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Autore: Talitha_    30/05/2021    3 recensioni
Da quando lei ed Adrien hanno scoperto le rispettive identità, Marinette ha sempre negato, con ostinazione, ogni possibilità di un futuro insieme. ⁣
Sarebbe sbagliato, pericoloso. ⁣
Tuttavia, dopo ancora quattro anni, i suoi sentimenti per lui e gli errori del passato continuano a tormentarla. ⁣
È davvero esclusa in partenza ogni possibilità di trovare un lieto fine?⁣

« Perché c’è di peggio che non conoscere mai l’amore: trovarlo in un tempo della propria vita che lo rende impossibile. »⁣
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Deuxième partie 

 

«L’amour est une fleur délicieuse, mais il faut avoir le courage d’aller la cueillir sur les bords d’un précipice affreux.»

 

 

I. 

 

Parigi, 24 maggio 2022

 

All’udire di un timido bussare, Émilie volse lo sguardo verso la porta. Un sorriso raggiante le illuminò il volto: già intuiva il proprietario di quella mano dal battito leggero e incerto. Sorrise ancor di più quando scorse la testa bionda di suo figlio - bionda come la sua - fare capolino nella stanza. 

Adrien sospirò di sollievo alla vista della madre seduta sul divano bianco accanto alla vetrata. Da quando Émilie si era ristabilita abbastanza per uscire dall’ospedale e tornare a casa, ogni volta che Adrien entrava in una stanza temeva di non trovarla più. O peggio, trovarla accasciata a terra, pallida di morte. Proprio come quel giorno di tanti anni prima, quando credeva che lei avesse solo un po’ di tosse e una semplice febbre - come gli aveva fatto credere suo padre - e invece non l’aveva rivista più. 

Ecco, Adrien continuava ad avere questa inconscia paura, che lei potesse sparire da un momento all’altro, lasciandolo solo in quella casa immensa. Troppi anni vi aveva vissuto in completa solitudine, e non era certo lo avrebbe sopportato una seconda volta. Per questo, quando la vide allegra e serena, si sentì subito sollevato e ricambiò con dolcezza il sorriso che la madre gli aveva rivolto a mo’ di saluto. 

Avanzò timidamente nella stanza, perché non si era ancora abituato all’aura così armoniosa e delicata che la presenza di Émilie emanava. 

“Buongiorno, M-Maman”, disse in un sussurro, inceppandosi proprio su quella parola che suonava come arrugginita sulle sue labbra. Quando lei era morta - o meglio, quando lui credeva che lei lo fosse - quella parola, mamma, così dolce e soave, non l’aveva pronunciata più. Era troppo doloroso per lui, non ci riusciva. Quando ci provava, sentiva come un nodo bloccargli la gola, e se infine ce la faceva, suonava talmente arida e vuota da disgustarlo. 

Ma adesso - Maman - questa parola si invigoriva sempre di più, come se le sue corde vocali avessero finalmente ritrovato la giusta combinazione, e il suo cuore la debita dose di sentimento. 

E nonostante quel Maman gli parve ancora un pizzico acerbo (doveva assolutamente eliminare la balbuzie, quale normale figlio balbetta rivolgendosi alla propria mamma?), sicuramente erano stati svolti grandi progressi. 

Anche Émilie sentì il cuore palpitare nel petto al suono di quella parola. Questo perché, nonostante per lei neanche un singolo giorno sembrasse passato da che si era “addormentata”, vedere Adrien così adulto e cresciuto le aveva fatto comprendere realmente quanto tempo fosse trascorso, e quanto dovesse essere difficile, per lui, affrontare tutto questo. 

“Tesoro”, gli disse con voce dolce, seppur un po' rauca. Batté una mano sul posto libero accanto a lei. “Vieni, siediti qui con me” lo invitò. 

Adrien non se lo fece ripetere due volte, e si diresse con passo leggermente nervoso verso il divano a cui la madre sedeva. 

La luce aranciata del tramonto adesso permeava tutta la stanza, in un gioco di colori e luci che fecero brillare gli occhi di Adrien, quasi...

Quasi come stesse per piangere. 

L’occhio di madre di Émilie notò subito quel bagliore, e il suo bel sorriso venne smorzato da un moto di preoccupazione.

“Oh, Adrien” mormorò così dolce, tanto che Adrien dovette chiedessi come fosse possibile che la sola presenza di Émilie accanto a lui potesse dare vita a quell’atmosfera di amore e magia. 

