora sarebbe bello potervi dire che gli ho risposto di sì.

Per quanto la mia sociopatia non fosse uno scoglio insormontabile, restava comunque il fatto che io non ero il benvenuto tra quelle persone. Henry non mi aveva invitato e questa omissione non era imputabile al fatto che lui ce l’avesse con me, quanto al fatto che le persone come me, semplicemente, non si invitano. È buona norma ghettizzarci ed escluderci da ogni evento, festa o ricorrenza sociale. Poi c’erano Sebastian e i suoi amici, amici di amici di Sebastian, le loro rispettive ragazze e tutte le Cheerleader della scuola… Insomma, avevo letteralmente un esercito di nemici armato fino ai denti, pronto a colpirmi senza alcun limite di tempo o di spazio ad arginare la loro cattiveria. Non ci sarebbero stati i professori a fermarli, non ci sarebbero state le campanelle a interromperli o qualsiasi altro tipo di deterrenza. Avevano la strada spianata.

Non ho paura di loro, sia chiaro. So che hanno dei grossi limiti e probabilmente tutti i loro cervelli messi insieme non fanno il mio, e non lo dico per incensarmi. Tuttavia, non voglio passare una serata da incubo tra derisioni e prese in giro. Preferisco restarmene a casa e credo sia lecito. Con un po' di imbarazzo e dispiacere ho cercato di spiegarglielo. John sapeva di cosa stessi parlando, ha visto più di una volta la cattiveria di Sebastian in azione, e la sua spiccata intelligenza empatica lo ha portato subito ad annuire e a concordare con me.

“Capisco” mi ha detto infatti “Mi dispiace molto. Non ha senso, perché ce l’hanno con te?”

Ho forzato un sorriso “Perché sono diverso. La diversità impaurisce gli ignoranti, John, li fa sentire minacciati. E poi io li vedo per quello che sono: degli idioti senza speranza. Muscolosi, bellocci e pieni di ragazze, ma pur sempre degli idioti senza speranza. E non faccio niente per nasconderlo”.

John mi ha guardato e non ha aggiunto altro, la sua espressione era grave. 

“Se vuoi, non vado neanche io” mi propose “Possiamo uscire da qualche parte e andare a bere qualcosa”

John ha un encomiabile spirito di sacrificio, mette gli altri davanti a se stesso, è proprio ciò che rende un uomo un bravo medico e un perfetto soldato.

“No, vacci” l’ho esortato gentilmente, anche se ovviamente avrei preferito il contrario “Ho bisogno che tu ci vada. Metti che tra gli invitati compaia all’improvviso un lupo mannaro, dopo chi mi fa il resoconto di come sono andate le cose?”

Lui mi ha sorriso “Sicuro?”

“Sicuro oltre ogni ragionevole dubbio” gli ho risposto come un avvocato.

Lui ha annuito e poi non ne abbiamo più parlato, la questione era risolta.

Finite le ore di lezione, ho fatto una passeggiata per il centro storico e poi, quando ero certo che i miei fossero usciti, sono tornato a casa e mi sono dedicato al violino. 

Non sono molto bravo, devo essere sincero. Ho capito come funziona lo strumento e sono entrato nella sua complessa e delicatissima logica, ma sono ancora acerbo. Ho appreso i passaggi di posizione (dalla prima alla quarta e viceversa) e le tecniche più elementari, ma stono ogni volta che la partitura si fa più complessa. Basta davvero mezzo millimetro per stonare, ma forse è il mio udito particolarmente sensibile a rendermi palese ogni minima sbavatura. Il mio maestro di pianoforte a tal proposito mi ha sempre consigliato di fare i test per verificare se avessi l’orecchio assoluto, ossia quella innata capacità di comprendere la composizione della musica senza l’utilizzo di riferimenti come spartiti, accordi o annotazioni. Non ho mai fatto accertamenti sul punto, mi basta sapere che ho un udito discreto e una naturale predisposizione per la musica. Probabilmente, se non se non aspirassi a diventare un detective, le mie ambizioni sarebbero rivolte verso la prestigiosa Orchestra Filarmonica di Vienna, o al limite verso l’apicoltura. Preziosissime le api, la gente non comprende fino in fondo il loro incommensurabile valore. Se nella Terra c’è vita, è anche merito loro e non certo nostro. Noi esseri umani in confronto alle api siamo solo dei nocivi ed egoisti parassiti. Se ci estinguessimo la Terra rifiorirebbe, sarebbe un germoglio e un profumo continuo.

