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Autore: Chocolate_senpai    30/05/2021    1 recensioni
A dieci anni di distanza dall'ultimo, famoso campionato, la ruota della storia gira di nuovo, di nuovo il perno di tutto è qualcosa che il Monaco stava tramando.
Volenti o meno, Kai, Takao, Rei, Max, e tutta l'allegra combriccola verrà buttata nel mezzo dell'azione, tra i commenti acidi di Yuriy, gli sguardi poco rassicuranti di Boris, i cavi dei computer di Ivan e la traballante diplomazia di Sergej.
Da un viaggio in Thailandia parte una catena di eventi; per inseguire un ricordo Boris darà innesco a un meccanismo che porterà i protagonisti a combattere un nemico conosciuto.
Sarà guerra e pianto, amicizia e altro ancora, tra una tazza di te, dei codici nascosti, una chiazza di sangue sulla camicia e il mistero di un nome: Bambina.
Starete al loro fianco fino alla fine?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Takao Kinomiya, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 20

 


Avevano raccattato il ricattabile velocemente, giusto per presentarsi dignitosamente al maniero tedesco. Con riluttanza, Judy aveva messo tra le curatissime unghie di Alyna un passaporto firmato PPB, pregando il cielo che la comunità scientifica non la disconoscesse. Non aveva saputo dire di no a Max, e aveva capito quanto grave fosse la situazione, soprattutto davanti alle macerie fumanti del suo beneamato laboratorio. Ma quel passaporto le bruciava sulla coscienza, quasi quanto sapere che una falsa dottoressa del PPB ora si aggirava per l’Europa.

Dopo essersi accertati che nessun’altra carica di dinamite sarebbe esplosa sulle loro teste, ciò che restava delle valigie sfatte era stato messo in salvo dai proprietari. Ivan si era fiondato in quel che restava della sua stanza, e gli insulti in russo erano arrivati fino a Central Park quando si era accorto che il pc scippato a Vorkov anni prima era stato frantumato dalla pesantissima bajour. Emily era quasi scoppiata in lacrime davanti alla porta distrutta del suo laboratorio preferito; Michael l’aveva fermata prima che andasse a incastrarsi tra i cavi spezzati e la corrente elettrica libera di ondeggiare pericolosamente tra i macchinari.

Alle cinque della mattina era stato fatto il punto della situazione: Falborg era salvo, e con lui qualunque cosa ci fosse nascosto dentro; la chiavetta con i file di Torres era, fortunatamente, intatta, chiusa provvidenzialmente in un cassetto che si era spiaccicato meno degli altri; i vestiti erano stati i meno fortunati. Tra bruciature, strappi, l’ira di Kai davanti a un buco enorme nella sua camicia blu preferita e i plateau delle scarpe di Ming Ming scollati dal resto delle calzature, erano riusciti comunque a trovare il modo di rendersi tutti presentabili.

Alle sette e mezza della mattina, con il diavolo a rincorrerli, erano tutti al gate, con i motori dell’aereo già caldi e le hostess con il cartellino del PPB a sorridere amabilmente alla combriccola annunciando il decollo, e l’orario del pranzo.

Yuriy sgattaiolò al bagno appena il segnale delle cinture si spense. Il wc del laboratorio era andato distrutto, e la fretta lo aveva costretto a trascurare la sua vescica fino a quel momento. In piedi, incastrato nello spazio che bastava appena a slacciarsi i pantaloni, ebbe il tempo di riflettere su qualcosa che gli era accaduta dieci minuti prima di salire su quell’aereo. Si era trovato seduto accanto a Daichi, negli unici due minuti di pausa dalla loro letterale fuga dal laboratorio, ed era successo qualcosa di ... singolare.

Si sentì addosso uno sguardo insistente, per nulla discreto e, quando cercò con gli occhi su chi fulminare tutto il fastidio di quella tremenda mattina, si scontrò con il piccoletto dei Bladebreakers.