Quanto le era mancata, dannazione. 

Quanto quanto quanto. 

Si sedette sul morbido cuscino del divano leggermente tremante, e sebbene fece uno sforzo immane per trattenere le lacrime, l’istante in cui i suoi occhi incrociarono quelli luminosi di Émilie ebbe su di lui l’effetto contrario. E prima che potesse rendersene conto, stava piangendo tra le braccia di sua madre. 

Sì, proprio tra le braccia di sua madre. Non sulla sua tomba o di fronte alla sua statua o alla sua foto. Ma proprio con la testa poggiata contro il suo petto morbido, le braccia sottili di lei intorno al corpo e il suo profumo dolce e intenso e capace di risvegliare tutta una serie di vecchi e bellissimi ricordi. 

Adrien si abbandonò completamente alle carezze della sua mamma, nonostante adesso avesse quasi ventuno anni e fosse praticamente un adulto. Ma non vi fece caso. Per troppo tempo aveva temuto perduta per sempre ogni possibilità di ascoltare ancora una volta il battito del cuore di Émilie contro l’orecchio. Rimanevano pur sempre un figlio e sua madre, della cui morte egli era stato convinto per tanti, troppi anni. 

I leggeri singhiozzi di Adrien riecheggiavano nell’intera stanza, ed Émilie non esitò a consolarlo, mentre un senso di colpa sempre più acuto le invadeva il cuore, perché era solo a causa sua e della sua ostinazione se lei a Gabriel avevano fatto soffrire Adrien. 

“Ti prego, tesoro. Non piangere più” gli sussurrò contro l’orecchio, una mano candida e affusolata premuta contro i suoi capelli biondi. “Non piangere più,” ripetè “altrimenti piango anch’io”. E, detto ciò, due timide lacrime le attraversarono le guance ancora lievemente pallide (di certo anni passati ad appassire dietro una teca di vetro non avevano giovato al suo colorito). 

Maman”, mormorò Adrien, con la voce debole e spezzata. Il suo petto si muoveva convulsamente al ritmo dei pochi singhiozzi che ancora lo scuotevano. “Io…io…”

“Shhh, Adrien. Va tutto bene, sono qui, adesso. Rimarrò sempre qui, e non ti lascerò mai più.”
“Non... te ne andrai mai, mai più, Maman. Me lo prometti?”, chiese lui, alzando di poco la testa, per guardarla negli occhi. Émilie sorrise debolmente. In quel momento, Adrien sembrava ancora il bambino piccolo di tanti anni prima, che scruta con le lacrime agli occhi lo sguardo della madre, alla ricerca di un’approvazione o di una risposta ai suoi problemi. 

“Mai più”, confermò con dolcezza, mentre con le dita prese ad asciugargli le lacrime dalle guance. Quando percepì un leggero cenno di barba sulla sua pelle liscia e dorata, Émilie sentì il cuore stringersi. Ancora un segno di tutto quello che aveva perso in quegli anni di cui non aveva avvertito il trascorrere.

Guardando intensamente Adrien negli occhi, con le mani ancora sulle sue guance, disse a fior di labbra: “Oh, Adrien. Ho perso così tanto della tua vita che non potrei mai perdonarmi se morissi adesso lasciandoti solo.”

Accarezzò con un ultimo movimento del pollice la sua guancia, poi lo prese per le spalle e lo invitò a tirarsi su. “Ma adesso basta piangere. D’ora in poi voglio vederti solo sorridere. Siamo intesi?”, chiese, con un tono da dolce rimprovero. 

Adrien annuì, gli angoli delle labbra che già protendevano verso l’alto. Émilie sorrise entusiasta, poi premette i palmi sul cuscino del divano per mettersi a sedere più comoda. Non riuscì a trattenere una smorfia di sforzo - il suo corpo era ancora troppo debole dopo tutti quegli anni passati addormentata in una teca sotterranea - e Adrien si lanciò subito in suo soccorso. La prese delicatamente per le braccia e la issò di un poco sulla poltrona, poi le aggiustò la coperta sulle ginocchia e le chiese concitato se avesse sete, o se non volesse mangiare qualcosa. 

Émilie scosse la testa. 

“Sei sicura, Maman? Posso chiedere al cuoco di cucinare quella zuppa che ti piace tanto, o… o se vuoi posso prepararti un bagno caldo. Ti va?”

Émilie sorrise, e declinò con gentilezza. 

