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Autore: Karmi    06/06/2021    0 recensioni
“Finirai di scrivere questa storia?”
Virgania alzò le spalle. Non ci aveva pensato, avendo deciso di abbandonare il suo sogno di diventare scrittrice. Effettivamente, ora che aveva vissuto in prima persona gli eventi del suo racconto, non avrebbe avuto difficoltà a mettere la parola fine alla sua prima storia.
“Ha importanza?”
“Be’, se non la finissi, avresti un motivo per continuare a tenermi in un angolo della tua mente”, rifletté Haxide, accennando a un mezzo sorriso.
Virgania ricambiò l’espressione: “Anche se cascasse il mondo non smetterei di pensare al mio migliore amico, Haxi.”
Ci sono amicizie che durano tutta una vita.
Ci sono amicizie che trascendono il tempo e lo spazio.
Ci sono amicizie che non possono mai essere spezzate.
E ci sono amicizie che comprendono tutti e tre questi elementi.
Haxide e Virgania ne erano un esempio.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di solito, l’eroe era il primo a svegliarsi.

Era la forza dell’abitudine: a una certa ora, che alcune volte corrispondeva all’apparizione dei primi raggi del sole nel cielo e altre invece al bagliore delle ultime stelle della notte, apriva gli occhi e non si riaddormentava più. Era così fin da quando era bambino, quando ancora aiutava i suoi genitori con la fattoria che gestivano.

Quando ancora non aveva la più pallida idea di essere l’eroe prescelto dagli dei.

Tuttavia, c’era sempre un’eccezione alla regola.

Quella mattina, quando i suoi sensi si risvegliarono, capì immediatamente di non essere il primo a vedere i suoi compagni dormire pacificamente. Non si stupì, però. Anzi, se l’era immaginato.

Per tanto, si comportò normalmente e si preparò in silenzio per non disturbare il riposo dei suoi compagni. Se l’erano meritato, in fondo.

Erano passati solo tre giorni dalla vittoria contro il Re dei Demoni. Grazie all’aiuto dei suoi formidabili compagni, era riuscito a trafiggere il cuore del mostro e a donare l’eterno riposo alla sua anima dannata. Purtroppo, il Re dei Demoni non era diventato maligno senza motivo. Il dolore e la sofferenza che aveva provato per tutta la vita lo avevano portato a stringere un patto con un’entità diabolica, trasformandolo in qualcosa che mai avrebbe dovuto esistere.

Grazie ai poteri divini con cui gli dei l’avevano benedetto, l’eroe era riuscito a purificare l’essenza di colui che aveva perso la retta via. Mentre assisteva ai suoi ultimi momenti, l’eroe aveva pregato con tutto il cuore che il Re dei Demoni potesse ricongiungersi con la persona che aveva amato con tutto sé stesso. Aveva diritto anche lui alla sua porzione di amore.

L’eroe osservò le persone che era riuscito a non svegliare. Il guerriero russava, la santa respirava pacificamente, la maga aveva un rivolo di saliva che le scivolava dalla bocca semichiusa e l’arciere aveva la postura più scomoda e bizzarra che qualcuno potesse assumere mentre dormiva.

Erano tranquilli.

Erano ignoranti.

Quando si sarebbero svegliati, si sarebbero accorti solo della sua scomparsa. Non della loro.

Chiuse gli occhi. Poi si voltò e si avviò nella foresta.

 

Sebbene non si fossero orme o indizi che indicassero dove lei potesse essere andata, l’eroe sapeva dov’era. Glielo stava dicendo il suo istinto, il più leale tra i suoi alleati. Così camminò, senza fretta, scavalcando tronchi e facendo attenzione a non emettere rumori. Tecnicamente, era ancora notte e i suoi compagni non erano gli unici a star dormendo.

Dopo un po’, non capì bene quanto tempo passò, la trovò.

Un ruscello scorreva dolcemente nel percorso creato dai sassi, una ninna nanna naturale che calmava anche la più inquieta delle menti.

Lei ballava. Con i piedi scalzi, aveva abbandonato gli stivali consumati vicino a un albero, eseguiva piroette e saltava sui sassi non completamente avvolti dall’acqua trasparente. Sembrava una bambina, e l’eroe la lasciò giocare in silenzio, limitandosi a studiarla.

