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Autore: Soul of Paper    30/05/2021    5 recensioni
[Imma Tataranni - Sostituto procuratore]
Lo aveva baciato e gli aveva ordinato di dimenticarselo. Ma non poteva certo pretendere dagli altri ciò che non riusciva nemmeno a fare lei stessa. Imma Tataranni - Imma x Calogiuri
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nessun Alibi


Capitolo 61 - Pelle


Disclaimer: questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro. Questi personaggi non mi appartengono ma sono proprietà dei relativi detentori di copyright. Ogni riferimento a fatti, persone, luoghi o eventi realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.



 

“Purtroppo il video era già stato ripostato diverse volte, dottoressa. Risalire a chi lo abbia postato per primo sarà impossibile, temo, e credo non ci convenga per ora compiere azioni contro i membri del gruppo e far saltare la mia copertura. Anche se probabilmente non servirà a niente.”

 

Sospirò: Mariani non aveva proprio buone notizie, anzi.

 

Ma, del resto, internet era come un gigantesco pagliaio in cui loro stavano cercando un ago minuscolissimo, di quelli da insulina.

 

“Capisco. Mi cerchi le foto del commercialista, Mariani: più ne trova e meglio è! Dalla corporatura magari riusciamo a capire chi è nel video, e a fare altre deduzioni.”

 

“Dottoressa, non ha molto sui social purtroppo… e… alla conferenza stampa c’erano foto solamente del volto. Però… mi pare di averlo visto in qualche video, ripreso dai giornalisti. Mi faccia verificare.”

 

Mariani si mise a lavorare alacremente col suo tablet e poi fece un sorriso e glielo porse, “ecco, qua si vede non proprio a figura intera ma fino alle ginocchia.”

 

Imma fece partire il video.

 

C’erano il commercialista ed un altro uomo che uscivano da quello che, a giudicare dalla targhetta accanto al portone, era lo studio.

 

Un giornalista gli fece le domande di rito sul figlio e sulle accuse a suo carico, ma ad Imma si bloccò il fiato in gola e non lo sentì più, anzi, non sentiva più niente.


Riusciva solo a vedere il linguaggio del corpo del commercialista e dell’altro uomo: il modo in cui camminavano e si muovevano, mentre cercavano di evitare il giornalista. La corporatura che si intravedeva sotto i cappotti costosissimi e semi aperti.

 

Erano familiari, troppo familiari.

“Mariani, fermi il video!” esclamò e la marescialla per poco non le fece un salto dallo spavento.


“Ha notato qualcosa, dottoressa?”

 

“Qualcosa? Tutto! Mi rifaccia vedere l’inizio del video con Giulia. In un altro schermo però, fianco a fianco.”

 

Mariani usò il suo computer per proiettare il video del giornalista ed il tablet per quel filmino che mai avrebbe voluto rivedere, ma le toccava farlo.

 

E per poco non si accasciò sulla sedia.


“Non nota niente, Mariani? La cadenza dei passi, il modo in cui muovono le braccia, come quest’uomo ha l’abitudine di toccarsi spesso il mento?”

 

Sentì come un sibilo anche da Mariani: aveva capito pure lei.

 

“L’altro uomo è quello che stiamo cercando Mariani, quello del DNA, ci potrei scommettere, pure se non c’abbiamo niente in mano! Sappiamo chi è?”

 

“Sì, è l’altro socio dello studio, dottoressa. Era nelle foto del sito dello studio appunto. Ma, come dice lei, non abbiamo niente in mano. Come facciamo a chiedere il DNA? A meno di usare modi poco legali ma poi… inutilizzabili in tribunale.”

 

“Mo ci penso, Mariani. Ed invece, ci pensa lei ad avvertire il dottor Mancini degli sviluppi? Che io devo tornare a casa presto stasera.”

 

Mariani sembrò sbigottita: in effetti per lei rientrare in orario era un evento, e lo era ancora di più in quelle ultime settimane, che aveva cercato di buttarsi sempre di più sul lavoro.

 

Ma ora Calogiuri aveva la priorità assoluta e saperlo a casa da solo, debole com’era ancora, non la faceva stare tranquilla.


E poi… e poi tutto sommato, l’idea di evitare Mancini non le dispiaceva affatto, anzi.

 

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Aprì la porta con il fiato un poco in gola e… niente, tutto silenzioso e tranquillo.

 

Si liberò di cappotto, borsa e scarpe ed andò verso la camera da letto.

 

Aprì la porta e lo trovò seduto a letto, che muoveva una cannetta con su una piuma per far giocare Ottavia, che gli rotolava felice tutto intorno.

 

Ma, come la sentirono arrivare, si bloccarono e le rivolsero due sguardi stupiti.

 

“Che ci fai qui a quest’ora?”

 

“Anche io sono felice di rivederti, Calogiuri: se sono di troppo torno dopo. E comunque il medico ti ha detto che non ti devi stancare!”

 

“Muovere il polso dubito sia un movimento così stancante, dottoressa,” le sorrise lui e, quando lo faceva, notava ancora di più quanto fosse smagrito in viso, “e comunque… non è da te tornare così presto!”

 

“Lo è da stasera, finché non stai meglio, e poi per oggi avevo finito,” ribatté, sedendosi sopra al letto, accanto a lui, e trovandosi la belva in grembo, che faceva le fusa, “che ruffiana che sei!”

 

Poi però le prese un sorrisetto e si voltò verso di lui, che la guardava come a dire che c’hai in mente, e gli sussurrò, “e comunque… dipende dal movimento di polso, Calogiuri!”

 

Un attimo di confusione e poi il respirone che prese, le fece capire che si erano intesi.

 

“Vado a farmi la doccia e dopo preparo la cena,” aggiunse, con un sorrisetto, lasciandosi alle spalle una gatta confusa ed un viso paonazzo.

 

*********************************************************************************************************

 

“Papà!”

 

Sorrise, a quelle due sillabe che l’avevano sempre reso l’uomo più felice ed orgoglioso del mondo, le si avvicinò e se la abbraccio, incurante delle proteste perché stavano in pubblico.

 

“E dai, papà!”

 

“Già ci vediamo poco!”

 

“Ma se ci vieni sempre più spesso a Roma nei weekend! Altro che poco!”

 

Il viso gli divenne caldissimo, senza poterlo evitare, quindi prolungò per un altro secondo l’abbraccio, per darsi il tempo di riprendersi: Valentina non poteva e non doveva ancora sapere che mo… di ottimi motivi per andare a Roma ce ne aveva ben due. Anzi tre.

 

Alla fine però dovette staccarsi, prima che Valentina gli staccasse sì ma la testa, e si sedettero ad un tavolino del bar.

 

“Allora, come va? Ti trovo sempre più in forma, papà!”

 

“Eh… diciamo che… sto cercando di fare più attività fisica. Ho anche ripreso col calcetto,” le spiegò, non potendo ammettere che il motivo principale del suo… ringiovanimento c’aveva un nome ed un cognome molto familiari e che, pure per starle dietro fisicamente, si stava allenando più spesso, “tu, invece?”

 

“Io-”


Il rumore di un messaggio li interruppe e Valentina guardò rapidamente il telefono, ma poi fece uno sguardo deluso.

 

“Che c’è?”

 

“Niente… è Penelope ma… ultimamente ha spesso da fare nel weekend, per l’accademia, e scende poco. Mi ha detto che teme di non farcela neanche settimana prossima, perché sono in alto mare con il progetto.”

 

“E perché non ci vai tu, allora?”

 

“Ma è impegnata tutto il giorno e possiamo stare insieme solo la sera.”

 

“Eh va beh, ma quando ci si ama… anche una sera o due insieme valgono tantissimo, no?”

 

“E tu che ne sai?” gli chiese Valentina, all’improvviso, e gli prese un colpo, a maggior ragione quando aggiunse, con un sorriso, “ah, mo ho capito!”

 

“Valentì, non-”

 

“Ti riferisci a quando mamma stava in Sicilia, vero? Che tornava poche ore al fine settimana.”

 

Dire che fosse sollevato era dire poco.

 

“Eh, certo! Erano poche ore ma… erano spese bene. E, nonostante quello, direi che alla fine poi non ce la siamo cavata così male, no? Per tanti anni. Anche se è finita com'è finita.”

 

“Già… e poi mo… è finita com’è finita pure tra mamma e quello stronzo! Sai, sono un poco preoccupata per lei. Oggi l’avevo invitata ma… mi ha detto che non se la sentiva. Anche se non sembrava triste come le altre volte, più… strana, ma-” si bloccò, facendo un poi un’espressione colpevole, “scusa, forse non è un argomento di cui parlare con te.”

 

“E perché? Capisco come sta tua madre, Valentì, ed io e lei ci vogliamo ancora bene e ce ne vorremo sempre, anche se… l’amore è finito. E comunque poi la sento pure io, non ti preoccupare. Tua madre è tosta, è una che non molla mai. Ne ha passate tante e… passerà pure questa.”

 

“Speriamo!” sospirò Valentina, non sembrandogli molto convinta.

 

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“Pietto!!!”

 

Rise, trovandosi abbrancato per le ginocchia in una vera e propria morsa. Le porse il leccalecca che teneva nella mano sinistra, prima che lei potesse anche solo domandarlo, e la vide saltellare, per farsi prendere in braccio.


“Prima dò anche queste a mamma,” le rispose lui, alzando lo sguardo verso Rosa, che gli sorrideva in un modo che gli rimescolava tutto dentro, e porgendole tre rose rosse che aveva comprato dal fioraio vicino a casa di lei.

 

“Ma… ma non dovevi!” esclamò, afferrandole con un sorriso e lanciando poi uno sguardo verso Noemi.

 

“E va beh… è il tuo nome, no? E poi un poco ti somigliano… quando diventi rossa,” rispose lui, abbassandosi per prendere in braccio Noemi, che fece un risolino.


“Veo! Ose belle, come mamma!” esclamò lei, nella sua ingenuità, e Rosa, manco a dirlo, era di nuovo diventata color porpora, ma lo fece passare e chiuse la porta alle sue spalle, sembrando sollevata.

 

Del resto, sapeva benissimo che i bimbi dell’età di Noemi avevano ancora una beata innocenza.

 

“Cos’è questo profumino buonissimo?” chiese poi, avvicinandosi alla zona della cucina.

 

“Ho trovato la pietra da mettere nel forno per fare la pizza. Per intanto sto facendo un po’ di pizzelle di prova. Se ti lavi le mani, ci mettiamo a tavola.”

 

“Andiamo insieme a lavarci le mani?” chiese a Noemi, che quasi lo assordò con uno dei suoi “sììììììì!” pieni di entusiasmo.

 

Scambiandosi un ultimo sorriso con Rosa e sentendo un peso dolce sul petto che non c’entrava con la piccola peste, o meglio, non direttamente, andò verso quella che ormai sapeva essere la porta del bagno.

