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Autore: elfin emrys    31/05/2021    4 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Albion – Capitolo 1.000


“Buongiorno, Albion, e bentornati a Dragon Voice, la vostra radio nazionale preferita! Oggi abbiamo davvero una giornata piena per il millesimo anniversario della fondazione del nostro magnifico paese. Crescono così in fretta, non è vero, Fred?”
“Assolutamente, Richard, sono solo le 7:25 di mattina ma la nostra capitale è già in fermento!”
“Le file che ho visto mentre arrivavo qui alla nostra sede a Piazza Primo Centro, incredibile.”
“Le strade per entrare nella città sono totalmente intasate, nonostante la grande affluenza che c’è stata anche nei giorni scorsi, ma di questo ce ne parlerà più approfonditamente la nostra Tabitha. Tabitha, ci sei? Buongiorno!”
“Sì, buongiorno a tutti. Le quattro vie principali per l’ingresso nella capitale sono…”
-Papà, quando arriviamo?
-Ci vorrà ancora un po’, tesoro.
L’uomo si affacciò al finestrino e cercò di intravedere come fosse la situazione avanti. Scosse la testa e rientrò. La moglie gli rivolse un’occhiataccia.
-Allora?
-Ci vorrà ancora un po’.
Lei iniziò a borbottare.
-Dovevamo venire nei giorni passati.
-Non potevamo con il lavoro, cara, lo sai bene.
-E allora nella notte, non so. Quando arriveremo sarà ormai il millecinquecentesimo anniversario, non il millesimo.
L’uomo strinse le labbra, trattenendosi dal commentare ulteriormente, e guardò la sua seconda figlia dallo specchietto. Non aveva fatto altro che chiacchierare di quel viaggio per giorni ed era ormai da troppo tempo in silenzio. Stava leggendo uno dei libri che si era portata, uno di quelli creati dalla Sorcerbooks. La bambina girò pagina; subito una nuvola di stelle si alzò dalla carta e un piccolo drago bianco e iniziò a volarvi. L’uomo sorrise: era il ritrovamento di Aithusa.
-Sei arrivata al tuo pezzo preferito, vedo.
Lei sobbalzò e il suo intero viso sorrise al padre.
-Sì!
-Leggi bene che poi ci dovrai fare da guida tu quando arriveremo.
-Ricordo proprio proprio tutto quanto.
-Bene, ci affidiamo a te.
L’uomo sorrise e mormorò un “Finalmente” quando riuscirono ad andare un po’ avanti. Chiese alle bambine.
-Sapete perché la città di Albion viene chiamata anche “foresta sospesa”?
Le due risposero di no e il padre si mise a spiegare.
-Perché anticamente questa zona era tutto un bosco. I popoli che ci vivevano non avevano la minima intenzione di rinunciarvi, anche se era necessario ricavare più spazio perché stava iniziando a vivere lì tantissima gente. Ora, Merlin aveva visto la città dei Donald, Asgol Ewchradd, che aveva dei piani interamente adibiti a giardini, e pensò di fare lo stesso. Ci vollero molti anni, ma alla fine creò dei meravigliosi boschetti che galleggiavano in aria su cerchi di terra. In seguito, tutti fecero lo stesso. Guardate, si vedono un po’ anche da qui.
I palazzi che si intravedevano erano effettivamente macchiati di un verde brillante, in cima si potevano vedere delle chiome di alcuni alberi. Intorno a essi, circolavano singoli alberi o intere zone verdi di pianta circolare.
L’uomo continuò a spiegare.
-Quella che li tiene su è una magia molto potente ed estremamente precisa, che permette a questi boschetti non solo di rimanere sospesi in aria, ma di muoversi a seconda dell’ora, in maniera che ognuno di essi riceva abbastanza sole e pioggia.
La moglie sorrise con aria nostalgica e si voltò verso le figlie.
-Sapete, vostro nonno lavorava lì, teneva d’occhio tutto l’intricato sistema di incantesimi in modo che non ci fossero malfunzionamenti. Era bravissimo.
La bimba più piccola esclamò.
-E la nonna che faceva?
-La nonna era una sarta, si occupava delle divise. Si sono conosciuti proprio perché vostro nonno aveva rotto la propria uniforme durante un piccolo incidente con uno degli elfi che vivono in quei boschetti.
Gli occhi della bambina si fecero luminosi.
-Ci sono anche gli elfi?
I due genitori sorrisero divertiti, confermando la presenza di quelle creaturine. Faceva loro sorridere che le figlie fossero così tanto entusiaste all’idea di vedere degli esseri tanto comuni nel paese quando loro vivevano a pochi minuti dal Parco Nazionale di Gedref. I primi animali che le due avevano visto erano stati dei rarissimi unicorni e loro invece li reputavano una cosa normalissima. Per i genitori, una nata e cresciuta proprio nella capitale e l’altro nel borgo della Città Vecchia, era quantomeno curioso.
L’uomo alzò un pochino il volume della radio.
“Ah, a quanto pare è stata aperta una nuova via aerea per cercare di far fluire il traffico!”
“Sì, hanno appena confermato che l’ultimo branco di viverne è appena passato per la loro migrazione stagionale, e nessuna è rimasta indietro.”
“Speriamo che i nostri radio-ascoltatori in strada possano beneficiare di…”
L’uomo lasciò andare uno sbuffo di sollievo, vedendo alcune automobili sollevarsi per entrare nella nuova carreggiata, seguendo le indicazioni di alcuni vigili.
Finalmente ci si riusciva a muovere.

Il Museo Storico Nazionale era, naturalmente, gremito di visitatori. Quel giorno l’ingresso era totalmente gratuito per tutte le esposizioni e quindi si erano riversate al suo interno famiglie, comitive di studenti e di amici, classi di ogni grado. I giorni precedenti numerose guide erano state chiamate per l’anniversario e una di esse stava accompagnando un gruppo di bambini delle elementari con i loro genitori e le maestre che avevano organizzato quella gita fuori orario.
-Seguitemi. Stiamo entrando adesso nel padiglione Donald, come potete vedere da questa grande foto, una di quelle meglio conservate della collezione. Qualcuno di voi bambini riconosce i due soggetti?
Una piccoletta alzò la mano e gridò.
-Sono re Winfred e la regina Lenore!
La guida gli sorrise.
-Esattamente. Sono il padre e la madre della nostra odierna tecnologia. Infatti, tanto tanto tempo fa, tutti gli apparecchi che adesso usiamo tranquillamente non funzionavano quando venivano effettuati degli incantesimi nelle vicinanze. Tuttavia i Donald, grazie alle ricerche e al duro lavoro di questi due sovrani, riuscirono a sviluppare un nuovo sistema. Inizialmente si occuparono dei pavimenti, che ad Asgol Ewchradd, la città dei Donald, servivano per la produzione di elettricità. Infatti, qui accanto vediamo la ricostruzione di uno dei primi modelli…
Una delle maestre si chinò verso l’altra, mormorando.
-Certo che Lenore aveva fatto un grande colpo.
La collega fece uno sbuffo divertito.
-La smetterai mai di sbavare dietro alla gente morta, Olivia?
-Ehi, non lo dico io che re Winfred era molto gnocco, lo dice la Storia con la “s” maiuscola.
-Ma per favore.
-Vorresti negare che è ancora adesso un modello di avvenenza maschile? Non si dice “bello come Winfred” a caso.
-Non lo nego, ma questo non rende i tuoi commenti più professionali.