Ovviamente, si era accorta di lui. Ad ogni giro che eseguiva, i loro occhi si incontravano. Ma non aveva voglia di fermarsi, non ancora; c’era abbastanza tempo per aspettare. Le stelle stavano scomparendo ma lei avrebbe continuato fino a quando il primo raggio di sole avrebbe baciato i figli della natura.

Fino ad allora, avrebbe rimandato la conversazione che avrebbe messo fine a tutto.

 

Onestamente, l’eroe aveva il fascino tipico di un… be’, di un eroe: quindi era l’esatto opposto del Re dei Demoni. Capelli argentei come la luna piena, occhi azzurri come il cielo più limpido e un sorriso che scioglieva anche il più gelido dei cuori. Era bello, bello come solo un eroe poteva esserlo. A dire il vero, erano belli pure i compagni che l’avevano seguito fino al castello del Re dei Demoni. Ognuno aveva un tipo di bellezza diverso, certo, ma nessuno poteva lamentarsi. Anche il Re dei Demoni era stato affascinante, con i capelli corvini e gli occhi rubini.

L’unica persona che però non era eccezionalmente bella era proprio lei.

I capelli viola (“ho rubato il colore alle melanzane”, scherzava lei) non erano particolarmente lucidi o morbidi, gli occhi neri non erano né caldi né freddi e il volto non nascondeva segreti. Era… normale; forse questo era il primo indizio del segreto che aveva avuto modo di scoprire grazie al suo nemico più temibile: la birra.

Lui e lei non avevano nessuna tolleranza all’alcol.

Il secondo indizio era legato alla loro amicizia. Il team dell’eroe era formato da persone fisicamente o psicologicamente eccezionali; di nuovo, lei era normale. Anzi, forse la sua eccezionalità era proprio il fatto che fosse con loro nonostante non avesse le qualità che si aspettava da un membro di un gruppo del genere.

Il terzo, infine, era l’espressione malinconica e rassegnata che di tanto in tanto le era comparsa in viso negli anni passati insieme. C’era qualcosa in quell’espressione che l’eroe non riusciva a capacitarsi. Era triste e allo stesso tempo orgogliosa, solitaria e rassicurante. Ripensandoci, non era poi strano che l’eroe, quando le aveva visto quell’espressione in volto, aveva sempre avuto l'impressione di avere davanti una mamma e non un’amica.

Nonostante ciò, l’eroe l’aveva sempre considerata la sua migliore amica. Nel bene e nel male, indipendentemente dai dubbi causati da quell’espressione e dai litigi che erano scoppiati durante il loro viaggio.

Le voleva bene. Le voleva veramente tanto bene.

Troppo, per provare qualunque tipo di risentimento nei suoi confronti quando aveva scoperto di essere solo un personaggio di una storia di cui lei stessa era l’autore.

 

Due anni prima, quando avevano vinto una battaglia veramente importante contro l’armata del Re dei Demoni, il team dell’eroe si era totalmente ubriacato. Avevano festeggiato così tanto che nessuno aveva resistito ai fumi dell’alcol. C’era chi era scoppiato in lacrime, chi aveva cominciato a ridere fino allo sfinimento, chi si era messo a correre per la strada urlando come un matto. Lei e l’eroe erano stati i più civili: dopo tre calici si erano addormentati come due sacchi di patate.

Quando si erano svegliati, nel bel mezzo della notte, erano ancora brilli. Molto brilli. La taverna era piena di persone addormentate, quindi barcollanti avevano deciso di uscire a prendere una boccata d’aria.

Sotto la luce degli astri e soli, lei aveva sganciato una bomba.

Tu sei il protagonista… Yeahhhh, Haxiiii, sei proprio come ti avevo immaginatooo...”

Hiccup… ma che protagonistaaaa… Hiccup...”

Ahhhhh, non mi credi… Eppure… Haxi… questo è il mondo che ho scritto per primo...”

Hiccup… Che… vuol dire… Vir… Hiccup...”

“… Tu sei il protagonista del mio racconto...”