 

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“Ma ne sei proprio sicura? Non lo posso fare da me?”

 

“No. C’hai ancora le mani troppo tremanti e questa barba va levata. Prima rasoio elettrico e poi lametta!” proclamò, decisa, accendendo il rasoio elettrico che aveva comprato per l’occasione, visto che sia lei che Calogiuri normalmente usavano quello manuale, e cominciando a scorciare i ciuffi più lunghi.

 

Lo sentì sospirare ma anche cercare di rimanere fermo immobile, mentre continuava con il lavoro. Tremava comunque un poco, ma il tremolio gli peggiorava quando lo accarezzava per sollevare i ciuffi, quindi dedusse che non fosse soltanto la debolezza e le venne da ridere sotto i baffi.

 

Era bello sapere di fargli effetto pure quando in quelle condizioni.


Finita la prima rasatura, che già le restituì un uomo più simile al suo Calogiuri, prese il contenitore della schiuma da barba e se ne spruzzò una dose generosa sulla mano destra.


“M- ma sei… insomma… sei davvero sicura che…” le chiese e c’aveva uno sguardo quasi terrorizzato, mentre gli spalmava la schiuma su tutte le guance, mento e collo.

 

“Tranquillo, Calogiù, sono capace eccome! Figurati che ho usato anche il rasoio a lama a mano libera con-” esordì, ma si bloccò, rendendosi conto di cosa stava dicendo e dei ricordi che quell’occasione le riportava alla mente.

 

“Con Pietro?” dedusse lui, ma non le sembrò infastidito, solo incuriosito.

 

Per fortuna la gelosia, almeno nei confronti di Pietro, sembrava essere praticamente sparita. Era bello poterne parlare, in modo quasi rilassato.


“Sì, sì. Tra l’altro… per un attimo c’avevo avuto la tentazione di fare come Sweeney Todd, figurati!”


“Chi?” le domandò, con una confusione che la fece sorridere, perché le ricordò Noemi.

 

“Se non lo hai mai visto… c’abbiamo un film molto istruttivo da recuperare una di queste sere. Praticamente parla di un barbiere che uccideva i suoi clienti tagliando loro la gola con il rasoio. Zac!” esclamò, mentre toglieva il coprilame e gli afferrava il mento per tenerlo fermo.

 

“Menomale che questo ha la sicura!” esclamò lui, sembrando ancora un poco intimorito e facendola ridere, mentre lei dava il primo colpo di lametta e poi proseguiva in modo delicato sulla guancia destra.


Ma poi lui le prese il polso per fermarle la mano e si staccò leggermente.

 

“Scusa ma… ma perché volevi uccidere Pietro?”

 

Si rese improvvisamente conto che di quella cosa lei e Calogiuri non avevano mai parlato.

 

“Già… non te l’ho detto all’epoca perché… non mi pareva il caso e poi… non era il caso comunque, con tutto quello che ho combinato io. Ma… ti ricordi quando Pietro c’ha avuto l’intossicazione alimentare?”


“E come dimenticarmelo! Che… che ti avevo fatto quella carezza, dopo la grotta, e poi… e poi lui è stato male e poi tu… sembravi quasi avercela con me.”

 

“E tu mi hai pure fatto la scenata in ufficio! Che nessuno aveva mai osato, tranne Diana!” rise, ripensando a quei ricordi dolceamari che le erano rimasti nel cuore, “comunque… comunque ecco… diciamo che Pietro la sera delle cozze, mi disse che andava a cena con un suo collega. Ma quando si sentì male, chiamai il collega per sapere cosa avessero mangiato e lui cascò dal pero e… e poi scoprì che era stato a cena con Cinzia e che le cozze crude gliele aveva preparate lei.”

 

“Ma… ma quella Cinzia?” le chiese, sembrando sbalordito.

 

“Sì. Proprio quella Cinzia. Col senno di poi, probabilmente non era successo niente ma…” si fermò, perché Calogiuri aveva un’espressione strana, “che c’è?”

 

“Ma… ma è per questo che… che mi hai baciato?” le domandò, in un modo un poco ferito, che forse era proprio uno dei motivi per cui non gliel’aveva detto prima.


“No, no, figurati! Anzi, è proprio perché… perché mi sentivo debole e… e non volevo prendere decisioni affrettate per ripicca che… che ti ho tenuto così lontano in quei giorni. E poi, nonostante tutto, mi sentivo pure un po’ in colpa verso Pietro. Sai… quando si teme di essere stati traditi e si prova a stare dall’altra parte….”

 

“Eh… diciamo che in questo periodo mi ci sono sentito dall’altra parte.”


“E pure io. Ma… l’idea del tradimento di Pietro non… non mi ha fatto male come l’idea di essere stata tradita da te. Non lo so perché… e dire che per lui ci avrei sempre messo la mano sul fuoco.”

 

“Ma perché non me lo hai mai detto dopo?”

 

“Perché… perché forse una parte di me temeva appunto che tu pensassi alla ripicca e poi… e poi non ne avevo il diritto, di trovarmi e di trovarci un alibi e di incolpare Pietro, quando io per prima….”

 

Si sentì stringere in un abbraccio, un po’ di schiuma da barba che le finì sulla guancia e sul collo, facendole il solletico.

 

“Almeno Pietro è un poco meno perfetto di come l’ho sempre immaginato. Anche se… mo mi vorrà strozzare di nuovo, proprio ora che avevamo fatto una tregua.”

 

“Ci parlerò io con Pietro, Calogiù, non ti devi preoccupare! Anzi, visto che sta a Roma… magari almeno a lui e a Valentina possiamo dirlo che siamo tornati insieme, no?”

 

“No, no! Non… non mi voglio far vedere da Pietro in queste condizioni e neanche da tua figlia.”


“Va bene. Agli ordini, maresciallo! Certo che sei proprio orgoglioso!” proclamò, sorridendogli e staccandosi da lui.

 

“Ho imparato da te!”

 

“Ma non è vero! Eri già capatosta geneticamente, come facilmente dimostrabile, conoscendo il resto della famiglia!”

 

“Ma tu hai peggiorato la situazione!” la sfottè, dandole un pizzicotto, che presto si trasformò in un attacco di solletico vero e proprio, e si trovò sotto di lui, che non le dava tregua e poi, senza quasi sapere come, travolta da un bacio e dalla schiuma da barba, che cercavano di levarsi a vicenda dal viso, per riuscire a respirare.

 

Lo spinse fino a finirgli sopra e-

 

E sentì qualcosa.

 

Si bloccò, rendendosi conto di quello che stavano facendo, e si sollevò a sedere sulle gambe di lui, facendo forti respiri per riprendersi dal deficit d’ossigeno.

 

“Che c’è?” le domandò lui, tra un respiro e l’altro, con aria preoccupata.

 

“C’è che… che forse sei ancora troppo debole per… questo,” gli disse, perché era passata solo una settimana da quando era rientrato a casa, ed aveva preso qualche chilo ma ancora poca roba.


Lui sospirò ma poi le sorrise, pronunciando, con lo sguardo da impunito, pur in mezzo a tutta la schiuma mezza spalmata per la faccia, “il corpo sta mandando chiari segnali, dottoressa, e bisogna ascoltarlo, no?”


“Sì, bisogna ascoltarlo solo quando fa comodo a te!” ironizzò, dandogli un pizzicotto sul fianco e facendosi scappare un mezzo urlo quando si trovò di nuovo sotto di lui, avvinghiata in quello che definire bacio sarebbe stato come dire che il big bang era stato una miccetta.

 

Le mani di quell’impunito le parevano essere ovunque: tra i capelli, sotto e sopra la vestaglia - che aveva tenuto proprio per non tentarlo troppo - e la camicia da notte.

 

Mentre le mani di lui scendevano alternativamente sempre più giù e sempre più su, decise che, se era in grado di farla impazzire in quel modo, poteva reggere fisicamente pure il resto e, se no ci avrebbe pensato lei a… portare a termine la missione.

 

Lo rispinse sulla schiena, notando mentalmente quanto fosse più facile farlo rispetto a prima che succedesse tutto quello che era successo, e ripromettendosi che sarebbe stata questione ancora di poco tempo. Ma poi lui le sfilò la vestaglia, le unghie che le sfiorarono la pelle, sicuramente molto volontariamente, dalle spalle ai polsi, e tutte le voci si spensero, mentre gli levava senza troppe cerimonie la maglietta bianca, ormai piena di schiuma da barba.

 

Un secondo e si trovò di nuovo con la schiena sul materasso, e sentirlo pelle contro pelle, dopo tanto tempo, fu una scossa elettrica che le ricordò quasi la loro prima volta.

 

Si perse nei baci sulle guance, sul collo e poi….

 

E poi aprì gli occhi, perché Calogiuri sembrava improvvisamente immobile. Spalancò gli occhi, preoccupata che non stesse bene, ma trovò due iridi azzurre che la guardavano in quel modo in cui solo lui l’aveva mai guardata, come se avesse davanti il tesoro più prezioso e fragile dell’universo.

 

Ed anche questo le ricordò della loro prima volta, o meglio, della seconda, dopo la furia della passione.

 

“Che c’è?” gli sussurrò, la voce decisamente più roca del suo solito.

 

“Non sai quante volte ho sognato di poter di nuovo fare l’amore con te, qua, nel nostro letto, ma poi… ma poi tu sparivi sempre e… e mi dicevi che mi odiavi e che non mi volevi più vedere.”

 

Fu un po’ una stilettata allo stomaco, ma sollevò una mano per accarezzargli una guancia ancora umida di schiuma da barba, e lo vide chiudere gli occhi, e rifugiarcisi, in un modo che le ricordava assurdamente Ottavia.

 

“Pure io ti ho sognato sai? Tante volte,” le uscì d’istinto e lui rispalancò gli occhi e la guardò incuriosito, “ma… più che fare l’amore… diciamo che… ti punivo, maresciallo.”

 

Gli occhi di lui si fecero ancora più enormi, diventò color peperone crusco e poi… si ringalluzzì ancora di più, e le venne da ridere.

 

“Calogiuri… per certe punizioni ti devi riprendere ancora un poco, prima…” gli sussurrò e lui fece una faccia tra l’impunito ed il deluso ma poi le sorrise e fece quell’espressione, quella delle grandi dichiarazioni che solo lui sapeva fare.

 

“A me basta sapere che sei qua con me e che non sparisci più.”

 

Un groppo in gola tremendo.


“E dove vuoi che vado, con te che mi placchi così?” gli chiese, dandogli un’altra carezza.

 

E poi un bacio tenero ed un altro ed un altro ancora.

 

Gli ultimi indumenti sparirono, mentre si baciavano e si accarezzavano, lentamente, senza fretta, godendosi ogni istante, senza tralasciare nemmeno un centimetro di pelle, facendola sentire desiderata ed amata, venerata, come solo lui la faceva sentire.

