Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Elef    09/06/2021    4 recensioni
[ATTENZIONE! Spoiler capitolo 132]
[Levihan (Levi/Hanji)]
***
Poche ore prima della partenza alla volta di Forte Salta, Hanji si ritrova ad affrontare un ultimo grande momento di debolezza. Ma, almeno stavolta, non deve farlo per forza da sola.
***
Dal testo:
«Levi, non puoi combattere nelle condizioni in cui sei!» protestò lei.
Lui la squadrò con l’unico occhio plumbeo e infossato, per nulla impressionato da quella reazione. «Credi davvero che me ne starò a bordo di questa nave o di quell’idrovolante senza muovere un muscolo?»
«Dovresti!» insistette la sua compagna. «Sarai anche il soldato più forte dell'umanità ma non sei indistruttibile!»
«Proprio tu mi dici queste sciocchezze?.» ribatté allora lui, alzando leggermente il tono di voce. «Devo davvero ricordarti il tuo ruolo, Comandante?»
«Al diavolo quel ruolo!» sbottò Hanji, sbattendo un pugno contro la parete metallica vicino all’oblò.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutt*!

Questa one-shot è basata su una parte di una fanart che io stessa ho realizzato e che potete trovare in fondo al testo (la versione integrale è qui: https://elefdreams.tumblr.com/post/651474925618675712/small-great-changes-aotlevihan-hello-fellow)

Se avete domande o consigli, ben vengano! :)


Thank you

 

Hanji sbocconcellò il tozzo di pane che si era portata con sé in cabina. In realtà le era passata la fame da quando Yelena aveva raccontato loro quello che sapeva e aveva formulato ipotesi sulle prossime mosse di Eren. Si era comunque sforzata di mangiare una mezza ciotola di zuppa e di scherzare con i suoi compagni per apparire fiduciosa come sempre, ma ora, dopo essersi ritirata nella sua stanza, poteva finalmente abbassare la maschera. Quel tozzo di pane rimasto dal pasto era più che altro una distrazione in quel momento in cui cercava di rimettere in ordine i suoi pensieri.

Il suo sguardo vagò sul tavolino al quale era seduta, tappezzato di appunti, libri e briciole: al centro si trovava la mappa di Marley che la signora Azumabito le aveva fornito per studiare i luoghi citati poco tempo prima da Yelena e Pieck. Di fianco al tavolino stava una piccola cassettiera. Hanji vi aveva rovistato dentro in cerca di vestiti puliti, dopo essersi data una lavata qualche ora prima: i cassetti mezzi aperti sembravano rigurgitare quei tre o quattro capi rimasti come se avessero d’un tratto preso vita propria. Resasi improvvisamente conto del fatto che quello scenario di disordine rispecchiava perfettamente il suo stato interiore, un moto di disgusto la travolse.

Sono ingenua, così ingenua e disordinata…” le venne da pensare, mentre gettava rabbiosamente il pane smangiucchiato sulla mappa. Alzatasi dalla sedia, si allontanò per raggiungere l’unico oblò della cabina, dal quale poteva scorgere un lembo del porto di Odiha: il capannone in cui era stato posto l’idrovolante era illuminato a giorno e Jean, Mikasa, Connie e Reiner stavano finendo di caricare la stiva con le ultime provviste. Nel vedere il velivolo con cui all’alba sarebbero partiti, ad Hanji venne da ripensare alla conversazione che avevano avuto lei e la signora Azumabito poco prima di attraccare.

«La prego, salvate la nostra terra di Hizuru.» le aveva chiesto la donna, in cambio di tutto il sostegno materiale che il clan orientale poteva fornire alla neonata Alleanza.

La vera domanda era: ci sarebbe stata ancora una nazione di Hizuru da poter salvare? O era già troppo tardi?