Il giorno dopo l’eroe non aveva dimenticato cosa aveva sentito e lei non aveva scordato cosa aveva detto. Far finta di niente era qualcosa che entrambi volevano ma non erano in grado di fare. Così, una volta scesa la notte e sicuri che i loro compagni fossero nel mondo dei sogni, lei gli aveva rivelato la verità.

L’eroe l’aveva ascoltata dall’inizio fino alla fine, incredulo e allo stesso tempo afflitto. Non era facile accettare le sue parole, ma era una storia troppo paradossale per non crederle. Non aveva senso usare una scusa così montata per mentirgli. Non aveva avuto scelta che crederle.

Credere che era il protagonista di una storia scritta a metà.

Credere che lei era l’autrice di quella storia.

Credere che un giorno si sarebbero detti addio, indipendentemente dal suo desiderio di rimanere con lei per sempre.

 

Il cielo aveva assunto sfumature rosa. Il sole finalmente si stava alzando, pronto ad affrontare la sua quotidiana passeggiata radiosa al di sopra di tutto e di tutti.

Lei aveva smesso di ballare. Aveva posato i piedi chiari sul sasso e aveva incatenato lo sguardo con l’eroe.

Si leggeva nei suoi occhi una serenità confortante.

“Buongiorno”, gli disse, rimanendo ferma dov’era. “Hai dormito bene?”

“Sì”, rispose, “e tu?”

Annuì. Il silenzio calò nuovamente. Sinceramente, l’eroe non sapeva cosa dire. Era plausibile: non voleva scegliere le parole sbagliate, non quando stavano incominciando la conversazione più importante della loro amicizia.

Ma qualcosa si doveva pur dire. Lasciarsi in silenzio non era un’opzione.

Forse intuì il dibattito interiore dell’eroe, o forse era a più agio così; comunque, fu lei a iniziare la loro ultima conversazione.

“Non ho talento come scrittrice”, costatò con un sospiro. “Ci ho impiegato vent’anni a capirlo, ma sai come si dice, no? Meglio tardi che mai”.

L’eroe non rispose, lasciandola parlare.

“In realtà, lo sapevo ma non volevo accettarlo. Credevo che se avessi continuato a insistere, prima o poi sarei riuscita a scrivere una storia. Non doveva essere la migliore o la più venduta. Volevo solo che fosse completa, che iniziasse con un prologo e finisse con un epilogo”.

Abbassò lo sguardo, interropendo il legame che aveva creato con l’eroe. Con un piede, sfiorò la superficie cristallina dell’acqua. Era fredda.

“Non ci sono mai riuscita. Nonostante le notti passate in bianco, nonostante le ore spese a studiare i manuali di scrittura, nonostante gli incoraggiamenti dei miei genitori. A un certo punto, non riuscivo neppure a iniziare a scrivere. Un vero disastro, eh?”

Una risatina apatica le sfuggì dalle labbra. Poi rialzò lo sguardo verso di lui.

“Tuttavia, tutte le mie storie, scritte o solo pensate, avevano un elemento in comune”.

Si fissarono negli occhi. L’eroe, dopo un attimo di incertezza, aprì la bocca. “… Ovvero?”

Aveva la sensazione di conoscere la risposta.

E un sorriso amaro prese forma sul viso gentile di lei.

“Tu. Tu sei stato nei miei pensieri ogni volta che scrivevo una storia, Haxi”.

 

Haxide aveva conosciuto lei in una scuderia. Entrambi dovevano comprare un cavallo per viaggiare. Mentre il commerciante li preparava, si erano messi a parlare. Non aveva avvertito una particolare attrazione nei suoi confronti, ma era piacevole discutere del tempo e delle ultime notizie con qualcuno dai toni garbati e gentili.

All’epoca non aveva ancora scoperto di essere l’eroe prescelto dagli dei, ma era in procinto di farlo. Infatti, era partito dalla sua città natale per raggiungere la capitale: il re aveva proclamato un decreto reale dove chiamava a raccolta tutti gli uomini del regno per provare a tirare fuori la Spada Sacra dalla roccia. Chiunque ci fosse sarebbe riuscito, sarebbe stato l’eroe prescelto dagli dei, colui che doveva partire con un gruppo di alleati e sconfiggere le forze del male che minacciavano il regno.

