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Autore: amirarcieri    12/06/2021    0 recensioni
Saeko è alle prese con il suo secondo anno di liceo.
Dopo essere stata espulsa dal suo vecchio a causa di un'incresciosa contesa tra studenti, non volendo starsene a casa a girarsi i pollici, si vede costretta a iscriversi in uno nuovo.
Il fortunato liceo da lei scelto è quello del Kainan.
Saeko si ritrova così ad annoiarsi alle lezioni e a instaurare un'amicizia spassionata con una sua compagna di classe.
Finché un giorno non riesce a ficcanasare nella palestra del club di basket e....
Genere: Generale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change my rules [SAGA]. '
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Capitolo Diciassette.



 

" Ochoko Sakè


 


 

«Ma è bellissimo qui, Jin» detonò la voce estasiata di Nami che saltellava da un punto ad un altro sculettando come se avesse la coda cotonata di una coniglietta.
«Davvero suggestivo qui Jin» ne fu magnificato Maki.
«Figoooooo!» Kiyota allungò nell'ultima vocale paffuta per accentuare il suo gradirlo particolarmente.
«Già, un piccolo paradiso privato» attaccò Jin sorridendo beato.
Il gruppo si trovava al centro esatto di una raduna incontaminata e incantevole.
I piedi dei sei amici erano poggiati su una pavimentazione acciottolata che faceva da territorio civico all'abitazione.
E proprio davanti a loro svettava il tanto rinomato cottage: a vederla in un primo impatto si sarebbe detto che fosse stata una casa giocattolo resa gigantesca tramite un cannone a pulsione magica.
La struttura cubica, era fatta interamente di legno dalla gradazione cannella con il tetto a due falde color carta da zucchero.
L’ingresso si raggiungeva tramite una minuscola scalinata – anch'essa fatta di legno – e una strabiliante veranda che ne seguiva il complessivo diametro di tre lati su quattro.
Tutt’intorno, in attesa di essere esplorata nei suoi incantati sentieri inviolati, c’era la fitta foresta di alberi a fargli da cintura muraria.
L’atmosfera lì era rarefatta a un punto tale da segnare un divario tra la civilizzazione e l'ecosistema.
Se Saeko avesse dovuto viverci per una settimana da sola, un po’ di fifa l’avrebbe avuta – sperava scandalosamente di non dover rimanere sola in quei tre giorni di weekend – ma rammendata dalla compagnia vispa degli amici, avvertiva solo uno smodato spirito avventuriero potenziato da un’eccitazione tensiva.
«Non vedo l’ora di andare in esplorazione» disse questa sollevandosi sulle punte per provare a spingere lo sguardo oltre le chiome floride degli alberi.
Si chiese anche quale sarebbe stato il tronco che avrebbero usato come punto di partenza e riferimento durante la ormai vicina escursione.
Per il viaggio di quel giorno aveva messo una canottiera nera con stampati degli enormi girasoli dentro un paio di vintage shorts arancioni abbinati a delle converse anch’esse nere. La chioma riccia l’aveva invece acconciata in una treccia laterale, morbidamente posata sulla spalla sinistra.
«Eh no, mia cara. Non si può decidere così su due piedi» fece Nami dondolando pigramente l’indice da destra a sinistra. Nami a differenza di Saeko si era ingegnata per rendere quel weekend una reale vacanza estiva: addosso aveva un abito svasato verde foglia a fantasia ditsy floreale e scolo V con ai piedi delle bianchissime converse.
Ma la ciliegina sulla torta di quel suo look “vacanza romana cinematografica” fu il capello di paglia accoppiato al cestino da picnic incastrato nell’incavo interno del gomito a mo di appuntamento romantico ai margini di un lago popolato di cigni.
«Qui ci vuole una lista ben organizzata. Non si possono fare certo le cose a casaccio» e premesso quello ordinò al gruppo di filare in soggiorno per decidere il da farsi.
L’interno del cottage era eccellentemente arioso, fresco quanto moderno.
La sua piantina si suddivideva in sopra le camere di ristoro e sotto il soggiorno, cucina e bagno, più una stanza vuota dove Nami progettò di fare dormire tutti insieme stile campeggio improvvisato.
La camera scelta per colloquiare, comunque, fu prevedibilmente l’ima. Ovvero il soggiorno.
Separata dalla cucina da una da una washi, appariva ampia accogliente grazie ai colori bianco sposa e il marrone ciliegio degli alberi: al centro un grande zataku di bambù era contornato da dei zabuton titanio.
Le pareti a ovest e est facevano sfoggio una di una libreria alla quale Saeko gettò addosso lo sguardo tre o quattro volte, troppo impaziente di conoscere i titoli dei libri preservati nei suoi scaffali, l’altra parete invece un massiccio comodino anch’esso in bambù, esponeva una mini ikebana con un paio di foto di famiglia.
Nelle pareti opposte avevano sistemato in quella sinistra una libreria alla quale Saeko gettò addosso lo sguardo affamato tre o quattro volte impaziente di sapere che libri preservasse nei suoi scaffali, per ultimi, all’estremità frontale, delle fusuma scorrevoli, portavano all’esterno.
Essendo adesso chiuse e il sole cocentemente alto nel cielo, creavano un effetto giallo brillante opaco spaziale come se il gruppo di amici fosse su una navicella sospesa a pochi metri dalla stella infuocata.
Nami volle due aiuti in cucina per apparecchiare disciplinatamente la tavola – Saeko e il padrone di casa – intanto che nell’attesa i tre atleti rimanenti bighellonavano liberamente per il cottage.
Dopo mezzo’ora, il pranzo preparato dal contributo della madre di Nami, fu servito a tavola con da sfamare ben quattro aitanti atleti e due mingherline donzelle.
In ogni posto erano stati messi dei bentò box di legno contenenti svariatii manicaretti per i vari scomparti rettangolari: sashimi, pesce, verdure, ravioli a vapore, sushi.
Il pranzo procedette danzatore di un buon umore, ma più di tutto acceso di domande smaniosamente esuberanti: a Jin furono fatti fantastiliardi di domande sul modo in cui fosse cresciuto in mezzo a questa riserva sublime, se l’avessero lasciata in eredità i suoi antenati o se oltre il bosco esistessero luoghi folcloristici degni di essere perlustrati come fossero degli archeologi professionisti.
Poi, ad un certo punto, Nami e Muto non cominciarono a fare i piccioncini e questo, com’è prevedibile, fece surriscaldare le budella di qualcuno in particolare.
«No, continuate pure eh? Se vi rompiamo tanto le palle ce ne andiamo in veranda» fece Kiyota strafogandosi di cibo per scaricare lì l’attacco di gelosia.
«Guarda, guarda. Questa si che è una novità» chiosò Maki con le bacchette bloccate nell’azione sospesa del mangiare.
«Già. Da quant’è che state insieme?» chiese Jin sollecitato dalla sorpresa. Si erano seduti Kiyota e Maki nei capotavola opposti del tavolo, mentre gli altri quattro, due a sinistra e due alla sua destra replicante.
«Da poco. Ma in realtà non stiamo insieme. La nostra è una coppia aperta» rivelò lei senza provare alcuna vergogna nell’introdurre le ultime due parole.
«Aperta?» ripetè Saeko facendosi quasi andare il riso di Sashimi.
«Si, Noi ce la godiamo» Muto rese il concetto più che semplice.
«Godiamo hai proprio scelto la parola giusta» se la intese Nami, tutta sedotta dal suo verbo usato.
«Comunque si, Vuoi che ti spiego cosa significa?» si offrì poi questa supponendo che quel concetto fosse ignoto alla sua razionalità casta.
«Non ce n’è bisogno. So cosa comporta essere in una relazione aperta» l’amica però gli rispose con dell’altezzoso intelletto.
«E tu non approvi» dedusse Nami.
«Ognuno è libero di fare ciò che vuole nella propria vita, non sono qui per giudicare» ognuno era libero di fare ciò che voleva come il fumare un pacco di sigarette al giorno o andare a letto con un estraneo conosciuto un’ora prima solo per soddisfare i frivoli capricci della lussuria, ma questo non voleva dire che anche lei avrebbe dovuto automaticamente scimmiottare i comportamenti altrui.
«Si, però in ogni caso tu non vorresti una relazione di questo genere» ribadì ancora Nami.
«Una relazione è l’ultima delle mie priorità, ma se la desiderassi, penso che seguirei il metodo classico che comprende la lealtà, armonia e affetto per il ragazzo che amerò con il tempo»
«In senso, che inizialmente non, non lo ami?» domandò Nami, sbattendo ripetutamente le palpebre come se fosse sotto effetto di un ipnosi. Saeko scosse il capo da sinistra a destra, preparandosi ad esporre il suo gettonato punto di vista.
«Io penso che l’amore sia vissuto e valutato in maniera inadatta. Secondo il mio umile punto di vista non è immediato e richiede un sincero coraggio e pazienza. Se si ama qualcuno lo si capisce con il tempo quindi quello che si definisce colpo di fulmine non è altro che attrazione fisica. In fondo andiamo, non ci si può innamorare istantaneamente di qualcuno che non si conosce.
