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Autore: Avion946    05/06/2021    0 recensioni
Paolo Carlisi, un giovane reporter di guerra, profondamente segnato da una sconvolgente esperienza avuta durante un pericoloso, recente episodio del suo lavoro, decide di cercare di dimenticare il passato e di recuperare la sua serenità interiore effettuando un lungo viaggio turistico lungo il percorso della mitica ‘66’, la Mother Road. Sarà invece un percorso che, attraverso la conoscenza di persone ‘speciali’ e di paesaggi incredibili e misteriosi, lo porterà ad acquistare una diversa visione della realtà che lo circonda e della sua vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 XIII° Giorno
Si svegliò diverso, pur essendo sempre lo stesso. Ebbe ricordi parziali di cosa fosse successo la notte precedente e si rese conto di aver accettato senza riserve la realtà dei suoi ospiti, decidendo di partecipare ai loro rituali. Cosa sarebbe accaduto ora? Uscì dalla tenda in cerca di cibo e acqua. Stavolta nessuno gli rivolse la parola e nessuno rispose alle sue domande. Pensò di aver combinato qualche guaio e stava per tornare alla sua tenda quando si sentì chiamare con il suo nome indiano. Lo sciamano era in piedi, accanto ad una tenda e, quando il ragazzo lo raggiunse, gli diede una focaccia ed una tazza d’acqua. Gli disse che fino alla sera non avrebbe ricevuto altro. Poi gli spiegò che da quel momento, a parte lui, nessuno gli avrebbe rivolto più la parola perché adesso lui, per il viaggio che aveva intrapreso, stava muovendosi su un piano diverso e non poteva essere contattato per nessun motivo, se non da un uomo di medicina, come lui. Sarebbe come se lo contaminassero, costringendolo a tornare in contatto con il mondo normale. Poi il vecchio gli disse di ritornare in tenda e riposare il più possibile, perché da quella sera stessa, sarebbe iniziata una dura prova che gli avrebbe consentito di procedere verso la fase finale del suo percorso. Di solito i candidati avevano molto tempo per prepararsi ma nel suo caso e vista la situazione, disse che avrebbero potuto sperare che lui fosse in grado di accelerare i tempi. Paolo prese il  cibo e tornò alla  tenda. Dopo che ebbe mangiato si distese per cercare di dormire ancora un po’. Fu svegliato quando il sole aveva già cominciato a calare. Affacciatosi alla porta della sua tenda, vide che nel campo c’era una certa animazione. Molti uomini stavano portando verso un lato del bosco, non in vista, delle fascine. Paolo per un attimo pensò, più per scherzo che per altro, che forse se lo volevano mangiare, ma poi si rassicurò pensando che non risultava in nessun modo che gli indiani d’America fossero antropofagi. Bevve gli ultimi sorsi d’acqua che si era prudentemente lasciato e rimase in attesa degli eventi seduto fuori dalla sua tenda. Poco dopo venne raggiunto dallo sciamano che gli portò una coperta e degli strani calzoni corti in pelle. Gli disse di spogliarsi completamente e di indossare solo quelli. Poi gli fece coprire le spalle con la coperta e lo condusse ai margini del bosco, dove il ragazzo aveva precedentemente visto affaccendarsi molte persone. Arrivarono davanti ad una tenda che era rimasta nascosta dai cespugli. Aveva una foggia strana in quanto, a differenza delle altre presenti nel campo, questa aveva la forma di una cupola ed era ricoperta da pelli di bisonte chiaro. Accanto alla tenda, su un fuoco tenuto ben vivo da un uomo anziano, erano state messe ad arroventarsi, delle grosse pietre piatte e poco discosti c’erano, apparentemente in attesa, dieci uomini, abbigliati esattamente come lui. Paolo capì immediatamente di cosa si trattava e cosa lo attendeva. Si trattava della cerimonia della ‘capanna sudatoria’. “Questa so cos’è – disse il ragazzo – e so anche che è un onore ed un grosso privilegio parteciparvi”. Lo sciamano gli pose una mano sulla spalla e con voce seria e profonda gli disse : “Sono contento che tu sappia cosa ti attende. Questa è una cerimonia di purificazione necessaria per il tuo percorso, che sottintende anche una condizione di rinascita. E’ un’occasione che ci viene concessa per riconnetterci con la Madre Terra e con tutto l’universo. Questo porta a far emergere la vera natura degli individui ed avviarli verso la guarigione. Le condizioni estreme all’interno della tenda, consentono ai partecipanti di liberarsi dalle energie più pesanti, dando quindi loro l’impressione di rinascere. A volte si manifestano fenomeni di regressione, cosa che aiuta ad individuare la situazione da guarire e possibilmente da curare per trovare una nuova via. Tu lasciati andare come durante la cerimonia di ieri sera, durante la quale hai consolidato e rafforzato la tua unione con il tuo animale totem. Succederà quello che deve succedere. Le preghiere, i canti e la presenza degli spiriti renderanno possibile quello che deve accadere. Se per qualche motivo dovessi voler uscire, me lo dirai immediatamente ed io ti farò uscire. Ma – aggiunse con un tono triste – sarebbe un vero peccato”. Poi fece un cenno all’uomo che curava il fuoco e le pietre, e questi rispose a sua volta con un cenno affermativo del capo. Allora lo sciamano alzò le braccia e disse qualcosa nella sua lingua. Subito gli uomini si misero in fila e fecero mettere il ragazzo all’ultimo posto. Poi uno alla volta, dopo aver lasciato cadere a terra la coperta, iniziarono ad entrare. La porta era stata realizzata volutamente di piccole dimensioni, perché, entrando, i partecipanti si sarebbero dovuti profondamente inchinare, mostrando la propria devozione nei confronti del rito e di ciò che rappresentava. Quando fu il turno di Paolo di entrare, vide che gli uomini procedendo in senso antiorario si erano seduti in circolo. Sotto di loro, per sedersi era stato disposto uno spesso strato di foglie di salvia argentata. Lo sciamano entrò subito dopo di lui gli si sedette accanto. Due uomini, aiutandosi con dei supporti realizzati con corna di cervo, cominciarono a portare all’interno della tenda le pietre arroventate che furono poste in una apposita buca scavata al centro. Lo sciamano spiegò al giovane che le pietre sarebbero state sette, perché questo era ritenuto un numero importante, che in questo caso indicava le direzioni. I quattro punti cardinali, più il cielo e la terra e infine la più importante, quella dello spirito. Quando le pietre furono collocate al loro posto, le tenda venne chiusa e lo sciamano prese dell’acqua da un recipiente dietro di lui con l’ausilio di una ciotola e la gettò sulle pietre, dalle quali si sprigionarono subito dense nuvole di vapore. Ripetè l’operazione altre due volte. La temperatura all’interno della tenda si alzò e, nel giro di pochi minuti, tutti gli uomini erano coperti da un velo di sudore. La cerimonia ora entrava nel vivo. Dopo che lo sciamano ebbe pronunciato alcune parole, i partecipanti al rito iniziarono a recitare uno alla volta ciò che sembravano preghiere o quanto meno invocazioni. All’inizio il calore  prese il ragazzo alla gola. Era fradicio per il sudore. Poi, man mano  il corpo sembrò adattarsi alle nuove condizioni e cominciò ad accettare più serenamente ciò che accadeva attorno a lui. Si sentì partecipe di quelle invocazioni, di quei canti, di cui non capiva il significato ma dei quali era sempre più sicuro di percepire il senso. Nel buio quasi totale, con i fumi del vapore che ancora si innalzavano dalle pietre, con l’odore penetrante della salvia, credette di vedere delle immagini, dapprima piuttosto confuse, poi sempre più chiare. Volti, luoghi, oggetti, alcuni familiari, altri sconosciuti. Perse la cognizione del tempo finchè la porta della tenda venne aperta. Subito un flusso d’aria fresca lo colpì ma invece di dargli refrigerio, gli procurò un senso di fastidio. Due uomini, rapidamente, introdussero nella tenda altre sette pietre roventi e subito richiusero  la porta. Di nuovo lo sciamano le irrorò d’acqua generando altre dense nuvole di vapore che provocarono un ulteriore aumento della temperatura. Le voci che intonavano le invocazioni, ora recitavano le parole all’unisono e il ragazzo si sentì parte di un insieme, come se in quel luogo ora ci fosse una sola entità, una sola persona, in una fusione totale con la terra e con gli spiriti. Paolo, all’improvviso sentì montargli un senso di oppressione quasi intollerabile, un dolore profondo che gli premeva il petto e percepì che era il dolore di tutti, le angosce di tutti che si rivelavano, fino a che non sentì delle voci che urlavano per la paura, per la rabbia, per il dolore. Ebbe delle rapide immagini, vide se’ stesso bambino, sua madre, ed il dolore fu tremendo. Sentì qualcuno che piangeva senza ritegno e poi si accorse di essere lui stesso a piangere. Finchè tutto, di colpo, sembrò cessare. Il dolore era ora passato. Ciò che lo aveva generato, era ora lontano e quel che contava era il nuovo legame ristabilito con la madre terra. Fu aperta di nuovo la tenda e di nuovo furono inserite altre sette pietre. Ora il calore era intensissimo. Aveva l’impressione di respirare il fuoco ma non gli dava nessun fastidio. Provava una bellissima sensazione di condivisione con i presenti. Probabilmente il suo corpo si era adattato alle nuove estreme condizioni e non gli trasmetteva più sensazioni di disagio o di pericolo. Stava bene, era calmo, sereno come da un pezzo non si era più sentito. Era contento di trovarsi lì. Sentiva che era il posto giusto. Tutto il suo viaggio era stata una cosa giusta. Poi all’improvviso, la tenda fu riaperta e il ragazzo si rese conto che era finita.