Yuriy si sentì intimidito dall’estenuante, pura curiosità che quel ragazzo secerneva.

- Hai le rughe – Esordì all’improvviso.

- ... Prego?-

Daichi, con la sconcertante sincerità che portava con sé da quando era piccolo, si portò l’indice sotto gli occhi.

- Le rughe. Attorno agli occhi –

- Quindi ...?-

- Sei sempre arrabbiato, e la tua faccia ha preso la forma del ghigno. E ora hai le rughe. Sembri vecchio –

Le sopracciglia di Yuriy fecero un rapido saltello. Si ricompose subito, ma non seppe dare una risposta pronta.

Vecchio?

- Un sorriso ogni tanto? No?-

- Non hai altro a cui pensare?-

- Hei, lo dico solo per te –

- Beh, grazie tante. Altro di interessante da dire?-

Daichi strinse le spalle.

- Fra cinque minuti parte il mio volo, se riesco finalmente a tornare in Giappone. Succede un macello al giorno qui ... –

- E quindi? Questa perla è il tuo regalo d’addio?-

Il più piccolo prese a frugare nel suo zaino; Yuriy fu sicuro che non lo stava ascoltando. Senza dire una parola ne tirò fuori un paio di mutande con una curiosa stampa a scimmiette.

Yuriy chiuse lentamente gli occhi.

Che. Cavolo. Ho. Visto.

- Le avevo addosso – Cominciò Daichi, come se non stesse facendo nulla di anomalo – Quando ti ho battuto a quel torneo, una vita fa –

- ... Aha ... – Yuriy continuava a tenere gli occhi chiusi.

- E mi hanno sempre portato fortuna. Tu non hai qualcosa del genere?-

- Un amuleto a forma di mutande? No, direi proprio di no –

- Beh, tienile allora. Magari ti aiuteranno in quello che stai facendo –

Yuriy avrebbe voluto controbattere. Lo avrebbe voluto davvero. Ma la disarmante genuinità di quel ragazzo gli fece cadere la lingua, e si ritrovò in un attimo con un paio di mutande in mano, di tre taglie in meno e con una scimmia sul pacco, a guardare Daichi allontanarsi verso il suo gate e fargli un bell’ok con entrambi i pollici alzati.

 

Tornò a sedere con quel pensiero in testa. Un paio di mutande come porta fortuna. Davvero a Daichi bastava così poco? Più di tutto però c’era una cosa che lo tormentava. Incastrò le gambe sotto il sedile davanti, trovando scomoda ogni posizione; tirò giù il bracciolo; poi lo tirò sù.

- Sergej –

Il suo compagno di posto rispose al richiamo con un interrogativo Hm.

- Ti sembro ... vecchio?-

- ... Vecchio? –

- Sì, con le rughe, o qualcosa del genere –

Sergej spostò l’attenzione dal panorama fuori dal finestrino fino a Yuriy, perso nella sua attività di crearsi inutili problemi. Il biondo inclinò di lato la testa, guardando il capitano di sottecchi.

- Va tutto bene Yuriy?-

- Sì, sì ... – Sospirò – è che Daichi mi ha detto che sembro invecchiato. Perchè sono sempre ... – Gli costò un po’ di orgoglio dirlo - ... Imbronciato –

- Mmh, molto offensivo – Commentò Sergej, tornando a concentrarsi sul finestrino dopo aver accertato che, sotto sotto, i neuroni di Yuriy non erano messi peggio del solito.

- Sto ... invecchiando? Tu credi che la mia faccia abbia qualcosa di diverso?-

- Te ne fregherebbe qualcosa?-

- Della tua opinione? ... Direi di no –

- ... Vuoi che chiami Hilary?-

Yuriy si prese il volto tra le mani, passandosi i palmi sugli occhi.