Adrien corrugò le sopracciglia. “Ma… credo che un bagno caldo ti farebbe bene. Oppure preferisci andare a letto? Posso portarti io, naturalmente. Non c’e bisogno di disturbare nessuno. Non devi fare altro che chi…”

Adrien si interruppe al suono cristallino della risata di Émilie. “Com’è strano, adesso sei tu a prenderti cura di me. O cielo, sono diventata davvero una decrepita vecchia.”

Adrien scosse la testa, contrariato. “Ma cosa dici, Maman? Lo sai che per me è un piacere aiutarti. Non sai quanto…”, e lì si bloccò, perché temeva che se avesse continuato avrebbe di nuovo cominciato a piangere. 

Émilie prese una mano tra le sue, piccole e delicate, bianche come marmo. Dopo qualche istante di silenzio passato a guardarsi negli occhi, Émilie esclamò: “Oh, ma devi raccontarmi tutto. Tutto tutto.”

E vide il suo Adrien arrossire quando aggiunse: “Soprattutto della tua Ladybug. O meglio” si corresse, col sorriso di chi la sa lunga “Marinette”. 

Il cuore di Adrien mancò un battito, poi riprese a battere talmente forte che sentì il sangue bollente arrivargli fin nel cervello. Sicuramente era arrossito come un peperone. Sarebbe stato totalmente inutile nasconderlo, visto che sua madre conosceva ogni singola espressione del suo viso, che in quegli anni erano rimaste del tutto invariate. 

“Per caso il gatto ti ha mangiato la lingua, tesoro? Oh, cielo. Che battuta terribile” un dolce risolino le sfuggì dalle labbra. 

Adrien farfugliò qualche parola incomprensibile. Poi ancora: “L-Ladybug, hai detto?”

“Mmh” annuì Émilie, con ancora un sorriso sornione stampato sulle labbra. 

“L-la mia Ladybug?”, chiese ancora, incredulo. Come aveva fatto sua madre a capire i sentimenti che…?

“Sì, tesoro. Non mi pare di conoscere altre Ladybug. Né Marinette, se per questo.”

Adrian batté le ciglia, ancora troppo sorpreso per rispondere. Mai avrebbe pensato di parlare di Marinette con sua madre, ed invece eccolo qui. Si tirò più su a sedere. 

 

***

 

Sebbene in quei dieci mesi non ci fosse stato neanche un singolo istante per… parlare di loro due, le cose tra Adrien e Marinette erano decisamente migliorate. Parlavano naturalmente, come due amici di vecchia data che si conoscano perfettamente, e avevano condotto un lavoro di coppia impeccabile. Ad Adrien andava bene così. Era stato bello, perché anche nei momenti più difficili erano riusciti sempre a trovare una via d’uscita, affiatati ancora una volta come tanti anni prima, quando avevano iniziato a combattere Papillon. 

Erano davvero un duo perfetto, e Adrien si era costretto a pensare che gli bastasse quello che erano riusciti a costruire. 

Un duo, un’amicizia bellissima. 

Si era convinto che questo era tutto quello che voleva. Non morire dalla voglia di catturare le labbra morbide e rosate di Marinette tra le sue, o baciare ogni singola lentiggine sul suo viso, o affondare il volto nel suo collo e rimanere per sempre lì, fermo ad ascoltare il profumo di fragole e zucchero di Marinette. 

Aveva creduto di non aver bisogno di tutto questo, e faceva di tutto pur di non pensare a quello che avrebbero potuto avere. 

Avevano quello che avevano, e tanto bastava. 

Inoltre, adesso che avevano trovato il modo di riportare indietro Émilie, Adrien aveva cose più importanti a cui pensare. Ad una spiegazione plausibile da dare al mondo circa la risurrezione di Émilie Agreste, a come prestare a sua madre tutto l’aiuto possibile senza soffocarla di attenzioni, a come rimettere ordine nella sua vita e capire cosa sarebbe venuto dopo, adesso che Papillon non c’era più e sua madre era di nuovo lì con lui.

Adrien avrebbe dovuto finire i suoi studi e capire cosa fare del suo futuro. Non quel futuro di cui aveva sognato tanto, quello con Marinette, una casa tre figli e un criceto. Un futuro più realistico, più… vuoto. 