 

E lei… non aveva mai amato nessuno così tanto, e lo amava sempre di più, e non capiva come fosse possibile.

 

Ma certe cose non serviva spiegarle, bastava viverle, e si perse in quelle sensazioni che le levavano il fiato e le facevano scoppiare il petto, fino alla fine.

 

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“E allora la Sirenetta, che aveva i capelli rossi come il fuoco-”

 

“Come Tata?”

 

Una domanda innocente, ma che gli fece pigliare un colpo, soprattutto quando fu seguita da uno sguardo verso Rosa ed un, “è da tanto che non vediamo Tata e cio. Domani ci addiamo?”

 

“E… ma c’è Pietro in visita, Noè: la giornata di domani è già tanto impegnata. E poi… Imma e zio hanno molto da fare.”

 

“Come papà?” chiese Noemi, con uno sguardo che dire che fosse una pugnalata era poco.

 

“Hanno un lavoro diverso.”

 

“E quando finisce?”

 

“Eh, non lo so. Spero presto,” rispose Rosa, dandole una carezza, “mo però, ascolta la storia che ti racconta Pietro.”

 

“Pietto, ma pecché alla Sienetta piaceva tanto il pincipe? Lo ha vitto una volta. Era come i leccalecca?”

 

Gli venne da ridere ed anche a Rosa.

 

“Eh… diciamo che i personaggi nelle fiabe spesso si innamorano al primo sguardo. Serve per far sbrigare le cose e perché l’amore dei grandi è più complicato, e poi non finirei mai di leggerti una storia in tempo.”

 

“E quiddi tu non ti sei mai innamoato al primo sguaddo?”

 

“No, no. A me piace il carattere, la testa, e mi sono sempre innamorato di donne con la capatosta,” le spiegò, lanciando un’occhiata a Rosa che arrossì un poco, “pure tu, mi raccomando, cerca uno che ti ami non solo perché sei bella, ma per quello che hai dentro, va bene?”

 

“Ma se è dento come fa a vedello?”

 

“I veri principi lo vedono, Noè. Altro che i rospi delle fiabe!” le sussurrò Rosa, facendole una carezza e mettendogli di nascosto una mano sulla schiena.

 

Si sentiva assurdamente felice.

 

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“Allora, come va?”

 

“Bene, a parte che sono un poco preoccupata per mia madre per… va beh i motivi li sai pure tu. E tu? Tutto bene?”

 

“Sì, sì, io sì. Ma è che… ti vedo un po’ spenta, negli occhi.”

 

Quella frase la stupì tantissimo: erano al pub per una cena tardiva ed erano pure in penombra.

 

Non sapeva come avesse fatto a notarlo, che i suoi occhi a malapena si vedevano. Ma Carlo era sempre bravo a capirla, in modo quasi straordinario, per essere un maschio.

 

“Eh… diciamo che… mi manca Penelope. Negli ultimi tempi, tra lo studio e i lavori che ha da portare poi agli insegnanti e deve fare in gruppo… ci vediamo molto poco.”

 

“Vi ammiro, sai? Io con una storia a distanza… non so se ce la farei. Ma voi sicuramente supererete tutto, ne avete passate tante!” la incoraggiò con un sorriso.

 

“E tu? Ancora niente fidanzate all’orizzonte?”

 

“Lo sai che non è facile che mi piaccia davvero tanto qualcuna. Ma aspetto, tanto non c’ho fretta. E poi… almeno ho più tempo per l’università, per la gioia di mio padre.”

 

Rise: si immaginava perfettamente Vitali a decantare le prodezze accademiche del figlio.

 

“Allora dopo il pub… che ne dici se andiamo al cinema? Così ti distrai un po’. O se no a ballare. Stavolta senza amici scemi. Scegli tu.”

 

“Ballare. Saranno mesi che non ci vado!” decise, d’istinto, “ma un posto dove facciano musica decente, non solo roba da discoteca.”

 

“Va bene, va bene!”

 

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“Ti amo…”

 

Quelle due parole, sussurrate all’orecchio, gli diedero una gioia indescrivibile a parole, che gli si fermarono in gola.

 

Si staccò leggermente da lei per guardarla, bella come forse mai prima, pure con i capelli madidi tra sudore e schiuma da barba, che parevano di un rosso ancora più intenso, gli occhi che le brillavano in un modo che per lui era sempre come un miracolo riuscire a suscitare in lei.

 

E stavolta non ci sperava proprio più… e invece….

 

La baciò, dolcemente, e poi la abbracciò forte e le accarezzò le braccia, la schiena, i fianchi, mentre pure lei faceva lo stesso, in quello che era un solletico piacevole: si sentiva in pace, tranquillo, sereno e soddisfatto come gli sembrava che fosse da una vita che non gli succedeva.


E si sentiva pure un poco stanco, ma non voleva cedere al sonno. Voleva godersi ancora un po’ il momento con Imma.

 

Lei gli sorrise e gli diede un bacio sul collo. Si sentì appoggiare il viso sul petto e poi la sentì accarezzare più in basso, sempre più in basso… che se continuava così… altro che dormire!

 

Ma poi la mano di lei si bloccò. Guardò prima le sue dita e poi gli occhi e vide che erano puntati sui famosi nei.

 

E gli prese un colpo.

 

“Imma, non-”

 

“Shhh, tranquillo!” gli sussurrò lei, sollevando di scatto lo sguardo e fissandolo in un modo quasi colpevole, che non era da lei. Ma poi si fece seria, decisa e proclamò, “troveremo chi ti ha incastrato, te lo prometto, Calogiù. Fosse l’ultima cosa che faccio!”

 

“E allora chi mi ha incastrato non ha scampo, dottoressa. E manco io, per altri motivi.”

 

Si sentì stringere fortissimo in un altro abbraccio, che non riuscì a ricambiare con la forza che avrebbe voluto.

 

Ma si sarebbe rimesso al cento per cento. Anzi, sarebbe diventato ancora più forte, in tutti i sensi, per lei e per se stesso.

 

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“E poi la Sirenetta vide il principe con una donna che aveva la sua voce e-”

 

“E si è addormentata. Prima di sentire il finale, e per fortuna che quello della Disney è meglio!”

 

“Mi sa che mi dovrò trovare fiabe per principesse più moderne ed emancipate,” le sorrise, perché, in effetti, la maggior parte delle storie tradizionali avevano relazioni di coppia che, in confronto, la sua con Cinzia era stata una passeggiata di salute.

 

Sempre se erano definibili come relazioni.

 

“Per intanto però… la Sirenetta e la pizza hanno fatto la magia,” si sentì sussurrare in un orecchio, causandogli un piccolo brivido.

 

Non poté evitare di sorriderle, lo sguardo da impunita di lei che gli causò una voglia matta di baciarla e non solo.

 

Piano piano, si alzò dal lettuccio di Noemi, spense la lucetta sul comodino e, con una lentezza incredibile ed una silenziosità invidiabile, arrivarono fino alla porta e la richiuse alle loro spalle.

 

Non fece in tempo a voltarsi verso di lei che si trovò contro al muro in un bacio che… se quello era l’inizio… sperava le coronarie gli reggessero.

 

Arrivarono a tentoni fino a quella stanza, che ormai si sognava quasi tutte le notti, e si tuffò insieme a lei sul materasso, pronto per un’altra notte indimenticabile, per vendere cara la pelle e darle tutto quello che una donna come lei si meritava.

 

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“Certo che abbiamo fatto un gran casino! C’è schiuma da barba ovunque! Credo di averne pure nelle orecchie!”

 

Il letto pareva un campo di battaglia: tutto stropicciato e pieno di residui di schiuma.

 

Ma, accoccolata a lui, non le importava niente, anche se le sarebbe dovuto toccare di cambiarlo tutto, da cima a fondo.

 

“Rimedierò.”

 

“Ma che rimedierò e rimedierò! Qua rimedio io, che tu devi stare a riposo… che… altro che riposo già hai fatto!” esclamò, non potendo trattenere un sorriso, perché Calogiuri, anche quando era lento e dolce, la mandava ai matti. Anzi, forse pure di più proprio per quello, che c'aveva avuto più tempo di torturarla, l’impunito.

 

Ed infatti lui fece proprio quello sguardo, sollevando la testa dal cuscino, ed Imma non potè evitare di scoppiare a ridere.

 

“Che c’è?”

 

“C’è che… guardati allo specchio. Mi sembri una di quelle scarpe sportive, mi sembri!”

 

Lo vide sollevarsi di schiena, guardare lo specchio dell’armadio ed arrossire.

 

La guancia dove era riuscita a rasargli qualcosa aveva una linea dritta di barba mancante poco sotto la cima, e poi una specie di sbaffo che andava all’insù, di quando lui le aveva fermato il polso.

 

“Eh va beh… dottoressa… posso rimediare pure a questo. Insomma… se sono riuscito a fare… quello che abbiamo fatto stasera… dovrei riuscire pure a rasarmi, no?”

 

“No, non c’hai ancora la mano abbastanza ferma, Calogiuri. Ed io le tue mani le conosco bene,” gli sussurrò, prendendogliene una tra le sue.

 

“Mo ti raso come si deve, poi ci facciamo una doccia e dopo cambio le lenzuola.”


“Agli ordini, dottoressa!” esclamò lui con un sorrisetto.


“E non farti strane idee nella doccia, Calogiuri!”

 

“E allora mi sa che la doccia ce la dobbiamo fare separati, dottoressa,” proclamò, mentre lei ritrovava schiuma da barba e rasoio - che menomale che non si erano tagliati! - pronta per terminare il lavoro.

 

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“D...i… la  mu…. le.”

 

“EH?!” gli urlò, perché non aveva capito niente.

 

Stavano ballando in un locale molto figo in centro, con vari DJ che mettevano musica di tutti i generi e, in quel momento, stava andando una canzone di Lauro, sulla quale stavano saltellando in un modo che le ricordò quell’epico concerto con sua madre.

 

Carlo provò di nuovo a dirle qualcosa ma lei fece cenno di non sentire.

 

E poi si trovò con un solletico nell’orecchio - che non erano solo i decibel di troppo - e si sentì urlare, “dai, la musica non è male, no?!”

 

Forse fu quello, forse le dita sulle spalle, ma ebbe come una sensazione strana, non sgradevole ma strana.

 

Lui si staccò per guardarla negli occhi, lei annuì e la sensazione passò.

 

Ma poi le ultime parole di Thoiry finirono e partì una canzone molto più lenta. Dopo qualche secondo di incertezza, sentì le mani di Carlo di nuovo sulle spalle, mentre lui la guidava in un lento a una distanza, oggettivamente, abbastanza di sicurezza.

 

Ma lei provò di nuovo quella strana sensazione e fu nel preciso istante in cui riconobbe le prime parole di Penelope - sempre di quello che si chiamava come una nave da crociera - che la colpì un’immensa fitta di senso di colpa e tutto le fu chiaro.

