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Autore: moira78    15/06/2021    4 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Se pur sia bello l'amore che è implorato, assai più bello è quell'amore che si concede di propria volontà.”
WILLIAM SHAKESPEARE
 

"Fai piano, per favore, potrebbe rimanermi il segno!", protestò Terence mentre Karen gli premeva un batuffolo d'ovatta sullo zigomo. In realtà quella roba bruciava da morire, ma preferiva non ammetterlo.

"Non fare il bambino, Amleto, o ti porto in ospedale a farti medicare da una vera infermiera!", esclamò la ragazza. Subito dopo ammutolì, cambiando la sua espressione in una più vulnerabile che gli fece quasi tenerezza.

Temeva di certo che parlare di infermiere gli facesse tornare in mente Candy. In effetti fu proprio quello che accadde ma Terence si accorse, con non poca sorpresa, che il ricordo di lei non lo lacerava più in due come prima. Non voleva dirlo ad alta voce, né pensarlo, però col passare dei giorni il dolore sembrava affievolirsi, anche se con inesorabile lentezza.

"Tu come ti senti?", le chiese costringendola a scuotersi. L'effetto del cloroformio era durato solo qualche minuto ma non sapeva quanto ne avesse inalato.

"Come se mi fossi svegliata da un sonnellino pomeridiano. A un certo punto ho trattenuto il respiro", disse mentre riprendeva a disinfettargli la faccia.

Però, mica stupida la ragazza.

Lui sussultò un poco, poi tentò di rilassarsi: "Forse saresti dovuta andare almeno tu in ospedale, sai?", la rimproverò.

Karen si scostò da lui per guardarlo: "Ha parlato quello che potrebbe avere una costola rotta o qualche lesione interna! Sai cosa sarebbe successo se non fossero arrivati quegli agenti, mister 'difendo le donzelle da cinque uomini'?!".

Terence sbuffò: era vero, non era voluto andare in ospedale perché se l'avessero riconosciuto avrebbe attirato tanti di quei giornalisti che Robert lo avrebbe finito di conciare per le feste e magari, come ciliegina sulla torta, gli avrebbero tolto la parte nel film sostenendo che se ne andava in giro a fare a cazzotti.

"Guarda che se l'ho fatto...". Si bloccò, incredulo, vedendo la stoica Karen asciugarsi gli occhi come una bambina. "Perché piangi, ora? Ti senti male?".

"No, stupido! Sono preoccupata per te! Potevano ucciderti, lo sai?", gli gridò piangendo apertamente, grosse lacrime le scendevano sulle guance.

Lui rimase basito: pensava che fosse arrabbiata per quello che era accaduto, non preoccupata per lui. Il suo sguardo si ammorbidì mentre le metteva una mano sul viso con un gesto tenero che non riconobbe come proprio: "Ehi, calmati ora. Sto bene e sono sicuro di non avere niente di rotto. Non è la prima volta che mi capita di fare a pugni".

Ma c'è qualcuno che se la sarebbe cavata molto meglio di me e che mi ha salvato la pelle, una volta. 

Lei fece una cosa che lo destabilizzò ancora: gli si gettò fra le braccia, singhiozzando e stringendolo, urlandogli che era stato uno stupido, che non doveva farlo più. Che sarebbe morta se gli fosse successo qualcosa. Poi cominciò a dargli dei leggeri pugni sul petto, facendolo trasalire.

Il gemito di dolore che gli sfuggì sembrò riportarla alla realtà, perché si staccò da lui e lo guardò con gli occhi spalancati. Grandi occhi scuri brillanti di lacrime.

Non mi ero mai accorto che fosse così bella. O forse sì?

"Scusami, non volevo farti male. Togliti la camicia, così controllo se sei ferito", disse mentre già gli slacciava i bottoni.

Terence le bloccò i polsi e la fissò per un istante, colto dal desiderio improvviso di baciarla. Che fosse dannato, neanche aveva finito di pensarlo che già le sue labbra premevano contro quelle di lei: erano fresche e morbide.

Quello che accadde dopo gli riportò alla mente una scena già accaduta.

Karen lo schiaffeggiò.

Le mie fans farebbero carte false per un bacio e le uniche due donne che ho baciato io mi schiaffeggiano. Sono proprio fortunato, non c'è che dire...

"Messaggio ricevuto, devo smetterla di rubare baci non richiesti", disse ad alta voce come rispondendosi da solo.