La sua mente tornò ancora più indietro, alla sera in cui aveva parlato per l’ultima volta con Eren nella prigione dove era stato rinchiuso dopo il raid di Liberio. Se si concentrava abbastanza, riusciva a provare lo stesso terrore che l’aveva invasa nel momento in cui lui l’aveva afferrata per il bavero e attirata a sé, facendola sbattere malamente contro la grata di ferro posta tra loro.

La furia cieca in quegli occhi smeraldini… Che cosa poteva fare lei per inibirla?

Se l’era chiesto molte volte da quando era Comandante del Corpo di Ricerca e ancora adesso, nonostante tutta la sua buona volontà, non poteva far altro che lasciarsi investire da un devastante senso di impotenza.

«Oi.»

Ah, eccoti.” pensò Hanji, sollevando istintivamente gli angoli della bocca nel sentire quella voce.

Di solito si ritrovava a sobbalzare perché sembrava che lui avesse un talento naturale per sorprenderla mentre era profondamente immersa nei recessi della sua mente. Quella volta, tuttavia, non fu così. Lei rimase a guardare, senza realmente vederlo, il porto di Odiha fuori dall’oblò.

«Levi.» lo salutò. «Ti ostini ad andare in giro per conto tuo…» aggiunse, cercando di essere misurata nella sua apprensione. Sapeva quanto fosse difficile per lui trovarsi in quello stato miserabile, continuare a sottolinearlo senza lasciargli un minimo di autonomia di certo non lo avrebbe fatto sentire meglio.

Da dietro, sentì il suo compagno arrancare per raggiungerla, appoggiandosi al mobilio spartano che trovava sulla sua strada.

«Se proprio vuoi saperlo, questa volta sono andato al cesso. E devo ammettere che era da un po’ che non ne uscivo così soddisfatto.» replicò nel suo solito tono placido e spigliato, come se avesse appena constatato che il clima fuori era mite. Hanji rimase con lo sguardo fisso sull’oblò ma si lasciò andare in una breve risata genuina di fronte a quel suo particolare senso dell’umorismo che lei, a differenza di quasi tutti gli altri, aveva sempre trovato divertente.

«In effetti cominciavo a preoccuparmi.» stette al gioco lei, assumendo lo stesso atteggiamento disinvolto. «In questi giorni in cui ho dovuto assisterti per tutto il tempo non mi pare proprio che tu ti sia… come dire… liberato del carico durante le tue sedute

Levi fece un verso a metà via tra una risata e un mugugno. «Sai com’è, cagare in un cespuglio in compagnia di qualcuno non è tra le mie più grandi aspirazioni.»

«Ieri ho seriamente pensato di metterti un po’ di lassativo nel tè.» continuò lei, imperterrita. «Avevo già in mente un piano diabolico: prima fase, preparare il tè. Seconda fase, aggiungere il lassativo. Terza fase...» Le labbra le si incurvarono in un sorriso sghembo. «…Pannolone per adulti.»

«Come se non mi sentissi già abbastanza umiliato… Sei una brutta persona, quattrocchi.» ribatté lui, annoiato. Qualcun altro avrebbe potuto credere che fosse davvero infastidito ma Hanji riusciva ormai a riconoscere ogni più lieve sfumatura nel suo tono e nei suoi gesti, ed era sicura che si stesse divertendo anche lui.

“Quattrocchi”… Era da tempo che non la chiamava così. Non sapeva se sarebbe mai riuscita ad ammetterlo – e forse non c’era nemmeno bisogno che lo facesse – ma ogni volta che lui si rivolgeva a lei con quel paio di nomignoli affibbiati inizialmente in modo spregiativo, sentiva sempre un piacevole e familiare calore allo stomaco, una sensazione di nostalgia mista ad affetto.

Si voltò leggermente per guardarlo da sopra la spalla, con lo stesso sorrisetto di poco prima stampato in volto. «Già, e sono anche il tuo Comandante, il che significa che posso umiliarti quanto voglio.»