 

Era attratta da Carlo. Non pensava potesse succederle, ma era successo.

 

Si staccò di più da lui e quando lui la guardò, un po’ stupito, gli disse “ho bisogno di andare un attimo in bagno!” e lui annuì e, cavallerescamente come sempre, la accompagnò fino alla porta del bagno delle donne.

 

Doveva riprendersi e fare finta di niente, non doveva farne una tragedia.

 

Anche se si sentiva uno schifo.

 

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“Ecco qua! E mo fila a lavarti che cambio le lenzuola.”

 

“Posso almeno darti una mano?” le chiese, con il suo sguardo da cucciolone che usava sempre quando voleva qualcosa.

 

Tra lui ed Ottavia si erano insegnati a vicenda tutti i trucchi, mannaggia a loro!


“No, che già farti la doccia da solo è un altro sforzo. E comunque… poi dovremo pensare a questi capelli…” sospirò, perché erano ormai un po’ troppo lunghi e gli ricadevano sul viso, “io però… o te li faccio corti col rasoio elettrico o… con le forbici temo il disastro. Ma potremmo chiedere a tua sorella, no? Non hai detto che è parrucchiera, pure?”

 

“No, no, non voglio farmi vedere da Rosa così. E poi… manco mi voleva vedere, è arrabbiata con me.”

 

“Appunto! Così le spieghiamo com’è andata e fate pace, no? Da quanto è che non vedi lei e la peste?”

 

“Eh… da prima dell’udienza ma… non voglio farmi vedere da lei e da Noemi ridotto così, veramente. No.”

 

“E va bene, testone che non sei altro!”

 

“E poi… e poi io mi fido di te e delle tue mani, che le sai usare molto bene,” ironizzò lui, e stavolta fu lei a trovarsi abbrancata per una mano e seduta in grembo a lui.

 

“Stupido che sei!” gli sussurrò, prima che la bocca le fosse tappata con un altro bacio, decisamente meno tenero e più urgente dei precedenti.


“Calogiù, no!” esclamò, spingendolo sulle spalle per bloccarlo e scendendo dalle sue gambe, “non è proprio il caso di fare il bis stasera e poi devi mangiare un altro po’.”

 

“E allora… e allora mentre tu sistemi qua… io dopo essermi lavato… posso preparare qualcosa per tutti e due.”

 

“E che cosa?”

 

“Una bella cioccolata calda dici che la posso mangiare? Con panna che-”

 

“Sì, che altro che schiuma da barba! Che non ti conosco? Vada per la cioccolata, ma senza panna, che ce la siamo proprio meritati. E pure i biscotti. Ma se non ti sentissi bene….”

 

“Ti chiamo, non ti preoccupare!” sospirò lui, dandole un ultimo bacio e rimettendosi in piedi, per poi avviarsi verso la porta.

 

Come la aprì, una palla di pelo tigrata schizzò dentro, miagolando a gran voce, in tono di protesta.


“Mi sa che non è più abituata ad essere chiusa fuori. Colpa mia,” sospirò Imma, che aveva dovuto tenere Ottavia fuori dalla stanza per evitare incidenti col rasoio.

 

La miciotta le rivolse uno sguardo incazzoso, poi fece per saltare sul letto ma, non appena ci fu atterrata, emise un miagolio di spavento e si ributtò per terra, rivolgendo prima a lei e poi a Calogiuri due occhiate a dir poco schifate.

 

Con incedere regale e con un’aria di superiorità, uscì dalla stanza e si rifugiò in bagno, in un modo che le ricordò sua madre quando le aveva appena fatto un cazziatone e si allontanava per farla riflettere.

 

“Va beh… almeno forse abbiamo risolto il problema di riabituarla a dormire in bagno,” ironizzò Calogiuri, facendole l’occhiolino e sparendo poi dietro la porta.

 

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Si godeva il calore ed il profumo dei capelli di lei, gli uccellini che volavano liberi nel cielo. E poi uno si avvicinò, sulla coperta da picnic sulla quale erano distesi. Lui allungò la mano per sfiorarlo e-

 

Zac!

 

Gli afferrò il dito e glielo tirò prima piano, poi più forte, e lui non sapeva più come liberarsi e-

 

“Pietto!”

 

Si svegliò di soprassalto, il dito che gli faceva male.

 

“Pietto!”

 

Si sentì morire quando realizzò, nel tempo di un battito e di due occhioni vispi che lo guardavano, tre cose fondamentali: si era addormentato nel letto di Rosa, Noemi li aveva beccati - era lei che gli tirava il dito - e, soprattutto, era ancora completamente nudo sotto al lenzuolo e alla coperta.

 

Si sentì paralizzato, nel panico più totale - e mo come la spiegavano una cosa del genere a Noemi? Chissà come era sconvolta e-

 

“Posso dommire anche io con te e mamma?”

 

La domanda di Noemi fermò i pensieri che stavano andando a ottomila all’ora e, se da un lato fu sollevato dal fatto che - beata innocenza! - non avesse capito ovviamente nulla, dall’altro restava il fatto che era nudo e pure Rosa lo era.

 

Doveva farsi venire in mente qualcosa e in fretta, prima di causare altro che traumi.


“Ascolta… perché… perché non vai a prendere qualcuno dei tuoi peluche? Così ci facciamo un pigiama party come si deve!” le propose, sperando che il repertorio di scuse che aveva affinato per Valentina, per quanto arrugginito, ancora funzionasse.

 

“Sììììì!” esclamò lei, saltellando, felicissima, e correndo fuori dalla stanza.


“Rosa! Rosa!” chiamò subito, prendendole una spalla e quasi scuotendola - ma che sonno di pietra aveva? Beata lei! - finché finalmente la vide aprire gli occhi e chiedergli, con tono lamentoso, “Pietro? Che c’è?”

 

“Devi vestirti subito. Noemi vuole dormire con noi e sta per tornare. Non ci ha ancora visti nudi ma-”

 

Vide chiaramente che Rosa era in panico quanto lui.

 

Riuscì a fatica a rinfilarsi l’intimo ed i pantaloni - la camicia e la giacca chissà dove stavano! - e lei la camicia da notte, quando Noemi ritornò, saltellando come un uragano, quasi coperta di peluche da quanti ne aveva in braccio.

 

Li buttò sul materasso, serissima, e poi allungò le braccine per farsi sollevare sul letto.


Lanciando un’occhiata in tralice a Rosa, e verificando che anche lei fosse presentabile, la accontentò e, nel giro di un secondo, Noemi si era infilata gattonando tra loro due e sotto le coperte.

 

“Mamma, hai visto che bello, che facciamo pigiama patty? Posso stare tra di voi, vero?” le chiese, con due fanali imploranti al cui confronto la madre non era niente.

 

“S- sì, sì,” rispose Rosa, che pure nel buio della stanza era bordeaux.

 

“Pietto, mi puoi leggere un’alta storia? Ma più bella, con pincipessa meno siema!”

 

“Non sta bene definire qualcuno così!” la redarguì Rosa, anche se vedeva chiaramente che le scappava da ridere.

 

Si scervellò tra i film e le storie che aveva letto con Valentina e gli venne in mente, “e allora ti racconto la storia di Mulan. La conosci?”

 

Noemi fece segno di no con la testa e poi si afferrò i peluche, porgendogli quello viola, “sono quelli che mi hai egalato tu! Uno pe uno!”

 

“Non è un po’ tardi per le storie, Noè?” provò a convincerla Rosa, ma Noemi scosse di nuovo il capo, incrociando le braccia in un modo che fece capire chiaramente che, senza storia, non avrebbe dormito, “e va bene. Pietro, puoi raccontarle questa storia?”

 

“Tutte quelle che vuole!”

 

“Sìììì!”

 

“Non esageriamo, mo. Vuoi un po’ di latte caldo con il miele?”

 

“Sìììì!”

 

In effetti quello era un portento per far addormentare i bimbi.


“Lo vuoi anche tu, Pietro?” gli chiese con un sorriso, grato, sembrandogli un poco più tranquilla.

 

“Perché no? Grazie!”

 

Rosa si era appena tirata in piedi quando Noemi si lanciò in un, “se fate pigiama patty peò la possima votta me o dovete die pima, che invito anche Bianca!”

 

Rosa ricadde sul letto e prese a tossire, mentre pure lui sarebbe voluto sprofondare.


“Poi vediamo, Noè, poi vediamo!” esclamò infine Rosa, in quella che era la scappatoia in extremis standard di tutte le mamme del mondo.

 

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Sentì qualcosa che le faceva solletico al collo. 


“Calogiù, domani dobbiamo proprio tagliarli sti capelli!” gli disse, accarezzando le mani che la abbracciavano da dietro, nel dormiveglia dopo la cioccolata ed i biscotti.

 

Lo sentì ridere e poi un, “non sono io, dottoressa.”

 

Si girò e si trovò con Ottavia, appollaiata regalmente sui cuscini, appena sopra le loro teste, la coda che si muoveva lentamente in mezzo a loro.

 

“Ottà!” esclamò, incredula, mentre la micia sbadigliava, come se non fosse successo niente, “mi sa che abbiamo parlato troppo presto sul farla dormire in bagno. Le ho dato delle brutte abitudini, proprio.”

 

Ottavia miagolò, come segno di protesta.

 

“Senti, se vuoi dormire con noi va bene, ma sui piedi, ok?” le disse, grattandola dietro le orecchie e facendole segno verso il fondo del letto.


Ottavia si produsse in un’espressione come di chi stava per fare una grande concessione, ma poi diede una leccata a lei, una a Calogiuri, e, a passo felino e tranquillo, arrivò fino ai piedi di entrambi, sui quali si acciambellò, con un’aria da guardate che vi tengo d’occhio!

 

“Dobbiamo cercare di farle perdere l’abitudine prima dell’estate, se no i miei piedi chi li sente?” ironizzò, abbracciandolo però lei stavolta.

 

E, tra la vibrazione pulsante sui piedi ed il battito di Calogiuri sotto l’orecchio, il sonno non tardò a venire.

 

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“Allora, a quando la prossima uscita?”

 

Stava scendendo dall’auto di Carlo e quella domanda, per la prima volta, la lasciò spiazzata.

 

“Non… non lo so… ho parecchio da studiare nelle prossime settimane. Ti faccio sapere!” gli rispose, chiudendo la portiera, salutandolo ed affrettandosi a raggiungere il portoncino di casa.


Si sentiva un po’ in colpa pure verso di lui a mentirgli ma… non era proprio il caso che si vedessero, non a breve almeno.

 

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“Buongiorno!”

 

Il solletico all’orecchio e al viso gli fece aprire gli occhi e percepì una macchia rossa, labbra sulle sue e poi il sorriso di Imma, che piano piano riuscì a mettere a fuoco.

 

“B- buongiorno… ma… ma che ore sono?”