                                                                                 XIV° Giorno
Dall’apertura entrò la luce dell’alba. Durante il rito aveva perso completamente la nozione del tempo. La cerimonia era durata  tutta la notte. Il guardiano del fuoco questa volta introdusse la ‘sacra pipa’ per l’atto cerimoniale che avrebbe messo il suggello a quel rito. La pipa era stata caricata secondo il procedimento previsto per l’occasione ed era stata già accesa. Lo sciamano, tenendola sollevata con entrambe le braccia, recitò una invocazione, quindi, portatala alla bocca , diede due tirate e la passò all’uomo alla sua destra. E così fecero tutti. Paolo la ricevette per ultimo e poi la diede di nuovo  allo sciamano. Ora il rituale era veramente finito. Lo sciamano si alzò in piedi ed uscì per primo, seguito da tutti gli altri nello stesso ordine in cui erano entrati. Mentre  uscivano, Paolo notò che tutti gli sorridevano e gli facevano gesti amichevoli. Si alzò malvolentieri. Quella prova estrema che l’avrebbe dovuto spaventare, fiaccare, in realtà l’aveva irretito, affascinato , gli aveva trasmesso sensazioni che non aveva mai provato. Quando uscì, gli altri erano già andati tutti via. Solo il vecchio sciamano lo aspettava. Gli rimise la coperta sulle spalle e gli diede una bottiglia di acqua da bere. Lo lodò perchè si era comportato bene ed infine gli chiese cosa avesse provato e, sentendo le sue risposte, sembrò molto soddisfatto. Con atteggiamento molto serio gli spiegò : “La cerimonia a cui hai partecipato è un rito di purificazione e guarigione molto potente. Il senso di liberazione che hai percepito lo dimostra. Ma il problema, per te, è che la morte ti è passata troppo vicina e dentro di te c’è ancora un demone. Ora ti senti decisamente meglio, ma il problema rimane. Lascio decidere a te, a questo punto, se vuoi lasciare le cose come stanno o se te la senti di continuare”.”Quello che abbiamo fatto stasera  non ha quindi un effetto permanente. La sensazione che provo ora, svanirà nel tempo – replicò il giovane con un senso di delusione.”Naturalmente. Ma nulla ha un effetto permanente nella vita. Ricorda che per noi l’esistenza è un cammino e quindi nulla è immobile. Non ti posso garantire che  starai sempre bene specialmente perché non so cosa ti riservi il destino. Se dovessi di nuovo vivere eventi tragici, ne soffriresti ancora. Ma una condizione di partenza più stabile, ti farebbe soffrire di meno. E, se deciderai di proseguire nel tuo cammino, apprenderai delle procedure con le quali aiutarti in modo estremamente  efficace, per sempre”.”Ormai sono arrivato fino a questo punto e sarebbe stupido se mi fermassi proprio ora. E poi sono curioso. Decidendo di proseguire il mio cammino, cosa mi aspetterà ancora?”.”Mi hai detto che Will ti ha spiegato cosa succede all’anima di una persona che subisce un tremendo trauma”.”Si, mi ha detto che l’anima ferita si separa  e lascia un vuoto”.”Beh, si, per sommi capi. E ti ha convinto la cosa?”.”Per quanto sembri strano, da quando sono qui e vivo queste esperienze, sono incline a credere che tutto quello che mi ha raccontato sia quanto meno attendibile”.”Bene allora. Il passo successivo nel tuo tragitto prevede una cerimonia che si chiama nella nostra lingua ‘chidi naat’a nì’, che nella tua lingua viene tradotto come ‘caccia all’anima’. Questa volta, però è importante che io ti spieghi con esattezza cosa andremo a fare, perché anche se sarai accompagnato da me e da altri, sarai il solo vero protagonista degli eventi. E sarà importante che tu capisca i meccanismi su cui si basano i vari passi della procedura. Io potrei limitarmi a farti seguire  passivamente i vari momenti del rituale ma, conoscendo la tua natura, ti voglio invece  spiegare come, molti dei concetti relativi alla mia cultura, in realtà si ritrovino anche nella tua, naturalmente in modo totalmente differente”. E così, mentre lo accompagnava verso la sua tenda, il vecchio parlò a lungo al ragazzo che lo ascoltava sempre più attento, sorpreso per la preparazione che lo sciamano mostrava nell’affrontare dei temi della moderna psicologia e adattandoli per far comprendere il funzionamento delle pratiche sciamaniche. Era sorprendente come la scienza avesse fatto tanta strada per affrontare le cose nello stesso modo in cui erano state affrontate tanti, tanti anni prima da popoli ritenuti a torto selvaggi. Solo che poi la medicina ufficiale aveva ripiegato per i rimedi, sui farmaci, mentre i cosiddetti selvaggi avevano preferito andare alla radice del male, pur se questo avrebbe richiesto tempi di guarigione più lunghi. Alla fine il vecchio lasciò Paolo davanti alla sua tenda, augurandogli un buon sonno e dandogli appuntamento per quella sera. Quando entrò, trovò ad attenderlo due donne molto anziane accanto ad una tinozza piena d’acqua che gli fecero cenno di avvicinarsi. Paolo, che si sentiva totalmente esausto, decise di accettare tutto quello che era previsto per lui e lasciò perciò che le donne lo spogliassero e lo facessero entrare nella tinozza, cominciarono a frizionargli la pelle delicatamente con dei sacchetti di pelle imbottiti. L’acqua era tiepida e profumata con qualche erba di cui si percepiva il delicato aroma. Non si era mai sentito così. Le due donne, anche se dalle loro espressioni sembravano due sfingi, erano invece molto abili e svolgevano il loro lavoro con grande efficienza e delicatezza. Il ragazzo ebbe l’impressione di essere consolato, coccolato. Sentì ad un certo punto che delle forti emozioni, che ancora erano rimaste celate, si stavano liberando e l’effetto fu talmente potente che gli si empirono gli occhi di lacrime e pianse come un bambino, senza nessuna vergogna. Poi fu fatto alzare, fu asciugato e rivestito di una lunga tunica di lino. Una delle donne gli porse da mangiare una sorta di pagnottina di cereali che aveva un gradito sapore dolce. Poi l’altra gli porse una ciotola  di tisana molto speziata. Paolo bevve tutto il liquido, consapevole di dover reintegrare i liquidi perduti durante il rituale. Poi fu aiutato a distendersi e, quasi senza che se ne rendesse conto, si addormentò cadendo in un sonno profondo e senza sogni. Si svegliò al tramonto e piano piano riacquisì la cognizione del mondo che lo circondava, rendendosi conto che le esperienze che stava vivendo lo stavano in qualche modo cambiando. Infatti cominciava a distinguere di nuovo nettamente che le cose non erano solo o tutte bianche o tutte nere, come aveva le aveva viste negli ultimi tempi. Ora riusciva a cogliere altre sfumature ed anche le forme sembravano più complete, profonde. Era questo che distingueva le persone che vivevano nella natura, da quelle che invece si erano fatte conquistare dalla vita frenetica, legata al  progresso? Si rese conto anche che uscendo dalla tenda sudatoria aveva ricominciato a percepire i pensieri di chi gli stava attorno, come una volta, prima dell’incidente che lo aveva sconvolto. Uscì dalla tenda e, con sorpresa, si accorse che le due donne erano sedute accanto alla porta, come se lo stessero aspettando. Appena lo videro, si alzarono e lo presero sottobraccio, una per lato. Lo condussero fino ad una sorta di fontanile e sempre senza proferire parola, gli lavarono le mani ed il viso, come ai bambini. A Paolo passò per la testa l’idea preoccupante che, forse, la cerimonia lo avesse legato in qualche modo alle due donne. Certo non mogli, sarebbe stato assurdo, vista la differenza d’età, ma forse loro lo avevano in qualche modo adottato. Avrebbe dovuto chiedere spiegazioni allo sciamano. Fu fatto accomodare su una panca e, mentre una delle sue custodi si era seduta accanto a lui, l’altra, dopo essersi allontanata, tornò presto recando un piatto con dentro una razione abbondante di un pasticcio di carne molto speziato, del mais e delle verdure cotte e invitandolo a gesti a mangiare. L’altra, a quel punto si alzò a sua volta per prendergli una brocca con dell’acqua. Qualunque ruolo ricoprissero quelle due, in quel momento, di certo dovevano aver preso il loro compito veramente sul serio. Il ragazzo consumò con calma il suo abbondante pasto guardandosi attorno con curiosità. La vita nel villaggio sembrava proseguire normalmente, a parte il fatto che non c’era nessun cerchio di persone attorno al fuoco. I rari passanti, si inchinavano e  salutavano con un cenno del capo sia lui che le sue aiutanti che forse  ricoprivano un ruolo importante all’interno della comunità. D’altronde, sia Will che lo sciamano, gli avevano detto che le donne, all’interno della tribù, potevano avere molta voce in capitolo su vari argomenti. Quando ebbe finito di mangiare, venne raggiunto dallo sciamano che gli fece cenno di seguirlo e si avviò verso i bordi del campo.  