-Anche i suoi genitori erano così belli…
-L’ultimo re Donald e la regina Delilah si rivolterebbero nella tomba se ti sentissero.
-Nah, sono convinta che mi darebbero ragione.
-Come ti pare. Ora sta’ zitta che sto cercando di ascoltare.
Olivia alzò gli occhi al cielo.
-Abbiamo fatto questo giro centomila volte.
-Sh.
-Va bene, va bene, sto in silenzio.
La guida, nel frattempo, stava continuando a raccontare.
-Tutta la loro prole ebbe il dono della magia e la loro seconda figlia riuscì in una delle più grandi missioni che il popolo dei Donald aveva mai avuto: unirsi ai Niall. Ella, infatti, si sposò con la regina Niall del periodo, la quale era una figlia di re Nicholas (vi ricordate di lui?) e quindi discendente del fondatore della tribù, John Niall.
Olivia si chinò verso l’altra.
-Ecco, anche Nicholas dei Niall aveva davvero un gran bel…
-Olivia!
-Va bene, va bene, la pianto, non si può proprio dire niente.
-Se ti sentissero i bambini…
-Ma i bambini non mi sentono.
-Allora i genitori. Che figura ci fai fare?
-Dalla faccia del padre di Charlie sono piuttosto sicura che almeno lui si unirebbe alla conversazione con grande entusiasmo.
Il gruppo stava proseguendo, ascoltando le parole della guida, per quello che erano in grado di sentire sopra le voci di tutti gli altri visitatori.
-Adesso Asgol Ewchradd è la sede della nostra università. Forse uno di voi bambini ha un fratello o una sorella più grande che ci va, quindi già la conosce un po’. Ora ci dirigiamo verso la seconda sala e… Scusatemi, vedo che è molto piena, aspettiamo un attimo qui che il gruppo avanti passi oltre. Intanto, bambini, vi racconto una strana storia. Sapevate che al centro del giardino più importante di Asgol Ewchradd c’era un enorme albero? Quell’albero esiste ancora oggi. Quando sono andata all’università, si diceva che non potevi farci un giro completo in senso antiorario, altrimenti non ti saresti laureato mai.
Molti dei genitori annuirono, sogghignando, e la guida continuò.
-Quel grande albero era stato donato ai Donald da una somma sacerdotessa Jura. Si diceva che, quando sarebbe morto, i Donald sarebbero caduti. Quando re Arthur ritornò, l’albero stava davvero diventando secco e i giardinieri reali non riuscivano a capire come…
Olivia mormorò.
-A proposito degli Jura, lo vuoi sapere il grande gossip storico?
La collega alzò gli occhi al cielo.
-Anche se ti dicessi di no, me lo diresti comunque.
-Questo non puoi saperlo.
-Allora no, non voglio sentirlo.
-Ma io te lo dirò lo stesso: nel periodo della fondazione di Albion, Jura e Niall iniziarono ad avvicinarsi, anche se con qualche difficoltà. Re Nicholas, in particolare, lavorò a lungo affinché i due popoli potessero avere un rapporto pacifico e la somma sacerdotessa era d’accordo con lui.
-Sì, questo lo so, vai avanti.
-Ora, durante gli anni la somma sacerdotessa Jura ebbe molti figli, come le altre prima di lei, ovviamente.
-E allora?
-Hai mai fatto caso all’alta percentuale di figli con capelli rossi di quella donna?
La maestra spalancò gli occhi e si voltò verso Olivia.
-Vuoi dire che…?
Olivia ridacchiò.
-Non si sa per certo, naturalmente, ma secondo me è evidente, su. Non ci credo neanche se lo vedo che Nicholas si sia mantenuto casto per tutto il periodo in cui è stato re, dai. Questo spiegherebbe anche perché andava spesso da quell’altra tribù. Ti vedo scettica, però.
-Sì, perché so che tu pensi sempre male.
-Questo non è vero!
Olivia brontolò quando l’altra le diede una gomitata per zittirla e ascoltare la domanda della guida.
-Siete già arrivati alla… Beh, non vorrei anticipare nulla, ma alla “fine” di Arthur.
-Oh, sì, abbiamo accennato qualcosa.
-Perfetto.
La guida sorrise e si rivolse ai suoi giovanissimi ascoltatori.
-Bene, adesso entrando vedremo una delle stanze più belle di tutto il museo. Su tutte le pareti, infatti, vedrete un’opera che i Donald crearono in ricordo di Arthur e Merlin. Ora, voi sapete che il re e il mago non morirono, bensì…
Alcuni bimbi alzarono la mano e uno di essi parlò quando venne scelto.
-Sono scompariti!
Gli adulti risero tra loro e la guida annuì.
-Sì, sono spariti. Dalle testimonianze che abbiamo e dalle poche foto che li ritraggono, possiamo vedere infatti che nessuno dei due sembrava invecchiare, non importava quanti anni passassero. Proprio questo stesso giorno, dopo vent’anni che erano al comando, fecero una grande festa con tutti gli altri re e regine. Alla fine, annunciarono che avrebbero abdicato in favore di… Qualcuno lo sa?
-Re Frederick!
-Esattamente! I due eroi rimasero in circolazione per altri vent’anni, prima di dileguarsi nel nulla. Nessuno sa che fine abbiano fatto. Qualcuno dice che la loro perenne giovinezza fosse frutto di un incantesimo e che, in realtà, stavano invecchiando come tutti e che, perciò, siano morti. Tuttavia, non esiste nessuna sepoltura né alcuna testimonianza che riporti del loro decesso. Nessuno sa per certo cosa sia accaduto. Si dice che Arthur e Merlin siano ancora vivi e che veglino su Albion, che si riveleranno solo quando il loro popolo ne avrà bisogno.
Tutti rimasero in religioso silenzio e la guida sospirò prima di indicare la prima parete.
-I Donald crearono questi magnifici bassorilievi raccontando l’intera storia di Arthur e Merlin. In realtà questa fu un’opera di cui si occuparono molte tribù della zona. La mano era sì dei Donald, ma le pietre venivano dagli Hanbury, i colori e le pietre preziose dagli Jura.
Olivia, perso il suo spirito malizioso, osservava quasi con le lacrime agli occhi gli eventi che erano stati ritratti. Il lago di Avalon sembrava quasi muoversi nella pietra mentre la figura di Arthur ne usciva. Il petto le si chiuse e la collega le mormorò.
-Stai bene?
-Mh? Oh, sì. Solo che pensavo… Non so, che è proprio vero, quello che ci viene detto.
-Cosa?
-Che non c’era mai stato e non ci sarà mai qualcun altro come loro. L’ho sempre trovato straordinario. Un’intera regione sul piede di guerra, arriva Arthur e tutto sembra andare per il meglio; poi, per qualche ragione, lui è costretto a lasciarli ed ecco che arriva la morte e la distruzione, tutti i vecchi rancori vengono alla luce. Alla fine, Arthur ritorna e con lui torna… Non dico la pace, ma… Insomma, le cose si sistemano, no? Abbiamo una sola battaglia con lui, poi ulteriori tentativi di rapimento della regina Delilah finché lei e Macbeth non finiscono per lottare corpo a corpo e la seconda muore. Cos’altro? Niente, sostanzialmente. Solo una tranquillità che viene ricostruita, anche se con sacrificio e fatica, anche se con grande pazienza, con saggezza e lungimiranza.