- Sergej, ti prego –

- Il parere di una ragazza è più autorevole se si parla di aspetto fisico –

- No –

- Cercavo solo ... –

- Sergej –

Il biondo sorrise, nascondendosi dietro l’imponente schiena e la ricrescita della barba di tre giorni; il maledetto rasoio si era rotto, e tra le bombe, i problemi e il fatto che non poteva uscire di casa non era riuscito a reperirne un altro. Per qualche motivo gli americani si radevano solo dal barbiere, e giapponesi e cinesi avevano un pelo di barba all’anno. Max forse neanche quello.

Hilary era stata molto carina con lui in proposito, proprio quella mattina, mentre recuperavano ciò che si era salvato dal disastro al laboratorio gettando tutto alla rinfusa nelle valigie superstiti. Lo aveva squadrato per un minuto buono, notando i riflessi ramati tra i peletti sul mento.

- Sembri più ... Affascinante? N-non vorrei che ... beh ... ti facessi idee sbagliate. Però, davvero ... mi piace così –

Lo aveva detto gesticolando, dietro un sorriso che chissà dove aveva trovato il coraggio di sfoggiare quella mattina. Sergej aveva parlato sì e no due volte con quella ragazza, in più di dieci anni di conoscenza. Quando se n’era uscita con quella frase ... aveva provato un misto di simpatia e malinconia insieme. E non aveva potuto fare a meno di leggerle in volto qualcosa che lei voleva nascondere. L’istinto, lo stesso che lo aveva portato a prendersi cura dei bambini, aveva accompagnato sulle sue labbra una domanda banale. Al suo Va tutto bene?, la giapponesina aveva esitato; poi se n’era andata con una scusa qualsiasi.

Una hostess carina, corredata di foulard e chignon, passò con il caffè.

- è per Kai ... – Borbottò Sergej.

- Mh?-

Scosse il capo – Ragionavo ad alta voce –

- Che ha fatto il bastardo?-

- Mmh ... qualcosa che ha a che fare con Hilary –

- Ser?-

- Mh?-

Yuriy buttò giù la brodaglia marroncina d’un fiato – Dobbiamo proprio parlare di questo?-

- No, no –

Il silenzio riprese per uno, due secondi. Poi Sergej si drizzò meglio sul sedile, agitandosi come se una cucitura invisibile sulla stoffa lo avesse indispettito.

- Vuoi che debba comportarsi così?-

- Chi?-

- Kai!-

Gli occhi di Yuriy toccarono le bocchette dell’aria condizionata.

- Risparmiami i pettegolezzi, almeno tu –

- Anche tu sei una pettegola, non negarlo –

- Non cominciare a parlare come Boris –

- Non lo sto facendo –

- Che poi – Si accomodò come potè sul sedile, chiudendo il tavolino e accartocciando il bicchierino di plastica nella tasca dello schienale davanti, insieme alle riviste su come sopravvivere in caso di ammaraggio –Che cavolo te ne frega ora di Hilary? Cosa senti, il richiamo della famiglia?-

Sergej scoccò al capitano un’occhiata di fuoco – Certo che no – precisò – Piuttosto è lei che lo sente –

- Verso Kai?- Yuriy soffiò una risata – Impossibile. Quell’uomo è una molletta attaccata alle palle. Non so come faccia ad attirare tante donne, ma pensare di portarselo all’altare è da folli –

Il discorso finì lì, con l’odore del pranzo in arrivo che a Yuriy ricordò terribilmente il volo di andata per New York preso solo pochi giorni prima. Il voltastomaco lo toccò con la rapidità di una zanzara in piena estate, e si accorse di non essere l’unico quando gli sfrecciò accanto Takao, in piena crisi esistenziale con annessi conati di vomito.

Se la salvezza del mondo da una guerra missilistica era nelle loro mani, Yuriy cominciò a considerare la possibilità di emigrare su un altro pianeta.

 

Atterrarono a Norimberga dopo un lungo, estenuante volo. La patria di Dürer li accolse a braccia aperte, inconsapevole di ciò che stava per accadere; per fortuna Ralph lo era. Con una puntualità che spaccava il secondo, sulla pista di atterraggio si palesò un autobus dai vetri oscurati, tappezzato di pubblicità dei luoghi di interesse in quella città storica. Dall’unico finestrino aperto il rampollo degli Jürgens, con un solo, eloquente sguardo, fece loro capire di darsi una mossa e salire a bordo.