Alla debole luce della luna che stava salendo nel cielo, attraversarono la boscaglia e si ritrovarono nello stesso posto dove si erano incontrati due giorni prima. La luce lunare illuminava sia la piccola terrazza naturale su cui si trovavano, sia  lo sterminato paesaggio circostante, in una atmosfera insolita e misteriosa. Si vedeva brillare il suo riflesso lungo il tragitto del West Cache Creek, ai piedi della montagna, per perdersi poi in lontananza. “E’ meraviglioso anche di notte – disse Paolo fortemente attratto da quel fantastico scenario. “Te l’ ho detto che è un posto magico – rispose il vecchio.”Resterei qui per sempre. Ci sono delle persone che dimorano qui in permanenza?”.”No. Ognuno di noi visita questo posto e ci si trattiene per un breve periodo ma nessuno ci vive. Dobbiamo vivere della nostra vita di tutti i giorni, sapendo però che posti come questo esistono e ci possono aiutare. Tutti quelli che hai conosciuto qui, hanno un’attività nel mondo reale. Sono meccanici, medici, commercianti, avvocati, artigiani. Io stesso ho un’attività nel campo dei pellami e, anche se non ci crederai, sono costretto a misurarmi di continuo con i conti e con le tasse e sono semplicemente Kotori Sebastian Diaz. Ma qui, io torno ad essere Jooniha Sizinigihi, Sole Splendente, sciamano anziano della tribù degli Hopi del Lantonka Lake e, se e quando posso, faccio la differenza e aiuto gli altri”. Il ragazzo rimase alquanto sorpreso da quelle rivelazioni personali ma si rese conto che il vecchio aveva ragione. Era con il mondo reale che bisognava misurarsi, giorno per giorno e non era possibile né giusto rifugiarsi in mondi alternativi, illusori. Stava bene in quel posto e la vicinanza del suo compagno era distensiva e confortante. Si rese conto, però, che era importante parlare con lui, per avere tutte quelle risposte di cui aveva bisogno per capire, per risolvere veramente il suo problema. E d’altronde era evidente che lo sciamano era lì proprio per quello, ma attendeva che il ragazzo fosse pronto ad aprirgli il suo cuore. “Bene – disse Paolo, fattosi coraggio – Hai detto che tutto ciò che abbiamo fatto finora è stato importante, ma che non avrebbe risolto i miei problemi. Mi hai parlato del rito del ‘chidi naat’a ni’ o della caccia all’anima. Pensi che io sia pronto ad affrontarlo?”.”Non è questione di essere pronti o meno. L’importante è sapere se tu hai accettato ciò che ti ho spiegato sul mondo dello sciamanesimo, di cui ti ho parlato poche ore fa - Il vecchio si riferiva al lungo colloquio,  avuto con il ragazzo, mentre lo riaccompagnava alla tenda, alla fine della cerimonia della capanna sudativa – Mi rendo conto che non hai avuto molto tempo a disposizione per ragionare su quanto ti ho detto, a proposito dei viaggi sciamanici nei mondi alternativi, dove quasi tutto è possibile”.”Invece ho ragionato molto su quanto mi hai spiegato e sui legami che il tuo mondo ha con il subconscio delle persone, con il loro ‘io’ profondo. Io ci credo, ci voglio credere, perché quello di cui mi hai parlato appare semplice, ma terribile allo stesso tempo. Può essere la nostra salvezza se ben usato ma anche la nostra rovina se usato a sproposito o se lasciato e sé stesso. Io voglio sapere, voglio imparare!”. Paolo si rese conto di aver alzato la voce nel suo impeto e si augurò che l’altro non l’avesse presa come un’offesa ma questi, con il suo solito sorriso rispose: “Bene, questo è quello che volevo sentire. Il passo successivo, quindi, lo possiamo fare domani sera. Ma ora, se te la senti, faremo una sorta di prova importante, anche perché, per la caccia vera e propria, avrai bisogno di alleati, di amici importanti che combattano al tuo fianco ed ora quindi è importante che li andiamo a cercare”.”Bene – rispose deciso il ragazzo – Cominciamo, allora. Che devo fare?”. Vienimi vicino a me e sdraiati a terra. Il ragazzo si sdraiò accanto al vecchio, seduto su una delle poche zone d’erba della terrazza su cui si trovavano. La luna era piena e luminosa e Paolo credette di percepire l’effetto della sua luce, come se fosse una carezza. Il vecchio era appoggiato con la schiena ad una roccia. Gli prese una mano e gli raccomandò di non lasciarla mai, fino alla fine del rituale che avrebbero affrontato quella sera. La stretta era salda e forte. Poi lo sciamano, entrato nel suo ruolo, iniziò a guidare il ragazzo nella sua dimensione. Lo condusse nel di ‘mondo di mezzo’, ossia una zona fra il mondo reale e quello immateriale in cui  gli sciamani operano, dove sarebbe avvenuto il  viaggio. Questo posto apparve a Paolo come una strettissima valle erbosa e ricca di alberi, sotto un cielo terso e privo di nuvole, con alcuni tepee su un lato. Al centro della valle, scorreva un impetuoso torrente di acqua limpidissima, facilmente guadabile. Sull’altro lato, iniziava una folta foresta di alberi, alti e verdi. Quasi una barriera,  come per proteggere quel piccolo ambiente dal resto del mondo. Invitato dal vecchio, Paolo che appariva in quello scenario, in piedi, di fronte alle tende con a fianco il suo accompagnatore, osservava con molta attenzione tutto ciò che lo circondava e su indicazione dell’altro, per rendere più reale la sua suggestione, strappò dei fili d’erba dal terreno, percependone il contatto e l’odore, infine mise una mano nell’acqua freddissima del torrente. Ora, era il momento. A Paolo, per la sua caccia, servivano degli alleati ed era giunto il tempo di chiamarli a sè. “Per combattere il tuo nemico ti serve la forza – disse il vecchio- Evocala!”. Il ragazzo non sapeva esattamente cosa fare, ma si concentrò sul concetto della forza e dopo un poco dalla foresta venne verso di loro un grosso orso, bruno, di dimensioni impressionanti. Era giunto alla riva opposta del torrente e li, si era fermato, sollevandosi sulle zampe posteriori e rimanendo come in attesa, mostrando una statura  non inferiore ai due metri e mezzo. “Ora – continuò lo sciamano – ti serve il coraggio. Evocalo!”. Stavolta dal folto degli alberi, con grande sorpresa del ragazzo, venne fuori un enorme leone di montagna. Anche lui si fermò sulla riva opposta del torrente, accanto all’orso. Per la perseveranza, si materializzò un grosso alce. Lo sciamano chiese al ragazzo se era disposto ad accettarli come alleati e alla sua risposta positiva , fece un cenno, e gli animali attraversarono il corso d’acqua, fermandosi a brevissima distanza da Paolo. Malgrado la loro mole e la loro fama, il ragazzo non aveva paura alcuna e, quando il vecchio lo invitò a terminare il rituale, egli mise una mano sul capo degli animali i quali accettarono il patto e ad uno, ad uno, si fusero con lui. A quel punto, lo sciamano riportò il ragazzo nel mondo reale. Pochi minuti dopo Paolo, che si era presto ripreso da quella particolare esperienza, era pieno di domande. Il vecchio, con un cenno della mano lo prevenne e tranquillamente gli disse: “Ora le caratteristiche di quelle entità che hai evocato, ti appartengono. Potranno aiutarti in modo molto efficace nella dimensione sciamanica, come avverrà nel corso della caccia, ma se tu dovessi continuare a seguire questa strada, potranno aiutarti anche nella vita di tutti i giorni. Ma ora, procediamo un passo alla volta. Gli animali che hai scelto, se così si può dire indicano in qualche modo la tua visione delle cose. In altre parole la tua scelta dice molto di te, per chi sa interpretare questi segni. L’orso è forte ma è anche curioso. Il leone di montagna è coraggioso, feroce se serve, ma soprattutto è un attento stratega. Non si muove mai se prima non ha capito come sfruttare al meglio le sue capacità. L’alce, mi sorprende un po’. Intanto conferma che non sei una persona cattiva. Non sarebbe mai venuto in tal caso, anche se chiamato. Indica invece che sei consapevole di avere dei limiti ma, nel contempo, che sei disposto a superarli se ne hai una concreta possibilità. Bene, credo che con questi amici a fianco potremo lavorare. Ora sai cosa devi fare”. La luna era adesso piuttosto bassa sull’orizzonte, segno che tutto era durato parecchio tempo. Quando furono di nuovo accanto alla tenda, trovarono le sue due donne ad attenderli. Prima di congedarsi, il vecchio gli disse : “Sono certo, per come sono andate le cose fino ad ora, che nel corso del viaggio tu hai raccolto degli oggetti, in posti che per te hanno significato qualcosa. Oggetti che in