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Autore: Parmandil    18/06/2021    0 recensioni
[https://it.wikipedia.org/wiki/Love,_Death_%26_Robots]
Questo racconto breve è ispirato al cortometraggio Ice Age (L’Era glaciale) della serie Netflix Love, Death & Robots. Gail e Rob, una giovane coppia che ha appena traslocato, hanno scoperto che nel vecchio freezer dell’appartamento si genera ogni giorno una minuscola civiltà, per la quale il tempo scorre accelerato. Entro sera la civiltà o si autodistrugge, o raggiunge la trascendenza.
Passato il primo momento di sconcerto, la coppia deve decidere come convivere col singolare fenomeno, che ogni giorno presenta nuove, inquietanti variazioni. Rob e Gail riusciranno a trovare un equilibrio nel nuovo appartamento o saranno sopraffatti dagli eventi? La loro relazione ne uscirà rafforzata o affossata? Ma soprattutto, qual è il senso che si cela dietro questo prodigio, ed esiste un modo per farlo cessare?
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Generazione spontanea

 

 

   «Non è possibile!» gridò Robert, Rob per gli amici. In uno scatto d’ira richiuse, sbattendola, la porta del vecchio frigorifero.

   «Okay, adesso cerca di calmarti» disse Gail, sebbene anche lei fosse un po’ sopraffatta dalla situazione.

   «Calmarmi?! E perché dovrei? Quello è il nostro frigo, non un altro mondo! Dobbiamo tenerci i surgelati, non quei lillipuziani!» sbraitò Rob.

   Gail sospirò, incerta sul da farsi. Come tante altre giovani coppie da poco sposate, la loro vita non era rose e fiori. Avevano appena comprato un nuovo appartamento e non era stato facile, con i loro magri redditi: Robert era un operaio e lei insegnava storia e geografia in una scuola media. Avevano dovuto chiedere un grosso prestito alla banca: avrebbero impiegato anni a pagare tutte le rate. Più nell’immediato, c’erano le fatiche e le seccature del trasloco da ultimare. Avevano cominciato il giorno prima a portare le loro cose e la maggior parte della roba era ancora imballata, in attesa di trovare una sistemazione. Già questo era abbastanza stressante; ma era stato il vecchio frigo a far precipitare la situazione.

   A vederlo pareva un normalissimo frigorifero, sebbene di modello antidiluviano, con la ventola nella parte alta. Aprendolo, Rob aveva scoperto che lo scomparto del freezer – localizzato in alto – era completamente incrostato di ghiaccio. Ne aveva tolto un po’, per metterlo nel bicchiere con cui brindare con Gail alla nuova casa. E qui erano cominciate le sorprese. All’interno del cubetto di ghiaccio c’era un minuscolo mammut congelato, non più grande di una formica. E conficcate nel suo fianco c’erano un paio di lance, del tipo usato dai cacciatori preistorici.

   Per venire a capo del mistero, Gail aveva ulteriormente scavato nel ghiaccio. Così facendo aveva aperto una finestra su un paese in miniatura. Era un borgo medievale, con tanto di castello arroccato su una rupe, villaggio che si espandeva più in basso, stradine che serpeggiavano nella foresta d’abeti innevati, il tutto racchiuso nell’angusto spazio del congelatore. Per la verità il paesaggio sembrava prolungarsi all’indietro ben oltre il fondo del frigorifero, ma era difficile accertarlo, per via della foschia. Quel popolo in miniatura era industrioso: aveva costruito un sistema di gru e pulegge per staccare i piselli che uscivano da una confezione lacerata e sfamare la popolazione in crescita.

   Una civiltà alimentata dai piselli! Questo non c’era sui libri di storia, anche se Gail aveva subito notato una stranezza: i mammut come quello che avevano trovato all’inizio si erano estinti alla fine del Neolitico, mentre quel villaggio era chiaramente medievale, dunque di molti millenni successivo. Il paradosso si era chiarito con le successive osservazioni: all’interno del freezer il tempo scorreva accelerato. Al secondo controllo, infatti, l’insediamento era cresciuto a dismisura e stava già entrando nell’era industriale. Le fabbriche levavano i loro alti camini, spargendo fumo nel piccolo vano. I grattacieli crescevano in pochi attimi. Gli aeroplani ronzavano come moscerini sulla città in espansione. La giovane coppia non avrebbe saputo dire se si trattava di una metropoli realmente esistente, tuttavia c’erano degli innegabili rimandi al mondo reale, come indicavano i cartelloni pubblicitari delle aziende.

   All’iniziale sorpresa era subentrato lo sgomento, quando all’interno del frigo avevano iniziato a detonare cariche nucleari. La prima aveva lievemente scottato in volto Rob, che in quel momento si sporgeva avanti per osservare. Non era rimasto che chiudere il frigo e ordinare due pizze, mentre nel congelatore imperversava la guerra atomica. Solo dopo cena la coppia si era azzardata a riaprire il frigo, nell’ansia di sapere se quella civiltà in miniatura era sopravvissuta al conflitto.