«Tch, lo vedremo quando sarò completamente guarito...» borbottò Levi, rispondendo all’espressione beffarda di Hanji con finta insofferenza e qualcos’altro… Aveva sentito bene? La stava stuzzicando in quel senso?

Mentre altre domande più melense si affollavano dentro di lei, rimanendo inespresse, il suo compagno riuscì con un po’ di fatica a prendere posto sulla poltroncina poco distante da dove lei stava in piedi.

Hanji lo vide con la coda dell’occhio mentre gettava uno sguardo stanco alla confusione che lei aveva lasciato tra il tavolino e la cassettiera, tuttavia rimase stranamente in silenzio. Stranamente considerando gli standard di pulizia di Levi Ackerman ma non così stranamente considerando la situazione.

Lei sapeva perché era venuto. Non voleva giudicarla per il suo scarso senso dell’ordine e nemmeno riprendere in mano questioni legate al piano d’azione, di cui avevano già abbondantemente discusso nei giorni precedenti. No, lui era lì con lei e per lei. Ma il suo tentativo di rallegrarla o anche solo la sua presenza in quel momento non erano sufficienti a sopprimere completamente quel brutto presentimento che si era insediato in lei ormai da ore.

Un silenzio lungo e pesante scese nella piccola stanza mentre la mente la rapiva di nuovo e la portava alla sera in cui aveva parlato con Jean e Mikasa, prima di riunirsi agli altri alleati. In quel momento, era riuscita a rimanere ferma nella sua visione razionale della questione: se fosse stato necessario, avrebbero dovuto uccidere Eren. Ma, come Comandante del Corpo di Ricerca, era davvero la soluzione migliore che era riuscita a trovare? Davvero tutti quei cuori offerti fin lì per proteggere Eren, la loro unica speranza di annientare i Giganti, non erano serviti a niente? Come spesso le accadeva in quegli ultimi tempi, le parve di avvertire su di sé gli sguardi cupi dei suoi compagni caduti.

No, non può essere. Mi rifiuto di pensarlo. Però… Il genocidio non è un’opzione. ricordò Hanji. Così aveva detto anche ai suoi sottoposti.

Erwin… tu diresti la stessa cosa, no?”

«Oi, quattrocchi...»

La voce pacata di Levi la richiamò alla realtà. Lei si voltò a guardarlo, allentando la stretta dei pugni: non si era nemmeno accorta di averli chiusi così tanto.

«Cerca di riprenderti. Hai una cera che quasi più brutta della mia.» proseguì il suo compagno, quasi impaziente. Sembrava che anche lui avesse un qualche brutto presentimento da dover esorcizzare in qualche modo.

Lei accennò ad un sorriso che aveva molto poco di allegro. «Hai ragione, mi dispiace. Purtroppo, temo di non poterci fare molto finché tutta questa storia non sarà finita.»

«Dormire un po’ potrebbe aiutarti.» suggerì lui allora. «Partiremo fra qualche ora, sarà meglio per tutti noi se sei in forma.»

«Se riuscissi a prendere sonno sarebbe una gran bella cos…» Hanji si bloccò di colpo, sentendo un brivido percorrerle il corpo e farle venire la pelle d’oca. «Aspetta un attimo… Hai detto “partiremo” e “sarà meglio per noi”?»

Ne avevano già parlato nella foresta prima di rimettersi in marcia: erano rimasti d’accordo che lui sarebbe rimasto fuori da ogni eventuale battaglia fino a quando non fosse stato in grado di prendersi cura di sé stesso in totale autonomia. Anche se era riuscito a muoversi da solo, era ancora troppo presto.

«Levi, non puoi combattere nelle condizioni in cui sei!» protestò lei.

Lui la squadrò con l’unico occhio plumbeo e infossato, per nulla impressionato da quella reazione. «Credi davvero che me ne starò a bordo di questa nave o di quell’idrovolante senza muovere un muscolo?»