 

 

- Andrew mi ha spiegato cosa vi è successo. Temo di non avere capito nulla –

L’inglese si rovesciò a pancia all’aria su uno dei, costosissimi, divani, talmente abituato ad accogliere il suo fondoschiena che ne aveva l’impronta stampata sui cuscini giallo di cadmio. – Mi hanno messo fretta – Sentenziò, scaricando la colpa su altri generici.

- Mh –

Il monosillabo di Ralph, accompagnato da un penetrante giro di sguardi, mise tutti in attesa. Gianni e Olivier, che un po’ come Andrew si sentivano a casa loro in quel maniero dai rimandi gotici, stavano elegantemente facendo incetta di dolcetti; Kai, per nulla impressionato dal lusso decadente della sala, era a braccia incrociate nella sua posa iconica, fingendo di non stare per addormentarsi in piedi. Ming Ming soffiava un wow ad occhi spalancati per ogni arazzo che contava sulle pareti. Takao era al bagno da quando erano arrivati, venti minuti prima.

- Ehm ... – Max prese, timidamente, la parola, incoraggiato da una pacca sulla spalla di Rick, sostenitore morale con nessuna intenzione di scambiare amichevoli chiacchierate da damerini – Grazie per averci ospitati Ralph. Mi sa che ci hai letteralmente salvati –

Il tedesco andò dritto al punto - Cosa c’entra Vorkov in questa storia?- Lo chiese direttamente a Max, che si sentì investito di una certa dose di responsabilità. Voglio dire, in fondo a Norimberga ci erano arrivati con l’aereo del PPB.

- Hai presente tutta la storia dei missili? Ecco ... è per quello –

- Se ha cercato di eliminarvi dovete aver fatto qualcosa di grosso. Non è facile far passare inosservata un’esplosione in un laboratorio del PPB, occupato da un gruppo di famosi blader per giunta –

- Diciamo che questa volta ha un sacco di amici pronti ad aiutarlo –

- Mh –

Ralph si fermò solo per fare un cenno al maggiordomo, fermo sulla porta; al suo segnale, il caldo odore di un pregiatissimo tè si sparse nell’aria – Immaginavo. Come era accaduto nel corso dei due campionati mondiali –

Max specchiò la sua immagine nella bevanda, facendone ruotare il liquido – già ... –

Yuriy si impose sulla discussione; di tempo da perdere in chiacchiere da salotto non ne avevano – In breve, sappiamo che qui a Norimberga è nascosto un arsenale missilistico, che rischia di ritorcersi contro di noi –

Ralph, scarsamente impressionato da una storia già sentita dai deliri dell’amico inglese, inclinò la testa di lato – Dove?-

Yuriy alzò le mani – Speriamo che per questo ci possa aiutare tu –

- Non hai quelle vecchie mappe della città da qualche parte? Sai, quelle ereditate dai tuoi bis bis parenti ... o che sò io – gesticolò Gianni, con l’ennesimo pasticcino in mano – Potrebbe esserci un sotterraneo nascosto, un palazzo in disuso, una cantina, un ... qualcosa –

 Ad un secondo cenno del capo il maggiordomo, che si stava perfettamente mimetizzando con l’ambiente, uscì in silenzio.