Ancora non riusciva ad immaginarselo, ed era per questo che si sentiva così confuso. Adesso, però - in quel momento, in quei giorni - l’unico pensiero che lo accompagnava era quello di Émilie. Avrebbe fatto di tutto pur di farla reintegrare al meglio in casa e nel mondo al di fuori, e doveva assicurarsi che nulla andasse storto. Poi… poi avrebbe pensato a cosa fare della sua vita, del suo futuro con la casa, i tre figli e il criceto e…

E nessuna Marinette. 

 

***

 

“Allora?”, la voce di Émilie lo riportò alla realtà. 

Adrien alzò lo sguardo. Non si era reso conto di essersi perso di nuovo nei pensieri che non aveva più le forze di affrontare. Abbozzò un sorriso tirato. “Non c’è nulla di cui parlare, Maman.”

Émilie corrugò le sopracciglia. “Cosa intendi dire?”

“Che… c-che non c’è niente tra me e… e Marinette”. Non sapeva perché, ma pronunciò queste parole con più difficoltà di quanto avesse previsto. Eppure quella era la verità, no? Non c’era nulla tra lui e Marinette. Solo una sana amicizia. Una partnership perfetta. 

Émilie sorrise saggiamente. cDal modo in cui la guardi, e lei ti guarda, non si direbbe”, disse piano. 

Adrien non seppe cosa dire. Com’era che lo guardava, Marinette? 

Émilie gli accarezzò una spalla con la mano. “Perché non mi parli lo stesso di lei? Non ho ancora avuto l’opportunità di conoscerla bene, ma dalle poche volte che l’ho incontrata mi è sembrata una bellissima persona.”

“Oh, lo è”, rispose Adrien, con più fervore di quanto non volesse. 

Émilie ridacchiò, e Adrien arrossì fino alla punta delle orecchie. “Sei proprio innamorato”, mormorò, cercando di nascondere una leggera inclinazione nella voce. Suo figlio si era innamorato e lei se lo era perso. Émilie scacciò quei pensieri dalla mente scuotendo leggermente la testa. 

Adrien la guardò imbarazzato. “I-io… non sono…”

Émilie fece un gesto con la mano, come a zittirlo. “Non dire sciocchezze, tesoro. Si vede lontano un miglio che sei pazzo di lei. E lei di te.”

“E lei di me?”, ripetè con un fil di voce lui, a dir poco confuso. 

Émilie annuì con un gran sorriso. Gli occhi verdi emisero un leggero baluginio, che per fortuna Adrien non notò. Aveva lo sguardo come perso nel vuoto, forse a pensare alle possibili implicazioni di quello che sua madre aveva appena detto. 

“Oh”, riprese lui, dopo infiniti secondi “anche se mi ricambiasse, tra di noi non potrà mai esserci nulla.”
La sua voce le sembrò stranamente anonima, come se Adrien stesse ripetendo un discorso imparato a memoria per cercare di convincersi. O di non darsi false speranze. 

Émilie schiuse le labbra e fece per chiedergli perché, quando fu interrotta da un leggero colpo alla porta. Adrien rizzò la testa. Sembrava quasi che l’istinto gli avesse in un qualche modo suggerito la presenza che stava per entrare. 

Émilie fece di tutto per nascondere un sorriso complice e si schiarì la gola. “Potresti andare ad aprire, Adrien?”

Lui la guardò incredulo. Poi scattò in piedi e si diresse a grandi falcate verso la porta della stanza. 

Una volta poggiata una mano sulla maniglia di ottone, un brivido gli percorse la schiena. Si convinse che era perché la maniglia era gelida. 

Adrien sentì il corpo teso come una corda di violino quando abbassò la maniglia e la porta si schiuse. Fu subito investito dal suo profumo, fragola e zucchero e miele. Indietreggiò di un passo, con le gambe tremanti. 

Non era preparato alla visione che gli si parò davanti. Una Marinette sorridente e raggiante, con in mano una piccola ed elegante scatola di macarons. 

“Buongiorno, Chaton”, il suo saluto risuonò limpido e cristallino nella stanza.
“M-Marinette”, farfugliò. Dannazione, non era pronto a vederla, non quel giorno. 

Marinette sorrise, inclinando leggermente la testa verso sinistra, come per scorgere la figura seduta dietro ad Adrien. 

“Émilie!”, esclamò poi, poggiando delicatamente una mano sul braccio di Adrien - una mano sul braccio di Adrien! - come a farsi un po' di spazio. Adrien seguì con lo sguardo ogni singolo movimento della sua figura leggera e sinuosa, che aveva improvviso illuminato tutta la stanza. Più di quanto non avesse già fatto la presenza di Émilie, ovviamente. 