qualche modo ti sono capitati nelle mani, per caso o anche perché in qualche particolare momento qualcuno te li ha dati. Raccoglili, e mettili tutti in questo sacchetto e domani portali con te”. Così dicendo gli mise in mano un sacchetto di pelle con un laccio per chiudere l’estremità. Gli chiese inoltre se sapeva andare a cavallo e avuta una risposta  positiva si girò e se ne andò. Paolo entrò nella tenda e si accorse che le due donne erano rimaste fuori. Seguendo le istruzioni del vecchio,  recuperò la sua sacca e, pescando sul fondo, ne estrasse un fazzoletto con le cocche annodate. Lo posò sul giaciglio e, alla luce della lampada, sciolse i nodi. Il suo istinto gli aveva suggerito in qualche modo di riunire quegli oggetti e di portarli sempre con sè. Era da un poco che non pensava più a loro. La piccola scultura in legno che gli aveva dato Will la sera precedente all’escursione del Grand Canyon. La collanina di pietre dure che gli aveva regalato l’addetto al negozio di souvenir dell’ Hermits Rest Station. La pietra a forma di moneta raccolta nella foresta pietrificata e quella bruciacchiata raccolta nella caverna sotto il Faro. Sembrava trascorso tanto tempo eppure si trattava solo di pochi giorni. Si chiese se il Paolo che era rimasto attratto da quel palo verniciato di bianco sul pontile di Santa Monica, avrebbe affrontato il viaggio sapendo cosa l’aspettava. Ma poi si domandò se quella esperienza, almeno per ciò che era accaduto finora, non lo avesse già in parte cambiato, se non l’avesse in qualche modo arricchito. L’aspetto che gradiva meno nel suo percorso, era quello  di essere un po’ troppo in balia degli altri. Ma si rendeva conto che in quel campo non aveva nulla da dire. Ne sapeva troppo poco ed anche ora, che pure aveva compiuto passi importanti, si rendeva conto che la strada da percorrere sarebbe potuta essere ancora lunga. Ma la sua decisione era stata presa. Voleva andare avanti e prendere tutto ciò che poteva da quella esperienza. Aveva capito che un’occasione del genere non gli sarebbe più capitata. Apprendere i rudimenti sciamanici da seguaci di questa filosofia e poi, nei luoghi che l’avevano vista svilupparsi nei secoli, per generazioni. Tenne quelle cose fra le mani e si rese conto che non erano oggetti qualunque. Ognuno di essi gli trasmetteva delle sensazioni particolari, come se avesse acquisito una diversa sensibilità. Le domande da rivolgere allo sciamano diventavano sempre di più. Mise le sue cose nella  borsa di pelle che gli era stato data e poi si sdraiò sul suo giaciglio. Prima di dormire, disteso, rilassato, provò a chiamare i suoi alleati ed essi si presentarono subito nella sua mente, pronti ad ascoltare ed eseguire i suoi ordini.
                                                                                      XV° Giorno
Si svegliò la mattina con il sole già alto. La pelle che chiudeva la sua tenda era stata scostata e un raggio di sole entrava ad illuminare l’interno. Una delle due donne era intenta a cucinare qualcosa sul focolare. L’altra stava finendo di cucire l’ orlo a una rozza tunica color beige. Quando si accorsero che si era svegliato, gli fecero capire a gesti che avrebbe dovuto lavarsi e poi rientrare nella tenda. Al ritorno, una gli porse una ciotola, con una sorta di farinata dolce, piuttosto gradevole e dell’ acqua da bere. L’altra finì il suo lavoro di cucito e gli fece indossare la tunica grezza su quella bianca che ancora portava. Poi gli cinse la vita con un laccio di pelle piuttosto spesso  che gli annodò sul davanti. L’altra donna, a quel punto, gli cinse la fronte con una fascia di lana rossa alta circa 6/7 cm e gliela annodò sulla nuca. Paolo ebbe l’impressione che lo stessero mascherando e, pur non volendo protestare, si augurò che non gli dipingessero la faccia perché non l’avrebbe sopportato. Invece, appena ebbero finito di prepararlo, arrivarono davanti alla tenda due uomini a cavallo che ne conducevano  un altro  sellato. I due pur essendo di età avanzata, come  del resto le due donne, esprimevano comunque forza, solidità e indossavano indumenti simili ai suoi. Gli fecero cenno di montare a cavallo e Paolo, senza esitazioni accettò di andare con loro. In silenzio e a passo lento, discesero la montagna e il giovane continuava a stupirsi che, scortato da due indiani Hopi, uno dei quali portava assicurato alla sua sella un esemplare di fucile Wincester,  come nei film che aveva veduto tante volte da bambino, stava cavalcando nella prateria. In passato, per la sua professione aveva vissuto ben altre avventure in luoghi somiglianti e aveva montato cavalli, cammelli, asini, un po’ di tutto, insomma, e per ciò che riguardava i suoi accompagnatori, non si era fatto mancare nulla.  Ma il fascino di quella passeggiata non aveva pari. Vuoi per il luogo particolare, vuoi per i suoi strani compagni di viaggio, vuoi anche solo perché da bambino, grazie al cinema, aveva in qualche modo mitizzato quelle situazioni. Una lunga cavalcata li aveva condotti alla base della montagna ed ora, a breve distanza si scorgeva la riva del West Cake Creek, che Paolo aveva ammirato solo dall’alto. Sulla destra, era chiaramente visibile una piccola mandria di bisonti, fermi a brucare l’erba, che non avevano dato segno di averli visti. Paolo rimase colpito dalle loro grosse dimensioni. Alcuni raggiungevano probabilmente i due metri d’altezza. Da dove si trovavano, si potevano distinguere facilmente. Ciò che colpiva era la sproporzione fra la parte anteriore, forte, sviluppata, folta di pelliccia e quella posteriore, di dimensioni più contenute e ingannevolmente più debole. Con gli indiani, in mezzo ai bufali! Che esperienza particolare! Seguendo i due accompagnatori, si avvicinò ai grossi animali i quali, ora che si erano accorti di loro, sollevarono la testa  pronti a fuggire. Visto che uno dei suoi accompagnatori si era portato un fucile, magari erano li per una battuta di caccia e allora si preparò per una sgradevolissima caccia che prevedeva l’abbattimento di uno di quegli splendidi animali. Invece, procedendo con molta lentezza e rivolgendo ai bisonti delle parole nella loro lingua, i due indiani superarono la piccola mandria e procedettero lungo la riva del fiume seguiti dal loro ‘protetto’. Giunti ad una stretta ansa del fiume, scesero da cavallo e si accamparono poco lontano. Uno degli indiani trasse da una grossa sacca di pelle, che si era portato, un involto che si rivelò per essere una rete da pesca, di forma circolare, larga circa tre metri. Dopo averla attentamente esaminata, forse per verificare che fosse integra, scese in acqua fino a mezza coscia e poi con la rete piegata in un modo particolare e poggiata su una spalla, rimase in attesa, immobile,  intento ad osservare l’acqua. L’altro indiano, intanto, aveva pulito una zona di terreno di forma circolare e, raccolte delle pietre, aveva realizzato una sorta di focolare. Poi era andato a cercare della legna per il fuoco. Fino a quel momento nessuno aveva rivolto al ragazzo la parola o il minimo segno di attenzione e lui, non sapendo cosa fare, si era limitato ad osservare. Quello che si era occupato del fuoco, intanto lo aveva acceso. Fece segno a Paolo di controllarlo e poi scese in acqua, a circa una ventina di metri dal suo compagno che gli indicò una zona sulla loro destra. Allora l’ultimo arrivato, battè l’acqua con le mani ed il primo, in un baleno, con movimenti precisi e velocissimi, lanciò la rete che si distese perfettamente in aria ricadendo subito in acqua. A quel punto l’uomo che aveva lanciato, tirò un laccio che aveva stretto nella mano e la rete si chiuse. Poi l’indiano tornò a riva, seguito dal suo compagno e tirò la rete in secca. Al suo interno si dibattevano cinque o sei grandi pesci di taglia piuttosto tra spigole e pesci sole. Il pescatore sembrò non essere contento della sua pescata e scambiò delle parole con il suo compagno. Questi, dopo averlo ascoltato gli indicò un punto più a destra di quello in cui si trovavano. Allora il ‘pescatore’ svuotò la rete e con il suo collega, si spostò nella nuova posizione, per ripetere la sequenza di poco prima. Questa volta, la pesca ebbe risultati migliori. I due continuarono così per almeno un’ora. Alla fine avevano pescato una sessantina di grossi pesci. Per conservarli avevano intrecciato con  foglie e rami, una sacca piuttosto robusta. Intanto era giunta l’ora del pranzo. Uno dei due indiani prese tre grossi pesci e poi fece segno a Paolo di osservare attentamente ciò che faceva. Con mano sicura, usando l’ affilato coltello