Ma Karen non abbassò lo sguardo e, come Candy, anche lei era furiosa: "Dimmi perché l'hai fatto", gli chiese imperativa.

Lui alzò le spalle: "Perché ne avevo voglia", rispose senza pensarci troppo. "Potrei chiederti anche io perché qualche sera fa stessi per cadere ai miei piedi".

Un altro schiaffo, più forte.

"Eh, no, ora basta!", protestò prendendole di nuovo i polsi e fissandola negli occhi. "Non pensi che per questa sera mi abbiano picchiato abbastanza?".

Vide il petto di lei alzarsi e abbassarsi come se fosse in affanno, poi la tensione che sentiva nelle sue braccia diminuì e allentò la presa. Forse avrebbe fatto meglio a non farlo. Karen approfittò di quel momento per affondargli le mani nei capelli e baciarlo a sua volta.

Ora dovrei schiaffeggiarla io?

I suoi pensieri erano confusi, ma non gli impedirono di ricambiarla. Spense la parte del cervello dedicata alla ragione e si godette le labbra morbide di Karen, rabbrividendo al contatto con la sua lingua, cominciando a chiuderle le mani attorno la schiena. Ma lei scelse quel momento per staccarsi da lui, lasciandolo con uno spiacevole senso di vuoto: "Io invece l'ho fatto perché ti amo, Terence Graham, ti amo da così tanto tempo che non ricordo nemmeno quando ho iniziato".

Terence si sentì diviso in due: da una parte l'uomo, che da troppo tempo non teneva una donna fra le braccia, dall'altro il bravo ragazzo con il cuore ancora confuso. Le ferite e i lividi sul viso gli facevano male e se non gli fossero guarite entro pochi giorni non sarebbe bastato un barattolo di cerone a coprirli. Aveva le costole doloranti e lo stomaco gli bruciava, ma tutto quello a cui riusciva a pensare era che voleva di nuovo le labbra di Karen.

E non solo.

Le accarezzò il viso e lei chiuse gli occhi: "Sei così bella", mormorò ammirato. Era sincero.

"Non è esattamente quello che avrei voluto sentirmi dire", ribatté con un sospiro tremulo.

"Lo so", le rispose. E in quelle due parole riassunse tutto ciò che avrebbe voluto dirle ma che non aveva il coraggio di esprimere.

Lo so, perdonami, per ora non posso darti più di questo. Ti meriti molto di più. Sei una cara amica.

Come attratti da una forza invisibile, si avvicinarono ancora nello stesso momento e ripresero da dove avevano interrotto. Il bacio continuò mentre Karen gli sbottonava la camicia e lui vagava con le mani sulla sua schiena in gesti frenetici, cercando i bottoni e non trovandoli.

Sentì le dita di Karen sul torace e rabbrividì: "Ti fa male qui?", gli chiese sulle labbra.

"Solo un po'", ansimò lui di rimando, "dove diavolo sono i tuoi bottoni?".

Lei ridacchiò, poi si scostò per cominciare a sbottonarsi da sola il vestito a partire dalla scollatura. Bottoni anteriori, quella gli mancava.

Pose una mano sulle sue, fermandola ma desiderando solo che continuasse: "Sei sicura, Karen?", le domandò prima che fosse tragicamente troppo tardi.

Di nuovo, piantò lo sguardo fiero nei suoi occhi: "No, e so che me ne pentirò perché poi non potrò più fare a meno di te. Ma almeno avrò un ricordo indelebile".

Terence si accigliò: "Karen, non credo sia giusto...".

Lei lo zittì con un bacio, poi con un altro e un altro ancora: "No, hai ragione. Sono solo una stupida romantica senza speranza".

"E io mi sto approfittando di te", ribatté lui continuando l'opera che lei aveva appena cominciato.

"Io invece credo che sia il contrario", rise Karen aiutandolo e portandogli le mani là, dove bramava di arrivare già da qualche minuto.

"Keren", sospirò abbassando le labbra su ciò lei gli offriva senza apparenti remore, "sei così bella", ripeté non potendoselo impedire. Gli sembrava che, non potendole dire quel 'ti amo' che lei desiderava, dovesse perlomeno farle capire quanto la considerasse attraente.

Non è solo quello. C'è qualcosa di più, qualcosa che...

Lentamente, la fece stendere sotto di sé, allontanandosi per poterle immergere le mani nei capelli. Non credeva che l'avrebbe mai pensato, ma quei capelli corvini gli piacevano da impazzire.