La collega la guardò stupita, non sapendo cosa dire. Era la prima volta che sentiva Olivia fare un discorso serio; persino con i bambini, era sempre più o meno una buffona, era divertente e spiritosa. Il modo in cui invece le aveva sussurrato quel discorso, come se fosse sinceramente commossa, la colpiva. Era qualcosa che anche lei comprendeva molto bene. Spesso quando insegnavano quella storia ai bambini, sembrava che tutto fosse andato come doveva andare senza sforzo, invece c’era stata casualità, fortuna – destino, addirittura – ma anche una tale forza di volontà, una tale dedizione a un processo che doveva sembrare instabile e confuso e che, invece, doveva essere compiuto per superare quei lunghi secoli di stallo dopo l’ultima grande guerra. Lei pensava che Arthur e Merlin lo sapessero, che erano il motore di qualcosa di più grande, e pensava che anche tutti coloro che li avevano conosciuti se ne rendessero conto, perché quelli che si erano tenuti indietro erano stati tanto dimenticati da essersi persi nei meandri del tempo.
Passò un fazzoletto a Olivia, che la ringraziò e si asciugò l’angolo dell’occhio, e rimasero in silenzio a vedere i loro piccoli studenti che facevano mille domande sulla rappresentazione della lotta contro il dracontopode.
Poi, qualcuno corse in mezzo a loro, quasi spingendole via.
-Ehi, state attenti!
-Scusate!
I due ragazzi che erano appena passati continuarono a precipitarsi in avanti, quasi investendo gli altri visitatori. Guardarono l’orologio e si velocizzarono ancora di più, poi si fermarono per vedere la piantina del museo e ripresero a correre, finché non trovarono una lunga fila.
-Sarà questa?
-Non lo so. Vado avanti e controllo. Tu tieni il posto.
Uno dei due si fece avanti per spiare dove andasse a finire la coda, poi ritornò verso il compagno con un pollice alzato.
-È questa.
-Quanta gente abbiamo davanti?
-Diversa, ma siamo arrivati a un orario decente, credo ci metteremo solo una ventina di minuti per entrare.
L’altro sbuffò.
-Una ventina di minuti per stare qualche secondo di fronte a un pezzo di metallo.
-Ehi! È del pezzo di metallo della Battaglia della Campana, quello di cui stai parlando, porta rispetto.
-È solo una campana. Non capisco perché la vogliano vedere tutti, non potrebbero andare, che ne so, dalla Silenziosa?
-Beh, anche tu la vuoi vedere, per questo abbiamo corso fin qui come prima cosa.
-Ma mi lasci lamentare in pace?
-Scusa, scusa. Acqua?
-Sì, grazie.
I due si passarono una borraccia e bevvero avidamente, poi uno si mise a leggere sulla guida che aveva comprato settimane prima proprio riguardo l’antica pistola di re Frederick, chiamata appunto “Silenziosa” in quanto mai usata, e l’altro iniziò a scrivere un messaggio agli amici che avrebbero dovuto vedere quella sera per andare al concerto.
Cador - “Stasera in quale parte di Piazza Niall ci vediamo?”
Ada - “Quella femminile, sotto la statua di Theodora e Diane, direi. Invece @Jace tu stai arrivando?”
Jace - “Sì, venti minuti e sono lì.”
Cador - “Io e Tristan vi raggiungiamo per le 18:30.”
Ada - “Ok. Basta che siano le 18:30 davvero.”
Cador - “Abbiamo mai tardato?”
Jace - “Cador, spero tu stia scherzando.”
Il ragazzo rise e fece vedere la conversazione al fidanzato, il quale gli fece un cenno.
-Ma invece Dorian ha deciso di venire?
-Glielo chiedo.
Cador - “Ragazzi, ma Dorian alla fine ce la fa?”
Ada - “Credo che esca con gli altri dell’accademia.”
Cador - “Per una volta che tu decidi di dare la precedenza a noi che agli esami!”
Ada - “Lascia perdere, Diritto Eliso-fredericiano mi sta uccidendo. Quei due non potevano mantenersi basici, noooo, hanno dovuto pensare a tutto.”
Jace - “Non dirmi che ti sei portata dietro il libro.”
Ada - “No…”
Jace - “Sei pessima.”
Ada - “Tu però te lo sei portato l’altra sera il libro di Teoria dei segnali magici.”
Tristan, che fino a quel momento aveva spiato ciò che veniva detto dell’altro, alzò gli occhi al cielo e decise di intervenire.
Tristan - “@Ada, giuro che se ti becco con il manuale te lo brucio. Fallo sparire prima delle 18:30, non scherzo.”
Cador - “Voglio vedere il fuoco!”
Ada - “@Cador Tu invece hai finito il portfolio per il tuo di esame?”
Cador - “…”
“Cador è uscito dal gruppo.”
Tristan rise.
-Sei un esagerato. Ti manca solo un disegno per il portfolio.
-Disegno? Portfolio? Di quale portfolio stai parlando?
-Molto spiritoso. Ti riaggiungo.
I due fecero dei passi avanti e Cador giocherellò con il braccialetto che aveva legato al polso. Si rivolse al fidanzato.
-Ma Dorian che cosa fa nella parata?
-Ah, onestamente me l’ha spiegato settemila volte, ma non l’ho capito.
-Pensi che ci saranno “incidenti” come l’ultima volta?
Tristan sbarrò gli occhi ed esclamò.
-Spero davvero di no! Oggi è un giorno importante, nessuna delle due accademie si può permettere che accadano casini.
Cador sogghignò un “Peccato” e fece un altro piccolo passo in avanti.

Il suono di un triangolo vibrò forte nell’aria e tutti gli allievi si spostarono secondo quanto era stato loro insegnato. I loro occhi si tinsero d’oro e delle scintille partirono dalle loro mani. I giovani si divisero in gruppi di tre e, muovendosi, lasciarono dietro di sé delle scie così brillanti da lasciare di stucco persino in pieno giorno. Quando i trii unirono le dita verso il cielo, iniziò una musica dolce e leggera e delle fanciulle si fecero avanti, danzando in cerchio.
I loro movimenti erano delicati e precisi, la luna piena in mezzo alle loro fronti sembrava splendere di luce propria.
Un aiutante della sacerdotessa le osservava sorridendo. Quelle ultime prove erano straordinarie, tutti loro avrebbero fatto davvero un’ottima figura. Era tutto perfetto.
O almeno lo fu finché un rullo di tamburi non sovrastò la musica. Il giovane serrò la mascella e fece cenno di continuare a suonare, ma quando un nuovo rullo li interruppe si spazientì e andò verso le mura che delimitavano il giardino dell’accademia.
Borbottò un “Maledetta”, prese una scaletta e vi salì, facendo capolino con la testa dall’altro lato. Vide i giovani allievi dell’accademia militare fare le loro prove, seguiti da…
-Quella carogna… Ariadne!
Nessuna risposta.
-Ariadne!
La ragazza alzò una mano e tutti si bloccarono. Volse lo sguardo alle mura e sorrise con aria beffarda.
-Oh, Joseph. Qual buon vento?
-Smettetela subito.
Ariadne si avvicinò, scuotendo la testa.
-Joseph Joseph Joseph… Stiamo solo facendo le nostre prove.
-Anche noi e ci state disturbando.
-Oh, no.
Era l'“Oh, no” più falso che l’aiutante della sacerdotessa avesse sentito nella sua intera vita e Joseph si trattenne dal gettare alla ragazza un insulto. Strinse gli occhi e respirò a fondo prima di parlare.
-Non potreste allontanarvi di poco, così da farci sentire la musica?