Haxide non sospettava minimamente di essere veramente lui. Era partito a cuor leggero, considerando quel viaggio come una villeggiatura.

Alla faccia dell’ironia del destino.

Quando i cavalli furono pronti, scoprirono di avere la stessa destinazione. Il futuro eroe non ci aveva pensato due volte a chiederle se voleva viaggiare insieme: era più sicuro (era una donna giovane in viaggio da sola) e più divertente.

Lei aveva accettato con gioia, diventando inconsciamente la sua prima compagna.

Mai avrebbe creduto che quell’incontro non fosse stato casuale, come le aveva confidato quella sera di due anni fa. Tuttavia, ogni volta che ci ripensava, lo considerarlo come un ricordo prezioso

Il sorriso le scomparse dal volto e continuò a parlare, mentre l’eroe ascoltava con attenzione.

“Sei sempre stato il mio protagonista, Haxi. E quando ti ho incontrato cinque anni fa, era davvero contenta di vederti. Eppure non riesco a credere che la cosa sia reciproca, non riesco proprio. In un certo senso, non ne ho il diritto”.

Smise di parlare per un paio di minuti, dando il tempo ad Haxide di assimilare le frasi che aveva appena udito. Poi, finalmente, fece la domanda che più lei temeva.

“Sei deluso?”

“No”.

Fu una risposta immediata e sincera. Non passarono nemmeno tre secondi.

“Perché? Avresti tutto il diritto di esserlo. Ah, aspetta: forse mi odi? Saresti giustificato. Insomma, sei un eroe, non un santo, e anch’io nei tuoi panni mi od...”

“No, Vir. Non sono deluso e tanto meno ti odio”, la interruppe lui.

Lo fissò negli occhi con crudele perplessità. Haxide non mentiva, eppure Virgania non riusciva a fidarsi delle sue parole. Un po’ se ne vergognava.

“Perché?” chiese, con sincera curiosità. Lo aveva appena detto, o quasi, che lei si sarebbe odiata se fosse stata nei suoi panni.

Fu il turno dell’eroe di assumere un sorriso amaro.

“Perché non ne ho motivo. Virgania, lo hai appena ammesso: hai pensato a me per vent‘anni. Una persona non pensa per vent’anni a una persona, o a un personaggio, perché lo odia. Ci pensa perché gli vuole bene.

“Tu mi vuoi bene e io ne voglio a te. Per cinque anni, siamo stati insieme e abbiamo affrontato qualsiasi tipo di situazione. Non mi hai mai tradito una volta, non mi hai abbandonato mai una volta e non hai rinunciato a me mai una volta. Quindi perché dovrei essere deluso? Perché dovrei odiarti?”

Virgania sgranò gli occhi, aprendo la bocca. Voleva ribattere, ma nessuna parola le uscì dalla gola. Il ragionamento di Haxide era logico e contemporaneamente illogico. Non faceva una piega; eppure non le sembrava corretto.

Non l’aveva tradito, ma gli aveva tenuto nascosta la verità per tre anni. Non l’aveva abbandonato, ma inizialmente gli era stato vicino per usarlo. Non aveva rinunciato a lui, ma c’era stato un tempo in cui l’aveva fatto perché si sentiva in colpa.

C’era un motivo per odiarla, eppure stava facendo finta di non vederlo.

Virgania chiuse la bocca, arrossendo leggermente dalla vergogna.

“… Sei davvero troppo buono, Haxi”, disse.

Haxide alzò le spalle: “Mi hai creato tu così, Vir”.

Il silenzio cadde una terza volta nella foresta che si stava finalmente svegliando.

 

Haxide le si avvicinò, camminando fino a quando le suole degli stivali non fossero sommerse nell’acqua del ruscello.

“E’ ora?” chiese, grattandosi la guancia.

Non c’era bisogno di specificare esattamente di che ora stesse parlando.

“… Sì. Ormai, non c’è più bisogno di un eroe”, rispose Virgania a mezza voce.

Aveva sognato e temuto quel momento per cinque anni. Era arrivato il momento di tornare al suo mondo. Il cuore era stretto in una morsa.