 

“Tardi, Calogiù, tardi. Quindi ti ho preparato la colazione. Da campioni, con tutto quello che abbiamo bruciato ieri.”

 

Gli mise sulle gambe un vassoio con caffelatte - anche se decaffeinato - pane tostato, marmellate, miele, frutta ed un sacco di altro ben di dio.

 

Da un lato gli faceva un sacco piacere ricevere tutte queste attenzioni da parte di Imma, dall’altro lato….

 

“Non dovevi disturbarti, lo sai che mi piace prepararti la colazione.”

 

“Appena ti riprendi recupererai, maresciallo, con gli interessi. Mo però mangiamo che poi oggi pomeriggio lo sai che viene il medico.”

 

Sospirò: non ne poteva più di sentirsi malato, anche se era indubbiamente debole.

 

“Calogiù…” la sentì sussurrare, una mano sul braccio che stava spalmando la marmellata sul pane, “lo so che… che non è facile per te… non sentirti in forze e doverti fare aiutare. Ma sarà solo per poco tempo. E poi almeno appunto ci pensi bene prima di rimetterti in una situazione così.”

 

“Lo so, ma… tu al posto mio come staresti?”


“Male, Calogiù, male, lo sai che ferma non ci so stare. Ma diciamo che… se fossi tu a tenermici a letto, per un tempo breve e limitato, potrei pure resistere.”

 

Gli venne da sorridere, nonostante tutto: gli piaceva quando Imma si esponeva un po’ di più, anche se con l’umorismo.

 

Ultimamente lo stava facendo più spesso del solito. Lui invece… la amava da morire ma… aveva sempre un poco paura che tutto quanto gli svanisse sotto le dita. Anche perché… rischiava pure la galera, se non riuscivano a controbattere alle accuse di quello stronzo di Santoro.

 

“Calogiù… senti… se… insomma… visto che mi pare che stai un po’ più in forze, perché non mi aggiorni su cosa avete trovato tu ed Irene per scagionarti? Dopo il piacere, il dovere!”

 

E non potè di nuovo evitare di sorridere: Imma sembrava leggergli nel pensiero. E poi… parlare di lavoro, pure se lo riguardava personalmente, era quello che gli ci voleva per distrarsi e sentirsi di nuovo utile in qualcosa.

 

“Niente… posso dirti cosa non abbiamo trovato.”

 

Le spiegò su cosa avevano indagato insieme ad Irene e vide Imma con quello sguardo concentrato che la rendeva irresistibile, da sempre.


“Potrebbe pure essere stato qualcuno che ti ha visto nudo prima di un anno fa. E a quel punto, chi ci sarebbe?”


“Beh… quelli delle piscine che ho frequentato ed i colleghi di spogliatoio, al corso e nelle caserme, anche se raramente ci spogliavamo proprio del tutto. Più che altro quelli del corso. E va beh… lo sai quando ci siamo spogliati noi due in pubblico, no, dottoressa? Ma non avrebbero già fatto uscire le foto?”

 

Le guance di Imma si fecero un poco rosate e prese un altro sorso di caffelatte.

 

“Forse… dubito che abbiano messo in piedi questa cosa prima delle foto tue e della cara Irene a Milano, che-”

 

Si bloccò, in quel modo che aveva, che le mancava solo la lampadina che le si accendesse sopra la testa.


“Avete pensato a… a qualcosa di molto più personale, Calogiuri? Una ex magari. Chi è che ti ha visto nudo?”

 

E fu il suo turno di imbarazzarsi un poco, più che altro perché temeva la gelosia di Imma.

 

“A parte te… solamente Maria Luisa, Matarazzo e… e Lolita.”

 

“Ma quindi qua a Roma, prima che arrivassi io, proprio niente niente? Manco una notte di follia, che ne so?”

 

“No, no. Dopo quello che era successo con Matarazzo… figurati!” ribadì e lei prima gli sorrise ma poi lo guardò di nuovo in quel modo vagamente colpevole, che proprio non era da lei.


“Va bene. Allora… Matarazzo, Maria Luisa e Lolita. Tre donne che ce l’hanno tutte a morte con te.”

 

“Sì, ma… a Maria Luisa non ce la vedo, veramente. Va bene che ce l’ha con me e che voleva vendetta ma… non è mai uscita da Grottaminarda. Tu ce la vedi ad avere a che fare con la gente che deve avere organizzato tutto questo?”

 

“Pur non avendo mai avuto il dispiacere di conoscerla, no, Calogiuri. E sinceramente neanche a Matarazzo ce la vedo. Sì, era ossessionata da te e ci ha denunciato, che quasi ci faceva sospendere, ma… sono passati tanti anni, ormai, mi auguro per lei che si sia rifatta una vita e… rischiare di perdere il suo di lavoro, immischiandosi con certi soggetti. Mi sembra troppo pure per lei.”

 

“E quindi resterebbe…”


“Lolita. Che invece sta in galera e quindi per lei… la vita si è fermata, Calogiuri. E ci starà per altri vent’anni, salvo sconti di pena, per via dell’aggravante dei futili motivi. Quando uscirà dal carcere… sarà più vecchia di me mo. Direi che se c’è un ottimo movente per covare del rancore, mi pare proprio questo.”

 

“E sta in galera a Matera, no?” esclamò lui, chiedendosi come avesse fatto a non pensarci prima, “e quindi-”

 

“E quindi lì i Romaniello sicuramente c’hanno ancora qualcuno a libro paga, Calogiù, nonostante il repulisti che abbiamo cercato di fare. E molti degli… ospiti della struttura sono stati affiliati a loro in passato. Poi magari pure qualche avvocato amico, compiacente…. Dobbiamo controllare le visite di Lolita, anche se è probabile che sia stata già contattata all’interno delle mura del carcere. Capire chi frequenta. Anche se è solo un’ipotesi, eh, Calogiuri. E non dobbiamo nemmeno trascurare le ipotesi di Matarazzo e di Maria Luisa che… che quelli… o con le buone o con le cattive… sono capaci di comprarsi quasi chiunque.”

 

“Allora… dovrei avvisare Irene, se… se per te va bene.”

 

Per fortuna, lei gli sorrise in modo rassicurante, prima di proclamare, “se è per scagionarti, sono disposta a lavorare con tutte le gattemorte del mondo.”

 

“Per te… sarebbe un problema se la facessi venire qua? Non voglio farmi vedere in giro conciato così, e poi con i giornalisti-”


“No, no, anzi. E a te… e a te dispiacerebbe se per ora in procura continuassimo a non far sapere niente di noi due, e del fatto che stiamo lavorando insieme e non solo? Visto che pure Irene non mi pare abbia coinvolto… insomma Mancini.”

 

E stavolta vide lei in apprensione, nel pronunciare quel nome, che in effetti gli fece andare il sangue alla testa.

 

Ma mo non era il momento di pensare alla gelosia. E poi lì con Imma ci stava lui e non quel beccamorto.

 

“E va bene. Tanto ancora non posso uscire, dottoressa. Meglio così, per tutti.”

 

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“E mo come facciamo? Che ci ha visti… e se lo dice a qualcuno?”

 

Visto che tanto ormai Noemi li aveva beccati, aveva passato la notte da loro ed avevano fatto anche colazione e pranzo insieme. Ma mo era ora di andare a prendere la valigia al b&b, se voleva arrivare a Tiburtina in tempo per il bus per Matera.

 

Ma le ore passate con Rosa e Noemi non lo avevano rilassato come al solito: era preoccupato, anzi, terrorizzato, all’idea di quello che poteva succedere se li avessero scoperti in quel modo, “forse è… è meglio se li preveniamo e lo diciamo noi?”

 

Rosa si morse il labbro ma poi scosse il capo.


“Per ora no, Pietro. Tanto al momento il fratellino né lo vedo né lo sento, finché non si fa perdonare. Imma, se non si fa sentire lei, io non la posso contattare. E quindi Noemi non li sta vedendo. E poi… pure Salvo sono settimane che non si vede. Lui è l’unico che mi preoccupa veramente ma… magari possiamo aspettare un altro po’, quando sarà necessario.”

 

“Veramente io mi preoccupo pure di tuo fratello, che quello, se mi mena….”

 

“Ippà dovrebbe soltanto starsene zitto, con tutto quello che ha combinato lui! Se prova a dire qualcosa, vedi! E delle mie scelte non devo rendere conto a nessuno: né a mio fratello, né al resto della famiglia… che per come hanno trattato me e Ippazio...!”

 

Gli venne da ridere: Rosa a volte era quasi più temibile perfino di Imma.

 

Ma, del resto, a lui piacevano le donne forti. Anche se Rosa aveva pure una dolcezza che Imma non aveva mai avuto. E priorità di vita molto più simili alle sue.

 

“Allora… allora… possiamo continuare a vederci nei fine settimana? Pure con Noemi?” le chiese, perché era quella la sua seconda più grande paura, a parte la reazione del resto delle famiglie, Calogiuri, De Ruggeri e Tataranni: il dover stare lontano da lei.

 

“E certo! Provaci soltanto a non venire più a Roma e ti vengo a prendere a Matera pe’ ‘na recchia!”

 

Rise e la strinse più forte che poteva: i giorni di distanza erano sempre più lunghi e difficili da sopportare.

 

Ma per Rosa e Noemi si sarebbe fatto pure tutta Italia in bus due volte a settimana.

 

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“Sono a casa!”

 

Poter di nuovo ripetere quella frase e non sentire soltanto un miagolio come risposta la faceva sempre sentire più leggera, nonostante la giornata passata sui tacchi.


“Sono sul divano!”

 

Mollò scarpe, borsa e cappotto e lo vide, seduto per fortuna, con il computer sulle gambe ed Ottavia accoccolata sui piedi.

 

“Proprio ai tuoi piedi è!” rise, perché da quando Calogiuri era tornato a casa era quasi sempre lì che si metteva, “mi sa che lo ha capito pure lei che non deve farti muovere!”

 

“E però due contro uno non è giusto!” sbuffò lui, ma poi sorrise e ci fu un attimo di silenzio.

 

E poi fece quell’espressione, quell’espressione di quando era orgogliosissimo di un’idea che aveva avuto e non vedeva l’ora di dirgliela, anche se con vari dubitativi come premessa.


“Che c’è? Hai trovato qualcosa?”

 

“Sì, sì, vieni!” la invitò, facendole segno accanto a lui sul divano e lei ci si lasciò cascare più che volentieri, appoggiandosi al braccio di lui, che era ancora troppo esile, ma che le dava tutto il calore di cui aveva bisogno.


“Allora?”

 

“Penso proprio che… Lolita una volta avesse l’amicizia con Melita sui social. Guarda questa foto!”

 

Girò lo schermo verso di lei e c’erano quattro ragazze vestite in modo molto striminzito, che circondavano quello che riconosceva come un ex calciatore ormai in pensione, ma evidentemente con ancora la passione per i party e per le belle ragazze.

