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Autore: Iander    21/05/2021    1 recensioni
Tony Stark. Un genio, miliardario, playboy, filantropo. E molto di più.
Pepper Potts. Assistente scrupolosa e impeccabile, poi amministratore delegato delle Stark Industries. E non solo.
La storia di un uomo che è diventato un eroe, di una donna dalla forza incrollabile, di un amore che ha affrontato ogni cosa e ne è uscito vincitore, nonostante tutto.
Dal capitolo 2: Armatura e computer, pezzi di ricambio e calcoli. Tutto perfettamente nella norma, non fosse per la persona che in quel momento occupava il divanetto dall’altra parte della stanza: Pepper sedeva placida con le gambe rannicchiate, un libro tra le mani e l’espressione assorta. Il fatto che stessero condividendo lo stesso spazio senza al contempo litigare, ridefinire accordi lavorativi o mettere i bastoni tra le ruote al cattivo di turno, ma solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme, rendeva perfettamente l’idea di quanto la sua vita di recente fosse cambiata radicalmente.
[Raccolta; Pepperony; Tony&Peter]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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From Dusk Till Dawn


 
Ad Amy Tennant,
per il suo modo unico di raccontare
 

Capitolo 8
Losing Control
 
 
Contesto: The Avengers – Infinity War
 

 
“I feel a change in the atmosphere
I never thought I'd end up back here
Divided, alone, afraid
In a breath my chains reappear”
 
 
L’impatto contro il suolo è secco, destabilizzante. Ne percepisce chiaramente il rimbombo dentro di sé, mentre il fianco cozza contro il terreno e le sue mani di colpo stringono l’aria. Annaspa, sconcertato, cercando di incamerare a forza ossigeno nei polmoni. Il respiro gli si è incastrato da qualche parte in fondo alla gola, lasciandolo senza fiato.

Il palmo sinistro si scontra con la superficie ruvida, arrestando la sua caduta. Lo solleva, lo osserva incredulo. Le dita sono interamente ricoperte di polvere. Se di terra o resti umani, non sa dirlo. Ha importanza? No. Non cambia ciò che è appena successo. Serra il pugno con forza, sente la bile invadergli il palato. Inspira bruscamente. Si raddrizza, siede stringendosi le mani in grembo. Il tormento che gli logora il cuore e lo stomaco non accenna a placarsi.

Il ragazzo non c’è più. Si è dissolto nel nulla. Cenere nell’aria sospinta dal vento. Ciò che prima grondava vita da ogni poro ora non è altro che pulviscolo inerte. Niente più sprazzi di entusiasmo irrefrenabile, niente più “Signor Stark”, niente più citazioni di film discutibili, niente niente niente.

Una fitta gli attraversa il petto, implacabile. Boccheggia, cercando di resistere a un dolore che si propaga a dismisura, che sperava di non dover mai provare. Non è pronto, non lo è mai stato. Non aveva considerato di sopravvivere a Peter, di assistere impotente alla sua distruzione. Si era prefissato di salvarlo, a qualunque costo. Era disposto a sacrificarsi, pur di saperlo vivo e incolume; lo aveva stabilito tra sé quando aveva accettato a malincuore la sua presenza sull’astronave. E invece ha fallito. Inesorabilmente. Di nuovo.

A nulla sono valsi i suoi tentativi di tenerlo al sicuro. Che senso ha avuto fargli le ramanzine, predicare la prudenza? Che senso ha avuto costruirgli un costume intuitivo, a prova di pericolo? Che senso ha avuto cercare di proteggerlo ad ogni costo? Niente di tutto questo è servito. È stato tutto inutile. Peter non c’è più, si è sbriciolato davanti ai suoi occhi. Non lo ha salvato.

Il peso del fallimento grava sulle sue spalle curve, le stesse spalle che, solo una manciata di minuti fa, braccia avide di vita hanno artigliato con disperazione. Non voglio morire, non voglio morire. Le ultime parole del ragazzo rimbombano incessanti nella sua mente provata, come spilli acuminati che affondano e tormentano senza tregua. Ansima, si stringe il petto con una mano. Scuote la testa, non riesce a trovare pace. La sconfitta non hai mai avuto un sapore così amaro.
 

 
“Just another thorn in my side
I try again and fail
I seal my fate, it's almost too late
I try to hold on, but it's slipping, slipping away”

 
L’aria di Titano è pesante e acre, densa di polvere, fumo e frammenti di roccia. Detriti senza tempo ricoprono la superficie di quel pianeta maledetto, dimenticato. Il sole scivola piano lungo l’orizzonte, tingendo il cielo di un vivido rosso sangue che ferisce lo sguardo. Sente distrattamente l’aliena blu parlare, da qualche parte dietro di lui. Non l’ascolta. Porta le mani al viso e serra gli occhi. Si affanna a trovare un appiglio in quel mare di dolore che avvolge e non lascia scampo. Sta perdendo il controllo.

