Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: InvisibleWoman    06/06/2021    0 recensioni
Irocco | Con questa storia esco un po' dalla mia comfort zone del canon per dedicarmi alla fantasia (e non so quanto sarà una buona idea a lungo termine lol). Prende il via dagli eventi delle ultime settimane: tra Rocco e Irene non c'è più niente e lui è ufficialmente fidanzato con Maria. Ho ripreso un personaggio che avevo buttato lì tempo fa in una storia (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3976440&i=1) e che speravo arrivasse anche nella fiction per far svegliare Rocco. In realtà l'hanno fatto, ma con Maria, argh.
Da qui proseguirò la storia, che avrà più capitoli (spero per me non tanti), e proverò a dare la felicità al mio personaggio del cuore: Irene. Con o senza Rocco. Vedremo.
PS: troverete qualche errore o tempo verbale sbagliato in alcuni personaggi (Rocco e Maria e gli Amato), giuro che è voluto. Se dovesse capitare con gli altri fustigatemi pure!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Irene aprì gli occhi ancora assonnata, stropicciandoseli con una mano mentre si riabituavano alla luce. Aveva fatto tardi la sera prima insieme a Lorenzo e, dato che quella mattina era sabato e non avrebbe dovuto lavorare, aveva deciso di prendersela comoda. Dall’altro lato della stanza, infatti, il letto di Stefania era già rifatto a dovere. La sua amica era una mattiniera, preferiva alzarsi presto per poter sfruttare al meglio la giornata. Il suo carattere allegro e frenetico la portava a darsi da fare anche quando avrebbe potuto riposarsi. A quell’ora di un sabato come un altro, Stefania probabilmente era già uscita e tornata per fare la spesa con Maria e, se si fosse alzata, Irene l’avrebbe trovata indaffarata nel riassettare casa o aiutare Maria a preparare il pranzo. Irene, d’altro canto, avrebbe volentieri dormito l’intera mattinata. Sfruttava più che poteva il fine settimana, dato che erano gli unici due giorni utili per dormire fino a tardi e dedicarsi a se stessa. Purtroppo, invece, fu svegliata dal rumore di un pugno che batteva sulla porta che la invitava ad aprire. Irene tese l’orecchio fuori dalla stanza, ma sentì silenzio, troppo silenzio in casa. Per un attimo si domandò che fine avessero fatto le sue amiche e se fosse rimasta l’unica all’interno dell’appartamento. Poi avvertì il rumore di passi e allora si tranquillizzò, rintanandosi ancora un po’ sotto le lenzuola. Ci avrebbero pensato loro ad aprire, d’altronde Irene non aspettava nessuno.

La sera precedente l’aveva trascorsa con Lorenzo come previsto. Tuttavia, non se l’era sentita di andare fuori a cena o in qualche locale a divertirsi. Con l’umore sotto ai piedi, soprattutto dopo il confronto con Rocco, era entrata dentro la sua auto con la precisa intenzione di scusarsi per dover annullare quell’uscita. Ma Lorenzo non aveva voluto saperne. L’aveva quindi riaccompagnata fino al palazzo in cui abitava, e le aveva proposto una semplice cena in latteria. Irene non aveva molta fame, ma dato che Lorenzo insisteva, aveva deciso di accettare.

“E’ tutto a posto? Non ti conosco ancora bene, ma è evidente che sia successo qualcosa” le disse lui con disinvoltura, portandosi alla bocca un pezzo di arrosto. Lorenzo era nato in una famiglia benestante, e avrebbe potuto avere una vita facile, un lavoro assicurato nello studio notarile del padre, invece aveva scelto la libertà. Non solo di viaggiare, ma soprattutto di decidere per se stesso. Una vita frenetica, orari difficili e confusione, tanta confusione. Viveva in un appartamento tutto suo, lasciando la villetta di famiglia ai due genitori e al fratello minore, che viveva unicamente per compiacere i suoi. Era abituato a cucinare da sé, quando ne aveva tempo, e fare tutto quello che ci si sarebbe aspettati da una donna, sebbene con qualche aiuto, non di certo da uno scapolo. Più tempo Irene trascorreva con lui, più Lorenzo le sembrava l’uomo ideale. Immaginava già la fregatura dietro l’angolo, perché nessuno poteva essere tanto perfetto.
“Ma niente, una giornata un po’ particolare al lavoro. Le solite clienti indecise” minimizzò lei, accennando un sorriso per evitare di doversi addentrare in un discorso che non aveva voglia di affrontare. Eppure Irene, per quanto riuscisse a mascherare spesso i propri sentimenti, mostrandosi più forte di quanto in realtà non fosse, raramente era in grado di fingersi allegra e gioviale se qualcosa non andava. 
“Va bene, va bene. Se non ti va di dirmelo lo capisco” ribatté lui. In fondo si conoscevano da poco tempo, era comprensibile che lei non se la sentisse di aprirsi con lui. Lorenzo era tristemente fatto alla stessa maniera. Non amava mostrarsi debole e vulnerabile, poiché sentiva sempre il bisogno di essere in controllo della situazione. Preferiva concentrarsi sui problemi e sui sentimenti degli altri, piuttosto che sui propri. Solo a sua sorella Caterina, la maggiore tra i tre fratelli, mostrava il vero sé. Le due nipoti, Iole e Adele, erano tutta la sua vita. Tutto l’amore che non aveva il tempo di dare agli altri, lo donava a loro due. Le amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Lorenzo sorrise dolcemente a Irene e allungò una mano verso il suo viso, facendole una carezza bonaria, mentre finiva il suo pasto. Se a livello emotivo poteva risultare distaccato, più dalle proprie emozioni che da quelle altrui, di contro era il tipo di persona che cercava sempre il contatto fisico, di cui aveva un disperato bisogno per sentirsi vicino alle persone che gli stavano accanto. Irene non ci era abituata. Per tanto tempo aveva avuto a che fare con l’atteggiamento scostante di Rocco, con i suoi rifiuti, e con l’assenza del padre. Non era la figlia che Tommaso Cipriani avrebbe voluto. Desiderava, come tutti gli uomini dei suoi tempi, un figlio maschio, e invece si era ritrovato con una ragazzina ribelle che non riusciva a stare al proprio posto e a tenere a freno la lingua. La morte della madre aveva peggiorato le cose. Tommaso non era in grado di gestirla, né aveva la pazienza per farlo. E Irene si era sentita sola. Non aveva perso solo una madre, ma anche l’unica alleata che avesse mai avuto. Aveva iniziato a sentirsi un’estranea in casa propria e chiudersi a riccio. Temeva di non essere compresa, di non essere capita e di essere giudicata come aveva sempre fatto suo padre con lei. Aveva paura di non riuscire a farsi amare e viveva con il terrore di perdere le persone che le stavano accanto, proprio come aveva perso la madre Antonia. La maschera che aveva messo su dopo la sua morte, era caduta quando aveva conosciuto Rocco. Non sapeva dire nemmeno perché si fosse aperta tanto a uno come lui, così diverso da Irene sotto ogni punto di vista. Erano quanto di più lontano potesse esserci, eppure si erano trovati e avevano raggiunto una sintonia e una complicità che Irene non aveva mai avvertito con nessuno. Alla fine, però, il tempo le aveva dato torto, e adesso non era semplice abbandonarsi di nuovo alla possibilità di essere ferita e di perdere ancora una volta una persona che amava.