- Se ne occuperà Gustav. Nel frattempo ... – Ralph si alzò dalla sua poltrona preferita, scegliendo con noncuranza dalla libreria un enorme volume sulla storia di Bisanzio – Suggerisco a tutti, data l’ora – Accennò all’enorme orologio a pendolo che stava per battere la mezzanotte – Di ritirarci per la notte. Domani discuteremo meglio sul da farsi –

Takao tornò dal bagno in quel momento, captando solo la parola notte; non si fece altre domande, facendo subito dietro front verso il letto. Rei lo afferrò per la felpa, prima che si infilasse in una stanza a caso. Emily e Hilary erano, con Ming Ming, assiepate su un divano, già in semi dormiveglia; Michael si prese la briga di svegliarle, anche se forse era più insonnolito di loro. Mao si aggrappò a Rei, che stava trascinando Takao, e al trenino al seguito di un secondo inserviente, spawnato da chissà dove, si unì anche Ivan, trascinando con sé, con premuroso istinto materno, il pc che era riuscito a salvare dalle macerie del laboratorio.

Gli altri, chi più chi meno, non seppero nemmeno come ci erano arrivati alle proprie camere. Yuriy fu solo sicuro che, fino al momento in cui il sonno lo avvolse, lo sguardo di Boris gli stava penetrando le spalle, nella tacita minaccia che, se per caso avesse raccontato a qualcuno del suo momento di debolezza della sera precedente, in nome della loro vecchia amicizia giurò che di lui non sarebbe rimasto nemmeno un capello rosso.

 

 

- Birra. Questo è quello che vi serve –

Alle sette in punto della mattina Gustav aveva sfoderato le sue armi migliori: spianate sul tavolo della colazione svettavano tre mappe della città, di datazione XIV-XV-XVI secolo, magnificamente originali e ben conservate. Da sotto i baffi brizzolati il maggiordomo tedesco per eccellenza aveva colto la tacita congratulazione di Ralph, ed era silenziosamente tornato ai suoi doveri quotidiani.

Emily sospirò un sapevo che essere astemia non mi avrebbe aiutata nella vita, accompagnata dal ciondolare di approvazione della testa di Hilary.

Rick, con la sua solita diplomazia, partì all’attacco.

- Che è sta roba? Che c’entra la birra?-

- Norimberga – Cominciò Ralph, elevando la voce sopra i mormorii confusi di un coro di voci assonnate che non avevano, evidentemente, la sana abitudine di svegliarsi di buon’ora – era famosa per le sue birrerie. Per una produzione ottimale, i mastri birrai scavarono delle gallerie sotterranee per il mantenimento dei loro prodotti –

Rick si finse impressionato. Accanto a lui, Max lo era davvero. Andrew mimò un applauso.

- Ottimo! Magnificent! Pensi possa essere tutto nascosto lì?-

- Non è possibile che abbia allestito un intero arsenale in un vecchio edificio. E se avesse preso in affitto uno stabile abbastanza spazioso per le sue manovre, la mia famiglia se ne sarebbe accorta. E anche io –

Gianni fischiò, impressionato – Come sempre, la Germania è tuuuutta sotto controllo –

Ralph indicò un punto in una delle mappe.

- Qui è dove, più probabilmente, c’è lo spazio e la ... tranquillità sufficiente a nascondere armi, passando inosservati –

Yuriy non ci provò nemmeno a capire qualcosa da quelle mappe. Incrociò i suoi occhi con quelli del tedesco, felice di scontrarsi con qualcuno che, a differenza di chiunque altro lì dentro, aveva un minimo di stabilità psicologica.

- Puoi portarci lì sotto?-

- Nessun problema –

Un lieve brivido percorse la schiena dei presenti; o almeno, di chi tra loro fosse abbastanza sveglio a quell’ora da aver seguito tutto il ragionamento.

Hilary si scoprì a tormentarsi le pellicine attorno alle unghie, sfogando così l’ansia di quell’istante.

- Quindi ci siamo – sussurrò, lanciando ai suoi amici, chi più chi meno, un’occhiata carica di sentimenti contrastanti. Takao le fece eco.

- Ci siamo –

- Sì, certo, grazie a tutti per averci aiutati e quant’altro ... ma voi non verrete-

La sentenza di Sergej meravigliò tutti; persino Yuriy, che stava per uscire dalla stanza soddisfatto e fare tappa al bagno, si irrigidì sul posto. Tra Ivan e Emily volarono occhiate di complice irrequietezza, convinti entrambi, nella tacita e informatica amicizia che stavano sviluppando, di avere ancora bisogno di tutto il supporto tecnico possibile. Kenny, infiltrato tra loro e promosso ad assistente ufficiale del reparto degli hacker, restò altrettanto sbalordito.