Non aveva nessuno che poteva chiamare “migliore amico” nel suo mondo.

“Finirai di scrivere questa storia?”

Virgania alzò le spalle. Non ci aveva pensato, avendo deciso di abbandonare il suo sogno di diventare scrittrice. Effettivamente, ora che aveva vissuto in prima persona gli eventi del suo racconto, non avrebbe avuto difficoltà a mettere la parola fine alla sua prima storia.

“Ha importanza?”

“Be’, se non la finissi, avresti un motivo per continuare a tenermi in un angolo della tua mente”, rifletté Haxide, accennando a un mezzo sorriso.

Virgania ricambiò l’espressione: “Anche se cascasse il mondo non smetterei di pensare al mio migliore amico, Haxi.”

Una folata di vento scosse le foglie degli alberi. Virgania si accorse di provare un costante pizzicore alle mani. Abbassò lo sguardo.

Stavano diventando trasparenti.

 

“Credo sia arrivato il momento di salutarci, Haxide” ammise, ritornando a guardarlo negli occhi.

Il sorriso dell’eroe si fece più malinconico e affettuoso. Senza dire niente, aprì le braccia.

Senza dire niente, Virgania posò il mento sulla spalla di lui, stringendo le braccia attorno al suo corpo muscoloso.

Non era il loro primo abbraccio, ma era sicuramente l’ultimo.

Virgania e Haxide ripensarono a tutti i momenti che avevano passato insieme, ricordandosi quanto avevano sofferto e quanto si erano divertiti, quanto avevano lottato e quanto avevano festeggiato. Non era facile lasciarsi andare, non era facile dirsi addio.

Nemmeno quando era la creatrice di quel mondo.

Nemmeno quando eri l’eroe prescelto dagli dei.

E allora Haxide la tenne stretta tra le braccia.

E allora Virgania si lasciò stringere, limitandosi a ricambiare la stretta.

Ma c’erano cose che non si potevano fermare nemmeno volendo.

Quando si accorsero che non c’era quasi più tempo, Haxide chiese la domanda che fino a quel momento aveva tenuto da parte.

“Qual è il tuo vero nome, Vir?”

“… Hexadi.”

Haxide sgranò gli occhi. E lui che aveva sempre pensato che il suo nome non fosse importante. Invece, era l’anagramma del nome vero, non quello da scrittrice, della sua migliore amica.

Rimasero in silenzio per un po’. Poi arrivò il momento.

E quando si accorse che non c’era più tempo, Virgania mormorò l’ultima cosa che voleva che Haxide udisse da lei.

“Sii felice, Haxi”.

E quando si accorse che non c’era più tempo, Haxide sussurrò l’ultima che voleva che Virgania udisse da lui.

“Anche tu, Vir”.

Un attimo dopo, tra le mani dell’eroe c’erano solo i vestiti una volta indossati dall’autore.

 

Tanto tempo fa, c’era una ragazza che sognava di diventare un’autrice di libri fantasy. Scrisse, scrisse e scrisse ancora, ma le storie che creava non incontravano mai una fine. La ragazza si disperò sempre di più, non sapendo più cosa fare per riuscire a raggiungere il proprio sogno.

E il giorno che decise di abbandonarlo, le capitò una cosa straordinaria: trasmigrò nel primo racconto che aveva provato a scrivere e diventò la migliore amica del personaggio a cui teneva più a tutti: l’eroe Haxide.

Passò cinque anni in quel racconto, seguendo gli eventi che lei stessa aveva scritto e gli eventi che mai si sarebbe aspettata.

Quando il racconto raggiunse la sua “potenziale” fine, tornò da dove proveniva.

Di nuovo nel suo mondo, non finì il suo primo racconto.

Non ce n’era il tempo e, soprattutto, non ce n’era più bisogno.

La ragazza non aveva più bisogno di scrivere un libro per donare la felicità a chi non l’aveva mai lasciata sola.

Perché il suo migliore amico, nonché il suo amico immaginario, l’amico che le era stato affianco nella sua gioventù travagliata e malata, era già felice.

E allora la ragazza poté spegnersi tranquillamente, senza rimorsi, felice pure lei, poiché lo era lui.

 

   
 
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