Tuttavia, quando uscirono dalla latteria e si ritrovarono da soli in piazzetta, Irene decise di buttarsi. Tanto tempo prima aveva detto a Rocco di credere nell’amore e nel destino, eppure lei era la prima a non farlo. Non voleva più soffrire, però non voleva smettere di vivere. E allontanare tutte le persone da cui temeva un rifiuto non era vivere. 
Guardo Lorenzo negli occhi, determinata ad aprirsi a un uomo che, per una volta, sembrava sinceramente interessato a conoscere lei e i suoi problemi. 
“Non volevo sembrarti fredda, prima. E’ che non sono abituata a confidarmi” iniziò Irene. 
“Non c’è problema. D’altronde ci conosciamo da poco, è comprensibile” rispose lui prendendola per mano e accompagnandola verso le panchine della piazzetta. 
“E’ una storia lunga, non vorrei annoiarti.”
“Beh, abbiamo tutta la serata” ribatté lui con un sorriso.
“E anche il silenzio che ti piace tanto” rispose lei divertita. Lorenzo aveva già avuto ragione una volta. Il silenzio favoriva un’intimità e una complicità che raramente si riusciva a instaurare di giorno. E anche quella sera si sarebbe concessa a lui grazie al favore della notte.
“Esatto. E guarda che bella luna. E’ la serata ideale per le confessioni. Non si scappa” cercò di alleggerire la tensione che stava mangiando viva Irene.
“Qualche settimana fa sono stata accusata di aver rubato dei vestiti al Paradiso” gli spiegò dopo qualche istante di silenzio, provocando una reazione sorpresa in Lorenzo.
“Suppongo non avessero prove contro di te, giusto?” Non  conosceva da molto quella ragazza, ma non gli sembrava proprio il tipo da rubare nel luogo in cui lavorava. Gli dava l’aria di essere una persona piuttosto onesta, come d’altronde era lui. 
“No, infatti, e proprio questo mi aveva ferita. Sai, non sono esattamente la persona più affabile che si possa conoscere. Ma credevo di avere quantomeno la fiducia delle persone con cui lavoro. Dicono sempre che il Paradiso è una grande famiglia, ma evidentemente, seppur ci lavori da tre anni, io non ne faccio parte” disse lei con un’espressione sconsolata. Non voleva fare la vittima, non le era mai piaciuto. Eppure le volte che si era confidata con Rocco, si era sentita più leggera e più compresa e aveva scoperto quanto fosse liberatorio parlare e confidarsi con gli altri. Condividere con qualcuno il peso dei propri problemi.
“Mi dispiace. Conosco Vittorio da una vita e non mi sembra il tipo da accusare qualcuno senza avere delle prove” disse lui, che ancora teneva la mano di Irene tra le sue e giocherellava sovrappensiero con le sue dita.
“No, infatti proprio oggi ho scoperto che il dottor Conti non sa nulla. E che è stato uno dei magazzinieri a rubare quei vestiti e accusare me di proposito.”
“Beh, che dire, una bella faccia tosta.”
“Non è solo questo” fece una pausa, cercando di trovare le parole giuste. “Quando l’ho confrontato mi ha minacciata e mi ha stretto il braccio per non farmi parlare” abbassò gli occhi. “Comunque non è nulla. Mi dispiace solo di non essere stata di buona compagnia questa sera.”
“Non è nulla? Lo sai che puoi denunciarlo? Dobbiamo dire tutto a Vittorio” rispose lui con tono preoccupato, iniziando a sfiorarle il polso con le dita.
“Se non ti dispiace vorrei prima parlarne con il capo magazziniere e la capo commessa” disse. L’Irene di una volta non si sarebbe fatta alcuno scrupolo a confessare tutto ai piani alti. Se adesso preferiva ragionare sul da farsi, era solo per rispetto a Rocco. Un rispetto che forse, dopotutto, nemmeno gli era dovuto. 
“Va bene, come preferisci” ribatté lui, poco convinto. Non lo faceva sentire al sicuro sapere che avrebbe continuato a lavorare nello stesso luogo in cui si trovava quell’uomo. “E comunque a me è piaciuto sin da subito il tuo carattere deciso e schietto” aggiunse dopo un po’, cercando di risollevarle il morale. Ricordava il giorno in cui si erano conosciuti. La sua intraprendenza lo aveva talmente colpito che non aveva potuto fare a meno di accorrere in suo aiuto. Lorenzo non era il classico uomo di quei tempi. Non desiderava avere al suo fianco una donna soprammobile che si occupasse solo della casa e dei figli. Voleva una donna che fosse anche una compagna di vita e di avventure, una con cui non potesse mai annoiarsi. La noia, difatti, era la cosa che temeva di più al mondo. 