con il manico di osso che portava alla cintura, aveva inciso un pesce, lo aveva eviscerato e poi con attenzione e abilità aveva tolto tutte le squame. Poi consegnò il coltello a Paolo e gli fece segno di continuare con gli altri due pesci. Il ragazzo, che non aveva mai fatto nulla del genere in vita sua, era piuttosto impacciato e lo mostrò nel tentativo di imitare l’indiano il quale ridendo, gli diede una pacca sulla spalla e si allontanò per cercare degli stecchi per la cottura. Intanto l’altro aveva trovato delle erbe aromatiche che servirono per insaporire il pranzo, assieme a del sale che uno dei due indiani aveva portato in un fagottino dei pelle. Il pasto risultò molto gustoso ma alla fine i due indiani si alzarono e fecero capire a Paolo che avrebbe dovuto pulire tutto il pesce perchè loro si sarebbero dovuti allontanare. Il ragazzo seguì le istruzioni alla meno peggio, anche se alla fine scoperse che se la cavava piuttosto bene. L’unica cosa che temeva era che il cattivo odore del pesce non se sarebbe andato mai più dalle sue mani. Mentre lavorava  non poteva fare a meno di chiedersi cosa ci facesse li. Forse volevano solo impegnarlo fino al momento della cerimonia che si sarebbe svolta quella sera. O forse volevano che si svagasse, senza stare troppo a pensare a ciò che lo aspettava. Alla fine del suo lavoro, il pesce era pulito e rimesso nella sacca. Le enteriora, le squame e  ogni altro scarto erano stati raccolti e ributtati in acqua, per il rispetto del luogo. Quando i due indiani tornarono, fecero dei cenni di apprezzamento verso il ragazzo. Uno di loro aveva colto delle erbe aromatiche che aveva messo in una sacca e l’altro delle bacche di colore rosso e nero. Radunarono tutto e, caricati di nuovo i cavalli, ripresero tranquillamente la via del ritorno.  Giunsero al villaggio quando si era ormai fatto buio. Paolo vide che, in sua assenza, erano stati operati alcuni cambiamenti. Al centro del campo era stato acceso un grande falò, di cui erano rimaste solo le braci. Il ragazzo si chiese se avesse dovuto camminarci sopra per dimostrare qualcosa. Il realtà l’aveva già fatto altrove e, all’epoca, per dimostrare ai presenti di che pasta era fatto, si era ustionato le piante dei  piedi a morte. Ai bordi del campo erano state fissate, su dei pali, alcune torce resinose che diffondevano nell’aria un particolare e intenso profumo. Le tende erano tutte al buio, salvo una, quella in cui aveva già soggiornato, davanti alla quale, i due indiani si andarono a fermare facendo segno a Paolo di scendere da cavallo. Ad aspettarli, c’era, in piedi, lo sciamano il quale ricevette dai due, le bacche e le erbe aromatiche che avevano raccolto. L’uomo indossava una tunica di pelle non conciata con una cintura di cuoio con borchie d’argento a aveva una fascia rossa che gli cingeva la fronte con delle piume di falco fissate nella parte posteriore. All’esterno della tenda, sette uomini battevano ritmicamente su dei grossi tamburi generando un suono  lento e stranamente leggero. Il vecchio invitò il ragazzo ad entrare e lo fece sedere sul suo giaciglio abituale. All’interno della tenda, erano presenti anche le due donne che armeggiavano attorno al focolare. Lo sciamano consegnò loro le erbe e le bacche. Subito le due si impegnarono nella preparazione di qualcosa certamente collegato al rito. Il vecchio chiese a Paolo che gli desse la borsa con  ciò che aveva ottenuto o raccolto durante il viaggio. Prese con grande rispetto ad uno ad uno i vari oggetti, soffermandosi a fare commenti su ognuno di essi. “Questo stile lo conosco bene – disse osservando con un sorriso la piccola scultura di legno che gli aveva dato Will. Poi, con un sospiro, passò avanti e si fermò ad osservare con attenzione la collanina.- Una magia, strana, potente, viva e intensa, e antica, direi. Non viene dalla mia gente, ed è collegata ad una cultura leggermente diversa. Delle tribù del nord, direi. Strano, ma comunque particolarmente forte. – Poi prese in mano la pietra a forma di moneta – Questa di certo è magia molto antica, molto stabile e potente. – Poi quella a punta di freccia – Questa è magia viva, tuttora in corso di stabilizzazione. E’ vivace, vitale, molto attiva. Bene direi che hai un assortimento particolarmente forte e ricco. Nel corso del nostro viaggio, concorrerà a dare forza all’arma che potrai usare nella tua battaglia”. Una delle donne prese alcune foglie e recitando delle parole, le fece cadere sul fuoco, dal quale si liberò un fumo con un forte odore pungente. L’altra aveva spremuto le bacche in una ciotola di  che consegnò al vecchio. Questi, dopo aver recitato una formula cerimoniale, lentamente, bevve circa metà del liquido e poi passò la ciotola al ragazzo, perché bevesse a sua volta. Paolo si sentì quasi perso in tutto quel rituale che lo stava cogliendo un po’ alla sprovvista. Pensava che avrebbe avuto più tempo per prepararsi ma così, con questi ritmi, cominciò a sentirsi prendere da una forte agitazione. Era il momento di mostrare coraggio e interrompere quella cosa. Malgrado ciò, bevve tutto il liquido della ciotola senza nemmeno sentire il sapore di quello che inghiottiva. Il vecchio, parve avvedersi della situazione e subito gli mise una mano sulla testa. Disse qualcosa nella sua lingua e poi fece scivolare la mano sugli occhi del ragazzo che sentì una calma improvvisa scendere su di lui. Le due donne si avvicinarono e lo fecero sdraiare poi, si ritirarono in fondo alla tenda. Lo sciamano passò la sua mano sul viso di Paolo con un gesto che lo portò a chiudere gli occhi e poi, di nuovo, gli prese la mano. Il vecchio iniziò a parlare nella sua lingua lentamente, dolcemente e il ragazzo, con sua grande sorpresa, pian piano cominciò a capire il significato delle parole che venivano pronunciate. Il rito era iniziato, mentre all’esterno il ritmo dei tamburi aveva leggermente aumentato la sua cadenza. Lo sciamano stava guidando Paolo verso il suo mondo, dove sarebbe avvenuta la caccia. Paolo curioso lo seguiva, osservando quello che compariva in quella dimensione sospesa. Si ritrovò nella piccola valle che già conosceva e lì, ad aspettarlo, c’erano i suoi alleati. L’orso, il leone di montagna, l’alce e, davanti a tutti, il suo delfino che sembrava nuotare  nell’aria. Il vecchio, che lo teneva ancora per mano, lo guidò verso gli alberi e poi nel folto del bosco, seguito dagli animali. Camminarono finchè, a breve distanza, si trovarono davanti una parete rocciosa, nella quale era ricavata una apertura di modeste dimensioni, sufficiente a far passare una persona inchinata. Il vecchio entrò senza esitazioni seguito dal ragazzo e poi dagli animali. All’interno un pavimento irregolare scendeva con una discreta pendenza. Le pareti si allargavano decisamente e poco più avanti c’era uno spazio molto ampio illuminato da alcune torce. Paolo, che pure era stato preparato a quello scenario, avrebbe avuto molte domande da fare ma sapeva  era troppo tardi, e gli era stato comunque spiegato cosa avrebbe dovuto fare. Dalla grotta in cui erano, partiva un corridoio di modeste dimensioni che scendeva ulteriormente  e da cui provenivano dei bagliori rosso cupo. Quello era il verro obiettivo. In quel luogo Paolo avrebbe incontrato il suo demone, il mostro che gli stava divorando l’anima, secondo le credenze dello sciamano. Eppure , eccolo li, con i suoi aiutanti, pronto a scendere in quel tunnel per sfidare il mostro e  batterlo, con l’aiuto dei suoi alleati. Lo sciamano gli aveva detto infatti che in quella occasione non sarebbe potuto intervenire direttamente ma, prima di lasciarlo andare, gli mise in mano un robusto pugnale di quarzo, ottenuto lavorando un grosso pezzo di cristallo maestro, che emetteva, anche in quell’ambiente oscuro, dei barbagli e degli scintillii bellissimi. Quella era l’arma da usare, potenziata dall’energia dei suoi talismani. Ora era giunto il momento, e Paolo, ormai al di là della paura e dei dubbi, sapeva cosa doveva fare. Seguito dai suoi alleati si diresse al corridoio e iniziò a percorrerlo. Sembrava lungo una ventina di metri ed era quasi al buio ma dall’altra estremità, provenivano dei riflessi rossastri, caratteristici dell’ambiente verso cui erano diretti, ossia il mondo dell’incubo. Il ‘mondo di mezzo’ era stato messo a disposizione dallo sciamano ed era servito traghettare Paolo in quella nuova dimensione. Il luogo in cui si stava per inoltrare, era il ‘suo’ mondo oscuro ed era esclusivamente una sua creazione. Arrivarono in una grotta molto ampia. Non si scorgeva né il soffitto né