Marinette si mosse verso Émilie, ancora seduta sul divano, troppo debole per alzarsi. Marinette baciò sua madre sulla guancia, e iniziò a parlarle come se la conoscesse da sempre. 

“Come hai dormito, stanotte? Bene? Sono contenta! Adrien mi ha detto che hai avuto un po' di problemi la scorsa settimana, ma mi fa piacere vedere che stai meglio!”, poi, mettendosi a sedere sullo stesso punto dove Adrien era stato fino a pochi istanti prima, continuò: “Mio padre ha insistito affinché ti portassi qualcosa da mangiare, allora ho preparato questi macarons al frutto della passione. È il gusto preferito di Adrien, quindi ho pensato potessero piacere anche a te.” Poi, arrossendo, porse ad Émilie la scatola bianca ad intarsi dorati. Émilie sorrise con gratitudine, poi volse lo sguardo ad Adrien, ancora impalato come uno stoccafisso vicino alla porta. 

Adrien si risvegliò come da un sogno. Chiuse la porta alle sue spalle e andò a sedersi su una poltrona a fianco di Émilie. 

“Ti ringrazio tantissimo, Marinette. È davvero un bel pensiero.”

Marinette si morse un labbro, imbarazzata. Adrien sentì il cuore fare una capovolta. “N-non è niente di che, davvero… ehm…” 

Aveva iniziato a contorcersi le mani poggiate in grembo, e Adrien la trovò adorabile, così impacciata e balbettante. 

Poi… Marinette ricambiò il suo sguardo, e lo guardò

Lo guardò con tanto ardore che le viscere di Adrien si agitarono tutte e centinaia - anzi, migliaia - di farfalle avevano preso a svolazzare e a contorcersi nello stomaco. Adrien non capiva il perché di quello sguardo. Non gli era mai parso che Marinette lo osservasse in questo modo, nello stesso modo in cui lui guardava sempre lei. O forse era sempre stato così, e lui se ne rendeva conto solo adesso, risvegliato dalle parole di sua madre.  

Dal modo in cui la guardi, e lei ti guarda, non si direbbe. 

Si vede lontano un miglio che sei pazzo di lei. E lei di te. 

Émilie guardò prima Adrien, poi Marinette, mentre quei due continuavano a fissarsi come due ebeti. Si schiarì la gola con un sorriso consapevole stampato sulle labbra, perché quei due erano innamorati ed adorabili ed era suo compito assicurarsi che finissero insieme. 

“Marinette, grazie ancora. Anche a me piace tantissimo il frutto della passione. Purtroppo”, disse, fingendo uno sbadiglio, “sono troppo stanca per parlare, oggi pomeriggio. Credo… credo proprio di aver bisogno di riposare.”

Adrien scattò di nuovo in piedi. “Ti accompagno a letto, Maman.”

Émilie scosse la testa: “Non disturbarti, Adrien. Ho chiesto a Monsieur Delacroix di passare a prendermi per le cinque, e dovrebbe arrivare a minuti. Ah, eccolo che bussa alla porta. Avanti!”, esclamò, e la sua voce dolce arrivò fino alle orecchie del caro Monsieur Delacroix, che con un gesto deciso spalancò la porta della stanza. “Monsieur, venite giusto in tempo. Vi dispiacerebbe accompagnarmi fino alla mia stanza?”

Il gorilla - sì proprio lui - annuì con un grugnito, e prese con una delicatezza inaspettata Émilie Agreste tra le sua braccia, come fosse abituato da una vita ad assistere la sua signora. Prima di lasciare la stanza, Émilie si volse ad Adrien: “Ti prego, tesoro. Fai compagnia alla nostra ospite. Mi dispiacerebbe troppo averla invitata per farla andare via subito. D’accordo?”

Adrien annuì come un automa, senza rendersi conto veramente di ciò che la madre gli aveva appena chiesto. 

“Bene, buon pomeriggio Marinette. Grazie ancora per i macarons, sono sicura saranno buonissimi”. 

Marinette, ancora rossa per l’imbarazzo, non fece in tempo a balbettare una risposta che il gorilla - alias Monsieur Delacroix - si era richiuso la porta alle spalle, con la bella e fragile Émilie tra le braccia. 