Lei gli sorrise e sbatté le ciglia, portandosi una mano al petto.
-Oh, lo farei se potessi, ma abbiamo solo questo spazio.
-A me sembra non ci sia nessun altro a parte voi.
-Beh, ti sembra male.
-Dopo lo scandalo che avete avuto con quel tizio che si è scolato l’alcol di mezza Albion non credo vi possiate permettere di dare problemi.
-E voi dopo lo scandalo delle vostre lotte maschili segrete in cui uno ci ha quasi lasciato le penne non credo vi possiate permettere di fare lamentele.
-È stato quasi cinquant’anni fa!
-Tutti ne parlano ancora come se fosse stato ieri.
L’Accademia Jura di ritualistica e l’Accademia militare Delilah avevano iniziato ad avere problemi l’una verso l’altra prima ancora di venire costruite. Le due fondatrici, una somma sacerdotessa e una Donald grande ammiratrice della loro antica regina, avevano lottato a lungo per avere lo stesso pezzo di terra, il quale era stato alla fine diviso in due, dopo anni di battaglie legali e di tentativi non riusciti di accordo. Sapevano tutti che gli studenti di una e dell’altra non perdevano occasione di farsi dispetti più o meno innocui, Joseph non ci vedeva sostanzialmente nulla di male, ma il gruppo che gli era stato affidato doveva assolutamente risaltare in quella parata e dovevano occupare fino all’ultimo minuto del tempo che avevano per fare le prove.
Le due accademie erano state entrambe edificate trecento anni prima, ma quella Jura aveva iniziato ad accettare studenti maschili solo negli ultimi cent’anni, dopo tanta fatica, e Joseph era uno dei primi cui veniva affidato un compito tanto importante. Il solo pensiero di fare anche un minimo sbaglio gli faceva venire la nausea.
Il ragazzo mormorò.
-Ariadne, per favore, sai quanto sia importante che la mia parte sia perfetta. Ti scongiuro, fammi finire l’ultima prova.
L’altra strinse le labbra e per un attimo Joseph pensò che lo avrebbe deriso, poi la vide sospirare e chiamare qualcuno dietro.
-Dorian!
-Sì, signora?
-Vai da Trent e digli che occuperemo la zona est del giardino. Datti una mossa.
-Sì, signora, corro.
Ariadne incrociò le braccia e lo studente dell’altra accademia le sorrise.
-Grazie.
-Se quando vedrò la tua parte non sarà la cosa più bella che io abbia mai visto ti verrò a cercare personalmente, Joseph, e ti farò rimpiangere di aver mai fatto vedere il tuo bel faccino oltre queste mura.
-Verrai a cercarmi per farmi i complimenti, te l’assicuro.
Joseph scese dalla scaletta e ignorò il commento di una sua compagna che gli mormorò “‘Bel faccino’? Davvero?” e batté le mani.
-Forza, tutti al proprio posto, ricominciamo. Joy, il triangolo.
La ragazza fece un sospiro profondo e attese un secondo prima di risuonare.
Tutti ripresero a muoversi, mentre il suono dei passi degli studenti dall’accademia accanto si allontanava.

Era curioso che nel centro di una città così grande come la capitale di Albion in un giorno tanto importante ci fosse una stradina, per quanto piccola, quasi totalmente silenziosa e solitaria. La luce del sole vi batteva poco, quasi totalmente coperta dai grandi alberi che crescevano sulle mura della struttura che vi si affacciava, l’immenso Teatro del Lago, il più bello dell’intera isola.
Una giovane donna corse per quella stradina, una pila di abiti tra le mani, e quasi non li fece cadere a terra per la fretta che aveva. Cercò di aprire una porticina con delle chiavi, ma non ci riuscì, e dovette iniziare a bussare forte con la mano, tanto da farla diventare totalmente rossa, finché qualcuno non le aprì.
L’uomo la fece entrare rapidamente e urlò.
-I costumi, ragazzi!
Una mandria di attori si avvicinarono per cercare i propri abiti, aiutati nell’impresa dalla donna che li aveva portati fino a lì.
-Questo è di… Greta?
-Eccomi!
-Ecco qui, questo è il grembiule, non perdertelo. Invece quest’altro è di Frederick.
-Ecco, lo prendo.
-Fai in fretta che sei nella prima scena. Ehm… Edith? Dov’è la nostra Edith? Bene, ecco qui. Porta questo a Edward, per favore.
L’attrice prese tutto e corse via, avviandosi verso i camerini, dove un uomo si stava sistemando i capelli.
-Allora, Robert, questi sono i tuoi vestiti.
Lui rispose con aria assente, poi si voltò verso di lei e si indicò la chioma.
-Che dici? Sono abbastanza un Edward?
Lei alzò un sopracciglio.
-A nessuno interessa dei tuoi capelli.
Lui esclamò.
-Guarda che è importante, eh. Sono uno dei personaggi più tristi perché le persone sanno quale sarà la mia fine, devo essere perfetto, devo vedere se questa pettinatura va bene.
-Non c’è la tua fine in questa tragedia.
-No, ma tutto sanno che c’è, da qualche parte.
La donna alzò gli occhi al cielo.
-Come vuoi. Basta che ti dia una mossa che la seconda scena è la tua. Invece, hai visto Lam?
-Sì, sta a ripetere vicino al bagno.
L’attrice uscì e si mise a cercare il collega, trovandolo con il copione in mano a rileggere il suo monologo.
-Allora, Lam, sei pronto?
Il ragazzo sobbalzò.
-S-Sì, credo di sì.
-“Credi”, Lam? Tu devi essere pronto, sai quanta gente sarà là fuori a vederci?
L’altro rimase in silenzio e la donna sospirò.
-Lo so che non ti aspettavi davvero di recitare, che eri solo un sostituto, ma vedi di fare il miglior Callum che sia mai salito su quel palco.
-Sarò il miglior Callum che tu abbia mai visto.
Lei alzò un sopracciglio e Lam calcò sulle parole.
-Che il mondo abbia mai visto.
-Bravo il mio ragazzo. Hai riprovato anche la scena con Frederick?
-Sì, siamo stati tutto ieri sera a prepararla.
-Ottimo, ottimo. Buon lavoro.
-Grazie.
La donna si allontanò e uscì da dietro le quinte, andando tra le sedie del pubblico. Il loro regista stava osservando il monologo di Grant, protagonista della tragedia. Sullo sfondo si muovevano quelli che sembravano opachi fantasmi di un’epoca passata, creati da un incantesimo dello scenografo, il quale, concentrato, era nascosto chissà dove. Era bellissimo e l’attrice pensò davvero che avrebbero fatto la storia di quel dramma, non solo per il grande pregio delle tecniche magiche teatrali di tutti loro, ma anche proprio per la qualità del lavoro che i suoi colleghi avevano fatto. Avevano passato quei mesi non solo a imparare il copione, ma a studiare con grande attenzione la storia dei personaggi che dovevano interpretare, fino a renderla la storia anche di loro stessi, tanto che il cuore della donna saltava i battiti al pensiero della scena finale, che annunciava l’arrivo di Arthur, anche se non l’aveva mai vista dal punto del pubblico.
La donna si passò una mano sul volto, pensando alla notizie che lei e il regista si stavano tenendo dentro, ossia che anche la somma sacerdotessa Jura, il rappresentante dei Lamont e i discendenti dei veri Frederick ed Elisa avrebbero assistito, poi si riavviò dietro le quinte per finire di mettersi il costume.