Quella persona potrebbe rappresentare un impiccio insormontabile che ci ostacola ad incontrare quella che davvero ci sta aspettando. E un’altra cosa che penso è che un essere umano non deve essere saturato da un solo genere di amore, ma uno plenario. Tutti abbiamo bisogno di amore, però di quello policromo. Quello che intendo è che dobbiamo amarci noi stessi e amare altrettanto il nostro prossimo. Che desideriamo l’amore dei genitori, i fratelli, gli amici, come quello di avere una relazione ed esprimiamo la nostra identità tramite l’amore che coltiviamo per le nostre passioni. In poche parole l’amore è il nettare di cui è circondato il mondo e del quale dobbiamo nutrirci per istituirci e perfezionarci umanamente, tuttavia la civiltà di ogni secolo tende a non volersi congiungere con la sua originale essenza» Saeko non aveva tenuto quel discorso per esperienza propria.
Come avrebbe potuto fare se lei in primis stava ancora cercando di comprendere se si trattasse di una marginale cotta o un imprescindibile innamoramento?
Saeko però sia un po’ grazie ai libri, sia un po’ osservando le altre coppiette relazionarsi, si era fatta un’ideologia sofisticatamente veritiera del sentimento.
Se avesse dovuto usare una metafora l’avrebbe associato alla Peonia: regina dei fiori simbolo di amore eterno e attesa intorno alla quale era intessuta la leggenda dell’anima gemella.
Per lei l’amore non era dipendenza fisica, ma chimica mentale.
Soltanto perché dicevi mille volte al giorno di amarlo e ci passavi ore a parlarci al telefono non indicava che il tuo rapporto con il diletto - diletta - era indissolubile, ad indicarlo invece era il fattore ineccepibile di comunicarci come se fosse il tuo diario segreto e il mandarlo sonoramente all’altro paese con un sincero vaffanculo gridato in faccia all'occorrenza.
E quando i cuori dei due innamorati raggiungevano l’intimità di un’inscindibile abbraccio etereo, era proprio li che il loro attaccamento subiva la metamorfosi di un assoluto, inestinguibile, vero amore.
Quando Saeko rifinì la sua magistrale interpretazione dell’amore, nella stanza calò un silenzio sovrumanamente scrutatore.
Gli amici furono piacevolmente sorpresi, sempre più trasportati e avvinti dalla mentalità feconda e emancipata ai principi della modernità attuale, ma incastonata alle orme dei sentimenti risalenti a cento anni di vite precedenti.
«Che pensieri giudiziosi. Da quale futuro non ancora accaduto provieni?» la solleticò affabile Muto.
«Io...ho detto qualcosa di sbagliato?» trovando quella battuta si spiritosa, ma anche mordace, Saeko cominciò ad arrovellarsi la mente, ripercorrendo ogni riga del suo raffinato discorso per assicurarsi che nessuna parola fosse stata distorta dal suo autentico significato.
«No, hai detto delle cose molto mature e profonde» si curò di complimentarsene Jin, poggiandogli una mano sulla schiena e avvicinandosene di qualche centimetro al viso per invaderla con la sua radiosità.
«Davvero ammirevoli» la valorizzò anche Maki, non mancando di stampandosi un sorriso totalmente rilassato sulle labbra.
«Ho sempre detto che sei incredibile» anche Kiyota non si trattenne di dispensargli un apprezzamento.
Dopo quel sipario di filosofica realtà, il gruppo di amici concluse il pranzo nell’esemplare affiatamento che evince nelle classiche compagnie di amici testimoni di un legame resistente e longevo nel resto degli anni.
Concluso il pasto, Saeko si offrì a dare altre due mani d’aiuto a Nami per pulire le stoviglie, ma Nami la spedi via a calci in culo, assicurandogli che avrebbe fatto tutto in quattro e quattr’otto.
Saeko finì quindi a zonzo per il cottage, con il preciso scopo di vedere il campo da basket “edificato” nel giardino laterale.
E lì ci trovò un Kiyota mega rattristato quanto pensieroso: seduto a gambe incrociate sul parquet di legno, non sembrava gradire particolarmente il cielo raggiante e terso, forse perché nella sua mente erano stati previsti forti acquazzoni porta negatività.
«Che fai qui solo? Pensi agli avversari che ti aspettano al torneo interscolastico?» lo pungolò fermandosene davanti. Stava provando a destreggiarsi tre sotterranei ignoti della sua mente.
«Seh. Può darsi» rispose sistematico. Saeko gli diede per un attimo le spalle in modo da poterne apprezzare il campo da basket. Sicuramente la famiglia Jin aveva ricorso all’aiuto supplementare di una ditta di costruzioni. La sua ampiezza non si rifaceva a quella di un vero, ma a occhio e croce una metà. La pavimentazione polivalente era verde alternata di blu con le linee bianche larghe cinque centimetri che ne delimitavano le varie aree di gioco.
Per completare, ragionevolmente immancabile, un canestro lindo fornito di supporto più un tabellone, si stagliava vanaglorioso trecentocinque centimetri da terra come per dire 
“Vi sfido moccioselli, vediamo di che pasta siete fatti”.
Se il canestro avesse goduto di una personalità tutta sua, sarebbe stato faziosamente urtato dall’impeccabilità e precisione dei tiri da tre punti di Jin, tentando persino l’uno per mille di schivarsi all’ultimo secondo.
Se invece Saeko fosse stata per immaginarlo in forma umana, l’avrebbe immaginato nelle sembianze di un prominente vecchio bisbetico con la pelle rugosa chiazzata di macchie, armato di un bastone da passeggio e una scorta interminabile di insulti utili a spronare il suo pupillo del basket.
«Comunque io sono qui se vuoi parlare» gli puntualizzò in seguito, lanciandogli una furtiva occhiata.
«E’ che vorrei essere al posto di Muto. Essere io quello coccolato dalle sue attenzioni» le confessò questo di botto, senza alcuna preclusione. Saeko si voltò a tre quarti facendo sbocciare un sorrisino soddisfatto della serie 
“Me l’aspettavo”.
«Dimmi Kiyota, tu, pensi di provare qualcosa di molto, intenso, per Nami?»
«E che ne so? l’unica cosa che mi è chiara è che è così inguaribilmente solare e sbarazzina, che immagino, che, non deve essere poi malaccio stargli accanto»
«E’ già qualcosa» vagliare con soddisfazione la sua risposta ben ponderata.
«Dov….» stava dicendogli, ma si impappinò quando dalla parte sinistra dalla staccionata apparve il Senpai.
«Ah...ecco tu dovrest...dovresti...» balbettò sentendo le guance accaldarsi per la sorpresa.
Il vederselo apparire sagomato da quell’aura placidamente maliarda, le mozzò di netto il respiro.
Nel viso abbronzato del Senpai, era stampato un sorriso sghembo in coppia allo sguardo tiepido che le stava rivolgendo, nel mentre, che avanzava verso di loro a mani in tasca con passo flemmatico.
Saeko, lo prevedeva già.
Una volta di queste avrebbe avuto un colpo fulminante al cuore e la colpa sarebbe stata tutta del Senpai.
Kiyota che intanto si era reso conto dell’incaglio lessicale dell’amica in quel momento, si voltò di contraccolpo, vedendosi il suo capitano alle spalle.
«Maki» disse come a porgergli il regolare rispetto.
«Emh, Io vado, così, così sai? Potete fare tranquillamente i vostri discorsi da uomini» Saeko cercò di filarsela con stile, ma il Senpai la fermò ancor prima che potesse arretrare di qualche passo.
«No, resta. La nostra Saeko, ha un talento innato per ispirare le persone, vero?» chiese specificamente a Kiyota.
Kiyota rispose con un “Puoi scommetterci”.
“La nostra”. Quel complimento genuino gli fece ribollire il cuore di pathos.
Quindi come fare per non arrossire e normalizzare la voce improntata di emozione?
«O – Okay, resto» accettò nascondendosi dietro i suoi centomiliardi di boccoli. quindi aspettò che il Senpai prendesse posto accanto a Kiyota per riprendere il discorso troncato a metà.
«Ecco, quello che stavo cercando di dirti è che dovresti provare a interessarti a un’altra ragazza e uscirci per capire se lei ti piace davvero o è solo una cotta profonda, ma comunque temporanea» quel suggerimento parve magnificare Kiyota a tal punto da cercare una consulenza lungimirante nel suo capitano, che ne rafforzò l’ideologia con gesto d’assenso.
«Si, è un ottimo consiglio» disse poi. Saeko sentì crescere in lei una forte autostima dovuta all’approvazione del Senpai e le confidenze di Kiyota.
«Si, funzionerà. E in più potrò anche vedere se lei è gelosa di me» Kiyota allora ne ingigantì la tenacia rendendola di ferro.
«Anche» fu parzialmente d’accordo Saeko. Ma a dire il vero quello non l’aveva contato come risultato aggiuntivo del suo rimedio.
I tre amici proseguirono la conversazione parlando con un armonico affiatamento.
Poi a Kiyota venne l’esorbitante voglia di competere con il suo capitano e Maki lo accontentò posizionandosi sotto al canestro così da sfidarlo ad un uno contro uno.