Adrien si schiarì la gola. Marinette abbassò gli occhi fino al costoso tappeto che ricopriva il parquet del salotto. Dopo qualche istante di puro silenzio, si alzò in piedi e disse: “Forse è meglio che vada, sicuramente avrai di meglio da far…”
“No!”, la interruppe bruscamente Adrien, in piedi di fronte a lei. “Voglio dire,” aggiunse, portandosi una mano alla nuca. “Resta. Non ho altro da fare e… so che a mia madre farebbe piacere.”
Marinette si morse nuovamente il labbro. Adrien non potè fare a meno di far cadere il suo sguardo su quel labbro rosa e pieno. Ma subito scosse la testa e tornò a guadarla negli occhi. Occhi azzurri e pieni e bellissimi. 

“V-va bene”, sussurrò Marinette, e si rimise a sedere. Adrien, che finalmente aveva trovato l’occasione di avvicinarsi un po’, ne approfittò per andarsi a sistemare accanto a lei. 

Quando per la terza volta i loro occhi si incrociarono, quel pomeriggio, Adrien sentì l’ennesima capriola nel petto. 

“Perché sei così nervoso, Chaton? Non voglio mica mangiarti”, rise Marinette. 

Adrien la scrutò in volto. Era bellissima come sempre, ma quel giorno una luce nuova le illuminava gli occhi, e la faceva risplendere tutta. “È che… è strano”, ammise poi. 

Marinette alzò le sopracciglia. “Cosa è strano?”

“Tu… io, senza più una missione da compiere.”

Marinette scosse la testa. “Ti sbagli, micetto. Avremo sempre missioni da compiere, tu ed io. Siamo o no dei supereroi?”

“Sì… io…”. Adrien era confuso. Non capiva perché si sentiva così nervoso in quel momento. Negli ultimi tempi aveva imparato a controllarsi e a mascherare il suo imbarazzo dietro battute maliziose. Ma non oggi. Forse l’aver visto Marinette senza alcun preavviso, e soprattutto averla vista ridere e scherzare con sua madre come se si conoscessero da tutta una vita. Come se fossero amiche. Le due donne più importanti della sua vita. 

Sarebbe dovuto essere felice, giusto? E di certo lo era, ma adesso non poteva fare a meno di pensare a Marinette. E rimase incantato ad osservare le sue ciglia scure e lunghe e le piccole lentiggini che le puntellavano le guance. A godere del suo profumo dolce che gli aveva riempito i polmoni.

Marinette se ne accorse. Lo sentiva, lo sguardo intenso di Adrien su di lei. E sebbene una parte di lei volesse saltare e gridare di gioia, l’altra la portò a controllarsi e a fare finta di niente. Ci era abituata, ormai. Dopo tutti quei mesi passati a mettere in secondo piano qualsiasi cosa non riguardasse la loro missione, le sembrava quasi naturale fare finta che tra lei e Adrien non ci fosse mai stato nulla. 

Sentì Adrien respirare a fatica accanto a lei. Per alleggerire l’atmosfera, decise di offrirgli uno dei macarons dentro la scatola. Tirò delicatamente un’estremità del nastro dorato che la teneva chiusa, poi alzò il coperchio e gli porse il contenuto sotto gli occhi. 

“Non credo che tua madre riuscirà a mangiarli tutti. Li ho fatti anche per te, sai.”
Adrien la guardò incredulo, poi con una mano tremante estrasse un perfetto macaron dalla scatola. “G-grazie”, riuscì a farfugliare, prima di portare il dolce alle labbra e staccarne un morso. Un sapore dolce e fragrante gli si sciolse in bocca, e subito fece per addentarne un altro pezzo. 

“Mmh” mugugnò. “Sono buonissimi. Davvero”. 

Marinette sorrise. “Grazie, Adrien.”

Adrien. Era la prima volta che lo chiamava per nome da quando era entrata in quella stanza. Adrien sentì una scossa elettrica percuoterlo tutto, e la voglia improvvisa di baciarla. Di dirle che la amava. 

“Hai delle mani d’oro, Milady. Te l’ho mai detto?”

Marinette batté con l’indice due adorabili colpetti contro il mento. “Una volta o due, mi pare” disse infine. Poi distese le ginocchia e puntò i talloni sul tappeto, un sorriso stampato sulle labbra. 

Adrien si rilassò un poco. C’era qualcosa, nel tono di Marinette, che gli fece comprendere che anche lei si stava rilassando. Era calma e serena, come da tanto tempo non la vedeva più. 

“MI rimane una domanda, comunque”, le chiese allora con tono malizioso. 