   Era sopravvissuta, altroché! Nuovi grattacieli, sempre più futuristici, affollavano il vano del congelatore. Poco alla volta però gli abitanti avevano iniziato a smontarli, costruendo al loro posto un’immensa – per loro – piramide, nella quale convergevano numerosi condotti d’alimentazione. L’energia si era accumulata, mentre l’edificio centrale subiva rapide metamorfosi, divenendo sempre più simile a un portale. Infine al suo posto era apparsa una bolla d’energia mentre gli abitanti, ormai ascesi a un livello superiore d’esistenza, uscivano dal congelatore e sfrecciavano nella cucina come luminose scintille di un fuoco d’artificio. Dopo quel glorioso momento, come di comune accordo, erano tornati nel vano, scomparendo nella bolla d’energia. Poi la bolla stessa era svanita in un ultimo lampo, lasciando il congelatore buio e vuoto. Significava forse che gli esserini erano migrati in un’altra dimensione? Quale che fosse la realtà, di certo non erano più lì. Il frigorifero era disabitato e quindi Rob aveva staccato la spina, affinché si sgelasse del tutto durante la notte. Dopo un ultimo abbraccio per scaricare l’emozione della giornata, la coppia era andata a dormire.

   Rob e Gail erano tipi con la testa sulle spalle, tanto che al mattino avevano sospettato d’essersi immaginati o sognati tutto. Eppure la lieve scottatura sul volto dell’uomo era ancora lì; come se l’era procurata altrimenti? E anche il vecchio frigo era sempre lì, addossato contro il muro della cucina, più inquietante che mai. Quali altri segreti racchiudeva? Cos’era mai successo durante le lunghe ore notturne, che certo al suo interno valevano come milioni di anni? Dopo un’occhiata d’intesa col marito, Gail lo aveva riaperto. L’interno del congelatore era profondamente mutato, rispetto alla sera prima; ma non per questo era tornato alla normalità.

   Tra dense nebbie si scorgeva un paesaggio lacustre, dovuto allo scioglimento del ghiaccio. La palude era disseminata di broccoli e altri ortaggi, abbandonati dal precedente padrone di casa. Ma di nuovo vi era sorta, per generazione spontanea, una minuscola popolazione, la cui esistenza scorreva accelerata. Il ciclo evolutivo si era aperto in piena preistoria, con gli australopitechi che si litigavano le carcasse degli animali. Ma vi erano anche – in pieno anacronismo – dei dinosauri, alcuni dei quali predavano gli scimmioni. Un tirannosauro aggredì un gruppo di australopitechi che banchettavano sui resti di un grande sauropode, divorandone un paio. Gli altri si nascosero nella foresta di broccoli, lanciando richiami impauriti.

   «Rob, ascolta, non so spiegare cosa ci fanno quegli esserini... però sono qui...» disse Gail.

   «Nel nostro frigo!» puntualizzò Rob.

   «... e credo che abbiamo una certa responsabilità nei loro confronti. Guardali, poverini! Sono in pericolo!» proseguì Gail accorata, indicando gli ominidi che fuggivano da numerosi predatori. Per la maggior parte questi ultimi erano dinosauri, ma col passare dei minuti stavano spuntando anche leoni e tigri dai denti a sciabola.

   Rob sbuffò e tornò a osservare l’interno. «Mi spieghi che ci fanno i dinosauri?!» fece. «Dici sempre che si estinsero prima che apparissero gli ominidi».

   «Ehm, in effetti sì... almeno nel nostro mondo...» convenne Gail. «Mi sa che lì dentro gli eventi sono accavallati. O forse è perché hai scongelato il frigo!» aggiunse, colta da un’intuizione.

   «Come-come? Sarebbe colpa mia?!» protestò Rob.

   «Beh, sì. Sgelando il frigo hai fatto sì che il clima fosse più caldo, quindi i dinosauri non si sono estinti» spiegò Gail. «O almeno è l’unica ipotesi che mi viene in mente».

   «Fantastico, ora controllo un ecosistema! E adesso che dovremmo fare, aprire un Jurassic Park in miniatura?!» chiese il marito.

   La moglie non seppe rispondere così su due piedi. Tornarono a osservare l’interno e videro che l’ambiente si evolveva in fretta, anche se non tanto quanto la civiltà della sera prima. In particolare i dinosauri stavano diminuendo di numero, a tutto vantaggio dei mammiferi. Ben presto si estinsero e l’evoluzione assunse un corso più verosimile. Era evidente, però, che questo ciclo non era una mera ripetizione dell’altro. L’ambiente era notevolmente cambiato, dato che Rob aveva sgelato il frigo. Mentre la popolazione precedente era circondata da montagne di ghiaccio, questa abitava un territorio ricco d’acqua, che formava paludi. In quell’ambiente infido si muovevano gli ominidi, sempre più eretti, armati di clave e lance.