C’era da ammettere, che prima di andare all’attacco, Kiyota si adoperò al massimo delle sue potenzialità per fargliela sotto il naso, tuttavia non aveva ancora coltivato il tipo di gioco strategico e fantasioso di un Kaede Rukawa armato di un avanzato talento.
Ma con il passare dei mesi, tra qualche anno, avrebbe imparato sicuramente anche lui a padroneggiarlo.
La conclusione dello scontro fu quindi scontata, nulla tolse alla bellezza degli occhi di chi lo guardava.
Un’ora dopo, quando furono equipaggiati e pronti per l’avventura,  Jin imboccò il cammino nel bosco di conifere, prendendo quello segnato da una X rosso fiamma come punto di riferimento.
Per non rischiare di perdersi nelle anomalie confusionarie della foresta, avevano lasciato dei segnali di riferimento indelebili a zonzo per i tronchi durante la prima scampagnata.
Saeko aveva immaginato bene e si sentì tronfia di intelletto.
Mentre l’escursione ricreativa iniziava, quindi, Jin si posizionò a capo della fila con alla sua sinistra Saeko e destra Maki, a sua volta affiancato da Kyota.
Nami e Muto stavano dietro di loro limitandosi a seguirli nel contempo che commentavano i doni superlativi che la natura gli offriva.
«Per arrivare alla cascata dobbiamo prendere uno dei tanti sentieri disponibili. Io e miei genitori ne conosciamo tre, ma oggi sceglieremo quello che ce la farà raggiungere in quaranta minuti» specificò Jin alla prima sosta di .
Tutti si ammucchiarono dietro di lui – Saeko scontatamente gli stava davanti - per seguire il suo indice strisciare su un sentiero corto che presentava una sola svolta.
«Wa bellissimo. Non vedo l’ora di arrivarci» Nami sollevò le braccia in un gesto di incontenibile gioia.
Così il gruppo si incamminò per il sentiero indicato canticchiando una canzone diretta dal maestro Nami in persona.
i Pittoreschi alberi ai lati del sentiero, l’usura del tempo che aveva reso gli scalini da percorrere ancora più scenografici e le statuine mitologiche dei Tanuki sparse ai lati dei muretti, gli fecero sembrare di essere dentro un parco giochi a tema folcloristico e medievale.
Durante la tripudiante scarpinata, si fermarono due o tre volte. Chi per fare foto. Chi per riprendere fiato. Chi per gustarsi uno spuntino.
In altre Nami si avventurava improvvisamente in piste non richieste, ma Saeko la coglieva prontamente sul fatto, quindi le afferrava la mano per riportarla al fianco di Muto e incastrare le loro mani come fossero due manette.
All’ennesimo tentativo, Saeko scoppiò più per il fastidio ai nervi che la rabbia pulsante in testa.
Avevano cominciato a litigare forsennatamente su chi avesse ragione, tuttavia questo durò fino a quando la voce possente del Senpai non si impose metodica tra di loro.
«Saeko, guarda» la chiamò sicuro che avrebbe apprezzato oltremodo quell'incantevole apparizione.
Su uno dei tanti alberi di conifere infatti, si erano appena posate, quasi danzando, due farfalle blu metallico iridescente.
Saeko si voltò al suono caldo del suo nome pronunciato dal Senpai, per poi seguire la rotta verso cui le sue pupille ardesia si erano fissate.
Non appena il blu iridescente delle ali le filtrò la vista, Saeko seppe di dover scattare una fotografia lampo, altrimenti sarebbero volate via facendogli perdere l’occasione di aggiungere al suo album una foto di quella rarità.
E un’altra cosa che seppe fu che la coppia di farfalle era formata da un’esemplare maschio e femmina poiché una delle due vantava di una fascia nera che le incorniciava le ali dipinte da macchie bianche.
A realizzare quella cosa, il suo volto assunse un’espressione contrita. Le spalle le si afflosciarono nel contempo che espelleva un sospiro che aveva il sapore di un Sencha amaro.
«Beh, che c’è adesso? Non ti piace com'è venuta la foto?» Nami la rimbrottò seccata dalla sua faccia demoralizzata.
«No, non è quello. È venuta sicuramente bene» disse lei adagio. E in quel momento le farfalle spiccarono il volo.
I suoi grandi occhi marroni le seguirono allontanarsi dalla scena con la stessa danza ammaliante eseguita all'arrivo.
«Stanno andando via. Seguiamole, forse ci aiuteranno a risolvere qualche nostro problema» Nami aveva proteso una gamba in avanti per scattare all'inseguimento, ma Saeko glielo impedì, afferrandola saldamente per la stoffa del vestito.
«Non è una, sono due. E poi dobbiamo rimanere uniti» precisò quindi saputella.
Ed era proprio per questo che il suo viso si era complessivamente rabbuiato.
Nami si era riferita alla credenza Giapponese nella quale evinceva che se si seguiva una farfalla si poteva risolvere un problema o un mistero che ruotava intorno alla tua vita.
Saeko invece a quella più tragica e criptica.
«Stai pensando alle credenze legate alle farfalle?» la interpellò il senpai vedendola estraniata dai suoi stessi pensieri.
«Può darsi» fu disposta a conversare lei.
«Ragionavo sul fatto che anche se è una credenza, è triste pensare a due amanti suicidi. Io non so a come potrei reagire a qualcosa di simile o a cosa porta le persone a compiere un gesto così estremo. Quando senti di non avere più scampo e tutto intorno a te diventa nero….» le mani di Saeko si avvitarono a pugno in dissidio all'inconciliabile pensiero fatto.
La sua mente si stava agitando come una lucciola dentro un barattolo.
Si stava facendo un quintale di domande razionali e detestabili, ma quella che più la faceva impazzire era “Perché arrivare a tanto e non chiedere aiuto a chi gli vuole bene? A cosa serve circondarsi di affetti se quando ne abbiamo il disperato bisogno non ne beneficiamo? Perché queste persone scelgono questa via pur sapendo che le feriranno? Perché rinunciare alla propria vita dopotutto sana e piena di possibilità, quando c'è gente che se ne aggrappava fortemente per sconfiggere una malattia terminale? Perché non permetteno agli altri di salvarli e perché gli altri non riescono a salvarli?”
Saeko non provava odio per loro. Però la faceva incazzare concepire un'alternativa simile.
Voleva solo comprende quale fattore psicologico potesse fargli presumere che seguire una via del genere fosse migliore del combattere caparbiamente un dolore e ritrovare il sentiero fulgido e caloroso della speranza.
La sua testimonianza poi non veniva fatta con ignoranza e supponenza.
Anche lei aveva passato un anno di depressione nera totale, eppure era riuscita a sottrarsi dalla segregazione di quel baratro vacante che poco per volta le stava risucchiando via l'energia vitale.
Gli altri rimasero in un silenzio reverenziale senza condividere il loro modo di interpretare o percepire l’argomento perché l’analisi empatica e coscienziosa di Saeko era risultata più che esaustiva.
«Già, però esiste anche un’altra credenza che dice che vedere due farfalle danzare insieme indica la felicità coniugale» prese parola Maki per risollevare le corde degli animi.
«E di chi?» Nami lo domandò a chiunque di loro avesse avuto la risposta. Non le era certo passato per l’anticamera del cervello che la felicità coniugale potesse riguardare lei e Muto.
“Già a chi?” si chiese a quel punto anche Saeko.
Nessuno di loro era una coppia, e tranne lei, nessuno aveva un'interesse amoroso all'interno del gruppo.
Quindi la credenza poteva definirsi nulla? O forse?
«Non lo so. Posso solo ipotizzare che sia un augurio futuro, del genere, che colui con cui avremo una relazione ci condurrà ad un percorso di coppia unito e una soddisfacente vita coniugale» optò infine per un auspicio - sperava - propizio delle stelle.
«E’ un bellissimo pensiero»
«Quello che ci si aspetterebbe sentire da una come lei» si alternarono Jin e Kiyota.
«Okay, direi che ora siamo belli carichi per ripartire» li sospinse all'avventura Nami.
La scarpinata turistica continuò così senza incontri o asperità di cui fare alcun appunto.
Venti minuti dopo, quando i poi i ragazzi raggiunsero il luogo della cascata preceduto da un Torii, nel ritrovarsela a pochi centimetri da loro, spalancarono le mascelle uno dopo l’altro strabiliati e incapaci di lenzare sulla superficie cranica un aggettivo qualificativo che la descrivesse.
A vederla, si sarebbe potuta associare alla figura di Saeko: appartenendo la cascata ad un fiume piccolo, si presentava modesta, ma non per questo priva di un’elevata suggestione e magjificenza.
L’acqua che sgorgava era limpida e cristallina a tal punto da portare Saeko a fantasticare sulla sua trasmutazione in cristalli purissimi.
La sua vista unificata al suono scrosciate che produceva, davano un senso di completezza inspiegabile.
La sua peculiarità però, stava nel fatto che si trovasse approssimata ad un tempio dove era possibile procurarsi uno spazio di preghiera mediante la presenza di una statua shintoista posizionata alla sua destra.