Lei si girò a guardarlo, gli occhi azzurri sorprendentemente luminosi. “Cosa?”

“Non ricordo di averti mai detto di andare pazzo per il frutto della passione”.

Marinette arrossì. Fece per parlare, ma alla fine decise di rimanere in silenzio. 

“Allora?”, la pungolò Adrien, dandole un’affettuosa spallata. 

Marinette ridacchiò, e con gli occhi di nuovo fissi sul tappeto ammise in un fil di voce: “Non esistono segreti per le ragazze innamorate”.

Adrien si chiese se avesse sentito bene. 

Marinette si chiese se avesse davvero parlato ad alta voce. Voltò di scatto la testa verso Adrien, e lo trovò a fissarla ancora con quegli occhi verdi e intensi. 

“Capisco”, rispose lui con un dolce sorriso, poi tese la mano alla ricerca di quella di Marinette. La trovò che stringeva convulsamente il cuscino del divano, la afferrò delicatamente e se la portò alle labbra. Marinette rabbrividì quando sentì lo schiocco del leggero bacio di Adrien sulle sue nocche. Era un suono che credeva non avrebbe sentito mai, mai più. 

“A-Adrien…”, boccheggiò Marinette, senza tuttavia ritirare la mano, ancora custodita dalla presa ferma e calda di quella di lui. 

Ci pensò Adrien a rimetterla a posto dal punto in cui l’aveva presa. “M-mi dispiace, Marinette. Mi… mi sono fatto trasportare, come sempre.”

Marinette apparve un poco delusa, tanto che afflosciò leggermente le spalle, vedendo che Adrien si era ritratto così velocemente. Ma preferì rimanere in silenzio. 

“Marinette?”, chiese allora Adrien, con un tono talmente serio e basso che Marinette quasi sobbalzò sul posto. 

“Sì?”, chiese a fior di labbra. 

Adrien prese un profondo respiro. E anche tanto coraggio. “Sei ancora innamorata di me, non è vero?”

“C-cosa?”, sussurrò. La domanda l’aveva presa completamente di sprovvista. Non era certo quello che si aspettava di sentire. Aspettò che Adrien si scusasse, che si ritrasse e fece finta di non averle affatto rivolto la parola, ma questa volta pareva ostinato a ricevere una risposta, e continuava a guardarla con occhi febbrili. 

Marinette inspirò profondamente. Si preparò a dire ‘no’, come in ogni altra circostanza avrebbe fatto. Ma in quel momento le sue labbra si mossero da sole, e senza che lei potesse fare nulla per fermarle un debole “Sì” le sfuggì, scivolandole come burro sulla lingua. 

All’udire quell’unica, singola sillaba, gli occhi di Adrien divennero ancora più grandi, e si accesero di vita. 

“Sì?”, chiese, come per conferma, e si sporse leggermente col busto in avanti. 

Marinette si scostò, e con un sorrisino nervoso rispose: “Sì, sì. Ma adesso non montarti la testa, Chaton. Sono sicura che il tuo ego sia già in proc…”

Adrien le prese una mano. “Marinette”, la chiamò, la pregò di guardarlo. 

Marinette si abbandonò al quel suono. Voltò delicatamente la testa, e incrociò i suoi occhi di fiamme. “S-sì, Adrien?”, bisbigliò, e i loro sguardi si intrecciarono. 

Marinette avvertì distintamente i polpastrelli di Adrien accarezzarle il dorso della mano nel gesto più delicato al mondo. Avrebbe voluto sottrarsi - avrebbe dovuto sottrarsi - ma quel tocco era così caldo e piacevole che le sembrò un peccato rifuggirne. 

“Marinette”, la chiamò ancora Adrien, con un tono di voce bassa e rauca. La guardava davvero con occhi di fiamme, come il più innamorato degli innamorati. E se quegli occhi non bastavano ad esprimere tutto il suo amore, ci pensò la sua voce a metterlo bene in chiaro. “Anch’io sono ancora innamorato di te, Marinette. Sono pazzo, pazzo di te. Ti prego!”, esclamò, quando la sentì vibrare e indietreggiare sotto il suo tocco. Senza sapere dove trovò il coraggio, lasciò la sua presa sulle mani di Marinette e spostò le braccia fino a circondarla completamente. Avvertì il respiro dolce di Marinette battergli contro il collo, come la carezza di ali di farfalla. “Ti prego”, le sussurrò tra i capelli. “Non dirmi di no. Non rifiutarmi ancora. Non lo sopporterei.”