Pepper.

Il suo nome lampeggia di colpo nella mente, un faro di luce nel caos di lucida follia in cui precipita sempre di più. Accarezza con il pensiero ogni lettera, si aggrappa con tutte le sue forze a quel ricordo dolce e confortante. Si chiede se stia bene, se sia al sicuro, se sia ancora viva. L’ansia si insinua di colpo nel suo animo ammaccato e dolente, si propaga inesorabile fino a raggiungere il cuore. Sente la terra mancare sotto di sé, la sua bocca si spalanca in un grido muto carico di orrore. Non può averla persa. Non può avere perso anche lei.

Si passa le mani sul viso sporco di sangue e sudore. Cerca di tenere a freno il terrore gelido e pungente che gli occlude la gola. Il solo pensiero di Pepper che si sgretola e svanisce in una nube di polvere è insostenibile, intollerabile, come sale su una ferita aperta. Non può accettarlo. È dolore che si aggiunge ad altro dolore, è precipitare nel baratro senza alcuna speranza di risalire. Niente ha più senso se lei non c’è più. Un ansito spezzato gli sfugge dalle labbra schiuse. Ora sa che non può vivere senza di lei. Non può. È qualcosa di inconcepibile, non può sopportarlo, lo sa. Le mani gli tremano senza sosta, il suo stesso mondo sta già iniziando a sfaldarsi, non ce la fa, non può, non ce la fa, non–               

Respira.

Si costringe ad inspirare a fondo, tenta di calmarsi. Non è il momento di crogiolarsi nella disperazione. Deve assicurarsi che Pepper sia sana e salva. Deve vederla con i propri occhi e sentire la sua pelle calda sotto le dita. Basta gingillarsi, basta frignare. Deve tornare a casa. Fa leva sulle ginocchia e si alza, barcollando appena. Una fitta lancinante gli attraversa il lato sinistro dell’addome, la vista si annebbia per qualche istante. Porta la mano a sfiorare appena lo squarcio rattoppato che Thanos gli ha inferto, segno indelebile di una battaglia che lo ha visto soccombere. Ancora.

Contrae la mascella, china il viso. Stringe le nocche fino a farle sbiancare. Le immagini dello scontro gli affollano la mente, come spiriti irriverenti che si divertono a perseguitarlo. Una rabbia accecante gli serpeggia nelle vene e brucia il suo orgoglio ammaccato. Anni trascorsi a costruire armature, sempre più forti, sempre più potenti, sempre più invincibili. Eppure, non è servito a nulla. Se non fosse stato per quello stregone pazzo e masochista, ora giacerebbe a terra con gli occhi riversi. E il reattore Arc? Il suo vanto, il frutto della sua rivalsa? Del tutto inutile. Nient’altro che un gingillo decorativo, dinnanzi al potere di quattro gemme dell’infinito.

Sferra un violento calcio a uno dei tanti rottami accartocciati che lo circondano. Traballa pericolosamente, per poco non cade a terra. Collera e frustrazione si dibattono senza sosta nel suo animo, vivide e incessanti. Oh, ma in fondo non è tutta colpa sua. Avrebbe potuto – dovuto – fare di più, lo sa, ma dopotutto lui è solo un uomo di latta. Nessuno avrebbe mai creduto che sarebbe riuscito a fermare Thanos da solo, ad impedirgli di prendere la gemma del tempo. Avevano bisogno di qualcosa di più forte, di più potente. E lui, di nuovo, lo sapeva, lo aveva previsto. Un’armatura a protezione del mondo. Lo aveva detto! Aveva cercato di farlo capire ai suoi ingenui compagni di squadra, ma niente. Lo avevano accusato di fare lo stesso gioco dello Shield, lui, che aveva portato un missile nucleare attraverso un portale a costo della sua stessa vita. Thor lo aveva guardato dall’alto in basso, sprezzante. E Cap, il difensore delle cause perse, aveva avuto la brillante quanto inutile idea di ribadire l’importanza di essere uniti. A sentir lui, non serviva un’armatura protettiva, nemmeno di fronte a una minaccia spropositata. Avrebbero perso insieme, se necessario [1]. Beh, dov’è Cap adesso? Dov’era, mentre lui dava tutto se stesso per battere Thanos?