le pareti. Era disseminata di enormi massi e rocce che impedivano di vedere con chiarezza cosa ci fosse intorno. La luce proveniva da alcune pozze piuttosto grandi composte da materiali incandescenti che facevano pensare alla lava fusa. L’aria era estremamente calda e un po’ per il calore, un po’ per la tensione, il ragazzo si ritrovò completamente inzuppato di sudore. Dopo essere rimasto fermo per alcuni minuti, studiando il posto, decise di muoversi per cercare il suo obiettivo. Non sarebbe stato facile  trovarlo e capì che avrebbe dovuto addentrarsi in quell’oscuro ambiente  ostile e minaccioso. In questa fase, lo sciamano aveva ritenuto di non intervenire poiché la sua presenza avrebbe in parte vanificato l’esito della caccia. La ricerca durò a lungo fra penombra, calore intenso, ansia. E poi, quando ormai il ragazzo aveva completamente perso il senso dell’orientamento e del tempo, si trovarono davanti il mostro. Era nascosto in un avvallamento fra due enormi rocce. Era spaventoso, informe. Sembrava un ammasso oscuro di aculei, artigli, tentacoli e zanne. Un autentico orrore vivente. Secondo lo sciamano, l’aspetto glielo aveva dato Paolo stesso. Il suo subconscio aveva materializzato con quelle caratteristiche il demone della morte che lo aveva quasi ghermito. Però, anche se l’aspetto, per quanto repellente e spaventoso, era un parto della sua mente, la ferocia, la pericolosità, la violenza, la brutalità micidiale e devastante, connesse con quella cosa, in quel mondo, erano reali e letali. Il mostro stava fermo e aspettava. Aveva tutto il tempo. Paolo, dopo un primo impatto, in cui si era fatto prendere comprensibilmente dal terrore, ora stava riprendendo il controllo. Forse il vecchio lo aveva valutato un po’ troppo. Non se la sentiva di affrontare quel demone. Ma poi si ricordò di non essere solo e guardò i suoi alleati, stretti attorno a lui, in attesa solo di un suo ordine. “Va bene – disse il ragazzo, con il coraggio della disperazione di chi sa di non aver altra scelta. Il delfino si gettò in avanti per primo, fra i tentacoli della bestia, come per creare il primo diversivo. A quel punto gli altri si gettarono sull’essere e iniziarono a procurare più danni possibile con denti, artigli, corna e infine Paolo si gettò sulla creatura affondando ovunque il suo micidiale pugnale. Schizzi di un liquido vischioso e puzzolente lo ricoprirono in breve tempo. La bestia si difendeva con tutte le sue forze. I suoi aculei infliggevano ferite dolorosissime, come se fossero cosparse di acido. I tentacoli agivano come micidiali fruste che ferivano, scorticavano, stingevano tutto ciò che riuscivano ad afferrare. Paolo sopportava stoicamente il dolore delle sue ferite. Purtroppo, per quanti danni, lui e la sua squadra stessero recando a quell’essere, sembrava che avesse risorse infinite e, per ogni tentacolo che recidevano, ne spuntava un altro. Gli aculei spezzati venivano presto rimpiazzati. Il primo a cedere fu il delfino che per primo si era gettato in battaglia. Letteralmente si dissolse e poi, nell’ordine, toccò ad uno ad uno ai suoi alleati. Alla fine il ragazzo si trovò da solo, esausto, ferito e dolorante, ricoperto del liquido del mostro da capo a piedi e, ciò nonostante, in un attacco disperato,  di nuovo si gettò contro di lui. Il suo nemico si limitò a spalancare una delle sue enormi bocche ed appena il ragazzo fu a portata, con un colpo delle tremende mascelle, lo tagliò letteralmente in due.  Stravolto, terrorizzato, tremante, riprese corpo nella prima caverna. Era sdraiato a terra, svuotato di ogni energia e ansante. Il vecchio era inginocchiato accanto a lui e gli parlava dolcemente e lentamente. Gli teneva una mano sulla fronte. Esercitando una decisa pressione sul suo addome, lo costrinse a riprendere il controllo della respirazione e con quella, lentamente, il controllo anche sulle emozioni. “E’ stato terribile ! – esclamò il giovane appena riuscì di nuovo a parlare – Non si può battere! Ci ha sgominati tutti senza esitazione. Non ce la potrò fare mai!”.”Ricordati, che sei tu che gli dai forza con la tua paura. – gli disse con voce seria il vecchio - Più lo temi e più forte lui diventa. Combattilo e distruggilo. Ma se non lo batti prima qui – e gli toccò la fronte – non riuscirai a batterlo nemmeno là sotto”. Intanto accanto a lui erano tornati i suoi alleati. Il delfino aveva nella bocca il pugnale di cristallo e glie lo porse. Paolo lo prese molto dubbioso. In realtà non voleva tornare là sotto. Mai avrebbe potuto immaginare di poter sopravvivere in una prova di questo genere. Se non avesse saputo ciò che gli aveva spiegato lo sciamano, ci sarebbe stato il rischio di perdere la ragione. Ed anche così, non si poteva dire che non sarebbe successo lo stesso. I suoi alleati si avviarono e lui provò vergogna per le sue esitazioni. Loro erano pronti a morire per lui e lui non poteva permettersi a quel punto di aver paura. Di nuovo furono nella caverna inferiore a caccia di quel demone. Questa volta piombò loro addosso dall’alto. In un groviglio di zanne, artigli, pungiglioni, corna, il ragazzo fu crivellato di colpi e ferite dolorosissime. Fu preso dal terrore e si limitò a mettersi le mani sugli occhi e urlare tutta la sua paura. Lo scontro durò pochissimo. Il ragazzo si ritrovò di nuovo sul pavimento della  caverna superiore. Era in posizione fetale, tremante e terrorizzato. “Non ce la posso fare, è terribile, è invincibile. Voglio andare via!”. Il vecchio lentamente lo costrinse a calmarsi, come la volta precedente ma, naturalmente, ci volle più tempo, ammesso che in quel luogo, il tempo avesse un senso. “Non è invincibile e dentro di te lo sai. La tua paura lo rende forte, ti ho detto. Tu lo puoi battere, ne sono sicuro, altrimenti non ti manderei da solo. I tuoi alleati sono la tua forza, il tuo pugnale è micidiale per quell’essere. Ora che sai che non puoi morire, a cosa è dovuta la tua paura?”.”E’ vero, non posso morire, ma il dolore delle ferite, tutte le volte è atroce e non so per quanto ancora riuscirò a sopportarlo”.”Preferisci sopportare il tuo dolore per tutta la vita? Te lo porterai appresso per sempre, si manifesterà con i suoi effetti occulti e insidiosi in tutti gli eventi della tua esistenza. Ora è là sotto, alla tua portata. Non vale la pena di pochi minuti di dolore, a fronte di una vita di sofferenza?”. “E va bene. Hai ragione. Ci torno e farò del mio meglio, come i miei amici”. E di nuovo fu alla ricerca di quell’essere in quel mondo buio. Stavolta però decise di avanzare con gli altri in modo da coprirsi le spalle uno con l’altro, ognuno sorvegliando un settore diverso per evitare di essere presi alla sprovvista. Fu una ricerca lunghissima ma alla fine il loro nemico balzò da dietro una grossa roccia e di nuovo riprese quella terribile lotta. Mentre i suoi alleati infierivano su tutti gli elementi raggiungibili del mostro, Paolo, con il suo pugnale, ignorando ferite, dolore e sofferenza, trasformata la sua paura in una rabbia cupa e feroce, con la sua arma, brandita con forza, stava infliggendo alla bestia danni considerevoli. Strappava artigli, spezzava zanne e aculei, apriva squarci, recideva,trafiggeva, mutilava. I suoi compagni erano scomparsi, sopraffatti ma lui ancora si batteva. Solo un colpo improvviso da dietro sbilanciò il giovane e di nuovo la battaglia terminò. Ma stavolta, ripresa coscienza nella grotta, accanto allo sciamano, si rialzò rapidamente da terra e si guardò attorno in cerca dei suoi alleati che subito ricomparvero. Il vecchio lo trattenne per un braccio e lo fece di nuovo calmare. “La rabbia ti ha dato un vantaggio incredibile. Ma ora il mostro ti teme e sarà più pericoloso. Agisci con calma e freddezza. Ce la puoi fare”.”Si, adesso lo so, ce la posso fare. Io sono più forte di lui e ho i miei compagni”. Questi gli si strinsero attorno e lui li toccò tutti sulla testa. Stettero fermi così alcuni secondi e poi tornarono sul campo di battaglia.  