 

Nonostante il trucco pesante, era indubbio che due delle ragazze fossero Melita e Lolita.


“Il post è sulla pagina di Lolita. L’avevo pure visto quando indagavamo sulla povera Donata ma….”

 

“Ma ovviamente per te Melita era un’altra sconosciuta ed in questa foto Donata non c’è. Ma… ma sei sicuro che si conoscessero? Magari avevano fatto solo una serata insieme, non è molto significativa come prova.”


“Lo so, ma… come vedi, qua sotto Melita Spaniolita ha commentato la foto di Lolita e non era taggata. La foto era aperta soltanto agli amici e quindi all’epoca doveva avere l’amicizia per poter commentare. Capisci?”

 

“No, non ci capisco niente, Calogiù,” ammise, grattandosi la testa, perché per lei i social rimanevano un mondo oscuro, “ma mi fido.”

 

“Almeno di questo…” lo sentì mormorare a mezza bocca, mentre gli occhioni azzurri continuavano a saettare sullo schermo.

 

“Ehi…” gli sussurrò, allungando la mano fino a cingergli le spalle, e, come lui si girò verso di lei, lo strinse in un abbraccio a morsa.

 

“Scusami, scusami, scusami ancora!” gli disse, riempiendogli il viso di baci, finché lo sentì sciogliersi un po’ e poi si staccò leggermente per guardarlo negli occhi, “lo so che c’ho la capatosta e che non mi fido mai di nessuno ma… ma di te mi fido Calogiuri. Da ora in poi, pure nonostante una prova contraria, te lo prometto. Non ti mollo più.”

 

Calogiuri si lasciò scappare una specie di singhiozzo strozzato e poi fu lui a stringerla, e si lasciò andare tra le sue braccia.

 

Le sembrava a volte di essere ritornati all’inizio del loro rapporto non clandestino, quando lui temeva sempre che lei sparisse. Ma c’era anche qualcosa di diverso, Calogiuri era più tosto di allora, seppur smagrito, più ombroso.

 

Ci sarebbe voluto tempo per recuperare tutto e guarire le ferite che si erano inferti a vicenda, soprattutto lei a lui, ma doveva farcela, assolutamente.

 

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“Entra!”

 

Gli occhi della gattamorta le sembrarono un poco impensieriti, nel varcare la soglia di casa sua e di Calogiuri.

 

Del resto non ci era mai venuta senza Bianca al seguito.

 

Le prese il cappotto, di un bianco schifosamente immacolato, e le fece strada verso il salotto.

 

“Calogiuri!” la sentì esclamare, vedendolo sul divano, e poi sorrise in un modo che le parve sollevato, “ti trovo meglio! Anche se ancora un po’ magrolino e con questo taglio che sembri pronto per i marines. Mi raccomando!”

 

“Tranquilla: Imma non mi dà tregua sul mangiare e, se vado avanti così, potrò cominciare di nuovo a muovermi un poco, che i muscoli qua oramai sono andati!”

 

“L’importante è che stai bene, chi se ne frega dei muscoli!” proclamò Irene, sedendosi sull’altro divano, mentre lei prendeva posto accanto a Calogiuri.

 

“Infatti, quelli dovrai recuperarli per il rientro in servizio,” intervenì lei, aggiungendo, al loro sguardo sorpreso, “perché qua dobbiamo scagionarti del tutto, senza se e senza ma, Calogiù.”

 

Lui le regalò un sorriso bellissimo, ma poi si voltò verso la cara Irene, “a che punto sono le piste che state seguendo con Ranieri?”

 

“Purtroppo non ci sono molte novità. Ma l’amica di Ranieri sta frequentando i locali preferiti dall’avvocato a Milano e a Roma. Speriamo di beccarlo.”

 

“Chi è l’amica di Ranieri?” chiese, incuriosita, anche perché ci aveva notato una nota strana in quelle parole.

 

“A quanto pare una vamp mangiauomini con la quinta di reggiseno e che fa girare la testa a tutti, oltre ad essere stata nei reparti speciali.”

 

Ammazza!

 

Si chiese se fosse più figa perfino di Irene.

 

“Menomale che sei chiuso in casa mo, almeno non possono attribuirti una storia pure con questa!” ironizzò e lui fece una mezza risata ma si vedeva che per lui era un argomento sensibile.


“In effetti… anche perché a quanto pare… diciamo che è una a cui piace molto far conquiste. Ma speriamo che ci conquisti l’avvocato, anche se l’acne giovanile l’ha superata da un po’, se mai l’ha avuta.”

 

Le venne da ridere: in fondo l’umorismo della gattamorta non era poi così male, quando non era rivolto a lei.

 

“Comunque sono felice di vedervi scherzare. E che mi sembra che abbiate ripreso tutti e due a ragionare, finalmente!”

 

Ecco la stilettata, rivolta soprattutto a lei.

 

Ma, in fondo, un po’ se la meritava.

 

“Allora, Calogiuri, mi hai detto che avevate delle nuove piste. Che avete scoperto?”

 

“Abbiamo scoperto un collegamento tra Melita e… e Lolita Tiger.”

 

“Chi??” chiese Irene, confusa, e poi spalancò gli occhi, “ma quella Lolita?”

 

Lolita non compariva nelle carte del maxiprocesso quindi… Calogiuri doveva averne parlato ad Irene, probabilmente nel periodo in cui lui era a Roma da solo e lei stava cercando di separarsi da Pietro.

 

La cosa un poco le diede fastidio, ma alla fine erano discorsi che ci stavano pure tra amici.

 

“Per fortuna non ne conosco altre,” ribattè lui, ma poi le fece uno sguardo di quelli ammirati dei suoi, che le davano sempre una botta all’autostima, e proclamò, toccandole l’avambraccio, “ma l’intuizione originaria di indagare su Lolita è stata di Imma.”

 

“Ma il collegamento su internet lo hai scoperto tu, che io non ci capisco niente!” obiettò, posando la sua mano su quella di lui.

 

Un attimo di silenzio ed udirono un sospiro e poi videro Irene alzare gli occhi al soffitto.

 

“Che c’è?”

 

“Che c’è? C’è che siete tornati ad essere terribilmente sdolcinati! Se volete esco un attimo e torno dopo,” ironizzò, Imma si sentì avvampare e notò che pure Calogiuri era sul fucsia andante.

 

Un’esclamazione di sorpresa, ma non veniva da lui ma da-

 

Ottavia?!

 

Irene aveva fatto quella specie di suono buffo, perché Ottavia le era balzata in grembo, e pareva guardarla negli occhi.

 

Per un secondo temette - o sperò - che facesse come con Mancini.

 

Ed invece, udì il rumore inconfondibile delle fusa e vide che Ottavia si strusciava sulle braccia e sulla pancia di Irene, facendole dei miagolii dolci, che raramente riservava agli estranei, se non a Noemi e Bianca.

 

Traditrice! - pensò, per un secondo chiedendosi se Ottavia avesse scambiato la gattamorta per una felina viva.

 

“Scusa… di solito… non salta così sugli ospiti. Ma non è nemmeno così affettuosa,” spiegò Calogiuri, evidentemente stupito quanto lei.


“Magari mi ricollega a Bianca, o sente il suo odore,” ipotizzò Irene, alzando lentamente la mano e dando ad Ottavia una grattata dietro le orecchie.

 

E fu allora che ci fu la Caporetto: Ottavia si spaparanzò pancia all’aria per farsi accarezzare ed Irene lo fece, con movimenti lenti e circolari, che parevano quasi ipnotici.

 

Nel giro di poco, pochissimo, Ottavia si addormentò in un’assurda posizione sul pantalone - bianchissimo pure quello, o forse non più - di Irene.

 

“O magari sente che di te si può fidare,” le toccò ammettere - anche perché la cara Irene si profumava e cambiava così spesso che l’unico odore che si poteva sentire sui suoi vestiti era quello di qualche costoso profumo e della lavanderia a secco, “Ottavia di solito sa giudicare bene le persone, forse meglio di me.”

 

Irene la guardò, sorpresa, mentre Calogiuri ancora un po’ le sputò addosso il sorso d’acqua che aveva appena preso.


Ma lei continuò a fissare la collega, in quella che era una tacita tregua.

 

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“Chi è?”

 

“Dottore, sono io. Mi scusi se la chiamo da un altro telefono, ma è una cosa riservata.”

 

“Dottoressa?!” esclamò lui, stupito, “ma come va? So di tutte le grane che ha avuto, è successo qualcos’altro?”

 

“Sì, cioè… niente di negativo, dottore. Ma ho bisogno di fare una cosa il più riservata possibile. Coinvolgerei soltanto Diana e Capozza, che comunque mi pare affidabile. Dovete cercare nelle visite ricevute in carcere da Maddalena Bartoli - insomma, Lolita Tiger - e chi frequenta in quelle mura.”

 

“Ma che c’entra mo? Il suo processo si è chiuso ormai definitivamente e sta scontando regolarmente la sua pena, mi pare.”

 

“Sì ma… c’entra perché qualcuno è stato incastrato, ne sono sicura,” disse, tutto d'un fiato, sperando che Vitali - che sapeva della relazione tra Calogiuri e Lolita - capisse.

 

“Ma… ma vuole dire che...?”

 

“Esattamente. Può fare questa ricerca?”

 

“Eh… dottoressa… nel nostro mestiere gli… errori di valutazione si pagano cari, a volte pure dopo anni,” rispose lui, facendole capire che sì, aveva compreso appieno la situazione, “va bene, l’aiuterò, Ma lei cerchi almeno di sentire la signora Diana, che è sempre più preoccupata da quando è successo tutto quello che è successo lì a Roma.”

 

“Va bene, dottore, non si preoccupi, la sentirò personalmente. La ringrazio, significa davvero molto per me.”

 

“Si figuri e… spero di avere buone notizie per lei a breve.”

 

Chiuse la chiamata e, dopo un attimo di incertezza, selezionò il contatto di Diana. Non era del tutto pronta ad essere travolta da un fiume di parole ma… via il dente, via il dolore.

 

Uno squillo e rispose.


Tipico di Diana.

 

“Imma?! Finalmente! Che non ti sei fatta sentire ed ero così preoccupata, cioè, sono così preoccupata e-”

 

“Diana, Diana!” la bloccò, perché era proprio questo il motivo per cui non l’aveva chiamata prima, “scusami ma… non c’avevo voglia di parlare e di confidarmi, avevo bisogno di starmene da sola. Lo sai come sono fatta, no?”

 

“Sì, sei fatta male, sei fatta! Se non c’avessi la testa dura che c’hai, magari vivresti meglio e pure da mo, ma tu niente, proprio, di coccio, sempre, che bisogna andare a stanarti per farsi dare retta!”

 

“Diana, così sono e se non sono cambiata in quarantasette anni è difficile che lo faccia mo.”