- Ma ... ma non potete! No, cioè, potete, e dovreste ... – si corresse, abbassando progressivamente il tono della voce – Ma non abbiamo ancora finito di analizzare Falborg, e le due chiavi ... –

- Le troveremo – Sergej lo fermò, prima che al ragazzo prendesse una sincope – E forse non ne avremo bisogno. Arrivati lì, ci basterà distruggere il laboratorio –

- Sono d’accordo – La voce di Boris, che dal decollo da New York era stato incredibilmente silenzioso, prese posto prima di altre proteste – Faremo un lavoro rapido e pulito. Sappiamo come si fa, no?-

Gli occhi saettarono sul capitano. Con un cenno del capo, Yuriy decise per tutti.

- Partiremo stanotte, è inutile aspettare –

- Yuriy!- Ivan si alzò di scatto – Abbiamo bisogno di più tempo per preparare tutto, non possiamo fare delle cazzate proprio adesso!-

- è vero! Poi – Takao si fece largo fino al centro del tavolo, giusto per avere gli occhi di tutti addosso.

- Abbiamo cominciato questa cosa insieme, e continueremo insieme!-

A quel punto Sergej mise tutte le mani a disposizione avanti.

- Calmi tutti. Non avete capito. Noi – e puntò gli occhi sui suoi compagni di squadra, tra cui un Ivan abbastanza irritato – Andremo a fare il lavoro sporco. Voi potrete comunque aiutarci da qui –

- Non possiamo fare un tubo Ser! Avremo bisogno di telecamere, di un modo per restare in contatto, di materiale esplosivo e delle stramaledette chiavi! – Ivan si stava per mettere le mani nei capelli – Come lo distruggiamo l’arsenale? Facciamo saltare l’intero impianto di gallerie? Cristo, un minimo di organizzazione!–

Sergej sospirò.

- Se necessario sì –

Boris prese la parola con la sentenza lapidaria della giornata. Kai soffiò una risata – Ma sei scemo? Vuoi far sprofondare la città per caso?-

- Beh, trovami un’altra soluzione allora! Lo capisci che abbiamo i minuti contati?-

- Aspettate un momento – Ralph si intromise, con crescente allarmismo – Se avete intenzione di arrecare danni irreparabili in pieno centro, non vi permetterò di farlo –

- Ma che danni irreparabili! Non abbiamo nessun arma per farli!- Ivan prese in mano il suo pc, agitandolo come una clava – Lo vuoi capire, testa di rapa – E si rivolse a Boris – Che ho solo bisogno di un po’ più di tempo per trovare quelle maledette chiavi?!-

- Beh, non ce lo abbiamo! Dovevi pensarci prima!-

- Silenzio!- L’imperativo di Yuriy riuscì per un attimo a calmare le acque. Poi, andando in modalità efficienza, il suo cervello cominciò a dare ordini a chiunque – Sergej ha ragione, quindi Takao fammi il piacere di non discutere e fare quello che ti si dice. Ivan, hai dodici ore per procurare il necessario. Tutto, il necessario. Boris, se hai voglia di sfogarti per qualcosa fallo prendendo a pugni il muro. E sì Ralph – concluse, con uno dei suoi penetranti, congelati sguardi – Faremo esplodere la città se necessario. Ma fermeremo quel bastardo, e con oggi mettiamo la parola fine a tutto –

Scattò il finimondo.

Boris prese il capitano in parola, assestando un colpo talmente forte alla parete che vibrò il lampadario. Così, per sport. Gianni si spostò con discrezione verso la porta, snasando il pericolo di morte. Ivan inveì con una serie di improperi in russo, che per fortuna capirono in pochi, accompagnato dagli insulti in tedesco di Ralph, così spinti che persino Gustav si palesò nella sala, preoccupato di sentire il signorino pronunciarsi in tali infamanti epiteti.