“Lo dici perché non mi conosci ancora bene. Vedremo come la penserai tra qualche mese” sorrise con leggerezza. 
“Qualche mese? Quindi ho ufficialmente ricevuto la tua approvazione?” scherzò lui.
“Vedremo.” Dopo aver raccontato a Lorenzo tutto quello che era accaduto quel pomeriggio, Irene si sentì libera. Non gli aveva accordato fiducia perché lo riteneva particolarmente meritevole: quella confessione era semplicemente un regalo che aveva fatto a se stessa. Forse anche lui l’avrebbe tradita, anche Lorenzo avrebbe preferito un’altra a lei, ma almeno Irene non avrebbe avuto nulla da recriminarsi. 

 

“Irene?” domandò a bassa voce Stefania entrando in camera. La sua amica e coinquilina era solita dormire fino a tardi, ma Stefania credeva impossibile non si fosse svegliata dopo tutto il trambusto che si era creato nell’altra stanza. L’arrivo di una persona inaspettata e una certa assenza avevano scosso la mattinata della famiglia Amato. Da Maria aveva saputo che Rocco non era rientrato a casa quella notte, e lei e Agnese sembravano piuttosto preoccupate. Stefania iniziò a domandarsi se la lite che aveva avuto luogo durante la cena in casa Amato, avesse in qualche modo a che fare con la strana chiacchierata che aveva visto protagonisti Rocco e Irene la sera prima alla fine del turno. Non sapeva se fosse il caso di domandarglielo o quantomeno informarla dell’accaduto. Irene sembrava serena. La presenza di quell’uomo nella sua vita le faceva bene. Stefania aveva più volte avuto il dubbio che la sua amica potesse provare dei sentimenti reali nei confronti di Rocco, nonostante continuasse a negarlo. Ma poi l’aveva vista andare avanti e aveva assistito al fidanzamento tra Rocco e Maria, e allora aveva smesso di farsi troppe domande. Eppure solitamente si riteneva piuttosto perspicace e aveva imparato a conoscere Irene, tanto da capire quando qualcosa non andava.
“Non dirmi che stai ancora dormendo, ché non ci credo” aggiunse Stefania sedendosi ai piedi del letto. Con una mano le toccò le gambe ancora coperte dalle lenzuola. 
Irene, seppur controvoglia, aprì gli occhi, volgendoli alla sua amica. “Non si può dormire in santa pace neanche di sabato?” sbuffò.
“C’è una visita inaspettata” la sua amica stuzzicò la sua curiosità con malcelato entusiasmo. Irene non aspettava nessuno e Lorenzo non si sarebbe mai presentato a quell’ora di sabato mattina senza alcun preavviso. 
“E chi, sentiamo? Il postino?” bofonchiò Irene con la voce ancora impastata di sonno.
“Ma come il postino! No! Potrei essere mai contenta per l’arrivo del postino?” la guardò con espressione scocciata.
“Che ne so, tu trovi entusiasmante ogni cosa.”
“Ma no. C’è Tina. La sorella di Salvo. La cugina di Rocco. Tina Amato, la cantante” aggiunse Stefania in preda quasi all’isteria. “Chissà quanti gossip avrà da raccontare” disse con aria sognante.
“Stefania, conosco Tina. E che ci fa qui?” domandò allora sorpresa, mettendosi di colpo seduta sul letto.
“Per un certo matrimonio, no?” Stefania la guardò con attenzione, cercando di carpire qualche informazione utile dallo sguardo della sua amica. 
“Ah, giusto” ribatté Irene, facendosi scura in viso. “Così presto?” domandò e Stefania si strinse nelle spalle. Irene non avrebbe mai immaginato che Rocco e Maria convolassero a nozze nel giro di poche settimane. Doveva ammettere, però, che non credeva possibile nemmeno che si fidanzassero in così poco tempo. Evidentemente le cose in Sicilia funzionavano diversamente. Lei non sarebbe mai stata la persona adatta per Rocco, non si sarebbe mai sposata senza prima esserne totalmente sicura. Se era una ragazza antica e semplice quella che cercava Rocco, Irene non era la donna per lui e forse era stato meglio scoprirlo prima di rovinarsi a vicenda.
“Irene. E’ un problema che si sposino così in fretta?” chiese Stefania, osservandola di sottecchi.
“Ma figurati, auguri e figli maschi” dichiarò Irene, aprendo la porta per avventurarsi in cucina con indosso ancora la camicia da notte e una vestaglia, con Stefania che la seguiva con un broncio interrogativo e poco convinto.
“Oh, no. Meno male che non abito più qui: non potrei sopportare di vederti ogni giorno anche a casa. E pure struccata” la salutò Tina Amato, vedendola riemergere dalla sua stanza. 
Irene le sorrise, contenta di rivederla dopo così tanto tempo, consapevole che le frecciatine di Tina erano solo un modo per prenderla in giro. C’era voluto un po’ prima che le due riuscissero a trovare la quadra giusta, ma alla fine avevano trovato un loro equilibrio, prima che Tina partisse per Londra con suo marito. 
“C’è anche Sandro?” domandò Irene dopo averla salutata. 
“No” rispose vaga, cercando di cambiare subito argomento. “Forse verrà il giorno del matrimonio. Io sono partita prima, così ne approfitto anche per rivedere dopo tanto tempo la fidanzata di mio cugino. Vieni qua, fammi rivedere il brillocco” disse a Maria, afferrandole la mano per osservare meglio l’anello che Rocco le aveva regalato per il fidanzamento. Tina e Rocco non erano fratelli, ma erano cresciuti insieme ed erano i più vicini di età tra i cugini, questo da piccoli li aveva resi praticamente inseparabili, un rapporto profondo fatto di amore e odio. Visto il modo in cui Rocco veniva trattato da suo zio, il cugino aveva trascorso molto tempo in casa loro e persino i suoi genitori lo reputavano il terzo figlio maschio.