 

“Lo so, lo so,” sbuffò Diana, facendo un rumore tremendo nel microfono del telefono, “ma allora come stai? Che con tutto quello che è successo, e poi-”

 

“Meglio, Diana, sto meglio, grazie.”

 

“Ma davvero non c’è niente tra te e Mancini? Che sempre i più fighi ti toccano, beata te, e-”

 

“Diana, te l’ho già detto, che non mi conosci?”

 

“Sì, ti conosco, ma ti ho pure vista nel tuo ufficio con Calogiuri mentre… ancora con Pietro stavi, quindi mo non fare tu la Santa Maria Goretti con me!”

 

Si imbarazzò per un secondo, perché era vero.

 

“Eh… ma Calogiuri… Calogiuri era un’altra cosa.”

 

“Eh… lo so Imma, ma a volte non è mica facile capirti. Però… sì, da come eri presa per… va beh… per Ippazio, un poco mi avrebbe sorpreso ma… Mancini è proprio figo, ma figo-”

 

“Ma non basta essere fighi per far innamorare qualcuno. Come dimostrato perfettamente dal tuo innamoramento inspiegabile nei confronti di Capozza.”

 

Un altro sospiro.

 

“Però ti sento… serena… stranamente… non me lo aspettavo.”

 

“Più o meno, Diana, più o meno… perché… finalmente ho capito molte cose.”

 

“E che cosa?”

 

Prese un respiro: era il momento della verità e sperava che Diana la capisse dalle poche parole che aveva intenzione di pronunciare.

 

“Ho già avvertito Vitali ma… tu e Capozza - con discrezione stavolta! Massima discrezione! - dovete controllare tutte le visite a Maddalena Bartoli e chi frequenta in carcere.”

 

“Ma chi? Lol-”

 

“Esatto!” la bloccò, prima che chiedesse troppo.

 

Silenzio, tanto che temette fosse cascata la linea - o Diana.

 

“Ma… ma non crederai che…?” domandò, sconvolta, per poi aggiungere, in un tono miracolosamente basso che non era da lei, “però in effetti… cioè-”

 

“Diana, ci siamo capite.”

 

“Sì, sì.”


“Allora, me la dai una mano?”

 

“E va bene, Imma. Anche se sono un poco offesa che mi chiami solo quando ti servono favori. Ma sono felice che ti fidi di me e pure di Capozza, anche se me lo maltratti sempre. Ma lo so che, in fondo in fondo, gli vuoi bene.”

 

“Sì, ma molto, ma molto in fondo!” ironizzò, nonostante le toccasse ammettere che Diana con il brigadiere sembrava felice più di quanto fosse mai stata con quel cretino dell’ex marito.

 

“Senti, Imma, ma… Pietro lo hai visto ultimamente?”

 

“Piè? Sarà più di un mese che non lo vedo, perché?”

 

“Perché, Imma, non so se sarà che vale il detto mal comune mezzo gaudio, ma nell’ultimo periodo è sempre più giovanile, pare un altro! Figurati che ho sentito tre mie amiche che lavorano in regione commentare quanto è affascinante e bello e impossibile!”

 

“Oddio, Pietro c’ha sempre avuto il suo fascino e non è mai stato brutto, anzi, però bello e impossibile forse mi pare un po’ troppo!”

 

“Appunto, Imma, appunto! Pietro è stato sempre più un... prodotto di nicchia, con tutto il bene, eh, ma mo va via come il pane. O andrebbe via come il pane, perché lui niente, a quanto pare, le rifiuta tutte.”

 

“Dopo me e Cinzia… se avesse deciso di darsi alla vita monastica lo capirei pure, Dià,” scherzò, mentre si chiedeva chi fosse la famosa donna di cui Pietro era così innamorato da rifiutare tutte queste pretendenti e rifiorire in questo modo.

 

Magari ce l’aveva fatta ed era per quello che era così ringalluzzito. Avrebbe dovuto indagare, la volta successiva in cui si sarebbero visti. Ma per un po’ non se ne parlava proprio.

 

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“Ci sono novità sulla violenza di gruppo avvenuta qualche giorno fa al parco, diamo la linea al nostro inviato-”

 

Sentì le spalle di Imma tendersi, sotto al braccio che ci aveva appoggiato. Le lanciò un’occhiata e notò che i lineamenti erano contorti in una smorfia.

 

“Sono proprio dei bastardi!” le sussurrò, ma lei fece come uno scatto, come se fosse stata altrove col pensiero, e poi incrociò i suoi occhi.

 

“Non è questo, Calogiù. Cioè si, sono dei bastardi ma… sto pensando ad un caso che sto seguendo con Mariani. Ci sono due uomini che hanno stuprato una povera ragazza. E io so chi sono, ne sono sicura, ma non so come provarlo. Ho solo il presunto DNA di uno dei due, ma l’unico interrogabile è l’altro.”

 

“E quando mai questo ti ha bloccato prima? Bluffa, no?” le suggerì, perché era stata proprio lei ad insegnargli come fare.

 

“Eh… ma quello che posso interrogare mica è scemo, e poi c’aveva su il preservativo e-”

 

Imma di nuovo si bloccò, con gli occhi spalancati, e si sentì schioccare un bacio sulle labbra, “sei un genio, sei!”

 

“Sì, che è? Il complimento al ciuccio?”

 

“No, no! Sei veramente un genio, Calogiù! Ti dispiace se chiamo Mariani e lavoro per un po’? Che devo organizzare una cosetta….”

 

Il tono e lo sguardo di lei gli strapparono un sorriso, mentre sentì un qualcosa smuoversi dentro, “no, anzi. Mi manca tantissimo lavorare con te e vederti in azione tutti i giorni. Se ti posso aiutare, lo faccio volentieri!”

 

“E allora al lavoro, Calogiuri!”

 

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“Dottore. Devo farle i complimenti, lo sa? E pure le congratulazioni!”

 

“Ah sì?”

 

Era un osso duro il commercialista, aveva risposto a questa boutade senza scomporsi.

 

“Sì. Devo dire che è stato molto bravo a ripulire tutto e a cercare di non lasciare prove. Ma una prova vivente, purtroppo per lei, l’ha lasciata.”

 

“Che vorrebbe dire? Non la seguo.”

 

“Voglio dire che Giulia è incinta e che, dai test del DNA sul feto, hanno chiaramente rilevato che il profilo genetico è estremamente compatibile con quello di suo figlio. Fratelli, per la precisione. Quindi… facendo due più due….”

 

Pregò che l’uomo non sapesse quante settimane di gestazione ci volessero in realtà per fare un test del DNA fetale.

 

Lo vide sbiancare, poi diventare di tutti i colori ed iniziare a sudare copiosamente, “non è possibile, ci deve essere un errore, non è possibile!”

 

“Il DNA non sbaglia mai, dottore, certo che è possibile e-”

 

“No, non è possibile, le dico! Avevo il preser-”

 

Si era bloccato di scatto, tappandosi la bocca, ma ormai era troppo tardi.


“Il preservativo, dottore? Eh, lo sappiamo. Ma sappiamo pure che non era da solo. Mariani!”

 

Ad un cenno, Mariani proiettò il filmato dello stupro sul telo che aveva fatto srotolare apposta.

 

“Quel deficiente!” lo sentì sussurrare a bassa voce.


“Eh, dottore, il suo caro collega ed amico, oltre a non essersi saputo tenere il filmato per sé, non è manco riuscito a tenersi il DNA per sé. Sappiamo tutto. Se mo ammette e confessa quello che è successo, ha qualche speranza di cavarsela con meno anni. Se lo fa prima il collega….”

 

“Se… se confesso... è possibile che la mia famiglia non ne sappia niente?”

 

“Ovviamente no, visto che ha stuprato una ragazza e non ha rubato un pacchetto di caramelle. Ma ne terremo conto sulla pena da scontare e mi creda, le conviene. Se no almeno diciott’anni non glieli leva nessuno, vista anche l’aggravante dell’uso di narcotici e della diffusione di materiale pornografico. Se confessa dimezza la pena, anche se io gliela farei scontare tutta. In carcere con quelli come lei ed il suo amico… non ci vanno giù leggeri. Magari può avere l’isolamento, almeno per un po’, e poi altri benefici. Anche perché… come abbiamo trovato questo video… possiamo trovarne molti altri delle sue feste precedenti.”

 

Il commercialista, o quello che rimaneva, era ormai una specie di lenzuolo grigio e sudato.


“Va… va bene… confesso. Lasciavo la casa a mio figlio e… le attrezzature per i festini, ma… a volte partecipavamo pure noi.”

 

“E suo figlio ovviamente lo sapeva.”

 

Si chiese se avrebbe tradito pure lui o se almeno sul figlio avrebbe provato a negare.

 

“Sì, sì….”

 

Ecco, vigliacco e traditore pure col sangue del suo sangue, dopo averlo cresciuto così bene, poi.

 

“Mio figlio ci portava spesso ragazze nuove, conosciute da poco. Poi i ragazzi andavano nelle loro stanze, con le loro conquiste e… e noi uscivamo quando avevamo campo libero e… insomma. Ma non deve pensare che siano sempre state violenze, anzi, nella maggior parte dei casi le ragazze erano consenzienti, in cambio di soldi o di regali.”

 

“Vista l’età di suo figlio e delle ragazze che frequenta, ho un’altra idea di consenso, ma vada avanti.”

 

“Stavolta… stavolta quel cretino di Lucio-”

 

“Il suo socio?”

 

“Sì. Lucio si era fissato con questa ragazza, Giulia. Bella, per carità, ma che se ne è stata sempre in disparte per tutta la sera. A lui… a lui piacciono di più quelle così.”

 

Se pensava di aver raggiunto l’apice dello schifo, sapere che il fatto che Giulia fosse più timida e riottosa l’aveva resa una vittima ancora più appetibile, fu pure peggio.

 

Ma del resto lo stupro era basato sul controllo, il sesso in sé c’entrava solo in minima parte.

 

“E come facevate a vedere tutte queste cose, visto che stavate nell’altra stanza?”

 

“Con le telecamere. Le abbiamo tolte prima che voi arrivaste ma… le teniamo sempre per sicurezza e per controllare le feste. Abbiamo fatto in modo che… che le mettessero del GHB nel cocktail.”

 

“Chi?”

 

“Il ragazzo che stava al bar. Lui e mio figlio sono sempre stati d’accordo. E poi… quando gli altri si sono ritirati, l’abbiamo portata in camera. Ma quel cretino di Lucio, oltre a fare le riprese, non ha voluto mettersi il preservativo, a tutti i costi, e quindi-”

 

“E quindi la ragazza si è accorta del rapporto sessuale,” concluse, nauseata, facendo un cenno a Mariani, “dobbiamo convocare l’altro socio per interrogatorio e DNA. E pure suo figlio. Del resto… con un padre come lei… come poteva diventare? Anche se magari almeno lui è ancora in tempo a rendersene conto e a cambiare. Mariani, lo accompagni fuori, è ufficialmente in stato di fermo.”