Dalla finestra più alta del teatro, un ragazzino stava piegando ad aeroplanino gli ultimi volantini con il programma della serata. Chiuse gli occhi e mormorò qualcosa, poi soffiò sopra la carta, che iniziò a volare fuori dalla finestra, cercando dei posticini in tutta la città dove poter essere trovati da qualche possibile spettatore dell’ultimo minuto.

Era la parata più bella che si fosse mai vista. Gli studenti dell’Accademia Jura di ritualistica erano appena passati e ora quelli dell’Accademia militare stavano marciando con grande precisione, tutti diretti verso il lago di Avalon, dove si sarebbe svolta la cerimonia tradizionale in presenza dei Sidhe. Solo a quel punto il silenzio sarebbe calato sulla città, in ricordo degli antenati di Albion. Un tempo sotto quel nome si era inteso solo il territorio di una foresta, poi si era allargato alle pianure popolate dai nomadi, poi alla Città Vecchia, poi a nord e a est, fino a Londra e persino oltre, arrivando negli anni fino alla punta più estrema dell’antica Scozia. I delegati di ogni regione si sarebbero radunati al Palazzo della Tavola Rotonda, dove avrebbero ripetuto le stesse promesse che avevano fatto tanti secoli prima Arthur, Merlin e i capi dei Donald, dei Niall, degli Jura, degli O’Neill e degli Hanbury, promesse di pace, amicizia e protezione.
Erano stati tanti i problemi che avevano afflitto quei popoli uniti e tanti miglioramenti erano ancora in atto, ma quel giorno non era stato fatto per ricordare le loro manchevolezze e le divisioni che, in alcuni casi, ancora sussistevano, bensì per onorare tutti coloro che avevano contribuito a costruire Albion in tutta la sua bellezza.
Buona parte della popolazione era ancora a vedere la parata, in prima fila, e nessuno faceva caso a chi osservava dall’alto dei boschetti galleggianti.
Due uomini anziani erano seduti su una panchina in uno di quei cerchi e si tenevano le mani. Guardavano la parata che stava passando, tutte le persone riversate nelle strade, e sorridevano. Unirono le loro labbra in un bacio delicato, poi uno posò la testa sulla spalla dell’altro. Rimasero immobili a osservare tutto il movimento in città, i festeggiamenti che andavano avanti e avanti senza mai fermarsi; ascoltarono i rumori lontani di concerti e spettacoli, lasciarono passare sotto ai propri occhi i gruppi di abitanti locali e turisti che andavano per musei o che uscivano per mangiare a un qualche ristorante o in un parco.
-È bellissimo…
Uno dei due uomini, quello con la barba, sorrise all’altro, rispondendo a quella frase.
-Tu sei bellissimo.
L’altro arrossì e gli colpì un poco il braccio.
-Piantala, Merlin.
I due sogghignarono, poi quello che aveva appena parlato guardò l’orologio.
-Vogliamo andare a pranzare? Ormai è pomeriggio.
-Dove vorresti andare?
-Non so, in un luogo dove non vedremo nostre foto e ritratti ovunque.
L’altro rise.
-Dubito questo sia possibile, Arthur, soprattutto oggi.
-Disfattista, lasciami sognare.
Merlin scosse la testa, poi accarezzò piano la mano dell’altro.
-Che ne dici se andassimo all’Anteposto, mh? Possiamo prendere il solito. In fondo non è neanche così famoso, quindi potremmo trovare posto.
Arthur si incupì.
-Pensi che lo chiuderanno?
L’altro rise.
-Oh, non finché rimarrà il nostro preferito. E sicuramente non al nostro anniversario.
I due si alzarono dalla panchina e scesero dal boschetto sospeso, calando di piano in piano  grazie ai ponticelli che li univano fino ad arrivare a terra.
L’Anteposto non era molto lontano da lì. Era un edificio piuttosto basso, costruito dove un tempo c’era stata la prima locanda di quella zona. La strada per la Città Vecchia non sembrava più tanto grande, ma rimaneva una delle arterie principali della capitale, soprattutto d’estate, quando tutti andavano verso i piccoli borghi sulla costa per andare al mare.
Nonostante la zona piuttosto famosa, l’Anteposto non era un ristorante molto frequentato. Il suo ingresso era molto piccolo e poco visibile, l’interno aveva un gusto antico, che non si sposava bene con il resto della struttura e con i locali vicini. La cucina, però, era buona e i proprietari, sebbene burberi, conoscevano il loro lavoro. E poi, Arthur e Merlin sapevano che erano discendenti del loro caro vecchio Charles, e, anche solo per amore di quell’uomo che avevano conosciuto tanti secoli prima, avrebbero sostenuto quel luogo a ogni costo.
I due anziani entrarono ridacchiando tra di loro e subito una cameriera li accolse, facendoli sedere al loro posto abituale. Chiese se desiderassero il solito e Arthur le disse di portare qualcosa di speciale, perché quello era il loro anniversario di matrimonio. Gli occhi della ragazza si illuminarono ed ella unì le mani, esclamando.
-Quanti anni sono?
-Mill-Ahio!
Arthur si portò una mano allo stinco, che Merlin aveva colpito con un piede, e brontolò.
-Volevo dire cinquanta.
La cameriera si coprì la bocca.
-Complimenti, auguri! Non sapevo foste sposati da così tanto tempo! Volete qualcosa di particolare o…?
-Sorprendeteci.
La ragazza rise e corse via, chiamando il nome dello chef ancora prima di entrare in cucina.
Arthur guardò male il marito.
-Potevi evitarti il calcio.
-Scusa. Vuoi andare da qualche parte dopo mangiato? Magari alla Galleria Nazionale.
-Ma sei impazzito? Lì dentro ci sono anche i quadri di Donald.
-E allora?
-I quadri privati di Donald.
-Ah, già.
Merlin arricciò il naso, ricordandosi di quando per la prima volta esposero quelle opere e lui e Arthur si erano ritrovati a chiudersi gli occhi di fronte a un’opera che ritraeva Delilah in maniera dolce quanto senza veli e rabbrividì.
-Ti ricordi dove eravamo quando hanno deciso di mostrare quei lavori al pubblico?
Arthur ci pensò un attimo.
-Credo stessimo a visitare il Regno di Roma e Napoli.
-Ah, sì, già, il viaggio in Italia per il mio compleanno.
-Non ti offendere, ma se avessi saputo che sarebbe bastato distrarci un paio di mesi perché accadesse una cosa del genere, non avrei mai permesso la partenza.
-No no, capisco.
Merlin si grattò la barba e si alzò.
-Vado un attimo in bagno, guai a te se ti finisci il pane.
Arthur allontanò le mani dal cestino al centro del tavolo, mentre il mago si dirigeva lentamente verso il retro del locale. Lo seguì con lo sguardo, ridendo interiormente della camminata del marito, e si versò dell’acqua, quando una donna colse la sua attenzione.
Era una giovane molto bella, dai lunghi capelli fluenti. Era vestita con un abito rosso, stretto in vita da una cintura dorata. Arthur non sapeva bene perché, ma non riusciva a staccarle gli occhi di dosso come non riusciva neanche a parlare, tanto che non commentò quando quella, vedendolo, si sedette al tavolo.
-Ciao, Arthur.
L’uomo sbarrò gli occhi e salutò con incertezza, portandosi la mano al collo, sentendo un lieve pizzicore.
-Buon… Buongiorno.
-Non ti ricordi di me? Ci siamo incontrati un paio di mesi fa proprio in questo ristorante.