Davanti a quel commento Irene si irrigidì, cercando di sorridere, mentre in realtà avrebbe solo voluto urlare. Cercava in ogni modo di non pensare al futuro prossimo, a quel matrimonio che presto si sarebbe celebrato. Una parte di sé, tuttavia, desiderava che quel giorno arrivasse il prima possibile. Almeno avrebbe messo un punto definitivo alla questione. Via il dente, via il dolore.
“Sempre se riusciamo a trovare il futuro sposo” disse Anna con noncuranza, coprendosi il viso con la tazzina di caffè che stava bevendo.
“Anna, ti prego, non dire così” ribatté subito Maria, in evidente stato di agitazione.
Irene le guardò entrambe, cercando di capire di cosa stessero parlando. L’uscita con Lorenzo si era protratta fino a tardi. Non avevano passeggiato, né si erano allontanati dalla latteria sotto casa. Avevano però passato delle ore seduti sulle panchine della piazzetta a parlare di cose importanti, così come di sciocchezze. Quella serata era stata un punto di svolta per entrambi. Non sapeva come sarebbe andata a finire tra loro due, ma non aveva importanza. 
“Che mi sono persa?” domandò allora, sedendosi per fare colazione, nonostante fossero ormai le undici del mattino.
“Vero, ieri sera Irene non c’era e non ha sentito niente” commentò Anna, ricordandosi solo in quel momento della sua presenza.
“E dove vai fino a notte fonda tu? Hai finalmente trovato la tua vera vocazione?” la stuzzicò Tina, sedendosi al tavolo di fronte a lei.
“Esce con un affascinante pilota” rispose Stefania con entusiasmo, come se fosse lei stessa a frequentare Lorenzo. “L’hai già visto con indosso la divisa?” si rivolse a Irene con aria sognante.
“No, ma la prossima volta gli dirò di venirmi a prendere direttamente in aereo e con la divisa. Io terrò quella da venere, che dici?” la prese in giro Irene.
“Addirittura, un pilota. Dev’essere proprio disperato. Almeno potrà volare via quando si sarà reso conto con chi ha a che fare” continuò Tina.
Stefania ridacchiò, ma prese inaspettatamente le sue difese. “Ma dai. Irene non è così male quando la conosci un po’ meglio.”
“Grazie, eh” Irene la guardò fintamente offesa, aggrottando le sopracciglia. “Sempre gentili voi due. Avete finito adesso? Possiamo tornare all’argomento di prima? Che succede a Rocco, sta bene?” domandò, tradendosi con un tono più preoccupato che distaccatamente curioso, cosa che non sfuggì a Tina.
“Irene Cipriani ha un cuore? A quale innocente fanciulla l’hai strappato? Il tuo pilota fa anche il cacciatore?” rispose Tina, paragonandola evidentemente alla strega di Biancaneve, allusione a cui Irene ribatté con una smorfia.
“Ieri, poco prima di cena, abbiamo sentito Rocco e suo zio litigare” le spiegò finalmente Stefania dopo aver riso complice con la giovane Amato. “Poi lui è uscito di casa e a quanto pare non è più rientrato. Non ha dormito dal signor Ferraris e nemmeno in caffetteria. Non sappiamo dove possa essere andato” concluse la sua amica, mentre Irene immaginava già dove avrebbero potuto trovare Rocco.
“Anche perché stamattina, quando sono arrivata, ho visto mio padre con uno zigomo gonfio così. Non è da Rocco e questo mi preoccupa” commentò Tina. Il suo tono improvvisamente serio aveva perso tutta la verve canzonatoria che aveva usato fino a quel momento per prendere in giro la sua vecchia collega.
“Soprattutto per via di suo padre” rispose Irene, sovrappensiero, senza badare troppo al peso delle proprie parole. Sentì all’improvviso lo sguardo di tutte le coinquiline e di Tina puntato su di lei. “Che ho detto?” domandò confusa, lasciando a mezz’aria la tazza di caffelatte che teneva tra le mani. 
“Appunto. E tu come fai a saperlo?” chiese Tina con sguardo indagatorio. Se c’era una cosa che la giovane Amato possedeva rispetto alla sua famiglia erano l’astuzia e la perspicacia. Era da sempre stata la più moderna degli Amato, la più intraprendente. La pecora nera della famiglia. E riusciva a fiutare intrighi e menzogne a chilometri di distanza.
“Che c’entra suo padre?” domandò Maria, evidentemente all’oscuro del passato di Rocco. Non avrebbe dovuto gioire, eppure era contenta di sapere che Rocco si era confidato solo e unicamente con lei, e non con la sua futura sposa.
“Ma niente. Siamo amici” Irene scrollò le spalle ignorando Maria, cercando di far finta di nulla nella speranza che Tina non continuasse a indagare.
“Tu amica di Rocco? Ma se te lo mangi a colazione uno come lui!” ridacchiò lei. “Sento che dovrete aggiornarmi su tante cose.”
“Anche a me” rispose Maria, fissando Irene come se volesse polverizzarla.

 

Rocco si svegliò presto, come ogni mattina. Il buio del magazzino, però, lo metteva in agitazione. Ci era già stato fuori dall’orario di lavoro, eppure trovava ancora strano trovarsi lì, esattamente come tanti mesi prima. Si mise seduto sul letto improvvisato che aveva creato su alcune casse e si stiracchiò le spalle, massaggiandosi il collo con una mano. Non era più abituato a dormire su un letto duro e scomodo, come invece faceva a Partanna. 
Senza indugiare, si alzò per riaccendere le luci, dato che di lì a poco il signor Armando sarebbe arrivato insieme a Pietro e Nino. Pensò che forse, se avesse fatto abbastanza velocemente, non avrebbero scoperto nulla, almeno per quella mattina. A meno che sua zia non fosse andata a casa di Armando e Marcello per informarlo della sua sparizione. 