Takao, in piena crisi da leader inascoltato, si issò sul tavolo in mogano, calpestando direttamente le mappe rinascimentali della città sotto lo sguardo inorridito di Olivier, che rischiò un infarto. Brandendo il suo bey, cominciò a urlare solo uniti si vince, mentre Max e Kenny cercavano di tirarlo giù per le gambe, con l’effetto di abbassargli i pantaloni per sbaglio.

Kai, che ormai era sicuro di trovare la macchina per il manicomio sotto casa, cominciò a calcolare di dileguarsi. Capì che era ora quando anche Emily si lanciò nel dibattito, facendosi passare una delle scarpe di Gucci di Ming per sbatterne il plateau sul tavolo e cercare di ottenere attenzione. Quando anche Sergej si mise a urlare, la situazione ormai era diventata irreparabile. Kai richiuse l’uscio dietro di sé con sollievo, lasciandosi alle spalle quella specie di girone infernale.

 

- Pensavo di essere solo –

Hilary sobbalzò, aggrappandosi alla tenda cremisi. Lo scoppiettare della legna nel camino coprì l'accelerare dei suoi battiti quando incrociò gli occhi con quelli di Kai.

- Io .. –

- Stavo rischiando l’esaurimento nervoso – Lui si avvicinò alla finestra, con corredo di braccia conserte e solito sguardo da noncuranza cronica verso il mondo circostante. Scosse la testa con un mezzo sorriso.

- Quelli sono davvero matti –

- Noi no?-

Kai la guardò di sbieco. Hilary strinse un lembo delle tende fra le mani, perdendosi nella luce che filtrava dalle finestre socchiuse. Poteva essere anche giorno inoltrato, ma in quel castello uscito da chissà quale epoca l’orologio sembrava essersi fermato al tardo pomeriggio.

- Voglio dire ... – La giapponesina riprese, spostando gli occhi sul fuoco – Guardaci. Stiamo fuggendo da giorni, ci nascondiamo ... Se non è follia questa –

- Non sareste dovuti venire. Ma Takao è un imbecille –

Hilary sospirò.

- E lo siete anche voi – Concluse Kai.

- Sinceramente ... non pensavo che sarebbe successo un simile caos –

- Con Vorkov in mezzo che ti aspettavi?-

- Io ... – Aprì la bocca, senza sapere cosa rispondere – Non lo so. Vorrei solo ... che foste al sicuro. Che tutto questo finisca presto, e vorrei, lo vorrei tanto, tornare a scherzare, a ridere con voi come una volta. Senza Vorkov. Senza pensare a cosa sacrificare per salvarci la vita. Vorrei ... – Continuò, un fiume di parole ad uscirle dalle labbra come le perle di una collana – ... vedere Sergej, Yuriy ... quei ragazzi vivere sereni. Tranquilli. Lo meritano, tutti lo meritiamo. Sarebbero più felici loro, lo saremmo noi, e lo saresti tu, e per me è importante, perché Io ti am... –

Sovrappensiero, le sillabe le scivolarono fuori dalle labbra; si accorse subito che si stava lasciando sfuggire cose che non avrebbe voluto dire. Si schiarì la voce, cercando di correggere il tiro – Io t-ti a ... ammiro! Sì – Si allontanò dalle tende, mettendo più spazio tra lei e Kai, che la guardava con crescente curiosità.

- Cioè, ti stai dando così da fare per aiutare i tuoi amici, è ammirevole! Ecco! Esatto, sì! Mh mh!-

E calò un silenzio imbarazzante.

Hilary attorcigliò le dita fra di loro; avrebbe voluto girare i tacchi e far finta che nulla fosse accaduto, complice il ricordo dei pianti fatti due sere prima al laboratorio proprio a causa di Kai. Lui più che imbarazzato sembrava ... attento. Come se alla consegna delle verifiche gli fosse sembrato di sentire il suo nome tra quelli degli studenti con il voto più alto. Le braccia si scomposero dalla posa; le mani finirono nelle tasche dei jeans.