Era strano, ma adesso che la sconosciuta glielo diceva, sì, si ricordava di averlo fatto. Era una memoria un po’ distorta, come un sogno, staccato dal resto della linea temporale, ma non se ne preoccupò molto e rispose, con un sorriso.
-Oh, certo, mi dispiace se non mi è venuto in mente subito, è l’età.
La donna gli sorrise dolcemente.
-Non ti preoccupare, capisco bene. Immagino ti ricordi anche mio marito.
Indicò l’uomo che aveva alle spalle. Era più vecchio di lei, un signore imponente, dai capelli brizzolati e dai profondissimi occhi grigi. Dal vestiario, sembrava molto ricco.
Arthur annuì, facendo un cenno.
-Certo, come dimenticare.
Lei rise – la sua risata era argentina e melodiosa – e il re le chiese.
-Allora, ci sono novità?
La donna annuì e si sporse sul tavolo, abbassando la voce.
-In realtà sì. Hai per caso sentito di… di un grande serpente nelle vicinanze?
-Un grande… Scusami, non ricordo cosa… Che lavoro facevate voi due?
-Siamo del Parco Nazionale di Gedref, non ricordi? Pensiamo che ci sia stata una evasione, se così vogliamo chiamarla.
-Come ha fatto un serpente ad arrivare fin qui?
-In maniere non lecite, te lo assicuro.
-Capisco, è stato trasportato da qualche contrabbandiere.
Lei non confermò e lui chiese.
-E voi siete stati mandati per riprenderlo?
-Beh, diciamo che “siamo in missione per conto di Dio”.
La donna rise, ma vedendo l’aria imbarazzata dell’anziano scosse la testa.
-Non… Non è stato ancora…
Si rivolse al marito.
-Credevo che fosse stato già ritrovato questo film. Dai, era un cult millenni fa.
Lui non rispose e lei mosse le mani.
-Lasciamo perdere. Comunque, nessun serpente immagino.
-Non che io sappia.
La donna annuì con aria preoccupata e fece per alzarsi, ma si bloccò.
-Arthur, so che stai bene, ma… Ma vorrei sentirlo da te.
L’anziano rimase perplesso, eppure non riuscì a non accontentarla.
-Sto bene.
-E Merlin?
Arthur si chiese cosa dovevano aver avuto in testa per dare entrambi i loro veri nomi (non lo facevano mai), ma rispose.
-Penso che sia felice quanto me.
Lei gli rivolse un sorriso morbido e dolce. Gli prese una mano, accarezzandola.
-Mi ha fatto tanto piacere rivederti, anche se non era previsto. E non ti preoccupare se siamo qui, va tutto come deve andare. Se altrove c’è qualche problema, non è qualcosa che vi concerne. Avete creato qualcosa di stupendo, pieno di vita. Dovete esserne orgogliosi. Noi lo siamo.
-Ehm, grazie?
Lo sguardo della donna cadde un attimo dal suo viso alla gola e Arthur si portò ancora una mano su quella zona istintivamente. Lei gli sorrise un’altra volta, poi lo salutò.
-Arrivederci, Arthur.
Si allontanò, dirigendosi con il marito, che non aveva pronunciato parola, fino alla cassa, dove il proprietario dell’Anteposto stava facendo dei conti. Il re li seguì con lo sguardo, non capendo cosa fosse appena accaduto.
-Stai bene?
Arthur riportò lo sguardo su Merlin, il quale lo stava osservando con l’espressione più preoccupata che gli avesse visto in volto da anni, e scosse la testa.
-No, cioè sì, ho solo incontrato… Lascia perdere. Piuttosto, hai saputo di grossi serpenti in zona?
-Grossi serpenti? No, assolutamente no. Perché?
-Niente di che.
Merlin ridacchiò.
-Sei strano.
-Parla quello con la barba che gli arriva alle ginocchia.
-Ne parli male solo perché a te non cresce così.
-No, a me cresce meglio.
-Ti piacerebbe.
La cameriera arrivò portando loro i piatti iniziali; si vedeva che si erano impegnati per fare una presentazione più carina del solito e la ragazza fece nuovamente gli auguri. I due uomini le sorrisero e Arthur si sporse per cercare con lo sguardo la giovane con cui aveva parlato e il suo grigio marito, ma non li vide più e, lentamente, la memoria di quello strano incontro scomparve dalla sua memoria.
Mangiarono piuttosto lentamente e il proprietario del locale venne al loro tavolo per fare gli auguri e chiedere se tutto fosse di loro gradimento. Chiese loro anche se avevano una canzone che avrebbero preferito avere come sottofondo, ma i due scossero la testa. Ne avevano tante, in realtà, una per ogni volta che il loro rapporto aveva fatto un passo avanti o aveva cambiato direzione. In quegli anni avevano assunto tante forme per non farsi scoprire: erano stati bambini, anziani, ragazzi e ragazze, erano stati fratelli, sorelle, colleghi, amici, cugini, amanti, coniugi, il loro nome sempre diverso, la loro data di nascita costantemente cambiata ancora e ancora. Avevano così tanti ricordi insieme da non essere più sicuri di quale fosse venuto prima e quale dopo. Avevano litigato. Avevano fatto pace. Erano stati dolci, teneri, come anche freddi, sospettosi. E la cosa strana era che nonostante tutto quel tempo, nonostante fossero rimasti nel profondo le stesse persone, c’era sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Quando si alzarono a pranzo finito, scoprirono che gli era stato quasi tutto offerto, e i due si allontanarono mano nella mano per dirigersi verso un’installazione all’aperto, una sorta di galleria che era stata fatta con tutta la storia di Albion, dal primo all’ultimo giorno.
“Nicholas e Ati Niall con David e Delilah Donald, durante il primo compleanno della principessa Dorothea dei Donald”.
“Galahad Hanbury instituisce la prima biblioteca di Albion.”
“Banchetto con Arthur, Merlin e i capi dei nomadi delle pianure.”
“Un giovane Macbeth classifica due diverse specie di elfi.”
“Theodora e Diane Niall istituiscono le prime gare sportive della foresta.”
“Gregory Walker e sua figlia Michelle incontrano il Governatore della Città Vecchia.”
“Galahad Hanbury in compagnia di suo figlio, il principe Percival.”
“Uno Jura e una Arthur festeggiano il proprio matrimonio, gettando le basi per le attuali celebrazioni tradizionali. Frederick ed Elisa degli Arthur stanno accanto alla nuova coppia insieme ai propri figli. Sul retro della foto c’è scritto ‘Jacob e Betty’.”
“Un modello del primo bosco sospeso.”
“Winfred e Lenore Donald mostrano la prima automobile.”
“Ultimo volo di Aithusa.”
Merlin si era fermato in particolare su quell’ultima immagine e la guardava stringendo le mani intorno alle braccia. Sorrideva, ma i suoi occhi erano lucidi. Non erano più stati ritrovati draghi, né tantomeno altri dei loro signori, anche se c'erano molti che non perdevano le speranze. Arthur si avvicinò al marito, mettendogli una mano sulla schiena.
-Tutto bene?
-Sì, sì, non ti preoccupare.
Proseguirono fino a una zona circolare dove una serie di busti segnavano i punti dove si poteva leggere e vedere la biografia di alcuni personaggi. C’erano tutti, da “Edward degli Arthur” fino a “Regina Macbeth, nome ignoto”, per poi passare oltre per generazioni e generazioni. Stare al centro di quella piazza era come stare al centro del mondo, con tutto quei volti immobili fissi verso di te. Arthur rimase lì per diversi minuti, finché le prove dei fuochi d’artificio non lo fecero sobbalzare. Merlin gli si avvicinò e gli prese la mano.