Nell’accendere le luci, lo sguardo di Rocco cadde sulle sue nocche ancora arrossate. Non aveva mai dato un pugno a nessuno, prima di ieri. La mano gli doleva un po’ e non se lo aspettava. Quella notte aveva rimuginato a lungo sull’accaduto, e non aveva idea di che ora fosse quando era riuscito finalmente a chiudere occhio per la troppa stanchezza. Se il giorno precedente si vergognava per non avere difeso Irene, adesso si vergognava per il modo in cui aveva reagito. Non voleva tornare a casa, e non solo per la rabbia che ancora provava nei confronti di suo zio, ma anche perché temeva il loro giudizio. Rocco non era stato per nulla clemente con se stesso. Continuava a vedere l’immagine di suo padre davanti agli occhi. Non poteva essere diventato come l’uomo che più disprezzava. Era la cosa che più lo spaventava. Non si era mai visto accostare a suo padre. Chiunque li conoscesse entrambi, poteva affermare con assoluta certezza quanto fossero diversi in ogni singolo aspetto. Ma forse tutti, lui compreso, si erano sbagliati. Forse suo padre era dentro di sé più di quanto volesse ammettere.
Rimase per qualche istante imbambolato al centro del magazzino, gli occhi puntati sulle sue mani, e indosso i vestiti della sera prima. Per fortuna tenevano la divisa in ciclofficina e se si fosse cambiato abbastanza in fretta, per qualche ora nessuno si sarebbe accorto di niente. Così si diede una mossa, sistemò il magazzino più che poteva per non destare sospetti e poi andò a cambiarsi, avendo persino il tempo di oliare la propria bici in attesa che arrivasse il signor Armando.
“Rocco, già qui?” Pietro si accorse per primo della sua presenza. Nino lo osservò con attenzione, ma senza proferire parola, silenzioso e discreto come al suo solito. 
“Già, Rocco, che ci fai qui?” gli fece eco il signor Armando con tono accusatorio. “Lo sai che hai fatto morire di paura tua zia?” gli venne incontro puntandogli il dito.
“E dove dovrei essere, scusi? Abbiamo gli allenamenti, no? E poi paura di cosa?” ribatté d’istinto. Dove sarebbe mai potuto andare? Cosa poteva mai essergli successo? Aveva bisogno di stare da solo, era tanto difficile da capire?
“Nino, Pietro, andatevi a cambiare e preparare le bici. Noi arriviamo tra un attimo” suggerì ai due ragazzi, mentre prendeva da parte Rocco con un profondo sospiro. “Mi spieghi cos’è successo?” gli domandò infine, con fare comprensivo.
Rocco rimase in silenzio per qualche istante. Non sapeva da dove cominciare. Temeva il suo giudizio. Il signor Armando aveva fatto tanto per lui, lo aveva aiutato a crescere, lo aveva fatto diventare una persona migliore, lo aveva spinto a imparare a leggere e scrivere. Non voleva deluderlo. Ma allo stesso tempo non riuscì a tenersi dentro tutto quello che provava. Non con lui. A qualcuno doveva pur dirlo.
“Ho dato un pugno a mio zio” disse d’un tratto, chinando la testa e fissando le proprie scarpe. Non riusciva a reggere lo sguardo del suo mentore, dell’uomo che Rocco reputava più di un padre. 
“Lo so. Beh, se lo meritava” rispose secco, con sincerità. 
“Ma come, signor Armà” Rocco alzò il capo per guardarlo negli occhi con aria sorpresa.
“Ascoltami bene, non è il miglior modo per gestire i conflitti, non ti consiglierei mai di farlo. Ma posso capire perché tu l’abbia fatto” si avvicinò a Rocco, mettendogli una mano dietro la nuca con fare paterno. Nulla al confronto con il medesimo gesto compiuto da suo zio e da suo padre in passato.
“Signor Armà, io…” tornò ad abbassare la testa, sollevando di poco la mano in modo che entrambi l’avessero davanti agli occhi. “E se sono come mio padre?” chiese spaventato.  Si era già pentito di quel gesto che non credeva nemmeno gli appartenesse. Aveva però il terrore di essersi sbagliato su se stesso. E se fosse stato quello il suo modo istintivo di reagire durante una discussione? Non lo sapeva perché finora aveva rifuggito ogni conflitto, le uniche divergenze che aveva erano con Irene e non avrebbe mai osato alzare le mani su di lei. 
“Rocco, non dire sciocchezze” disse bonariamente. “Tu sei quanto di più lontano possa esserci da tuo padre. Non contano solo i gesti, contano anche le intenzioni” gli fece notare. “Tu hai reagito - sbagliando, sia chiaro -, contro una persona che ha fatto del male a te e a una persona a cui tieni. Tuo padre non ti picchiava per il tuo bene, no?” aggiunse dandogli una leggera pacca affettuosa. 
Forse il signor Armando aveva ragione. Confrontò quel gesto sulla nuca che lo riportava indietro a Partanna, a suo padre, a suo zio, a quello del signor Armando. Il significato che si celava dietro era profondamente diverso dalle intenzioni affettuose e paterne del suo mentore.
“Promettimi solo che la prossima volta conterai fino a dieci prima di reagire di nuovo in questo modo” gli intimò Armando, col tono di chi lo stava riprendendo, ma con l’affetto di un padre.
“Certo, signor Armà. Non ci sarà nemmeno una prossima volta” si portò due dita alla bocca in segno di promessa.
“Dai, andiamo a sgambettare un po’ per sfogarci” gli disse, invitandolo a cambiarsi. 

 

Irene aveva tentennato tutto il pomeriggio. Dopo l’uscita di Tina, era rimasta con l’orecchio teso alla porta, in attesa del ritorno di Rocco. Lo conosceva, non avrebbe resistito a lungo. Probabilmente si era già pentito di quello che aveva fatto e sarebbe presto tornato a casa con la coda tra le gambe. Non era da lui, e lo riconoscevano tutti. Tuttavia, più le ore passavano e più la convinzione di Irene si faceva più labile. 
Ad un certo punto, mentre metteva lo smalto sul tavolo in cucina, sentì la voce del signor Armando. Si appostò alla porta, appoggiandovi sopra l’orecchio per sentire meglio senza farsi scoprire.
“Ma dov’è? Sta bene? Dove sta dormendo?” aveva domandato Agnese preoccupata.