- Non credo di aver capito –

- Non c’è niente da capire! Niente – Puntualizzò lei, sperando che la terra le si aprisse sotto i piedi – Io ... devo andare!-

- Dove?- Kai in due passi la raggiunse. La ragazza fu sicura che le orecchie le stessero andando a fuoco.

- Via – Disse solo, senza trovare una scusa migliore. Via da te, prima di impazzire pensò il suo cervello, che per fortuna non aveva facoltà di parola.

- Che cosa stavi per dire?-

Un enorme groppo le si formò in gola. Sì, lo aveva detto; se l’era lasciato sfuggire. Lo sapeva, se n’era accorta. Abbassò gli occhi, li chiuse e li riaprì, ma scoprì che non bastava per farsi scomparire.

- In tutto questo casino, con una ragazza morta, il laboratorio esploso e un gruppo di indemoniati che di là stanno tirando giù l’inferno ... è questo che non riuscivi a dirmi l’altra sera?-

Poteva sentire il respiro di quel ragazzo ad un palmo da lei. Accusava la pesantezza dei suoi occhi addosso anche se non li vedeva, e il crepitio del maledetto camino le confermava che sì, quella era la realtà, e che no, il tempo non si era fermato e lei non poteva fuggire come se nulla fosse.

Allora fece quello che sapeva fare meglio. Quello per cui Takao l’aveva sempre ringraziata, quello per cui le sue amiche le chiedevano consiglio, quello per cui era passata alla storia, tra i pro e i contro di essere una persona estremamente schietta ma timida, incapace di mentire ma impaurita da ciò che non conosce.

Disse la verità.

Con gli occhi lucidi e pronti al pianto, e la mente incredibilmente sgombra da tutto fuorché quelle poche parole, si scoprì sicura. Stava per buttarsi da una scogliera su un mare di lava senza paracadute, ma era ... tranquilla.

- Ti amo-

Si accorse di essere stata una stupida a non averlo mai detto. E dire che, alla fine, sarebbe bastato solo un po’ di coraggio.

- Lo so –

A Hilary venne quasi un infarto. Le gambe le tremarono, e istintivamente fece un passo indietro. Kai le fu di nuovo addosso in un attimo.

- Direi che abbiamo parlato abbastanza –

Il bacio fu una questione di secondi.

Le bocche si incontrarono, le ginocchia tremarono, le mani si smarrirono tra la porpora di quelle tende. Lui la teneva stretta, e lei lo lasciava fare. Le gambe altrimenti non avrebbero potuto reggerla. Chissà per quale furia stava accadendo, ma lui non riuscì più a fare a meno di quelle labbra, di quel corpo morbido, della sensazione di calore e del profuno dell’incavo del collo di lei, mentre vi affondava la bocca famelico.

Fu una sciagura per lei, e forse per lui una fortuna, che la provvidenza avesse deciso di tendere loro un agguato. E, proprio mentre quelle mani stavano per scendere dove mai mano di uomo si era inabissata, il padrone di casa entrò nel salone con il tè.

I due amanti, colti con le mani nella marmellata, soprattutto lui, si fermarono di colpo. I volti arrossirono, le giunture si fecero rigide. Il bricco del tè traballò tra le mani di Ralph.

Qualcuno stava per dare affrettate spiegazioni; qualcun altro cercava di uscire di scena con discrezione. Poi entrò Gianni. Un secondo dopo, un’ode italiana veniva composta in onore di un amore appena fiorito, ululata per i corridoi del maniero tedesco. Kai cercò, per buona misura, di strappare la lingua al romano. Hilary cercò di frenare il rossore e le vampate di imbarazzo.

E così, stavolta, tutto fu amore nel più bello e più gradevole dei castelli possibili.



  
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