Impossibilitati dal contenersi i ragazzi si catapultarono sotto il salto di quindici centimetri per farsi scattare una foto con l’acqua che li schizzava un po’ dappertutto e le orecchie che rimbombavano a causa della sua pressione.
Fortunatamente era una giornata afosa e i vestiti si asciugarono durante il viaggio di ritorno al cottage.
La loro scampagnata di ritorno fu scanzonata fino al momento in cui a Nami non venne – per la quindicesima volta – la voglia incosciente di cambiare percorso.
A differenza che si portò dietro Muto.
Ciò fece smattare come non mai Saeko.
«Nami, ti sembra il caso di sparire in un posto che non conosci per improvvisarti un Naomi Uemura?» prese a strigliargli nella maniera incollerita e amareggiata di una zia emancipata.
Aveva fatto caso alla loro assenza dieci minuti dopo che si erano staccati dal gruppo, e rintracciata , li aveva beccati dietro al rosso fusto di un albero, nel bel mezzo dei preliminari di un coito.
«Bhe, è impossibile resistere al richiamo del desiderio, quando lo proverai, saprai cosa intendo. Ma se ti piace lui, te lo presto per farti fare un po’ di esperienza» Nami si mise sulla difensiva, cercando di sfatare la gravità della cosa.
«Nami, che dici? A volte penso proprio che parli a vanvera» Saeko diede di matto.
«E poi non era solo per quello, abbiamo trovato un sentiero dov..» replicò ancora Nami, ma Saeko aveva smesso di ascoltarla.
«E tu Muto, per favore, non acconsentire a tutto quello che ti dice di fare. Per i kami, tienila a bada» rimise in riga anche lui, alterata dalla semplicità con cui Nami riusciva ad abbindolarli. 
«Stavamo solo facendo un tentativo di avanscoperta individuale. E poi non faccio quello che mi impone lei. Mi gasava l’idea dell’ignoto» si legittimò lui indispettito.
«Si, ma lo capite o no che se vi perdete, rischiate di rimanere dispersi per l’intera notte e mattinata di domani?»
«Ma c’è Jin che conosce più o meno tutti i sentieri» le ricordò l’amica, e per lei, quello corrispose al risolvimento radicale della questione.
«Più o meno determina che ne conosce la metà e con la fortuna che abbiamo voi potreste imboccare uno di quelli che sono inesplorati per lui» Saeko telegrafò le parole come a chi si parla a chi è duro di comprendonio e pensa che ribellarsi alle regole lo faccia più figo.
«Uffa! Non agitarti tanto» si lagnò Nami.
«Io non mi sto agitando, io mi sto preoccupando» precisò la ricciolina.
«Allora fallo di meno. Sappiamo benissimo quello che facciamo» ribatté l’altra vedendosi trattata come una monella di otto anni.
A Saeko non ci volle fare due più due.
«Guarda che non vi ho detto che avete quattro anni, ma di essere più responsabili cacchio»
«Beh, vorrei proprio vedere, se noi abbiamo quattro anni, tu come minimo ne hai ottanta. Siamo venuti per rilassarci e divertirci, quindi per cortesia smettila di essere più rigida di una direttrice di un istituto» sbottò Muto derisorio e staffilante o come un tantò tempestivamente uscito da dietro la schiena.
«Muto» lo riprese a voce candida Nami.
Gli altri si erano gelati per quella sua tipica malevolenza gratuita che portava gli avversari di una partita all’esaurimento nervoso.Mentre Saeko, incassò talmente male quell’umiliazione, da voltargli le spalle, sollevare il mento e dire «Fate come vi pare. Da ora in avanti quello che combinate non è più affar mio» per poi proseguire decisa lungo il sentiero, ma senza mettere una distanza abbondante dagli altri.
Allora arrivano i rinforzi da parte di Jin e Maki.
«Potete anche piantarla ora» li ammonì secco il senpai.
«Si, Saeko ha ragione in fondo. Rimanere uniti è la cosa migliore, se qualcuno si divide rischiamo di fare tardi, percorrere il sentiero al buio e di perderci anche noi nel tentativo di cercare voi» gli spiegò conciliante Jin.
«E vedete bene di riparare a quello che avete fatto» anche Kiyota li cazziò e accennò a Saeko con il capo.
Muto e Nami non avevano alcuna idea di come riparare all’incazzatura dell’amica.
Ormai la conoscevano e quando il cattivo umore le imbarbariva il viso, sapevano che l’unico modo per prenderla nel verso giusto era di lasciarla sbollire per delle ore finché non sarebbe stata lei a venire da te e permetterti di chiarire l’impiccio.
Ma allo stesso modo, Jin e Maki avevano un ticket bonus d’argento da giocarsi con lei.
Se c’era una cosa che i due avevano imparato nel frequentare la ricciolina, era che non esisteva toccasana più efficace del parlare della sua passione.
I due quindi si schierarono uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, preparati meglio di uno strizzacervelli a risollevargli l’animo.
«Allora, questo è un posto fecondo per l’ispirazione di uno scrittore, vero?» le domandò Jin con un sorriso beato.
«Già, hai parecchio materiale dal quale prendere spunto» se ne allacciò l’altro.
«Potete scommetterci. In questo momento la mia immaginazione sta trottando talmente veloce che non riesco ad afferrare un’immagine o parola» disse lei, figurando il gesto della testa che esplode per la quantità abnorme d’ispirazione ricava dall'ambiente circostante.
I due amici si guardarono lieti di sapere che il brutto tempo aveva smesso di rannuvolargli il volto poiché nel suo visto era spuntato un sole leggermente plumbeo.
In fondo Saeko non era altro che un essere umano che guardava il mondo con gli occhi fantasiosi di un bambino e lo analizzava con la mentalità complessa di un adulto.
E forse era proprio questa una delle tante parti che più adoravano di lei.
Quando la ricciolina si accorse della premurosa mistificazione alle quale erano ricorsi gli amici, da subito pensò 
“E’ ingiusto”, ma dopo riprese a sorridere fregandosene della mortificazione avuta perché loro sapevano che corde toccare per dare un suono incantevole alla sua anima.
E al mondo non c’era niente di più inenarrabile dell’essere visti per ciò che si era e venire accettati dai propri amici.
Questa benefica certezza la invogliò a sorridere ancora più grandemente.
Così attaccò a novellargli il modo in cui vedeva i riflessi del sole sulle foglie o di come il cinguettio degli uccelli sembrava un’orchestra senza maestro, né spartiti, che riusciva ad essere straordinariamente intonata.
«Se non sbaglio, da queste parti dovrebbe esserci quel villaggio che fa al caso tuo» le disse Jin giusto per approvvigionare la sua riserva d’ispirazione.
«Che posto è?» gli chiese Maki incuriosito.
Saeko invece, non volendo rovinarsi la sorpresa, pensò bene che fosse meglio non interrogarsi fissamente sull’enigma da districare che l’amico le aveva presentato.
Il suo intuito era fin troppo allenato e perspicace per non riuscire ad arrivare estemporaneamente alla soluzione del rompicapo.
«E’ un piccolo villaggio che io e i miei abbiamo scoperto per caso. È talmente pittoresco e unico che le persone l’anno soprannominato il “Villaggio lilla”» li delucidò, voltandosi a sinistra.
«Venite. Per di qua» li guidò Jin afferrando la mano destra di Saeko per capeggiarne tranquillamente il passo.
Saeko fu sorpresa dal sentire stringere la mano alla sua, ma non interruppe il contatto.
In fondo aveva intuito che le sue galanti attenzioni corrispondessero ad argentini segnali di un affetto unicamente fraterno, e in quel momento specifico si stava solo premurando di non farla smarrire tra i sentieri del bosco.
Saeko lo trovò un gesto innocentemente carino, quindi, si voltò verso il Senpai per chiamarlo a raccolta così da assicurarsi che non li perdesse di vista.
Lui in risposta, alle loro spalle, le regalò un sorriso pacato. Poi, ne osservò le mani saldate quasi a volerne comprendere se gli piacesse o ne approvasse il quadro generale.
E ciò che provò fu uno strano e inconveniente disturbo allo stomaco come quando giocava con il massimo della sue singolari capacità atletiche per dominare il gioco inarrestabile di un suo avversario senza riuscire a placarlo.
Fu fugace e leggero, ma fastidioso abbastanza da fargli provare una stretta nervosa alle budella.
E lui lo avverti. E anche distintamente.
La strada per raggiungere il minuscolo, ma pittoresco paesino non durò tanto. Forse la metà della strada che Saeko faceva da casa per andare al liceo Shohoku.
Quando i ragazzi furono a destinazione, strabuzzarono gli occhi estrefatti.
Era un posto ancora più irreale del precedente.
Ovunque lo sguardo si posasse, poteva estasiare la vista con il colore freddo e candido del lilla. Ed adesso capiva il perché una volta scoperto il pittoresco paesino, le prime persone non avevano potuto fare a meno di ribattezzarlo con un nome ideale.
E i
paesani erano anch’essi come il posto dove stavano: peculiari nel modo di parlare, vestire e vivere.