“Sta bene, stai tranquilla. Non mi ha voluto dire dove ha passato la notte, ma non se la sente ancora di tornare a casa” la informò lui. “A volte sa essere cocciuto, e quando si mette in testa qualcosa… ma vedrai che domani sarà già di ritorno. Lo conosciamo bene: non rinuncerà al pranzo domenicale” accennò una breve risata nel tentativo di rassicurarla.
“Hai provato a chiedere a Don Saverio?” disse Agnese.
Irene soffiò ripetutamente sulle unghie in modo da farle asciugare più rapidamente. Eppure non sapeva ancora cosa avrebbe fatto. Una parte di sé voleva andare da lui e scusarsi per averlo creduto complice di suo zio. Dall’altra, però, Rocco non aveva fatto comunque nulla per fermarlo. E poi niente era cambiato tra di loro: lui era ancora fidanzato e loro due non erano più nient’altro che conoscenti. Che senso aveva andare in magazzino? Gli avrebbe parlato l’indomani, se il signor Armando aveva ragione di credere che sarebbe tornato a casa. Oppure direttamente lunedì in galleria.
“Irene” Stefania le venne accanto con la faccia di chi doveva dire qualcosa di scomodo e non sapeva come affrontare l’argomento.
“Sì?” rispose lei con noncuranza, scostandosi di colpo dalla porta e continuando a soffiare sullo smalto ormai quasi del tutto asciutto.
“Ma… per caso c’entri qualcosa con la lite di Rocco e il signor Amato?” le domandò lei, andando per una volta dritta al punto. Stefania non era sicura di  voler conoscere la risposta, se questo voleva dire tornare a nascondere qualcosa a Maria. Tuttavia, non riuscì a non preoccuparsi per la sua amica e per l’eventuale guaio in cui si era potenzialmente cacciata un’altra volta.
“Io? Perché dovrei?” Irene si irrigidì di colpo, svelando più di quanto volesse. Stefania, infatti, la guardò con l’aria di chi l’aveva ormai scoperta e non avrebbe più creduto a nessuna delle sue scuse. “Irene” disse con tono fermo.
“Non è quello che pensi” rispose lei e Stefania roteò subito gli occhi al cielo, mettendo il broncio. Ecco, avrebbe fatto meglio a farsi gli affari suoi, perché adesso era di nuovo invischiata in una situazione che non la riguardava e che la metteva in una posizione scomoda con Maria, Anna e adesso persino Tina. Non l’aveva mai conosciuta, per ovvi motivi, ma la trovava già molto simpatica ed essendo momentaneamente loro vicina di casa, Stefania avrebbe dovuto fingere anche con lei e questo non le andava proprio.
“Uffa, Irene” sbuffò, incrociando le braccia al petto e abbandonandosi allo schienale della sedia.
“Dico davvero, non è come credi” rispose Irene. Rimase qualche secondo in silenzio, in attesa di trovare la forza di raccontarle tutto. “Ricordi la storia del vestito per la fiera campionaria? Qualcuno in quel periodo stava rubando dei vestiti al Paradiso e hanno pensato fossi io” le spiegò, mordendosi l’interno della guancia.
“Ma come rubare? E chi è stato? La signorina Moreau lo sa?” rispose subito Stefania, tempestandola di domande, non dubitando nemmeno per un secondo che Irene potesse effettivamente esserne coinvolta.
“Non lo sapevo, prima di ieri. Ho sentito il signor Amato parlare al telefono con il suo complice che, nel frattempo, se l’è data a gambe ed è tornato in Germania, a quanto pare” continuò il racconto. “Non sono riuscita a stare zitta e l’ho confrontato. In fondo per colpa sua avrebbero potuto licenziarmi. Poi però il signor Amato mi ha minacciata e…” portò istintivamente una mano al polso sinistro, quello su cui Giuseppe Amato aveva stretto la sua mano. “Mi ha preso per il braccio e Rocco l’ha visto. Era l’unico a sapere delle accuse del signor Ferraris. E ieri avevo creduto che sapesse anche di suo zio e l’avesse coperto. Ma vista la reazione che ha avuto, suppongo fosse all’oscuro pure lui.”
“Mio Dio, Irene. E tu stai bene?” avvicinò la mano alla sua. “Perché non mi hai detto niente?” 
“Sto bene. Mi dispiace di non averti detto niente. Non sono abituata a… condividere, lo sai” arricciò le labbra in un’espressione dispiaciuta. Rimpiangeva di non averle detto subito ogni cosa. Doveva imparare ad aprirsi agli altri, specialmente alle persone che realmente lo meritavano. E finora Stefania non l’aveva mai tradita. 
In quell’occasione neanche Rocco. Non aveva coperto suo zio e probabilmente aveva avuto quella reazione spropositata nei suoi confronti anche a causa del modo in cui il signor Amato l’aveva trattata. L’aveva difesa. Irene non avrebbe dimenticato con tanta facilità le parole che Rocco le aveva rivolto durante la conversazione con Maria, ma a modo suo stava cercando di fare ammenda.
“Devo… andare” disse alzandosi d’un tratto dalla sedia. “Lorenzo mi…” fu tentata di mentire, com’era solita fare. Ma voleva essere una persona migliore, un’amica migliore, non per Rocco o per Lorenzo, e nemmeno per Stefania, ma per se stessa. “Non è vero, vorrei andare a parlare con Rocco.”
“Ma come fai se non sappiamo dove si trova?” domandò Stefania. 
“Stefania, ragiona, se non è dal signor Ferraris, dove potrebbe mai essere?” le spiegò Irene, non prendendo nemmeno in considerazione l’idea che potesse davvero aver chiesto aiuto a Don Saverio. “In magazzino, Stefania” pronunciò ad alta voce ciò che la sua amica non riusciva a comprendere. 
“Ma come fa a dormire in magazzino? Sulle casse?” chiese confusa.
“Si può, si può. Io ci ho dormito due settimane.” E adesso la situazione si era capovolta.
“Cosa?” Stefania la guardò sbigottita. "Ma quando? E perché?" cominciò a farle il terzo grado.