«Dovresti!» insistette la sua compagna. «Sarai anche il soldato più forte dell'umanità ma non sei indistruttibile!»

«Proprio tu mi dici queste sciocchezze?.» ribatté allora lui, alzando leggermente il tono di voce. «Devo davvero ricordarti il tuo ruolo, Comandante?»

«Al diavolo quel ruolo!» sbottò Hanji, sbattendo un pugno contro la parete metallica vicino all’oblò. «Ugh… Maledizione!» imprecò subito dopo con voce strozzata, ritirando la mano di scatto e massaggiandosela. Era chiaro come il sole ora: Levi l’aveva provocata per aiutarla a buttare fuori tutto il marcio che si era accumulato dentro di lei in quegli ultimi mesi, in modo che potesse liberarsi dalla frustrazione e dalle insicurezze e ragionare più lucidamente. Lei cercò di resistere ma, con suo stesso stupore, scoprì che non ci riusciva.

«Mi dispiace, ma per me Erwin fatto una stronzata, avrebbe dovuto scegliere qualcun altro come suo successore. Ecco, l'ho detto!» esclamò, allargando le braccia e guardando il soffitto, quasi aspettandosi che per quell’affermazione il loro compagno defunto la fulminasse sul posto con qualche potere ultraterreno.

«Io volevo vedere il mondo che ci attendeva al di là del mare con gli occhi di una ricercatrice ansiosa di comprenderlo piuttosto che con quelli di un soldato pronto a fare fuoco al minimo cenno di pericolo, e nel momento in cui è stato necessario combattere, avrei voluto essere al fianco dei miei compagni, non ad impartire loro degli ordini aspettando di vedere tutto attorno a me diventare un ammasso di fuoco, sangue e macerie… E poi c’è Eren… Non comincio nemmeno con quell’idiota, dico solo che se fossi davvero all'altezza del ruolo che mi è stato affidato, a quest'ora non sarebbe a piede libero e non starebbe facendo terra bruciata di tutto ciò che si trova fuori dalle Mura, questa è la verità!»

Quel fiume di parole le era fuoriuscito dalla bocca in modo talmente concitato che quando ebbe finito dovette riprendere fiato, come se avesse appena corso per delle miglia senza fermarsi. Mentre realizzava quanto dovesse essere sembrata patetica, si sentì avvampare per la vergogna: non le faceva per niente piacere far emergere le sue debolezze in quel modo, anche se chi aveva davanti era la persona di cui si fidava di più in assoluto. Nel tentativo di calmare l’adrenalina, si tolse per un momento gli occhiali e si massaggiò la radice del naso aquilino con dita tremanti.

«Va meglio ora?» le chiese Levi dopo qualche istante, impassibile nel tono.

Hanji lo guardò di sottecchi, un po’ in imbarazzo. Il suo occhio destro incrociò quello sinistro del suo compagno, e lei vide quello che lui faceva fatica ad esprimere a parole: fiducia, stima, compassione.

«Un po’…» borbottò lei, prima girarsi di nuovo a guardare fuori dall’oblò, senza dire altro. Levi sospirò e stette un attimo in silenzio.

«Sai, l’altra sera…» cominciò alla fine. «… ho assistito a qualcosa che sinceramente non pensavo sarebbe successo. Attorno a quel falò, era riunito uno gruppo di gente davvero strano: noi due e i ragazzi, quel mascellone con istinti suicidi, quella codarda che ha dormito per quattro anni, la mocciosa indottrinata e il suo spasimante, la ragazza quadrupede arruffata, la brutta copia di Shadis, la maledetta donna barbuta e Onyankopon…»

Hanji non riuscì a non sorridere di fronte a tutti i modi che aveva trovato per riferirsi ai loro alleati senza chiamarli per nome. Ad eccezione dell’affettuoso appellativo con cui si era riferito ai loro sottoposti, l’unico che era stato risparmiato era Onyankopon, forse perché tra tutti era quello che gli era più simpatico, o magari perché il suo nome era talmente strano di suo che sostituirlo in questo contesto sarebbe risultato meno divertente.