Saeko si distaccò dagli altri per correre vicino ad un abitazione incorniciata da un grappolo di glicine a forma di L.
Sembrava incredibile, ma la natura a volte si disponeva sulle cose come per renderle delle opere d’arte inimitabili dall’uomo e dirgli che per quanto tenti di imitarla, non potrà mai farlo nella maniera ancestrale e semplice con cui lo faceva lei.
Saeko scattò una foto,
poi prosegui la sua esplorazione in tutte le altre abitazioni che come la precedente erano abbellite da grappoli di fiori lillà.
Una casa in particolare presentava l’ornamento a forma di un quarto di luna.
Un altra era a forma di A,
con le due finestre spalancate che davano l’impressione di sorvegliarti mediante le sue abnormi pupille.
Ma la meraviglia che riempì di magia i suoi occhi, fu quando raggiunta l’area lastricata di ciottoli, seguendo il suo sentiero, si ritrovò al cospetto di tre illustri esemplari di alberi di glicine: due che erano incantevoli nella loro piccolezza, stavano alla sua destra e sinistra quasi ad essere già in procinto di ascendere come suoi eredi.
Quello che stava al centro però era di una beltà indescrivibile.
La sua grandezza e bellezza erano incalcolabili.
Ogni cosa che lo fregiava, che sia stata la variopinta tonalità dei suoi petali, la forma che il grande tronco aveva assunto o i bei fiori lavanda sparsi per il terreno diventato ormai un tappeto di glicine, esprimeva di un capolavoro unico della natura.
Parlava di una confortevole leggenda che non doveva essere rovinata dalle mani dell’uomo, ma tramandata, ricordata e amata.
Nel rimirarlo, Saeko ebbe come la sensazione di essere sotto l’influsso di un’ incantesimo che 
aveva reso il posto un cosmo di miraggi suggestivi.
La sua fantasia prese il sopravvento ed ecco che la composizione naturale che ricadeva elegantemente dai rami del suo albero, li scambiò per la garza di un principesco vestito di una dama delle selve e le sue ancelle.
Era pressapoco come l’essersi ritrovata nel bel mezzo di un ballo dei fiabeschi boschi dove non aveva saputo di essere stata invitata.
Saeko quasi si commosse di tanto incanto.
E per quanto il suo lavoro le imponesse di lavorare di fantasia, non avrebbe mai potuto immaginare qualcosa di simile.
«Siete stupendi» gli sussurrò poggiando la fronte e mano sinistra al tronco dell’albero.
Nello stesso attimo arrivò anche la cavalleria che come lei rimase a mento spalancato per lo scenario che vide.
Saeko pensò bene di chiedere di scattarsi una foto.
La macchina fotografica fu destinata a finire nelle mani del senpai.
Saeko si posiziono quindi vicino al grande albero e a Nami venne in mente la fantastica idea di aggiungere un effetto poetico alla foto, facendo cadere intorno a lei una dolce pioggerellina di petali glicine.
Nel vederseli posare addosso e apprezzando l’idea dell’amica, Saeko si dipinse sul volto il sorriso più delicato e amabile dell’intero pianeta.
E Maki non poté fare a meno di pensare quanto fosse splendida in quella foto scattata.
Tornati al cottage, si stilettò un veloce ordine dei turni in bagno.
Saeko fu la seconda a uscire dalla doccia e quando era stata per raggiungere il lato della veranda che era ancora inondato dal sole, si ragazza si ritrovò davanti ad un meraviglioso regalo del fato già scartato e dislocato nell'angolo prestabilito.
Il Senpai stava seduto a parlare con gli altri mentre i raggi solari gli filtravano il viso.
Improvvisamente divenne tutto informe e invisibile, eccetto che lui.
Fu come se una pioggia composta di gocce d’oro si fosse concentrata su un unico punto per dare natività ad un essere fatto di coscienza e sogni.
In alcuni punti, la sua pelle cotta dal sole, appariva talmente fulgente da sembrare di rame levigato.
A Saeko mancò più di un battito e la voglia di sedersene accanto le venne meno.
La sola cosa che desiderava in quel momento non era più di parlargli a una distanza impalpabile, ma contemplarlo platonicamente come si faceva con la statua di un giovane eroe Giapponese in un museo.
Vedendo quel quadro realistico pieno di dettagli e colori accesi, le mancava il coraggio di avanzare.
Si sentita intimorita e investita da ogni genere di insicurezza.