Vicino al punto di non ritorno, mentre i sospiri diventavano gemiti, Terence decise di aprirle il suo cuore: "Se non ci fossi stata tu accanto a me, non so che fine avrei fatto, Karen", le soffiò in un orecchio.

Il sorriso con cui lei lo ripagò per quelle parole fece cadere ogni barriera residua.
 
- § -
 
Era caduto dalla sedia che Candy gli aveva tolto all'ultimo momento da sotto le gambe per aiutarlo a recuperare la memoria, e adesso gli faceva male tutto: le natiche, la schiena, la testa e persino le spalle.

Che metodo assurdo per ricreare un trauma!

La sua mente annebbiata udiva ancora il colpo della sedia che cadeva e del suo corpo che impattava sul pavimento freddo, in un'eco che non si spegneva.

Io la memoria l'ho recuperata: è Candy che dovrebbe subire uno shock per riavere i suoi ricordi.

Già, uno shock. Qualcosa come un incubo o un bacio dato con forza, con fervore. O uno schiaffo, ad esempio.

Lo sento, sento ancora il rumore dello schiaffo, accidenti a me, è come un martello pneumatico nel mio cervello! Ma no, uno schiaffo non fa questo rumore.

La sera prima non aveva bevuto, ma era rimasto per lunghe ore steso sul letto senza riuscire a prendere sonno, invaso dai sensi di colpa e dal dolore. Allora si era recato nel suo studio, dove aveva occupato la mente col lavoro, preparandosi tutte le pratiche da rivedere con Archie il giorno dopo.

Era crollato sulla scrivania quando stava per albeggiare, colto dallo sfinimento e da un sonno agitato zeppo di sogni confusi.

Si alzò dal pavimento sul quale era caduto, rendendosi improvvisamente conto che i colpi provenivano dalla porta e ora sentiva anche la voce agitata di George che lo chiamava. Aprì la bocca per dirgli di entrare, riuscendo a malapena a stare in piedi a causa delle contratture che lo affliggevano per aver dormito in una posizione assurda, quando l'uomo aprì la porta.

Alle sue spalle c'erano delle persone che lui mise a fuoco a fatica. In quel momento aveva lo stesso desiderio ardente di Candy di dormire, ma per motivi diversi: si sentiva distrutto nel corpo e nello spirito.

"Signorino William, questi poliziotti sono venuti qui per lei e per il signorino Cornwell", disse George facendo strada alle persone appena nominate con una chiara nota di panico nella voce. Aveva persino un fazzoletto in mano e si stava tamponando il sudore dalla fronte.

Albert inciampò nei propri piedi e dovette sostenersi alla scrivania per non cadere. Imprecò tra i denti e Archie scelse quel momento per parlare con tono concitato: "Albert, diglielo tu che non c'entriamo nulla con quel carico!".

Lui si portò una mano alla testa che pulsava come un dente cariato che stia per marcire: "Quale carico, che succede, George? Signori?", passò lo sguardo sui presenti, odiando il fatto di farsi vedere in quelle condizioni. Come minimo aveva le occhiaie, i capelli spettinati e doveva sembrare un vecchio zoppo con la gobba.

"Signori Ardlay e Cornwell, vi preghiamo di seguirci senza fare tante storie".

Albert guardò Archie senza capire: "Di cosa esattamente ci state accusando?", chiese con circospezione.

"Detenzione e commercio illegale di alcool. Avete il diritto di rimanere in silenzio. Potrete consultare i vostri avvocati una volta arrivati in Centrale". L'uomo continuava a recitare i loro diritti, mentre Archie protestava a gran voce e lui riusciva solo a pensare a Candy nell'altra stanza, che sarebbe rimasta sola nella villa con la zia Elroy e i servitori.

Sto ancora sognando? In tal caso, questo è uno degli incubi più vividi che abbia mai fatto...

"Lei permette, vero?", interruppe i suoi pensieri il poliziotto.

Albert guardò le manette, provando un misto d'indignazione e di vergogna: "È proprio necessario?", chiese con durezza.

"Credo proprio di sì". Lanciò un'occhiata a George e tra loro passò una conversazione muta.

Prenditi cura di Candy.

Lo farò.

Non preoccuparti per me, pensa a lei.

Non mancherò.