Stavolta il mostro li aspettava alla fine del corridoio. Sembrava ingrandito ma appariva meno minaccioso di prima, pur mantenendo tutta la sua pericolosità. Si vedevano meno tentacoli, meno aculei e meno zanne, come se molte di quelle perdute durante l’ultimo scontro, non fossero state  rimpiazzate. Forse era una trappola ma Paolo sentiva che invece le cose stavano cambiando. Ora tutta la sua paura si era trasformata in rabbia, e non vedeva l’ora di gettarsi contro il suo nemico per mettere la parola fine a quella tremenda esperienza. Il mostro stava fermo permettendo così agli avversarie  di avvicinarsi a lui con calma. Paolo, guardandolo da vicino, s’avvide di una zona del corpo  quasi priva di difese. Mentalmente comunicò la cosa ai suoi alleati. Il delfino partì subito all’attacco e, appena il nemico iniziò ad attaccare, Paolo ed i suoi amici, si gettarono tutti sul quel punto. La tattica funzionava. Il mostro cercava in tutti i modi di proteggersi ma gli avversari non gli davano tregua. Il grosso orso lo aveva afferrato e, con la sua mole, cercava di tenerlo fermo, mentre il leone, con i denti e  gli artigli, mordeva e lacerava, creando una  profonda ferita in cui il ragazzo affondava il suo pugnale senza sosta e con effetti devastanti. Avevano recato danni gravissimi all’avversario che però non sembrava darsi per vinto. Poi, qualcosa accadde perché il mostro iniziò ad emettere un urlo agghiacciante, qualcosa capace di arrivare in fondo all’animo, di terribile, di lacerante. Probabilmente l’ultima arma efficace di cui disponeva. Paolo capì che si stavano giocando il tutto per tutto. Cedere in quel momento, avrebbe significato ridare forza a quel mostro. Guardandosi attorno, si accorse di essere rimasto in compagnia solo dell’orso, che però, per quanto ferito, non aveva cessato di colpire, di straziare. Dopo essersi scambiati un cenno d’intesa, ambedue partirono di nuovo all’attacco concentrando i loro sforzi sulla profonda ferita di quell’essere raccapricciante. Con rabbia, con determinazione e veemenza portarono avanti il loro attacco congiunto. Poi lentamente, ricomparve il leone, in seguito l’alce. Infine il delfino che mordeva con forza uno degli ultimi tentacoli, troncandolo senza pietà. E poi, il pugnale di Paolo, penetrò in profondità e colpì al cuore quell’essere mostruoso che rimase immobile per qualche istante. Poi lentamente, ciò che restava del suo corpo, sembrò sciogliersi, trasformandosi in cenere, che volò ovunque in uno scuro turbinio. Il ragazzo, che era rimasto fermo, in attesa, incredulo  di ciò che era avvenuto,  sentì le gambe  piegarsi e cadde al suolo quasi privo di forze, chiedendosi cosa stesse accadendo. I suoi alleati gli erano tutti attorno, splendenti come non mai. Vide avvicinarsi il vecchio che, sorridendo, si chinò e lo aiutò a rialzarsi. Poi con la mano, gli indicò la direzione in cui era stato distrutto il mostro pochi minuti prima. Le poche ceneri, ancora in sospensione, presero consistenza trasformandosi in qualcosa, sempre più riconoscibile. Era Paolo, ma appariva come una figura evanescente, per quanto precisa in ogni particolare. L’ombra raggiunse finalmente il massimo della sua consistenza, restando comunque trasparente e  ma luminosa. II giovane, che orami non si meravigliava più di nulla, rimase in attesa degli eventi. L’ombra, sospesa in aria, a una decina di metri dal gruppo, lentamente si diresse verso di lui e poi, semplicemente, si fuse con il suo corpo. Paolo provò come una scarica elettrica intensissima e fu scosso da un incontrollabile tremito che durò per diversi secondi, un bagliore intenso  gli tolse la sensazione di contatto con ciò che lo circondava. Quando riprese il controllo, si sentì bene, sicuro di se stesso. Aveva superato una prova terribile che solo in pochi si sarebbero sentiti di affrontare. Lo sciamano, scosso, gli prese ambo le mani e gliele strinse, senza parlare. Ma poi, cambiò di colpo espressione. Lasciò le mani del ragazzo e assorto, rimase lunghi istanti a occhi chiusi, ad ascoltare qualcosa che aveva colpito i suoi  sensi potenziati di sciamano. Poi rivolto al ragazzo, gli fece segno di seguirlo e si diresse  verso il centro della sala. “Non è finita – diceva – C’è ancora qualcosa da fare, lo sento. Seguimi, presto!”. E avanzava sicuro, come se seguisse un segnale preciso. E infatti, anche Paolo, iniziò a sentire un suono strano, insolito per un posto come quello. Ciò che percepiva era il pianto disperato di un bambino. Che significava? Poi, lo sciamano si fermò e indicò al ragazzo un punto davanti a loro. Nella penombra Paolo, con il cuore in gola, riconobbe una scena che era rimasta celata in fondo alla sua anima per anni e che lui aveva cercato di cancellare in ogni modo. Un funerale. Delle persone in piedi attorno ad una fossa, mentre un prete terminava il sevizio funebre. Un bambino di circa sei anni, piangeva disperato a fianco di un uomo che appariva impietrito dal dolore, incapace di consolare chicchessia. Il ragazzino era certamente lui, Paolo, inconsolabile, per la perdita della madre, la donna che gli era stata sempre vicina, che aveva pensato a lui, che per lui c’era sempre stata. L’adulto, suo padre, quasi un estraneo, sempre in viaggio, affezionato ma  scarsamente comunicativo. Adesso che lo poteva osservare meglio, quasi che fosse uno spettatore, capì  che il padre  era perduto in un dolore così profondo e assoluto da non avere risorse per nessuno, nemmeno per sé stesso. Figurarsi se avrebbe potuto consolare il figlio, un bambino che conosceva a malapena. Da adulto, ora, lo  poteva comprendere, ma, all’epoca, aveva invece recepito che il padre non gli voleva bene e che aveva preferito abbandonarlo ai nonni. La scena gli procurava un profondo senso di angoscia e, non sapendo che fare, dopo qualche minuto, volse lo sguardo verso lo sciamano che lo aveva condotto fin li, per vedere se lui poteva aiutarlo. Questi, senza parlare, gli fece un gesto con una mano, invitandolo ad intervenire. Il ragazzo non sapeva che fare ma seguendo il suo istinto, alla fine si avvicinò al gruppo, mise le mani sulle spalle del ragazzino che continuava a piangere. Lo prese in braccio e si andò a sedere poco lontano, stringendo al petto quel bambino. E cominciò a parlargli. Gli diceva le parole che sgorgavano dal cuore, forse quelle che avrebbe voluto sentirsi dire in quei momenti dolorosi. Il bambino continuava a piangere e a guardare a terra. Ma lui non si diede per vinto e continuò a parlargli mentre con una mano gli carezzava la testa. Pian piano il piccolo sembrò calmarsi e alla fine, sollevata la testa, lo guardò negli occhi. Stettero così per alcuni istanti, poi il ragazzino lo abbracciò strettamente, talmente forte che alla fine si fuse con lui e scomparve. Sparì tutta la scena del funerale e rimase solo il vecchio davanti a lui, che lo guardava in modo strano ed i suoi alleati che, a loro volta, dopo un rapido saluto scomparvero. Paolo si svegliò, all’interno della tenda mentre lo sciamano gli teneva ancora la mano, ma non ebbe né tempo né occasione per parlare perché il vecchio lo costrinse subito ad alzarsi e lo condusse fuori della tenda. Tutti gli abitanti del villaggio lo accolsero con grida di saluto. Intanto al centro dello spiazzo il falò era stato ravvivato ed ora le sue fiamme erano altissime ed i tamburi battevano con un suono intenso ed ossessivo. Un gran numero di mani afferrarono il ragazzo e lo trascinarono vicino al fuoco dove molti indiani vestiti pressappoco come lui, iniziarono a danzare in circolo, costringendolo a fare altrettanto. All’inizio il ragazzo si limitò ad assecondarli ma poi, pian piano, si rese conto che il ritmo assillante di quei tamburi lo aveva coinvolto e si lasciò andare, come già aveva fatto in precedenza. Anche questa volta, pian piano, iniziò a vedere che i suoi compagni di danza venivano sostituiti da animali, certamente i loro animali totem, e alla fine anche lui era diventato solo il suo delfino e questa danza magica e particolare, andò avanti per ore. Vedeva gli animali, vedeva le loro energie che si fondevano con la terra e si protendevano verso il cielo. Vide l’insieme che ne derivava e capì che tutto si muove all’unisono e che tutto segue l’armonia della natura. Il suono dei tamburi cessò di colpo e la magia finì. Tutti si lasciarono cadere al suolo, esausti, in cerca di un equilibrio che doveva essere ristabilito, dopo quella estrema esperienza. Paolo era tornato anche lui alla realtà ed ora, stanchissimo, osservava il mondo intorno a lui, tornato alla normalità. Ma per un attimo, per un breve lasso di tempo, aveva scorto cosa c’era dietro alla realtà delle cose. Consapevolezza che le persone attorno a lui di certo possedevano. Ed ora c’era arrivato anche lui. Di certo non poteva più essere la persona che aveva iniziato quel viaggio ma per capire le reali conseguenze del cambiamento, avrebbe dovuto meditare a lungo per interpretare tutto ciò che aveva vissuto. Sperò che lo sciamano lo aiutasse o, se non altro, lo consigliasse, almeno all’inizio di quello speciale tragitto. Ebbe a malapena la forza di trascinarsi al suo giaciglio dove crollò esausto.