Ma non solo. Saeko si stava domandando tante cose e quelle tante cose le stavano facendo battere forte il cuore.
Oh Senpai, in questo momento vorrei poter leggere dentro di te. 
Senpai, tu non sai quanto in questo singolare momento, io sento il disperato bisogno di conoscere il tuo modo di vedermi. Se appaio splendida e luminosa come quell'albero di glicine o disadorna e spenta come un fiore appassito dentro un vaso.“

Saeko si chiedeva cosa pensava il Senpai quando la guardava.
Se un suo dettaglio estetico o un vezzo del suo corpo gli si era scolpito nella mente come lei. O se magari si sentisse mai contagiato dall’energia che la sua anima sprigionava.
Quel momento sospeso nei labirinti di un tempo indefinito e immobile, venne però interrotto da un Kiyota amichevolmente impiccione.
«Che fai qui in piedi e imbambolata?» le chiese chinò all'altezza dell’orecchio.
Saeko sobbalzò di dieci metri dal pavimento.
«Kiyota, sei tu?» gli chiese poi con la gola che le pulsava impazzita.
«Chi altro dovrebbe essere? Rukawa?» replicò lui giocherellandoci. Ma non certo al nome Rukawa che era stato detto per deprezzarlo.
«Io...ho dimenticato una cosa da scrivere. Sai com’è se noi scrittori non cogliamo l’attimo è game over. Quindi corro a scrivere le cose che ho dimenticato di scrivere» si discolpò nel contempo che gli altri si accorgevano di loro e assistevano alla goffa scena.
Saeko, troppo sovreccitata e imbarazzata della situazione, non degnò neanche di uno sguardo il Senpai, fuggendo a massima velocità dal posto.
«Mah! Gli scrittori sono davvero gente particolare» commentò Kiyota grattandosi la chioma umida. Dopodiché andò a raggiungere il capitano e compagnia bella.
Kami sono stata davvero inconsciente”. Si disse Saeko, chiudendosi il fusama alle spalle.
Che ti prende Saeko?” chiese alla sua coscienza.
Non devi lasciarti trascinare in questo modo sciocco dai tuoi sentimenti. Vigile. Si vigile e distaccata. Apprezza, contempla e legatene, ma si vigile e distaccata allo stesso tempo.” si diede degli ordini drastici che avrebbe eseguito anche a costo di doversi pizzicare da sola.
Poi scrisse davvero quello che non aveva scritto.
Il resto del pomeriggio lo passarono Nami, Kiyota e Muto a guardare un quiz show alla tv mentre Saeko approfittava del nonulla da fare per mettere il naso nella libreria di famiglia.
La ricciolina si fece raccontare ogni minima cosa legata a ogni libro che pescava dallo scaffale.
Jin le spiegò che alcuni risalivano a quasi cinquant’anni fa e si erano tramandati di generazione in generazione. Che fossero una piccola reliquia sede di orgoglio dell’intera genealogia.
E ciò fece brillare intensamente gli occhi di Saeko, che ne apprezzò l’odore sovrapposto allo stato in cui erano stati mantenuti.
Per sfogliarne uno ci metteva un’eternità poiché lo teneva con la delicatezza di chi teneva in braccio un bambino appena nato.
E Quando in seguito, scelse i cinque da prendere in prestito, li impilò al lato del suo futon già pronti ad essere letti nelle ore di buco.
Avrebbe voluto leggerne uno nell’immediato, ma Jin organizzò un mini torneo di Mah Jong al quale parteciparono tutti.
La ricciolina stracciò Nami, Kiyota e Muto, piazzandosi in semifinale con Jin e Maki.
In prosecuzione, la super sfida per sapere chi avrebbe disputato la finale con il senpai, si concluse con la vittoria di Saeko e la proclamazione come vincitore di quest’ultimo.
La competitività di Saeko però, era paragonabile a quella di un'intero campionato nazionale e lo supplicò della rivincita a mani congiunte, occhio chiuso e tanto di
 “Ti prego” a mò di seducente - inconsapevole - flirt.
E il senpai accettò sempre più trascinato dal suo modo di esprimersi e gesticolare.
La sfida comunque non variò di pronostico. Ma la rivincita fu più tosta da vincere per il Senpai.
Di sera la cena passò tra risate a squarciagola e aneddoti di vita vera smodatamente comici.
Saeko e quei due non si erano ancora riusciti a chiarirsi, però riuscivano quanto meno a conversare se pur la ricciolina usasse con loro un'intonazione pungente.
Ad un certo punto della serata però, alla testa astrale di Nami, venne in mente di fare un gioco “spericolato”, ma appetibile e se era per quello sopratutto casinista.
Perciò, Facendosi prestare il servizio di Ochoko da sakè da Jin – gli aveva promesso di maneggiarli con estrema premura – diede inizio a quella squinternata follia notturna data dal troppo liquore ingerito.
«Il gioco è semplice. Ad ogni giro avremo un Ochoko di sakè davanti a noi e a secondo della domanda, berremo o non berremo il liquore» spiegò man mano che riempiva il formicaio di Ochoko posizionati davanti a lei.
«Tutto chiaro?» domandò quindi scorrendo sulle dieci paia d’occhi presenti.
«Chiaro» risposero gli altri. E c’era chi ne era impaziente e chi invece avrebbe preferito filare a letto per evitarsi un’insopportabile e indelebile mortificazione.
«Bene, si cominciaaaa» disse Nami sollevando il braccio destro come una bandire per segnalare il rappresentativo via.
Ognuno di loro prese un Ochoko.
Solo Saeko aveva i nervi talmente tesi da non riuscire neanche a deglutire o sbattere le palpebre.
Si augurava di finire il più presto possibile e di bere il meno possibile.