Bene, dopo questa stoccata contro il genere umano, ho riposto il violino nella sua custodia e mi sono seduto sul letto. Non ero in vena di suonare, il mio malumore gravava sulle mie spalle come una coltre tenebrosa e stranamente questa volta non ha contribuito a rinvigorire la mia vena artistica, come invece è sempre accaduto in passato.

Ho guardato l’orario: erano le ore ventuno e quattro minuti. John, Bill e i due estranei erano partiti più di un’ora fa e a quel punto dovevano ormai essere in dirittura d’arrivo.

I miei per fortuna erano fuori a cena e Mycroft invece era uscito con la sua nuova ragazza.

Come avevo pronosticato, mi ritrovai solo e mi accesi una sigaretta. La cocaina era a portata di mano, ma mi ordinai rigidamente di ignorarla. 

Non potevo assumerla, mi ero già fatto una dose due giorni fa e perciò avevo già raggiunto il limite settimanale che mi ero autoimposto. Mi guardavo bene dal diventare un tossico e mi imponevo di mantenere sotto l’egida del mio autocontrollo questa pericolosa abitudine. Iniziai a studiare lineamenti macroeconomia da uno dei manuali universitari di Mycroft. Era noioso come la morte, ma almeno erano tematiche che non conoscevo. In realtà avrei avuto anche una noiosissima ricerca di scienze da fare, ma non mi andava. Avrei scritto le solite due scemenze domani mattina.

Arrivai a pagina quarantotto, ero talmente annoiato che mi era venuta la nausea. 

Chiusi il libro. Le sigarette andate in fumo erano diventate magicamente sei, non chiedetemi come, mi sembrava di averne fumate sì e no due. Guardai l’ora, erano le 22:03, avrei detto le tre del mattino. A quest’ora John e gli altri dovevano essere sicuramente arrivati, magari si erano procurati il primo drink della serata ed erano andati a salutare il festeggiato. Mi figurai facilmente John, sorridente e ben vestito, mentre si ricongiungeva con Kate e faceva un cenno a Sebastian e agli altri. Tra quaranta minuti avrebbero acceso la musica a tutto volume e tra un’ora sarebbe arrivata anche Irene Adler, vestita come un'attrice e in compagnia di un ricco studente universitario con la BMW. E dopo ciò quell’esibizionista di Sebastian sarebbe finito in piscina e magari nel corso della nottata anche John sarebbe caduto in acqua, quelli forti finiscono sempre in acqua.

Stavo malissimo, non sapevo cosa fare, cosa guardare o cosa pensare, mi venne perfino mal di testa. La sensazione era quella di correre in tondo sempre più velocemente e in un cerchio sempre più ristretto. Ecco quello che provo quando sono annoiato, la sensazione è circa questa, asfissiante, frustrante, da gridare e mettersi a piangere. 

I miei occhi disperati schizzarono nel comodino dove avevo riposto la cocaina, in un doppio fondo segreto del cassetto che io stesso avevo costruito di nascosto.

C’era anche un cellulare lì dentro, non mio. Uno smartphone senza sim ma con la batteria funzionante, che ancora rispondeva alle ricariche a cui sporadicamente lo sottoponevo. È una storia lunga anche questa, che si ricollega a Irene Adler e a quell’altro trascorso imbarazzante che mi sono rifiutato di raccontare.

Ero sul punto di bucarmi l’avambraccio, stavo cedendo e avevo iniziato a produrre giustificazioni, su giustificazioni, su giustificazioni a sostegno di questo pernicioso strappo alla regola. La situazione dopotutto era anomala e poi mi sarei iniettato una dose leggera, una soluzione al 4%, giusto per quietarmi e mettermi a letto. La polvere libera dopotutto era finita...