"Chi?! Chi vi ha detto una stupidaggine simile? Quei liquori sono una reliquia di famiglia, non li abbiamo mai commercializzati!". Archie stava quasi gridando.

"Quali liquori?", domandò al nipote, mentre anche lui veniva ammanettato.

"Hanno fatto irruzione nella cantina di Lakewood, hanno presentato un mandato di perquisizione a uno dei servitori... e sono entrati. Dicono che ne manca una quantità enorme che è arrivata a Londra", spiegò il ragazzo mentre uno degli agenti gli intimava di tacere e di parlare solo se interrogato.

Albert cercò di fare mente locale, ancora estremamente confuso da quella catena assurda di eventi: a Londra c'erano alcune aziende edili sulle quali aveva investito con i Cornwell, che diavolo c'entravano i distillati della villa di Lakewood? Davvero erano finiti lì? Quando, e per mano di chi?

"È stato Neil Lagan, vero?", disse, colto da ispirazione improvvisa: d'un tratto, l'umiliazione che credeva di avergli inflitto quando lo aveva accusato di aver provocato l'incidente di Candy gli suggerì uno dei tasselli mancanti.

L'altro poliziotto si limitò a guardarlo, poi dopo qualche istante rispose: "Non siete voi a dover fare domande, qui. Un giudice ascolterà i testimoni e la vicenda sarà presa in carico da un Tribunale. Nel frattempo la detenzione è una forma preventiva con la quale ci accerteremo che non possiate inquinare le prove. I vostri conti e le transazioni sono stati tutti legalmente sospesi".

Oddio, ma che sta succedendo? Come hanno fatto i Lagan a combinare un guaio di queste proporzioni? Possibile che si tratti davvero di loro due?!

Se solo fosse stato altrettanto crudele e scaltro, a quest'ora Neil e sua sorella sarebbero stati in galera per il tentato omicidio di Candy. Invece non c'erano prove sufficienti e ora dalla parte del torto c'era lui.

"George, avvisa Annie, dille... dille che sono innocente, che lo siamo entrambi! Chiedi alla zia...". Archie sembrava disperato, era sull'orlo delle lacrime.

"Non si preoccupi, signorino Cornwell, penserò a tutto io!", ribatté George, ma guardava lui.

"Signor Villers", lo apostrofò uno degli agenti mentre lo scortava con una certa rudezza alla porta d'ingresso, "lei è tra gli indagati principali, ma per il momento non abbiamo mandati di cattura a suo carico o della signora Elroy Ardlay. Tuttavia, dobbiamo chiedervi di rimanere reperibili in questa casa onde evitare spiacevoli inconvenienti".

George si tamponò di nuovo la fronte con il fazzoletto: "Non ci muoveremo da qui, abbiamo una persona malata di cui occuparci", ribatté in tono fermo.

Candy, finalmente non mi avrai più tra i piedi per un po'.

Uscire da casa con le manette come un criminale fu una delle esperienze più strane che Albert dovette sopportare. Nell'androne incrociò gli occhi sbarrati, dietro agli occhiali, di Frannie a cui raccomandò calorosamente Candy: la ragazza sembrava aver perso tutta la sua freddezza, mentre si metteva una mano sulla bocca come se non credesse a ciò che vedeva.

E poi ci fu la zia Elroy, che era fuori di sé: "William, Archibald! Dove portate i miei nipoti? Come vi permettete di accusare i membri della famiglia Ardlay? Vi farò licenziare tutti!", strillava fuori controllo.

"Signora, la prego di stare indietro", le intimò un poliziotto.

"George", disse Albert senza dover aggiungere altro. In un attimo, il suo braccio destro offriva gentilmente appoggio all'anziana zia che sembrava sul punto di svenire. Le sussurrò qualcosa come cercando di calmarla e quella fu l'ultima scena che vide prima di uscire per salire sulla vettura della polizia di Chicago.

Fuori splendeva un sole caldo e beffardo.
- § -
 
Terence lanciò uno sguardo a Karen, indeciso se parlare o meno. La vide armeggiare nella sua borsetta imprecando perché non trovava qualcosa e si chiese per l'ennesima volta cosa sarebbe accaduto se non fosse stata aggredita mentre si allontanava, se lui non fosse intervenuto e se non avessero deciso di recarsi al suo albergo che era più vicino.

Karen voleva tornare al proprio hotel da sola perché ormai era giorno, ma la sola idea di lasciarla andare gli rivoltava lo stomaco.