 

«Se non avete ancora dato il primo bacio, bevete» Nami iniziò la gara di bevute con una confessione abbastanza pepata.
A bere fu scontatamene Saeko e questo le fece provare un mortale imbarazzo.
Anche se, i ragazzi non assunsero nessuna espressione dispregiativa, mentre Nami le aveva lanciato una tacita guardata che trasudava Akira Sendoh da ogni baluginio di luce nella pupilla.


«Se non avete mai fatto un bagno a mezzanotte, bevete» nessuno bevve.
In fondo, sia da bambini o in età più maggiore, tutti aveva provato l’ebrezza di fare un tuffo notturno anche solo per sentire quell'esclusivo senso di fugace libertà e ribellione.


«Se non avete mai dormito con una donna o uomo nello stesso letto, attenzione non intendo solo per farci robacce, bevete»
A bere furono solamente Kiyota e Jin.
Saeko non bevve perché aveva ovviamente dormito con la gemella.
Gli altri due non si fermarono a specificare nel dettaglio chi, come o dove fosse avvenuto il misfatto.


«Se non avete mai guardato un porno, bevete»
Nel non stupore di tutti, a bere non fu nessuno.
Dei maschietti era una cosa risaputa, come le riviste erotiche nascoste in un posto non molto fantasioso della camera.
Lo stesso valeva per Nami. Conoscendo la sua precocità in questo campo, veniva automatico dedurre che ne era conoscitrice.
Ma da Saeko non se l’erano aspettato.
Di seguito la ricciolina aveva confessato che non sapeva la ragione, ma era successo una sola volta, tuttavia non riusciva a spiegarsi il perché esistessero così tanti film uguali con una trama pressoché inesistente e basati sul raggiungere - fare raggiungere – un unico “punto di non ritorno”.


«Se non avete mai lanciato qualcosa in un momento di rabbia, bevete»
A bere furono Maki e Jin.
Nami disse perché quando era irascibile per via della mestruazioni o veniva lasciata praticava attivamente lo sport del tirare oggetti a casaccio nella sua camera.
Kiyota specificò che succedeva solo quando falliva un’azione e faceva rimbalzare la palla con tutta la sua forza da farla arrivare al tetto.
Saeko li rese partecipi del fatto che uno degli hobby preferiti della gemella era stuzzicarla maliziosamente, ciò scatenava in lei la voglia di tirargli dietro arnesi come ciabatte o quaderni.
I libri no. Quelli erano sacri.


«Se non avete ancora detto “Ti amo” a qualcuno o siete mai stati innamorati, bevete»
A bere furono tutti.
Dopotutto erano ancora degli adolescenti. Cosa potevano saperne dei diciottenni sull'amore se non quello letto tra i libri o osservato tramite i propri parenti e amici emancipati?
Nonostante le persone facessero un po’ di confusione, la prima cotta non corrispondeva al vero amore.
Le probabilità di incontrarlo al liceo erano scarse e a chi accadeva si riguardava bene di tenerselo stretto.
Il vero amore che non ti toglieva il sonno, ma ti faceva addormentare con un sorriso tra le labbra.
Il vero amore che non ti concedeva distrazioni perché il tuo cuore desiderava solo lui o lei.
Il vero amore che quando assaporavi i suoi baci, ti faceva sentire uno scrosciante coro da tifoseria dentro la testa.
E il vero amore che proprio come un libro, dove pagina dopo pagina ti sconvolgeva e travolgeva, riusciva non a cambiarti, ma migliorarti e maturarti.
Tutte queste indelebili e significative emozioni i ragazzi non le avevano ancora provate, tuttavia non conoscerle adesso non voleva dire non provarle mai, perché una cosa risaputa della vita era proprio che l’amore non aveva né tempo o età.
Malgrado c’era sempre qualcuno che aveva fretta di scoprirlo e inciampava nella sua contraffatta versione.


«Se non avete mai provato a leccarvi un gomito, bevete»
A bere fu Saeko, Maki e Jin.
Nessuno si sorprese che Kiyota ci avesse provato più di una volta e da sobrio.
Saeko però, intanto, cominciava anche a lamentare dei primi lievi sintomi da stordimento di ubriachezza. Dentro di lei pregava i kami di non dover bere più una goccia di saké.


«Se non avete mai passato ventiquattro ore senza dormire, bevete»
A bere furono Maki, Kiyota e Muto.
Con tutto quello che aveva passato, che sia stato a causa della sua vita da scrittrice o dilemmi personali da adolescente, nessuno di loro aveva nutrito dubbi su Saeko.
Nami spiegò che una sera era rimasta sveglia per aspettare la telefonata di una cara amica delle medie.
Jin invece per via della sua prima partita da titolare e non per agitazione, ma impazienza.


«Se non avete mai ancora avuto una relazione, bevete»
A bere furono Saeko, Jin e Kiyota.
A Saeko tuttavia non sfuggì il dettaglio che il Senpai non aveva bevuto dall’ochako.
Quindi il senpai ha già avut..” rifletté   , ma venne ostacolata da un altro - bizzarramente accomodante - obbligo di Nami.