 

“Ma… ma… e… e il bambino… veramente è… è mio?”

 

“Per fortuna sua e del suo socio, non c’è nessun’altra creatura innocente in mezzo a questo schifo. Solo delle tracce di pessimo DNA, che se non fosse mai stato trasmesso ai posteri, sarebbe stato decisamente meglio. Mariani, lo accompagni fuori!”

 

“Con molto piacere, dottoressa!” esclamò Mariani, mettendogli le manette e poi tirandolo su per le braccia.

 

Per Giulia almeno probabilmente ci sarebbe stata giustizia anche se… la sua vita non sarebbe mai stata quella di prima.

 

Sperava davvero non gliel’avessero rovinata per sempre e che sarebbe riuscita a combattere, alla faccia di quei maiali.

 

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“E allora, avete trovato qualcosa?”

 

Fece un cenno a Gianni - che le parve un poco titubante - di procedere prima lui col computer che aveva in mano.


Era sempre così insicuro e modesto, il suo Capozza.

 

Ed infatti piazzò il laptop davanti a Vitali senza dire niente.

 

“Sì, dottore,” si inserì, perché le toccava a sto punto, per non fare una figuraccia, “il brigadiere Capozza ieri ha riconosciuto uno degli uomini che sono andati a fare visita alla Bartoli l’estate scorsa. Ed ora glielo mostra.”

 

Almeno su quello, Gianni si decise e fece vedere al procuratore capo il filmato.

 

“Questa faccia mi è familiare…” annuì Vitali, concentrato.


“Sì, è un nipote di ‘Ndrina Mazzocca, dottore. Sicuramente un affiliato, anche se non lo abbiamo mai beccato.”

 

Sandra, detta ‘Ndrina, era la matrona del clan.

 

“Si chiama Giosef Montemurro, scritto con la G e la F,” chiarì Capozza, che era dal giorno prima che si rallegrava che sua figlia non si fosse vista appioppare nomi strani del genere.

 

“Insomma… un crimine pure contro l’anagrafe e l’onomastica internazionale. In effetti la coincidenza pare alquanto sospetta. Altro?”

 

“Sì, dottore, questo video è di un mese prima che Melita cominciasse a frequentare l’avvocato - per fortuna dopo quanto successo con i Romaniello teniamo le registrazioni molto più a lungo ed in un posto più sicuro - e guardi a questo punto la mano,” continuò a spiegare il suo Gianni, in un modo che la riempì d’orgoglio, facendo zoom sulla mano di Lolita e su quella del Montemurro.

 

“Ma questo… ha qualcosa in mano.”

 

“Sì, probabilmente un pizzino. Lei lo passa a lui e lui se lo nasconde nella manica. E chissà che c’era scritto sopra.”

 

“La posizione di alcuni nei, magari?” dedusse Vitali, facendogli un sorriso, “e bravo Capozza! E ovviamente a lei, signora De Santis. Purtroppo non abbiamo prove di cosa ci fosse scritto ma… è un’altra conferma ed un punto di partenza. Dobbiamo avvertire la dottoressa, con discrezione.”

 

“Non si preoccupi, dottore, mi sto mettendo d’accordo con il maresciallo per una linea criptata sulla quale passarci i documenti. Saremo discretissimi.”

 

“Eh, speriamo, che qua ne sono già successe troppe, brigadiere. E, se fa uno sbaglio, la dottoressa ci taglia la capa a tutti e tre.”

 

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“Non è una prova, ma almeno abbiamo stabilito un altro legame oltre all’amicizia sui social e alle frequentazioni in comune.”

 

Irene, dopo aver visionato il filmato, sembrava più prudente di lei e Calogiuri, ma Imma sapeva di essere sulla pista giusta.

 

“Dobbiamo rintracciare Melita per avere un confronto con lei.”

 

“Imma, lo sai che di Melita si sta occupando Mancini: io per conflitto di interessi non me ne posso più occupare. Non so dove si trovi al momento e, in ogni caso, non sarebbe saggio che tu o Calogiuri aveste altri contatti con lei. Al massimo io.”

 

“Lo so, ma… proprio per questo penso sia giunto il momento di avvertire Mancini. Non è ancora una prova schiacciante, ma due indizi di questo tipo è difficile che siano una coincidenza. E più aspettiamo a coinvolgerlo e più sarà difficile farlo: già così temo molto la sua reazione.”

 

“Per una volta siamo d’accordo, Imma. Perché non lo invitiamo qua? Almeno possiamo parlargli in privato, visto che Calogiuri in procura non ci può mettere piede.”

 

Esitò per un istante: Mancini a casa sua le portava alla mente cose che era decisamente meglio scordare e che la mettevano molto in imbarazzo.

 

E poi….

 

“Ma non gli sembrerà un agguato?” le domandò ed Irene fece una faccia meravigliata.


“E da quando ti fai i problemi a fare gli agguati alle persone, Imma? Pure al capo?” la punzecchiò, ed il peggio fu sia l’aria rabbuiata che assunse Calogiuri, sia il fatto che Ottavia scelse quel momento per saltare di nuovo in braccio a Irene, con uno sguardo di approvazione.

 

Ottavia… anche lei era un altro problema… visto quanto aveva in simpatia Mancini.

 

“Eh… con questo capo è giusto farseli i problemi, invece,” esclamò Calogiuri, con le braccia incrociate.


Temeva moltissimo a cosa stesse pensando.

 

“Cosa c’è? Mancini ancora non si è rassegnato, Imma?”

 

Il commento di Irene la prese in contropiede.

 

“Ma come-”

 

“Giorgio non mi ha mai parlato della sua… propensione nei tuoi confronti… chiamiamola così. Ma lo conosco da una vita e… so riconoscere perfettamente quando è preso da qualcuno, visto che non capita quasi mai. Gli ho detto di lasciar perdere ma… su di te gli uomini hanno una testa particolarmente dura, Imma, per qualche strano motivo.”

 

Si sentì le guance calde, immaginando con orrore Mancini e la gattamorta che disquisivano di lei. Anche se Irene, a quanto pare, le aveva pure fatto un favore.

 

“Diciamo che… gli ho ribadito un paio di volte ultimamente che… non c’è trippa per gatti,” spiegò, ed Ottavia fece un’espressione schifata della serie - la trippa te la mangi te! - e poi cercò di chiarire, senza rivelare troppi dettagli ad Irene, che non era il caso, “ma… il fatto che mi sono lasciata con Calogiuri - e che ufficialmente ancora non siamo tornati insieme - oltre… ad alcuni miei errori di valutazione… gliele hanno riaccese le speranze. E non so se si siano spente del tutto, anche se mi auguro di sì.”

 

“Le speranze di Giorgio in ogni caso sono un problema suo,” replicò Irene, con una decisione inattesa, visto l’affetto per il procuratore capo, “non devono influire sul lavoro, né sul giudizio riguardo a ciò che abbiamo raccolto. Per arrivare a Melita dobbiamo passare da Giorgio, non si scappa. So che tra lui e Calogiuri non è mai corso buon sangue… soprattutto dopo che si sono messi a tirare di boxe… ma… Giorgio non è una persona irragionevole ed ha a cuore la giustizia più di ogni altra cosa. Devi chiamarlo e convincerlo a raggiungerci qui, Imma, sono certa che capirà. Avrà i suoi difetti, ma lo sai anche tu che scemo non è, anzi.”

 

Calogiuri non pareva esattamente entusiasta della proposta e manco lei ma… che poteva fare?

 

Non c’erano alternative, senza il rischio di una fuga di notizie.

 

Con un sospiro, prese il cellulare e selezionò il contatto del procuratore capo.

 

Uno squillo e sentì un “pronto?” affannato - che quasi batteva il record di rapidità di risposta di Diana.

 

“Dottore? Tutto bene?”

 

“Sì, sì, mi scusi ma mi stavo allenando. Mi dica: è successo qualcosa, per chiamarmi di sabato?”

 

“Sì. Le devo parlare. Potrebbe… potrebbe venire a casa mia? Urgentemente, se possibile?”

 

Non udì nulla per un po’ se non il respiro affannoso di Mancini e pensò che stesse per mandarla a quel paese.

 

“Mezz’ora e sono da lei!” rispose invece, mettendo giù la chiamata.

 

“Che ha detto?” chiese subito Irene, mentre Calogiuri era rintanato nel suo angolo del divano.

 

“Mezz’ora ed arriva.”

 

“Visto?” le chiese Irene con un sorriso, ma Calogiuri era tutt’altro che sorridente, anzi.

 

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Il campanello per poco non la fece saltare sul divano.


Era già quello dell’appartamento: come minimo qualcuno, tanto per cambiare, aveva lasciato aperto il portoncino di sotto.

 

Irene le fece un cenno ed annuì, perché doveva essere lei a rispondere alla porta, per ovvi motivi.

 

Ottavia era stata messa in bagno e Calogiuri era ancora con quell’aria ombrosa - che le ricordava pure quella del periodo di Lolita - seduto rigido come un palo.

 

Si alzò ed andò verso l’ingresso, chiedendosi come avrebbe fatto a spiegare e a farsi ascoltare. E pure se c’avrebbe ancora avuto un incarico dopo quella sera.

 

Afferrò la maniglia, girò la chiave nella toppa ed aprì.


“Buonasera!”

 

Non avrebbe saputo dire cosa fosse peggio: se il sorriso smagliante di Mancini, se il suo tono entusiasta, se il completo elegantissimo, se il mazzo di rose rosse che le stava porgendo o se la magnum di champagne che reggeva nell’altra mano.

 

Merda!


Nota dell’autrice: Ed eccoci qua, alla fine di questo nuovo capitolo. Imma e Calogiuri stanno cercando di recuperare loro stessi e la loro quotidianità, ma ovviamente quello che è successo sta avendo ancora un po’ di ripercussioni sul loro rapporto. Ora Mancini si è presentato lì, convinto che la telefonata fosse un via libera di Imma e… vedremo come reagiranno tutti, soprattutto Calogiuri, in questa situazione imbarazzantissima.

Nel prossimo capitolo ci saranno ancora molto rosa e molto giallo, con molti colpi di scena, mentre Imma e Calogiuri cercano di fare luce su chi lo ha incastrato e sui punti oscuri del maxiprocesso, ma non sarà facile.

Spero che la storia continui a piacervi e ad intrattenervi e vi ringrazio tantissimo per avermi letta fin qui. Grazie di cuore a chi mi ha recensito e mi recensirà: i vostri commenti mi danno sempre una grande carica e motivazione, oltre ad essere preziosi per capire come sta procedendo la scrittura e le cose da limare. Un grazie speciale anche a chi ha inserito la mia storia nei preferiti o nei seguiti.

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare domenica 13 giugno: in caso di problemi e ritardi vi farò sapere sulla pagina autore.

Grazie mille ancora!

   
 
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