Alla fine la mia opera di auto convinzione ebbe la meglio: ho aperto il cassetto segreto e ho estratto tutto l’occorrente. Ormai avevo imparato a fare le iniezioni meglio di un infermiere. 

Stavo per procedere quand’ecco che il campanello di casa suonò, come un film. Rimasi spiazzato e pensai subito a Mycroft che aveva dimenticato o perso le chiavi di casa. Però mi parve impossibile, Mycroft non dimentica nemmeno l’ombrello e poi avrebbe suonato almeno quattro volte in più. 

Il campanello suonò di nuovo, una seconda volta.

E se fosse...? No, mi imposi di non illudermi.

Nascosi accuratamente la droga e mi precipitai giù per le scale. I miei non erano, dalla finestra non intravidi la Volvo di mio padre parcheggiata nel vialetto. Mio fratello non poteva essere per i motivi sopra indicati, e allora chi c'era alla porta, perciò?

Aprii subito la porta e quando vidi chi c’era nella soglia, provai una stranissima sensazione, non di delusione ma neanche di gioia. C’era Jim e al suo fianco c'era una ragazza dall’aria alienata con una parrucca rossa in testa, che mi puntò subito gli occhi azzurri addosso. Rimasi senza fiato, so riconoscere un pazzo quando lo vedo. Questa era scappata da un manicomio, si vedeva lontano un miglio anche solo dallo sguardo fisso e vispo con cui mi trapassava. Non sbatteva nemmeno le palpebre. E conoscendo Jim, non doveva trattarsi di una pazza “qualunque”, ma di una pazza assassina, una di quelle psicopatiche che hanno ucciso in modo barbaro e indescrivibile. Ecco spiegato il motivo dell’elicottero militare che avevo visto attraversare il cielo solo poche ore prima. Ho impiegato tre secondi per elaborare questi pensieri, a scriverlo ci metto molto di più.

“È qui la festa?” mi domandò Moriarty e in quello stesso momento la pazza dai capelli palesemente finti fece un passo verso di me e mi mise le mani addosso, nel senso proprio che mi abbracciò. Io rimasi rigido con le braccia abbandonate lungo i fianchi, sentii distintamente le sue costole che cozzavano contro le mie, il suo odore mi parve famigliare. Fulminai quel delinquente del mio amico con lo sguardo.

“Ma che quadretto commovente” soggiunse lui, indossava gli occhiali da sole anche se era scesa la notte “Non te lo scopare però, Euri! Mi raccomando!”

Io me la allontanai subito di dosso, lei scattò a parlare.

“Il mio elastico per capelli?” mi domandò con voce squillante e decisa “Ti ricordi? Prima di andarmene ti avevo chiesto di passarmi un elastico per capelli”

Le mie sopracciglia si arcuarono. 

“Oh, Sherlock andiamo! Hai fatto il bravo bambino mentre ero via?” mi domandò, guardandomi come se volesse penetrarmi l’anima “Possibile che nessuno ti abbia detto che la droga fa male? Ti mangia i neuroni, idiota. Già non ne hai tanti, ti sembra il caso di consumarli così, come se niente fosse? Sono le uniche cellule del nostro corpo che non si riproducono”

Io sbattei le palpebre, ero onestamente sconvolto. 

“Ah, vedo che hai suonato” mi toccò le dita “Come stai andando? Il tuo vibrato era così scarso”

“Chi sei tu?” le domandai, pieno di inquietudine. Mi sentivo some un Baskerville di fronte al mastino.

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore

Ed eccoci qui!

La storia sta prendendo forma. Volevo fare un simpatico cliffhanger e interrompere il capitolo nel momento in cui Sherlock apriva la porta, ma ho temuto che vi sareste illusi (illuse?) pensando a John e a una successiva scena con lui... In effetti ci stava.

Sulla questione dei Baskerville, mi sono basato sull’opera originale, anche se l’adattamento di Sherlock BBC con la nebbia intrisa di droga mi è piaciuto molto. È un po’ quello che sto cercando di fare, un mix tra la serie e l’opera originale, anche se la serie ha comunque una netta preponderanza.

Ultima cosa: le vostre recensioni mi fanno sempre piacere, grazie! 

 

   
 
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