 

«Se non vi siete mai distesi nel prato a guardare le stelle, bevete»
Nessuno bevve.
Perché alla fine non importava se eri un'inguaribile tenerone, un rude bullo o tenace sognatore. Il cosmo ti avrebbe sempre attratto a se e portato l’essere umano al porsi miliardi di infiniti quesiti irrisolvibili.


«Se non siete mai stati implicati in una rissa, bevete»
Nessuno bevve.
Anche se nei loro trascorsi erano stati accidentalmente tirati dentro una rissa, se ne erano puntualmente esonerati o ricorso ad alternative meno invasive e violente proprio come nella resa dei conti avvenuta tra Saeko e Nobu.


«Se non avete mai avuto la tachicardia, bevete»
Anche stavolta nessuno bevve.
Da quando i suoi occhi si erano posati per la prima volta su quelli del Senpai, Saeko aveva provato la mistica esperienza di avere una tachicardia al secondo.
Gli altri Maki per un'apprezzata sorpresa, Kiyota per i tiri liberi o Nami per l'eccitazione di avere un appuntamento.


«Se non avete mai avuto una delusione d’amore, bevete»
A bere furono Jin e Saeko.
Saeko però osservava e memorizzava tutto. Delle varie confessioni del senpai non gliene era scappata una.
Inventariandoli, la sua mente cominciò a fare girare convulsamente gli ingranaggi, riunendo, combinando e unificando i vari punti che il senpai aveva inconsapevolmente dato sulle sue esperienze amorose private.
Saeko non aveva nozione di quante relazioni il Senpai avesse avuto, però da quello che era saltato fuori c’era stato un primo bacio sommato ad una relazione, entrambi moltiplicati per una delusione d’amore e divisi ad un “Ti amo” non detto.
E Saeko aveva capito sopratutto che quando usava la parola delusione, il Senpai si riferiva ad una nello specifico che non si era conclusa nel migliore dei modi.

 

«Se non siete mai stati friendzonati, bevete»
A bere furono Saeko, Jin e Maki.
Saeko aveva più che altro “Friendzonato” a malincuore.
Jin non si era ancora dichiarato a qualcuna.
Maki da come si poteva supporre, nonostante non avesse fornito un indagine più approfondita, l’aveva fatto e non si era beccato il due di picche.



«E adesso» Nami si alzò in piedi per essere sicura di avere tutti gli occhi puntati su di se.

«Per favore, musica tensiva» richiese poi a Muto. Muto prese a battere sul tavolo con gli indici per produrre un approssimativo e ritmato suono di tamburi.
«L’ultima domanda non domanda. Quello madre.» li notificò con una dizione singhiozzante e incagliata.
«Se non avete una crush per qualcuno, bevete»
A bere, furono prevedibilmente Nami, Maki e Muto.
La gara di confessioni e bevute si ritenne ormai conclusa.
Nami, mezza brilla, era stata per mandare tutti nella stanza che aveva deciso di rendere “camera da campeggio improvvisato”, tuttavia Saeko aveva fissato il bicchiere davanti a se, ancora pieno.
Dovrebbe essere vuoto” si disse schietta.
Potrei continuare a mentire, ma se lo faccio, poi la coscienza mi urlerà continuamente che sono codarda e ipocrita”. Continuò quindi a ragionare con se stessa.
Non aveva staccato gli occhi dal bicchiere di sakè che creava cerchi liquidi infiniti ogni volta che qualcuno posava una mano sul tavolo o muoveva un braccio.
E fu li che si accorsero dell'inconfutabile stranezza.
Nessuno fece presente che Jin non aveva bevuto perché tutta l’attenzione era stata catalizzata sulla piccola, ma in quel dato momento appariscente figura di Saeko.
Jin sollevò il mento dalla mano sulla quale era poggiato come suo ormai convenzionale gesto di sorpresa o coinvolgimento alla cosa.
Kiyota aggrottò le sopracciglia, grattandosi la testa per capirci meglio qualcosa.
E Nami si freddò sul posto come se un telecomando collegato a lei avesse impostato su stop.
«Aspettate un attimo» disse quindi. Il modo letargico in cui si voltò, mise ancora più suspense di quella che non avrebbe dovuto esserci.
«Io, sono ubriaca no? Quello che sto vedendo è sbagliato giusto? Forse, forse hai equivocato il senso della frase vero?» le chiese, dandosi dei vigorosi schiaffi in viso per attutire l’influenza caotica della sbornia.
«No, ho capito perfettamente il senso della frase, Nami» replicò Saeko a capo sollevato e scoperto da ogni arrendevole insicurezza.
Nel pronunciare il nome dell’amica, aveva dato un accento volutamente ruvido.
Nami, allora poggiò furiosamente un piede sul tavolo per indicarla con l’indice, mentre c’era chi restava a bocca aperta o sorrideva deliziato dalla cosa.
«Che cosaaaa? Tu hai una crush?» le stillò quindi contro scandalizzata.
Saeko non rispose, anche se sembrò accorgersi della follia appena fatta proprio in quel momento, ma di certo non poteva immaginare che di lì in avanti, la sua vita si sarebbe tramutata in un romanzo d’avventura incentrato sulla spasmodica caccia del suo misterioso Koibito.



 

NOTE AUTRICE: ma ciaoooooo. Si sono tornata con “Change my rules” e si lo so sono incorreggibile. Ma sono fatta così.
Allora siete felici del mio ritorno?
E che ne dite di questo capitolo?
Possiamo dire che forse un certo ragazzone in particolare sta mostrando i primi segni di interesse diverso dall’amicizia per Saeko?
Che ne dite delle varie reazioni e emozioni che Maki sente e ha nei confronti di Saeko? E solo un sentimento legato all’amicizia (cioè la vede solamente come qualcuno di incredibile per cui provare ammirazione) o è il principio di un profondo innamoramento?
Altra cosa su cui approfondirò è l'argomento "relazioni passate e future" del Senpai. 
Vedrete ce ne saranno di belle da scoprire e vedere. 
Comunque la parte clou del capitolo è sicuramente quando Saeko ha rivelato a tutti di avere una cotta. Ora si che la sua vita si complicherà di netto a causa di una personcina che vorrà scoprire di chi si tratta. Pensante che ha fatto bene?? O avrebbe dovuto mentire e non bere? Che altro vi è piaciuto del capitolo poi? Ditemi, ditemi.
Oltre questo devo fare due appunti sul capitolo: il primo è che i posti dove vanno esistono davvero e la cascata è davvero in Giappone, ma ovviamente non li (per bisogni di trama l’ho spostato, ma fa nulla) e anche le case con la glicine e gli alberi. Ovviamente non è un paesello ma io ho combinato le due cose e ho creato il paesello.
Seconda cosa è che inizialmente avevo fatto che Jin avesse un’interesse amoroso per Saeko, ma ho deviato questa idea perché mi sembrava troppo scontato e poco adatto, quindi ho lasciato solo che ha una cotta per qualcuno (nel prossimo capitolo verrà approfondito).
E niente….oggi per il thread “delle canzoni che mi ispirano a scrivere la FF"  condivido con voi
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Ringrazio che leggerà in silenzio, chi recensirà e chi mi aggiungerà nelle preferite, ricordate o seguite.
Thankssss a tutti. Alla prossimaaaaaaaaaaa.


 

   
 
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