-Torniamo a casa, va bene?
L’altro non rispose.
Sapevano bene come uscire dalla città evitando le strade più conosciute e affollate. Avevano imparato quasi l’intera mappa della capitale nel periodo in cui la magia nel posto stava cominciando a diventare troppa e Merlin aveva iniziato a farsela sfuggire, creando qualche piccolo incidente. Nessuno si era mai fatto male, ma il moro era sempre stato troppo nervoso che potesse capitare e quindi continuavano a usare quelle viuzze. Presero i mezzi pubblici fino all’esterno, dove avevano parcheggiato, poi Arthur guidò attraverso le pianure fino a imboccare un viale sterrato. Potè addirittura percepire il momento nel quale attraversarono lo scudo che Merlin aveva innalzato anni prima affinché nessuno potesse trovare casa loro: nonostante tutte le volte in cui l’aveva passato, continuava a non essere una sensazione piacevole.
Quando Arthur parcheggiò, Merlin schizzò fuori ed entrò in casa, prendendo la pozione che aveva preparato per l’occasione. Sapevano entrambi che non sarebbero tornati per un bel po’ in città e avevano pensato che era il momento giusto per ritornare ad avere i loro corpi reali.
Merlin diede la boccetta ad Arthur e gli sorrise. Il re si sedette, chiacchierando mentre la apriva.
-Qui preparo io, tu vai su a sistemarti senza fare storie, che voglio rendere questa stanza la cosa più romantica tu abbia mai visto.
-Certo, certo. Tu bevi però, che devo controllare vada tutto bene.
-Facciamo questa cosa da secoli, Merlin.
-Sì, e continuerò a supervisionare per altrettanto tempo.
Arthur alzò gli occhi al cielo e iniziò a bere dalla boccetta. Aveva un sapore orrendo, ma sapeva che doveva fare in fretta e ingoiò tutta la pozione fino all’ultima goccia. Merlin postò le mani sul suo capo e cominciò a mormorare qualcosa. Il marito chiuse le palpebre e gemette mentre i suoi capelli tornavano biondi e le rughe sul suo volto si riempivano; il suo corpo si fece più forte e solido, le sue mani più ferme, i dolori che sentiva alla schiena sparirono nel nulla, le sue spalle si aprirono.
Quando Arthur riaprì gli occhi, Merlin lo osservava soddisfatto.
-Tutto a posto? Dolori? Niente?
-Mi sento bene.
-Perfetto. Vado a prenderti i vestiti.
Il vecchio corse, per quanto potesse, al piano di sopra e ritornò con degli abiti più adatti a un giovane uomo e, soprattutto, a una serata galante.
Il biondo si cambiò, facendo attenzione a non far incastrare la collana nei bottoni della camicia. Si guardò riflesso alla finestra, ammirando con aria soddisfatta la propria tonicità e sorridendo a se stesso. Non gli era mai piaciuto dover cambiare spesso aspetto per non farsi riconoscere, non si era mai trovato a proprio agio con nessun altro corpo che non fosse il proprio, e ritrovarlo ogni volta era una gioia non indifferente. Merlin, al contrario, forse per gli anni di esperienza in più, sembrava non essere mai in difficoltà, e per questo era colui che più spesso dei due si “travestiva” per permettere all’altro di cambiare di meno senza destare sospetti.
Arthur terminò di mettersi addosso le cose che il marito aveva portato e iniziò a sistemare in giro, togliendo i giornali e i libri, e posizionando le candele che aveva comprato qualche giorno prima dove dovevano stare. Mise su un po’ di musica e abbassò la luce, poi si morse le labbra e si guardò intorno. Rimise a posto i cuscini del divano e aprì bene le tende dalla finestra. Sembrava tutto in ordine. Udì i passi di Merlin sulle scale e quindi si concentrò.
-Come si faceva…? Ah, sì, ehm… Baern!
Tutte le candele si accesero e Arthur sorrise soddisfatto. Quelle lezioni di magia che aveva preso per il loro centocinquantesimo anniversario ogni tanto tornavano utili.
Il biondo prese in fretta lo spumante che aveva tenuto appositamente e riuscì a prendere due calici sottili, prima di udire la voce del marito.
-Allora, Arthur…
Un giovane ed esile uomo apparve sulla soglia. Il suo abito lungo e leggero faceva intravedere chiaramente la pelle sottostante.
-Ti piace quello che vedi?
Arthur gli sorrise.
-Merlin, mi piace sempre quello che vedo se è il mio meraviglioso marito.
Il moro arrossì. Erano passati secoli, eppure ancora non riusciva a non compiacersi e stupirsi dei complimenti dell’altro.
Gli si avvicinò e il biondo gli tese un calice di spumante per poi permettergli di accoccolarsi tra le sue braccia.
Arthur mormorò.
-A noi e al nostro fiorente popolo, amore mio.
Merlin sorrise.
-A noi e al nostro fiorente popolo.
Fecero tintinnare tra di loro i bicchieri e presero un sorso, poi il mago posò la testa sulla spalla dell’altro, inspirando a fondo. Arthur gli diede un bacio leggero e alzò lo sguardo, osservando fuori dalla finestra, oltre il loro orto, oltre il recinto di casa.
I prati si allungavano fino alle soglie della città, che era diventata negli anni sempre più grande. Dove c’erano le sue ultime case un tempo c’erano le torri dei Lamont. Ad Arthur quasi sembrava di poterle ancora vedere, appena costruite sotto suo ordine, alte sopra gli alberi della foresta, con Michael che parlava con la sentinella di lì per trasportare messaggi tra loro e i nomadi.
Il cuore del re si strinse.
Quanti anni erano passati, quanti… Non riusciva neanche più bene a visualizzare i visi di quelle persone, ormai, eppure le aveva tanto amate ed erano divenute la sua famiglia. Se le avesse incontrate di nuovo per strada, tuttavia, le avrebbe riconosciute immediatamente. Non avrebbe potuto confondere lo sguardo pensoso di Frederick o quello brillante di Elisa, il sorriso sognante di Donald o il ghigno di Delilah, i passi precisi e militari di Theodora o quelli più pesanti e disordinati di Nicholas, i movimenti lenti e calcolati di Judith, né la linea del naso di Jacob, o le lunghe ciglia di Betty, il modo aggressivo di guardarsi intorno di Greta, le spalle incurvate dal senso di colpa di Henry, il calore materno di Edith, quello paterno di Edward.
Aveva passato con molti di loro addirittura più tempo di quanto avesse vissuto a Camelot. Gli erano entrati fin dentro le ossa, come pezzi inseparabili dal suo essere. Erano stati tutto per lui.
Edward era stato il primo ad andarsene, mentre loro non c’erano. Il senso di colpa di non aver potuto evitare quella perdita ancora perseguitava l’animo di Arthur. Poi era stato il turno di Edith, anni dopo. Garnette era ormai adulta e si era sposata con un uomo degli O’Neill. Si era trasferita in quella zona della foresta, portandosi dietro un libretto che Edith aveva scritto e confezionato con grande cura, con dentro qualunque consiglio per nuove spose e madri che la donna avesse imparato negli anni. Arthur e Merlin erano stati con lei, mentre la figlia si allontanava con quello che era appena divenuto suo marito, e il re si ricordava bene le sue parole.