“Ti spiego quando torno. Ma non dire niente a Maria. Lo farò io più tardi. Se dovesse chiedere, dille che sono con Lorenzo.” Era una bugia, ma stavolta era un male necessario. Se doveva parlare con Rocco, doveva farlo da sola. Maria li avrebbe raggiunti e quella non era una conversazione da tenere in tre. Al suo ritorno le avrebbe detto quello che c’era da sapere. 

 

Irene temporeggiò per qualche istante con la mano sulla maniglia della porta. Oramai che aveva fatto tutta quella strada, sarebbe stato assurdo tornare indietro. Eppure non riusciva a decidersi ad aprire. Dal magazzino arrivava la luce di qualche candela, perché era il fine settimana e Rocco non doveva nascondersi com’era accaduto quando Irene aveva trascorso le sue fredde notti lì dentro col maglione preferito di Rocco a tenerla al caldo. 
Si torturò il labbro inferiore per un po’, prima di decidersi ad aprire la porta, dato che aveva ancora le chiavi che aveva copiato durante la sua permanenza in magazzino. Quando entrò, notò che tutto era perfettamente in ordine, contrariamente a come lo lasciava solitamente lei mesi prima. Al contrario Rocco sul luogo di lavoro era sempre stato preciso, come il signor Armando gli aveva insegnato. 
Lo trovò sdraiato su delle casse, una mano dietro la testa e gli occhi fissi al soffitto. Solo quando si accorse di qualche rumore si voltò di scatto verso di lei. 
“Oh, Irè” disse mettendosi seduto. Era sorpreso di trovare lì proprio lei.  “Che ci fai qua? Come mi hai trovato?” chiese Rocco. Mentre scappava da casa sua dopo quel pugno, l’aveva intravista seduta sulla panchina insieme a quell’uomo. Parlavano con aria complice e lui le sfiorava con le dita il polso bianco ed esile che quasi scompariva nella mano grande e grossa di lui. Non era più Rocco quello da cui lei accorreva in cerca di supporto. Adesso lui era quello da cui scappava.
“Non ci voleva molto per capire dove fossi, eh” rispose lei con un cenno della testa, mettendogli poi tra le mani un fazzoletto contenente una fetta di torta. “L’ha fatta Maria. Per l’agitazione non la smette più di cucinare. Ti prego di tornare a casa perché ne va della mia linea” disse con fare melodrammatico. “Posso?” chiese Irene indicando il letto con lo sguardo.
Rocco spostò le sue cose per permetterle di sedersi come avevano fatto tanti mesi prima, a situazione capovolta. 
“Lo sai che è arrivata tua cugina Tina?” Irene cercò di fare conversazione, di rompere il ghiaccio prima di arrivare dritta al punto. 
“Me l’ha detto il signor Armando” rispose Rocco chinando la testa sulla fetta che teneva tra le mani, ma che non aveva ancora portato alla bocca. Con un sospiro la adagiò di fianco a sé, facendo attenzione a non far cadere delle briciole sul letto. Si sentiva a disagio, in difetto. Come poteva tornare a casa e fare finta di niente? Le parole del signor Armando avevano aiutato, sul momento, ma non erano servite a convincerlo pienamente. Si vergognava di ciò che aveva fatto e non sopportava l’idea di rientrare in casa, fare come se niente fosse, salutare Tina e Maria e continuare con la propria vita come se quella parentesi non ci fosse stata, come se quel gesto non lo avesse cambiato almeno un minimo. 
“Rocco, grazie” disse d’un tratto Irene, osservando la mano di Rocco. Le nocche arrossate per quel pugno, che tanto cozzavano con il suo aspetto innocente e ingenuo. “E mi dispiace di averti creduto suo complice” aggiunse guardandolo in viso. Lui fissava ancora dritto davanti a sé, immerso in chissà quali pensieri, gli angoli della bocca ricurvi in un’espressione rassegnata. Quel gesto non lo redimeva da ciò che aveva detto in passato sul suo conto. Ma se non altro avrebbe permesso a Irene di seppellire l’ascia di guerra. Tuttavia, non sarebbero mai tornati amici come un tempo. In fondo la loro amicizia era sempre stata influenzata dai sentimenti che Irene provava nei suoi confronti. Era dunque inaspettato che continuasse adesso che lui aveva scelto di stare con un’altra persona. Non era affatto semplice stargli lontana, fingersi disinteressata, quando per tanto tempo lui era stato l’unico suo confidente. Ma doveva farsene una ragione. In fondo dopo il matrimonio sarebbe stato persino peggio. 
“Stai bene?” gli domandò allora, dopo qualche minuto di silenzio. Entrambi con la testa da un’altra parte. “Ti fa male?”
“Un po’, se la muovo” rispose iniziando a chiudere lentamente le dita. “Sai, non lo sapevo che faceva così male dare un pugno a qualcuno” ammise candidamente. Irene annuì, dispiaciuta.  “E a te?” chiese Rocco, voltandosi verso di lei per la prima volta da quando si era seduta accanto a lui. Provò ad avvicinare lentamente la mano indolenzita a quella di Irene, ma lei la tirò via di colpo. 
“No, sto bene” rispose, accennando un lieve sorriso. E in fondo era anche merito di Rocco. Se non fosse intervenuto, mostrandosi a suo zio, le cose sarebbero potute andare per il verso sbagliato.
“A me mi dispiace per come ti ho trattata, Irè” disse Rocco dopo qualche istante, ferito dal gesto di ritrosia di lei. Avrebbe voluto toccarla, sfiorarle le pelle, proprio come quel Lorenzo aveva fatto la sera prima, consolandola al posto suo. Rocco non era mai stato uno da gesti eclatanti, o manifestazioni di affetto. Nessuno gli aveva mai insegnato il potere di un bacio, di un abbraccio o di una carezza. Ma da quando aveva conosciuto Irene, in parte era cambiato anche lui. Il modo in cui lei lo ringraziava sempre con un bacio sulla guancia, ancora lo lasciava sgomento, di tanto in tanto, incapace di reagire alla giusta maniera. Eppure quella sera ci aveva provato. Aveva provato a sfiorarla, consolarla imitando quel Lorenzo e il modo in cui si era preso cura di lei la sera precedente, predendosi delle libertà che Rocco non aveva mai avuto con Irene. Era in genere lui quello che si ritraeva, a disagio e imbarazzato dalla spontaneità di lei. Adesso che lo ripagava con la stessa moneta, che non era più lei a ricercare il contatto fisico con lui, realizzò che gli mancava. E che Irene era andata avanti. Senza di lui.