Solo ieri la scacciavo malamente quando mi seguiva per controllare che non mi fermassi a bere.

Non voleva scadere in un luogo comune, ma dopo ciò che era successo tra loro sentiva che una parte di lei gli sarebbe appartenuta per sempre. Dannazione, non solo una parte.

Ormai è mia e non so neanche se l'amo.

Davvero la riteneva una sua proprietà solo per quello? O era per un altro motivo, ben diverso? Non era certo la prima donna con cui giaceva, ma era la prima a cui...

"Perché non me l'hai detto?", le domandò a bruciapelo, interrompendo il suo stesso flusso di pensieri.

Lei alzò finalmente la faccia dalla sua borsa e lo guardò inizialmente come se non capisse. Poi la comprensione calò sui suoi occhi: "Perché avrei dovuto? Sarebbe cambiato qualcosa?".

Terence non seppe cosa ribattere: "Non è quello è che... se l'avessi saputo... insomma...".

"Saresti stato più delicato?", ridacchiò Karen. Sembrava davvero divertita.

"Beh, come minimo", ribatté lui a disagio. Non avrebbe mai dimenticato il momento esatto in cui era entrato in lei con l'urgenza e la passione dettati dal momento e l'aveva sentita gridare. Si era reso conto subito che qualcosa non andava e che la sua esternazione non era stata data dal piacere.

"Oppure non mi avresti toccata? Cos'è, pensavi forse che io fossi avvezza ad andare con altri uomini e credevi di avere a tua disposizione un altro terreno già esplorato?".
"Per favore, Karen. Non ti sto dando della libertina e tanto meno lo sono io", disse piccato. Nonostante quello che scrivevano certi giornalacci non era che lui avesse tutte quelle avventure amorose che gli affibbiavano. Soprattutto con Candy sempre nella testa.

"Ma hai pensato che io non fossi vergine", continuò lei senza alcuna vergogna. Non aveva mai conosciuto una ragazza così disinibita e avvezza a parlare di certe cose come se fosse del tutto naturale discuterne con un uomo.

"Sì, beh, ma non per questo voglio dire...".

Karen gli si avvicinò, guardandolo negli occhi: "Terence. Va bene così, l'ho voluto io. Almeno posso dire che sei stato tu il primo. Non so se sarò mai in grado di innamorarmi di nuovo, capisci?".

Accidenti, se la capiva! Le carezzò una guancia, sperando di averle lasciato almeno un bel ricordo. Per fortuna, una volta compresa la sua condizione, era stato in grado di rendere il resto della loro nottata ugualmente bella. Lui era pronto a smettere, preoccupato di averla ferita, invece era stata Karen a guidarlo, come se fosse un ragazzino inesperto. Cosa che, da quel punto di vista, era a tutti gli effetti. Non ricordava di essersi sentito così impacciato neanche la prima volta.

È solo perché non è mai stata di nessun altro o perché ci tieni a lei? Gli chiese una voce nella testa.

"Cosa succederà, ora?", le domandò sentendo che i ruoli si erano invertiti. Non erano forse sempre le donne a fare quella domanda?

Lei allargò le braccia, mettendosi finalmente la borsa a tracolla: "Nulla, ci vediamo alle prove e quando finisce il tour vai a recitare nel tuo film. Disinfetta quella ferita, ha un brutto aspetto. E prepara Robert per telefono, perché se ti vede con quei lividi senza preavviso potrebbe avere un infarto fulminante".

Terence era allibito: se stava soffrendo all'idea che si sarebbero lasciati di lì a poco lo stava nascondendo molto bene.

Mentre stava per aprire la porta, come se nulla fosse, seguì l'istinto e la raggiunse in due rapide falcate. La imprigionò tra il suo corpo e la porta e la baciò: "Ci vediamo stasera", le disse, notando il lieve rossore che aveva sulle guance.

"A stasera", ripeté lei facendogli l'occhiolino e uscendo disinvolta.

Terence rimase per un attimo lì, a fissare quella porta chiusa, chiedendosi che diavolo fosse accaduto nelle ultimo dodici ore.

Ho fatto a botte per una donna e poi me la sono portata a letto. Tutto qui, no?

"Oh, certo, tutto qui, Terry Graham", si disse mentre andava verso il bagno. Guardandosi allo specchio, capì perché Karen gli aveva intimato di chiamare Robert. Altro che cerone, come minimo avrebbe dovuto indossare una maschera.
   
 
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