Sono stata con Edward finché ho potuto, l’ho salutato quando ci ha lasciati, ho seguito tutti e tre i nostri figli finché ognuno di loro non ha iniziato una vita propria. Ho fatto tutto quello che dovevo fare. Ho finito.
Aveva detto così e né Arthur né Merlin avevano capito cosa intendeva. Quando la mattina successiva Edith non si era più svegliata fu davvero difficile accettarlo. Il capo e lo sciamano piansero persino l’anima nell’intimità della loro camera e diedero un lungo discorso per l’accensione della pira funebre.
In seguito, tutti gli altri avevano lasciato questo mondo in maniera troppo rapida. Greta morì solo un anno dopo rispetto a Edith, poi Henry, che si era ammalato e che non era mai riuscito ad accettare di aver avuto un ruolo tanto fondamentale per le cose che erano accadute anni prima della fondazione di Albion, poi Charles.
La morte più difficile di tutte era stata, tuttavia, quella di Frederick. Arthur e Merlin si erano ritirati da molti anni quando avvenne e fu difficile riuscire ad assistere ai suoi ultimi momenti senza essere visti. La giovanissima guardia che avevano incontrato così tanto tempo prima era diventato non solo un capo eccezionale, ma anche un marito e un padre molto amato. Frederick era sempre stato un po’ come un fratello minore o un figlio per Arthur e per Merlin, qualcuno da lasciare indietro quando loro se ne sarebbero andati, una persona cui avrebbero affidato volentieri quello che avevano costruito. In realtà, era accaduto l’opposto. Nessuno dei due sapeva se fossero stati più loro a consolare i figli di Frederick o il contrario, ma in seguito rimasero più a lungo in città per aiutare Elisa, la quale sarebbe deceduta molto tempo dopo. Entrambi avevano salutato il loro capo e il loro sciamano con un sorriso sulle labbra.
L’ultima era stata Lenore. Abbigliata come la regina che era, tra morbide lenzuola, i suoi capelli grigi sparpagliati sul cuscino soffice e le rughe profonde del suo volto piegate in un sorriso luminoso, stesa nel letto dove, anni prima, avevano visto anche Delilah abbandonarli. Sembrava davvero una fata. Il dolore era stato forte, primitivo; Arthur aveva smesso da tempo di vergognarsi del pianto incessante che aveva accompagnato le ore successive a quell’addio. L’intera tribù dei Donald aveva portato il lutto a lungo, ma il biondo pensava che lui e Merlin lo avessero fatto per ancora più tempo.
Lo portavano ancora, in realtà.
Eppure c’era qualcosa che ogni tanto mitigava quel dolore sordo e insistente che si trascinavano dietro da sempre. Quando viaggiavano per Albion o entravano nella sua grande capitale, quando parlavano con le persone, pareva a entrambi di sentire come dei sussurri dalla profondità di quelle terre. Quei mormorii coprivano ogni edificio, vibravano tra le foglie di ogni pianta, scendevano fino nelle profondità e nelle radici di ogni cosa si ergesse in quelle zone. Forse le ossa e le ceneri dei loro amici erano scomparse da tanti anni, ma era come se fossero ancora lì e le immagini che apparivano loro li ritraeva tutti come li avevano conosciuti, giovani e in salute, con lo sguardo brillante e il sorriso di chi non ha ancora terminato il proprio lavoro, di chi ancora non è stanco.
Sembrava di rivederli, non solo nelle statue, nei ritratti e nelle foto, ma in ogni forma di Albion, vivi e vibranti, con quella forza che mai li aveva abbandonati.
La loro vita non si era fermata con la loro esistenza terrena, non perché ci fosse qualcosa dopo la morte, ma perché la loro impronta era rimasta: tutti gli abitanti di Albion erano, in fondo, figli loro, dal primo all’ultimo.
E forse Arthur e Merlin sarebbero usciti definitivamente dalla comoda casa che si erano costruiti, svolgendo il loro compito di nuovo, ma coloro che li avevano accompagnati non se n’erano mai andati.
Erano rimasti lì, non immutabili, ma vivi, e cambiavano, nel bene e nel male, con tutti gli abitanti di Albion, cui avevano lasciato in eredità tutto ciò che possedevano.
Arthur strinse Merlin a sé e percepì il metallo freddo dell’anello del moro sulla pelle, vide il cristallo che un tempo era sulla sua cintura brillare alla luce delle candele.
Per quanto riguardava loro, tutto ciò che desideravano davvero era lì, ogni mattina e ogni sera, in ogni forma che un essere umano potesse avere, e con l’altro avrebbero vissuto volentieri ogni nuovo ciclo, ogni nuova quotidianità e ogni nuova avventura.
Finché non ci sarebbe stato bisogno di loro ancora una volta.

Note di Elfin
Prima di dire qualsiasi cosa, scusate il ritardo, sono imperdonabile >.<
Questo era il capitolo più lungo in assoluto e contate che l'ho anche tagliato XD La povera Jace è stata fatta fuori, per esempio, così come anche un'artista di strada di cui ancora non avevo deciso il nome :P Anche la storia di Dorothea, sorella di Winfred e figlia di Donald e Delilah, è stata totalmente saltata, poverina :/ Comunque ho lasciato l'accenno alla sua esistenza per farvi sapere che alla fine i nostri due sovrani ce l'hanno fatta XD
Comunque, capite bene che in realtà questo epilogo è saltabile, ma mi piaceva molto l'idea di terminare con uno sbalzo in avanti, come nella serie (ma uno sbalzo con risultati assai più felici XD).
Ora, con questo confermo una delle coppie che più adoro in tutta la storia, ossia Winfred e Lenore <3 Nella ff non si incontrano letteralmente mai, ma vi assicuro che sono stupendi insieme *^* Inoltre confermo che la famosa pistola che Frederick diede a Elisa non è stata mai usata, quindi tutto a posto XD
È rimasto un grande mistero, ossia il vero nome di Bea, ahahahah. Ho accennato a qualcuno di voi che non è Beatrice o qualcosa del genere. Vi dirò che non ho mai avuto intenzione di rivelarvelo, ahahah, perdonatemi. Però l'ho scelto, nei miei appunti c'è. Se qualcuno di voi, vedendo i nomi che ho dato agli altri personaggi, vuole azzardare, sarò ben felice di leggere le vostre ipotesi :)
Inoltre, per finire, vi annuncio che c'è un segreto. C'è una cosa che nessun personaggio nella storia sa e che quindi non viene mai detta, ma che io ho deciso e di cui ho sparso diversi indizi in vari capitoli. Mi sono tenuta dentro questa cosa fino a questo momento ed è stato difficilissimo. Ora, non vi dico nulla, ma se qualcuno avesse qualche teoria pazza che ha fatto durante la ff e volesse rivelarmela sperando sia il segreto, sono pronta ad ascoltare. Dubito seriamente perché anche secondo me è impossibile capire di che diamine sto parlando, bisognerebbe avere una fantasia davvero fervida, ma non si sa mai e se qualcuno mai rileggerà questa storia potrebbe provare a scoprire a cosa mi sto riferendo. Vi dico solo che riguarda un OC, quindi né Arthur, né Merlin, né Aithusa, né nessun'altra comparsa dalla serie :)
Per finire, vi ringrazio nuovamente per essere arrivati fin qui. È stato un viaggio straordinario e ho amato farlo con voi <3
Spero di rivedervi presto nelle mie prossime ff :3
Kiss

 

   
 
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