“Non ha più importanza” rispose Irene, fingendo un sorriso. “Tu hai Maria, io ho trovato Lorenzo. Alla fine tutto si è risolto per il meglio, no?” disse lei, e in quel momento Rocco strinse le labbra e annuì, rassegnato. 
“Allora torna a casa da lei” continuò Irene. Una parte di sé avrebbe voluto sentirgli dire che no, non voleva tornare a casa dalla sua fidanzata, che avrebbe preferito trascorrere la serata insieme a lei in magazzino, proprio come avevano fatto dopo Natale. 
“Non posso” ribatté lui, tornando a chinare la testa sulle proprie mani. A Irene sembrava essere vittima di un deja-vù. Lui che non poteva tornare a casa e dormiva in magazzino, lei che gli portava da mangiare e lo rassicurava, come aveva fatto Rocco mesi prima. 
“E perché?” lo guardò confusa.
“Picchì mi vergogno” rispose lui di getto, senza pensarci troppo. Irene e Armando erano stati gli unici con cui Rocco si fosse mai aperto. Gli veniva ormai naturale confidarsi con lei.
“E di cosa?” domandò.
“Irè, ho dato un pugno a mio zio. Avà, come faccio a tornare a casa?” scosse la testa con fare sconsolato.
“Sono tutti preoccupati per te, Rocco. Ti accoglierebbero come hanno sempre fatto” gli rispose lei. Sua zia e Maria gli avrebbero gettato le braccia al collo, preoccupate per quella reazione inaspettata. Lo stesso avrebbe fatto Tina, che non vedeva l’ora di rivederlo.
“Gli altri, forse. Non me ziu” la contraddì.
“E davvero ti importa del suo giudizio?” chiese Irene sorpresa.
“No” rispose, guardandola negli occhi. No, le importava il suo giudizio, quello delle persone a cui voleva bene, quello di Armando, di Maria. Ma soprattutto quello di se stesso. “Irè, e se sono come mio padre?” si lasciò andare infine, raccontandole finalmente tutta la verità. Solo a lei e al signor Armando aveva confidato del rapporto con suo padre. Di come lui lo avesse sempre trattato, delle botte, della violenza psicologica. Lo aveva sempre fatto sentire stupido e sbagliato. E in quelle ore aveva iniziato a domandarsi se in realtà non avesse avuto sempre ragione lui. Forse in fondo c’era un motivo se gli diceva quelle cose. 
“Ti ricordi che una volta mi hai detto che l’arancia non cade mai lontana dall’albero? Dicevi che avevo la testa dura come quella di mio padre.” Ripensava spesso alle chiacchierate che aveva avuto con Rocco. Erano tempi profondamente diversi, allora. Eppure quanto le mancavano. Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro a gennaio, quando Maria non c’era e per un attimo le era sembrato possibile un futuro con Rocco Amato.
“Non era la mela?” domandò Rocco, proprio come aveva fatto Irene in quel precedente scambio di battute, strappandole una risata.
“Era quello che ti avevo detto anch’io. Ma è la stessa cosa. Il punto è che tu non sei quell’arancia” disse lei come se avesse fatto il discorso più chiaro del mondo e quell’analogia dovesse finalmente aprirgli gli occhi. 
“Irè, anche se sono una mela, sempre sotto l’albero cado” ribatté lui talmente serio che lei non poté fare a meno di sorridere. 
“No, Rocco. Intendo che tu e tuo padre siete profondamente diversi. Lui si sarebbe prodigato ad aiutare una persona in difficoltà come hai fatto tu con me? Mi avrebbe mai difesa come hai fatto con il signor Armando qualche settimana fa? Come hai fatto ora con tuo zio?” Rocco scosse la testa. “Hai un cuore buono e il fatto che tu sia pentito e ti stia colpevolizzando come stai facendo adesso, dimostra che non sei affatto come lui. Sei una brava persona” gli sorrise, guardandolo dritto negli occhi. Le sue ciglia lunghe, lo sguardo smarrito. Per un attimo le sembrò che il tempo si fosse arrestato, che esistessero solo loro due. In quel silenzio, fatto di parole non dette, confessioni non fatte e fraintendimenti, entrambi si avvicinarono l’uno all’altra per un periodo che le sembrò interminabile.
Avrebbe tanto voluto portare indietro le lancette del tempo e cambiare il corso degli eventi. Ma la decisione era ormai stata presa e loro due avevano scelto di percorrere strade differenti. Due rette parallele che non si sarebbero mai più ricongiunte. Era finita. Ed era ora di andare avanti.
“Devo andare” lei si tirò indietro all’improvviso. Era stata un’altra volta Irene a prendere le distanze da lui, proprio come aveva fatto settimane prima. “Torna a casa, la tua famiglia ti aspetta” disse lei, rimettendosi in piedi, lasciando un Rocco sgomento. 
Senza aggiungere altro, prese la borsetta e uscì dal magazzino, trovandosi di fronte l’aria fresca della sera. Irene respirò a pieni polmoni, cercando di ritrovare la compostezza necessaria per tornare a casa. Peccato che solo lì, insieme a Rocco, Irene si sentiva a casa come in nessun altro luogo. Non aveva importanza dove si trovassero, che fosse il magazzino, la caffetteria, o il ristorante di lusso. Se gli aveva fatto credere il contrario, era perché aveva avuto paura di quei sentimenti, talmente grandi e importanti, che l’avevano destabilizzata. Aveva scelto le sue amiche, aveva scelto quella nuova famiglia che si era creata a fatica e che non era disposta a perdere, così come Rocco aveva scelto la sua. Nessuno dei due si era reso conto di aver sacrificato, in questo modo, quella parte che li rendeva migliori. 

  
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