Si afferra le braccia con le mani e vi affonda con forza le dita. Tenta nuovamente di calmarsi, di ritrovare la lucidità mentale. Non è questo il momento di inveire, ha ben altre priorità. Prima deve tornare a casa. Poi avrà tutto il tempo di prendersela con quei perfettini da strapazzo. Sempre che siano ancora vivi. Di colpo ripensa ai suoi amici, ai suoi compagni di squadra. Si chiede chi sia sopravvissuto, chi invece no. Rhodey, Happy, Nat,… i nomi sfilano nella sua mente uno dietro l’altro. Spera sinceramente che stiano tutti bene. Anche Rogers. Nonostante tutto.

Basta con i pensieri distruttivi. Si guarda intorno, mette a fuoco il paesaggio desolante che lo circonda. La carogna blu è seduta poco più in là, lo osserva in silenzio. Dal suo viso non traspare alcuna emozione. Poco male. Lui è su di giri a sufficienza per entrambi. Si volta ancora, studia attentamente ogni cosa. E poi la vede. La nave dei suoi improvvisati alleati è lì, arenata tra cumuli di detriti. È un po’ ammaccata, ma sembra in buone condizioni. Non è rimasta coinvolta nello scontro, non dovrebbe aver riportato danni ingenti. E comunque, può sempre ripararla.

Riporta di nuovo lo sguardo sull’aliena. «Ehi, tu. Alzati» la esorta con voce rauca. Lei obbedisce senza smettere di fissarlo. Si avvicina a lenti passi, si ferma. Lo guarda, in attesa. Le indica con un gesto secco la sagoma dell’astronave. «Vedi quella? Dobbiamo controllarla e rimetterla in sesto. È il nostro unico biglietto di ritorno» snocciola, incolore. Poi si avvia, zoppicando appena. Non si volta per vedere se lei lo stia davvero seguendo. Dopo qualche istante sente i suoi passi leggeri dietro di sé. Non se ne stupisce. Nessuno vorrebbe davvero restare bloccato su un pianeta del genere.

Punta lo sguardo sulla nave. Ad ogni falcata, sente la determinazione crescere dentro di sé, mentre un lento sorriso sghembo prende a disegnarsi sulle sue labbra. Ce la farà anche questa volta. Come sempre.

 
“And I build it all up just to watch it crash down
And I'm digging all up what I buried underground

I'm losing, I'm losing control
I'm losing control
I'm losing control
Control
Control
Control
Control”

Losing Control – Red
 
 
 

Note:
[1] Mi riferisco alla discussione che avviene tra gli Avengers in Age of Ultron, dopo che Ultron si manifesta per la prima volta e scappa dall’Avengers Tower.




Ciao a tutti! Ecco l’ottavo capitolo, forse il più particolare di tutta la raccolta. Ho provato a sperimentare un po’ e spero che il risultato finale sia apprezzabile.

Dunque, questo capitolo si colloca alla fine di Infinity War: è il diretto proseguo dell’ultima scena in cui appare Tony, che ha appena assistito alla dissoluzione di Peter e, indirettamente, alla vittoria di Thanos. È l’unico dei dieci capitoli a ricollegarsi in maniera così diretta ad una scena dei film e, proprio per questo, si differenzia in maniera netta: qui le riflessioni di Tony qui non sono lunghe e articolate, il risultato cioè di un’elaborazione a freddo, ma istantanee, discontinue, vissute a caldo in quell’esatto momento. Sono le sensazioni il vero fulcro del capitolo, siano esse esteriori (la consistenza della polvere sulle dita, il cielo rosso, il dolore al fianco,…) o interiori (il dolore per la morte di Peter, l’angoscia per Pepper, il senso di colpa,…); di fatto, guidano l’intera introspezione. Ho intenzionalmente utilizzato il presente: è forse il tempo verbale che più si presta ad una narrazione di questo tipo.

In mezzo a questo caos sfaccettato, ho comunque cercato di stabilire un filo conduttore in ciò che Tony prova: si passa dal dolore per la morte di Peter, all’angoscia per la sorte di Pepper, alla rabbia accecante nei confronti di Steve e di chi non lo ha ascoltato, alla determinazione nel trovare un modo per tornare a casa. In tutto questo, in sottofondo, vige un senso di colpa costante perché, nonostante tutto, ha fallito per l’ennesima volta.

Per la descrizione di Titano, della luce rosso sangue e del modo in cui Tony reagisce a livello di mimica facciale al pensiero che Pepper non ci sia più, ammetto di essermi ispirata all’Urlo di Munch (oltre che alle effettive ultime immagini di Titano presenti in Infinity War).

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander


 
  
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