«Certo, c’era tensione e alla fine non è filato tutto liscio, d’altronde era prevedibile dopo tutto ciò che è successo tra noi. Ma nonostante tutta la merda che ci siamo tirati addosso…» continuò il suo compagno, incespicando in ciò che voleva dire, come sempre quando provava a fare un discorso di stampo emotivo.

Che poeta...” pensò lei, divertita quanto intenerita.

«…tutti noi eravamo lì, a condividere la cena che tu avevi preparato. E ora siamo tutti qui che collaboriamo grazie a te: tu sei riuscita a unirci, tu hai creato questa Alleanza.» riuscì a concludere Levi.

Hanji sorrise, stavolta più apertamente. «Un’Alleanza un po’ sgangherata, com’è nel mio stile...»

«Ma pur sempre un barlume di speranza per l’umanità.» insistette lui. «E comunque...» aggiunse, mentre i suoi occhi si abbassavano sulle sue mani abbandonate in grembo. «…se non fosse stato per te, io non sarei stato attorno a quel falò a sentire tutto quel casino. Ti ringrazio… Zoe.»

Lei fremette appena a sentirsi chiamare con il suo primo nome. (*)

Non lo aveva mai fatto.

Nessuno lo aveva mai fatto, a parte… la sua famiglia d’origine. E da quando la sua famiglia non c’era più, aveva deciso di usare il suo cognome come una sorta di scudo contro gli stupidi pregiudizi che le donne fuori dai canoni si ritrovavano ad affrontare quotidianamente. Aveva sempre preferito presentarsi al mondo come una persona, ancor prima di una donna.

Ma il suo primo nome le piaceva, anzi, lo adorava. Le ricordava di un tempo in cui le cose erano più semplici e bastava davvero poco per essere felici. E, anche se questo lei non gliel’aveva mai raccontato direttamente, sapeva che Levi aveva colto. L’aveva chiamata con il suo primo nome perché in qualche modo percepiva il legame con il concetto di famiglia e di spensieratezza, anche se forse non ne era del tutto consapevole. Non poteva essere altrimenti…

Studiò silenziosamente il suo compagno per qualche istante, sbattendo ripetutamente la palpebra destra e cercando di prendere atto di quello che aveva appena visto e sentito. Sì, non poteva essere altrimenti. Il tono che aveva usato e il gesto che stava facendo di accarezzarsi la mano bendata con l’altra…

Hanji sentì il proprio corpo muoversi da solo mentre allungava un dito per sfiorargli il braccio destro. Levi mosse leggermente la testa ma, prima che potesse guardarla direttamente in viso, lei si era già spostata dietro lo schienale della poltroncina e gli stava cingendo delicatamente il petto con le braccia, il busto chinato su di lui e il mento appoggiato sulla sua spalla.

«Ow...» lamentò lui irrigidendosi, più per la sorpresa che per vero e proprio dolore. «Vedi di non rompermi le poche costole che mi rimangono intatte.»

Lei ridacchiò di fronte al suo disagio. «Non preoccuparti, ci sto molto attenta.» disse poi, appoggiando gentilmente la guancia destra contro la sua sinistra. «Non capisci, è questo il vero motivo per non voglio che tu vada in battaglia. Non vorrai vanificare ogni mio singolo sforzo per rimettere in sesto e portarmi appresso tutto il tempo un ometto scorbutico come te…!»

Hanji avvertì Levi sciogliere il corpo da ogni tensione muscolare. Allungando la mano sana all’indietro, il suo compagno le afferrò il mezzo codino raffazzonato e le scompigliò ancora di più i capelli.