                                                                                     XVI° Giorno
La mattina successiva si svegliò tranquillamente. Era solo e anche le due donne che lo avevano accudito erano sparite. Evidentemente avevano esaurito il loro compito. Sperava di poterle rincontrare prima di partire almeno per ringraziarle per la loro assistenza. Uscito dalla tenda, si diresse verso lo spazio dove veniva cucinato il cibo comune e lì venne accolto molto amichevolmente dagli uomini che vi si trovavano per mangiare prima di dedicarsi ai loro impegni. Ora tutti, parlando la sua lingua,  gli parlavano, lo salutavano con grandi pacche sulle braccia e sulla schiena lodandolo per quanto aveva compiuto. Gli dicevano che ormai  era uno di loro e che sarebbero stati sempre suoi amici. Paolo, fatta rapidamente colazione con delle focacce e del pesce arrosto, si trovò senza nulla da fare e, aspettando che gli dicessero cosa sarebbe accaduto ora, decise di recarsi al posto che ormai conosceva così bene. Uscì dal bosco, e si ritrovò davanti al solito, bellissimo panorama. Si mise seduto per osservare la pianura, però, si rese conto che qualcosa era cambiato. Certo, ma non era il mondo attorno a lui. Era lui stesso ad essere diverso. Naturalmente, la luce era sempre la stessa, gli oggetti, i suoni, gli odori. Tutto però era più ricco. Ogni elemento sembrava meritare una seconda occhiata, un’attenzione più profonda e in grado di fornire messaggi e informazioni più complete. E lui stesso si sentiva più completo. Forse era solo una suggestione, per giustificare ciò che aveva sfidato, che aveva  superato, in un avvenimento incredibile, almeno ora che era passato. Ora che aveva affrontato la realtà, o almeno quella che lui aveva deciso essere la sua realtà, aveva veduto quanto possono essere terribile i demoni che gli uomini si portano dentro. Gli orrori con cui accettano di convivere, i mostri generati dalle loro menti. E in un mondo che va avanti senza rispetto, senza tregua, senza misericordia, quelli erano i risultati. Ora era importante per lui, capire come utilizzare al meglio quella sua esperienza. Il tempo passò in fretta, mentre era raccolto e concentrato nelle sue riflessioni. Sembrò riprendersi da un sogno, quando un grosso falco, si posò vicino a lui, su una roccia e rimase come in attesa. Effettivamente il falco era l’animale totem dello sciamano ma lui, malgrado le aspettative del ragazzo, quella mattina non si era visto. Il grosso uccello si levò in volo, e si diresse verso il villaggio, come invitando il ragazzo a seguirlo. E Paolo così fece,  mentre  il sole aveva cominciato a tramontare. Al centro del villaggio gli uomini erano seduti tutti in cerchio. Lo sciamano appena lo vide, impose il silenzio agli altri e lo chiamò invitandolo a raggiungerlo. Gli altri lo salutarono rumorosamente, come se fosse stato l’eroe del villaggio. In realtà il vecchio aveva raccontato loro, con toni enfatici, le fasi dello scontro sostenuto dal ragazzo, magari sorvolando su alcune fasi, quelle iniziali, e evidenziando, le finali, quelle che lo avevano portato a sopraffare l’avversario. Dei presenti, molti avevano affrontato quella prova e, sapendo di cosa si trattava, apprezzarono molto che un ‘viso pallido’, con così poca preparazione, fosse riuscito a farcela. Naturalmente conferirono gran merito di ciò al loro sciamano, ritenuto, a ragione, uno dei più potenti della regione. Le donne iniziarono a portare ai presenti i piatti con le vivande per la cena. Il pasto fu particolarmente ricco e annaffiato con una bevanda leggermente alcolica, gradevole ma senza particolari e spiacevoli effetti secondari. Lo sciamano spiegò al ragazzo che le donne la preparavano secondo un’antica segreta ricetta, utilizzando delle bacche particolari, selezionate  per la speciale occasione. Alla fine del pasto, che si protrasse per diverse ore, il gruppo chiese al ragazzo di raccontare ancora una storia. Paolo naturalmente accettò e decise di raccontare un episodio in cui in realtà le parti erano riuscite a stabilire una tregua per affrontare una calamità naturale che aveva già mietuto centinaia di vittime. Elementi di gruppi opposti si erano trovati ad operare a stretto contatto per diversi giorni e per molti di loro questo rappresentò un cambiamento importante, tanto che alcuni decisero di non combattere più , se non per motivi validi e nel vero interesse per la popolazione. Il racconto piacque molto e tutti notarono il nuovo stile del loro narratore, in grado di comunicare maggiori emozioni, con più calore e più coinvolgimento. Si alzarono in piedi e si misero a gridare il suo nome indiano in coro: “Tuwyhoja, Tuwyhja, Tuwihoja..”. Era un modo per rendergli omaggio e per salutarlo ufficialmente come nuovo membro della tribù. Poi tutti gli si vollero avvicinare per dargli la mano, fargli qualche complimento, dargli una pacca sulla spalla. Lo sciamano lo sottrasse a quella folla e lo portò con sé, nel luogo dove di solito discorrevano. “Ti volevo parlare – iniziò il vecchio – perché tu domani mattina partirai e riprenderai il tuo viaggio”.”Ma io non voglio partire, almeno non così presto – rispose il ragazzo profondante dispiaciuto e sorpreso per la notizia – Io ho tante domande da farti, ho tante cose da apprendere. Devo capire come proseguire per la strada che mi hai indicato. Che devo fare delle capacità che ho scoperto?”.”Devi andare perché il tuo tempo qui è terminato. Le domande di certo sono tante e non potrebbe essere altrimenti. Ma le risposte non le troverai qui. Ti sei dimenticato che per la nostra religione l’importante è il viaggio? E tu, appunto lo stai compiendo , in tutti i sensi. Non è il caso che ti ha condotto qui. Era previsto. Ciò che è accaduto qui, va al di là di una normale esperienza sciamanica. Tu hai stravolto il normale corso delle cose. Hai bruciato le tappe. Hai affrontato e superato prove difficili per chiunque non abbia ricevuto un’adeguata preparazione o non abbia un aiuto speciale. Tu non hai più bisogno di me. La luce e la forza che hai dentro ti porteranno a sapere ciò che ti servirà per andare avanti”. Poi, mentre il ragazzo meditava sulle sue parole che, il vecchio aggiunse: “Ti devo dire una cosa importante. Domani rivedrai Will che ti verrà a prendere per ripartire. Quel ragazzo era un mio allievo estremamente promettente, era bravo, intelligente, capace. Poi, si è perduto. Gli è capitato qualcosa, qualcosa di tremendo, qualcosa che lo ha ferito profondante. Quasi come è accaduto a te. Così, un giorno, ha preso la sua roba e se ne è andato. Il suo nome era Chankonashtai e dopo divenne Nitingooiiya, ossia ‘strada perduta’. E con quel nome, quasi dispregiativo, ora lo chiamano tutti. Lui ha scelto di avere una vita nomade, da guida turistica che è sempre in giro. Ma con te, è stato differente. Ha sfidato l’ostilità dei suoi amici di un tempo per portarti qui, segno che anche lui ha visto in te qualcosa di diverso. E chissà che tu, a differenza di me, non riesca ad aiutarlo. Questo ti voglio chiedere. Cerca di capire cosa lo blocca e se puoi, aiutalo. E’ importante perchè lui, a differenza di te,  rifiuta di lasciarsi andare, di uscire dal suo incubo. Con il passare del tempo, ciò diventerà sempre più difficile e io lo perderò per sempre”.”Cercherò di fare ciò che mi chiedi ma non so davvero da che parte cominciare”.”Non so cosa ti accadrà quando domani sarai partito. Ma una cosa ho visto nelle mie pietre. Presto, molto presto, prima che tu lasci questo Paese,  ti accadrà qualcosa di eccezionale, di estremo che ti porterà dove sono arrivati in pochi. Allora capirai cosa fare e come farlo. Adesso vai, riposati e domani riprenderai il tuo viaggio”. Il ragazzo, pur non sapendo se era opportuno, si avvicinò al vecchio e lo abbracciò, sperando che l’altro non si offendesse. Il vecchio, invece, non solo lo lasciò fare ma ridendo, ricambiò l’abbraccio.
  
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