“Adrien, io…” le sue parole si persero nel vuoto. 

“Shhh. Non dire niente, forse è meglio così”. La voce di Adrien risuonò così dolce ed invitante, sembrava quasi una ninna nanna. Marinette pensò che non sarebbe stato male addormentarsi così, con il volto premuto contro l’incavo del collo di Adrien, e l’odore inebriante della sua colonia invaderle le narici. 

Sentì le dita di Adrien accarezzarle dolcemente i capelli, il suo naso ispirarne il profumo. La sua adorazione per lei la fece sentire quasi come una dea o il più prezioso dei tesori, e pensò che non ci fosse nulla di male a rimanere ancora un po' ferma e godere del contatto con il suo corpo. D’altronde, il loro non era altro che un abbraccio. Un’abbraccio da amici, giusto?

Passarono così, nel silenzio, dieci venti secondi, dieci venti minuti. Chissà. 

Fu Marinette la prima a trovare il coraggio di staccarsi. La solita, terribile immagine le aveva coperto la vista - un gatto bianco e un mondo distrutto - e allora l’orrore le aveva dato la forza di smetterla con quella pantomima. 

Scosse la testa, come per liberarsi del segno che le mani di Adrien avevano lasciato dove l’aveva abbracciata, lungo la schiena. Le parve ancora di sentirle, calde grandi e rassicuranti su si lei. 

“Tutto bene, Milady?”, le chiese allora Adrien, scrutandola con occhi attenti e preoccupati. 

Marinette evitò il suo sguardo. Cercò di ricomporsi quando disse: “Credo…sia proprio il momento di andare.”

Si alzò, ma non fece in tempo ad avanzare di un passo che Adrien le afferrò di nuovo la mano. “Perché devi andare? Sai che puoi rimanere qui tutto il tempo che vuoi. È… è per qualcosa che ho fatto? Mi dispiace, io… non sono riuscito a trattenermi. Ma ti prego” le disse, alzandosi a sua volta in piedi. “Non andare via. Voglio… voglio stare ancora un po' con te.”

A Marinette si strinse il cuore nel vederlo così, annichilito e sofferente, di fronte a lei. “A-Adrien” mormorò, scuotendo debolmente la testa. “N-non capisci, io… non posso proprio restare.”

“Perché no?”, chiese lui con fervore. 

E Marinette allora fece una cosa che lui non si sarebbe mai aspettato. Allungò la mano libera dalla sua stretta e arrivò a sfiorargli la guancia. Accarezzò con il polpastrello del pollice la sua pelle liscia e perfetta. Poi, si alzò leggermente in punta di piedi e… gli schioccò un leggero bacio sulla guancia. 

Sulla guancia, sì. Ma pur sempre un bacio. Adrien riuscì persino a sentire il suo respiro dolce rimbalzare contro la sua pelle, e quel suo profumo mandargli in tilt il cervello. 

Marinette si ritrasse e tornò a guardarlo in volto, e con la più dolce delle carezze lo spinse a ricambiare il suo sguardo. “Adrien, io…” cominciò, la voce talmente bassa da sembrare l’eco di un sussurro lontano. “Continuo a pensare che sia troppo pericoloso stare insieme”. 

“M-ma perché? Papillon non è più una minaccia, mia madre è sana e salva, e non c’è nessun motivo per cui…”

“Sì, c’è” lo interruppe Marinette, la voce rotta dal pianto. Presto le prime lacrime sarebbero arrivate a rigarle le guance. 

Adrien avrebbe voluto spazientirsi, gridare, chiedere spiegazioni. Ma quella storia andava avanti da così tanto tempo che gli parve quasi normale che l’ennesimo ostacolo gli si parasse davanti. 

“Marinette?”, chiese infine, incerto. 

“Sì?”, rispose subito lei, quasi come stesse aspettando con impazienza quella domanda. 

“Per quale motivo non possiamo stare insieme?" 

 

[continue…]

 

 

 

Convenevoli finali:

Lo so, lo so. È imperdonabile da parte mia avervi fatto aspettare tutto questo tempo per un aggiornamento. Vi prometto che non mi sono dimenticata di voi né di questa storia, è solo che questo ultimo periodo non è stato dei migliori e non ci stavo proprio con la testa per mettermi a scrivere. 

Spero comunque che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto, ci sentiamo nei commenti!!

 

A presto, 

Tallita_ <33

 

 

 

   
 
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