«Tch, idiota.» disse, più addolcito nel tono. A lei parve di sciogliersi dentro quando vide un sorriso fare capolino sul suo volto bendato. Senza pensarci troppo, voltò leggermente il capo e gli sfiorò la guancia con le labbra.

«Grazie a te, Levi.» gli sussurrò, la voce appena tremante, gli occhi divenuti lucidi.

“Per non avermi abbandonata, per essere qui con me anche ora e per impegnarti così tanto per tirarmi su di morale”, avrebbe voluto aggiungere, tuttavia le parole rimasero impigliate nel groppo che sentiva in gola. Tanto sapeva che lui avrebbe capito quello che intendeva.

Difatti, per un attimo Levi rimase immobile come una statua di sale, ma alla fine rispose con un paio di timide pacche sulla testa, molto simili a delle carezze.

Per Hanji questo scambio di effusioni fu sufficiente. Sciolto il nodo delle braccia sul petto del suo compagno, si schiarì la voce per nascondere l’emozione e si allontanò verso la porta.

«Dove vai ora?» le chiese lui, pacato come sempre nel tono.

«In dispensa. Prima, quando ho preso il pane, ho adocchiato il tè che ti piace tanto nella credenza riservata agli Azumabito. Sono certa che alla signora non dispiacerà se ne prendo un po’.» gli rispose lei, sorridendo furbescamente. Levi si lasciò andare in un “heh” divertito, mentre scuoteva la testa.

«Vedo che le vecchie abitudini sono dure a morire, vero, razza di scroccona?»

«Sgraffignare dalla riserva privata di Erwin era più spassoso, però.» ammise lei. Arrivata sulla soglia, si voltò a guardarlo e tese un dito indice verso di lui: «Torno presto, tu non muoverti di lì.»

«E dove vuoi che vada, dopo tutta la fatica che ho fatto per arrivare fin qui...» brontolò lui.

Hanji rise di gusto, come non faceva da un bel po’. Si sentiva decisamente più leggera e le sembrava di essere tornata di colpo ai vecchi tempi. Ciò riaccese in lei l’entusiasmo. Sapeva che non sarebbe durato tanto, per questo doveva assolutamente approfittarne finché poteva.

«Come se avessi dovuto attraversare l’intera nave!» lo prese in giro.

«Ti ricordo che sei tu che mi dici di muovermi il meno possibile.» replicò l’altro senza scomporsi, alzando un sopracciglio con aria di finta noia. «Forza, va’ a preparare quel tè, quattrocchi. Ti aspetto.»

Lei gli sorrise un’ultima volta e si incamminò alla volta della mensa canticchiando un vecchio motivetto che i suoi compagni di addestramento le avevano insegnato anni prima. Rientrò nella sua cabina circa venti minuti dopo, con due tazze fumanti in mano, e la prima cosa che fece fu boccheggiare per la sorpresa: sul tavolino a sinistra dell’entrata, tutti i suoi appunti erano stati riordinati, i libri impilati uno sopra l’altro, la mappa chiusa con cura seguendo l’orientamento giusto delle pieghe – solo per quello lei sarebbe andata fuori di testa al secondo tentativo – e il tozzo di pane smangiucchiato era stato avvolto in uno di quei fazzoletti di stoffa candida che Levi si portava sempre dietro ovunque andasse. Sporgendosi, Hanji notò che anche la cassettiera era stata rimessa a posto: non c’erano più maniche o pantaloni pendenti e gli scomparti erano tutti chiusi. L’ultima cosa su cui posò lo sguardo fu il suo compagno, il quale sembrava essere rimasto dove lei gli aveva chiesto di stare, seduto sulla poltroncina in fondo alla stanza. Ne percorse il corpo abbandonato, le gambe distese, le braccia incrociate all’altezza del petto, la testa reclinata da un lato e l’occhio incolume chiuso.

Incerta sul da farsi, posò le tazze sul tavolino e stette in piedi a osservarlo: sembrava proprio che fosse immerso in un sonno ristoratore e a Hanji dispiaceva svegliarlo, sapendo dei suoi problemi di insonnia oltre che alle condizioni in cui si trovava. Allo stesso tempo, però, sapeva anche quanto gli desse fastidio che un buon tè come quello venisse sprecato per un qualsivoglia motivo…

Alla fine, un sorriso intenerito fiorì sulle sue labbra.

«Hai ragione, domani sarà una giornata intensa.» mormorò, come aveva fatto anche nella foresta, quando era convinta che lui non potesse sentirla. «Inoltre so bene che farai di testa tua e combatterai anche tu, se sarà necessario. È meglio se entrambi ci riposiamo ora… Poi potremo prepararci tutte le tazze di tè che vorremo quando tutto sarà finito… Vero, Levi?»

La sua domanda parve cadere nel vuoto, eppure in cuor suo Hanji sapeva che lui aveva ascoltato e che concordava con lei. Non le aveva ancora detto direttamente cosa ne pensava riguardo all’idea di convivere, ma non c’era nemmeno bisogno che lo facesse in realtà. La sintonia che loro due avevano andava ben oltre le parole e lei aveva chiaramente percepito la volontà del suo compagno di starle accanto e di averla accanto, anche quando i loro lati peggiori e le loro debolezze venivano a galla, come in quel caso.

Con calma, Hanji si tolse le scarpe e si sedette sul bordo del suo letto, valutando ancora una volta se la cosa migliore fosse lasciare Levi in quella posizione per il resto della notte oppure portarlo a stendersi di modo che la mattina dopo non rischiasse di alzarsi con i dolori. Alla fine, si rimise in piedi, disfò il proprio letto e lo raggiunse. Con delicatezza, gli prese il braccio sinistro e se lo mise attorno al collo, poi lo sollevò di peso, stando attenta a non fare movimenti troppo bruschi.

Lui mugugnò qualcosa di incomprensibile ma non si risvegliò completamente, anche se alla fine riuscì ad aiutarla un minimo nello spostamento.

Devi essere proprio stanco…” pensò lei, non senza un po’ di malinconia. “D’altronde, lo sono anch’io…”

Lentamente lo adagiò sul suo letto e gli rimboccò le coperte. Stava per andare nella cabina che era stata assegnata a lui quando si sentì tirare lievemente per una manica. Hanji sbarrò l’occhio destro e osservò la mano di Levi serrata sulla stoffa della sua camicia gialla. Le ci volle un attimo per realizzare e alla fine sorrise.

«Sono qui.» sussurrò, sfiorandogli il dorso della mano con le dita. Solo allora lui la lasciò andare.

Dubitava che la richiesta silenziosa del suo compagno fosse stata fatta in piena coscienza, ma poco importava: non sarebbe stata la prima volta che dormivano insieme e Levi poteva ancora avere bisogno della sua assistenza, quindi si sentiva più tranquilla a rimanere insieme a lui. Inoltre, i letti del dormitorio di quella nave erano abbastanza larghi perché ci stessero comodamente due persone.

Hanji spense la luce, poi si sciolse il mezzo codino, levò occhiali e benda e si coricò, cercando di non andargli troppo addosso. Quando si fu sistemata, guardò per un’ultima volta la sagoma di Levi, il profilo del viso bendato appena distinguibile alla debole luce che arrivava dall’oblò.

«Ti giuro che tutti i nostri sforzi daranno i loro frutti un giorno.» promise sia a lui che a sé stessa, con rinnovata determinazione, prima di scivolare nel sonno.



 




(*) NOTA: il fatto che Zoe sia il primo nome di Hanji e che lei si faccia chiamare con il suo nome di famiglia è un mio headcanon. Non essendoci mai pervenuta alcuna informazione sul passato di Hanji, ho inventato anche quel paio di cose riguardanti la sua famiglia d’origine. Magari in futuro approfondirò :)


 
  
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