   «Avrei voglia di metterci un piccolo monolite, per vedere se lo adorano» commentò Rob.

   «Non ti azzardare! Non possiamo approfittare di loro!» obiettò Gail.

   «Loro stanno approfittando del nostro congelatore» ribatté Rob. «Tra l’altro, uhm... mi sembrano più lenti a evolversi, rispetto a ieri sera» aggiunse sovrappensiero.

   «Dev’essere perché sono ancora nella preistoria. All’epoca i cambiamenti erano più graduali» spiegò Gail. «È probabile che entro stasera avranno fondato una civiltà come quell’altra».

   «Così avremo un altro spettacolo di luci... e magari un’altra guerra atomica!» commentò il marito.

   «Può darsi» ammise la moglie, a malincuore.

   «Amore, dobbiamo parlare!» disse Rob, richiudendo il frigo. «Non possiamo andare avanti così, con una civiltà che si genera ogni santo giorno. Che accadrebbe se stavolta questi esserini uscissero dal frigo, andando alla conquista della cucina? Veloci come sono, potrebbero farlo in un attimo. E noi non possiamo star qui a sorvegliarli ventiquattr’ore al giorno! Abbiamo altro da fare, dobbiamo finire il trasloco. E poi da domani ricominciamo a lavorare. Sai che significa? Che passeremo molte ore fuori casa, mentre questi mostriciattoli fanno i loro comodi. Chissà che troveremo al ritorno!».

   «Lo so, Rob» sospirò Gail, sconfortata a quella prospettiva. «Ma che alternative abbiamo? Loro sono qui e non se ne andranno».

   «Potremmo distruggerli, finché sono ancora degli scimmioni» suggerì Rob, occhieggiando minacciosamente il frigo.

   «Non ci provare!» ammonì Gail, frapponendosi. «Anche se non sono esattamente umani, credo che vadano considerati una specie protetta. E poi questo fenomeno è una grande scoperta scientifica. Potrebbe renderci famosi... e ricchi!» aggiunse, cercando ogni argomento pur di far desistere il marito dal suo proposito distruttore.

   «Hai detto ricchi?» fece Rob, drizzando le orecchie.

   «Certo! Quanti altri casi come questo ci sono al mondo? Non so perché, ma qui c’è qualcosa che sta riscrivendo le leggi della fisica. Parliamo di generazione spontanea e di tempo accelerato, santo Cielo!» esclamò Gail. «Un giorno gli scienziati, studiando il nostro frigo, potrebbero svelare i segreti del cosmo e trovare la chiave per il futuro dell’umanità!» aggiunse, in tono drammatico.

   «Il futuro dell’umanità... là dentro» ripeté Rob perplesso, indicando il vecchio frigo addossato al muro. «Okay, quindi che proponi di fare?».

   «Beh, dovremmo avvertire le autorità. Così manderanno degli esperti» suggerì Gail.

   «Coi tuoi esperti tra i piedi, non finiremo mai il trasloco!» sbottò Rob. «E poi chi dovremmo chiamare, esattamente? La polizia, la guardia nazionale, la protezione animali...?».

   «Io... non sono sicura» ammise Gail, mordendosi nervosamente il labbro.

   «Chiunque chiamiamo, non ci crederà. Ci prenderanno per pazzi» incalzò Rob.

   «Se facciamo delle foto...».

   «Verranno mosse per la velocità. E in ogni caso la gente penserà a un fotomontaggio».

   «Allora proponi tu qualcosa!» si spazientì Gail, stanca del disfattismo del marito.

   «Potremmo fare a pezzi il frigo e comprarne uno nuovo» fu la drastica risposta.

   A quelle parole cadde un silenzio prolungato. Gail camminava avanti e indietro, fissando il pavimento mentre rimuginava. Rob era addossato alla parete, con le braccia conserte, e la seguiva con lo sguardo. Finalmente la donna rialzò la testa e gli si accostò.

   «Facciamo così: per il momento non informiamo nessuno» disse Gail. «Lasciamo passare qualche giorno, per vedere se il fenomeno si ripete. Potremmo anche fare qualche esperimento... con molta cautela. Se la cosa va avanti, o se questi esserini fanno qualcosa di pericoloso, chiameremo la polizia o i vigili del fuoco e lasceremo che se la sbrighino. Al limite saranno loro a informare le autorità».

   «Uhm... potrebbe funzionare» ammise Rob, meditabondo. «Se il governo vuol portarsi via il frigo per studiarlo, ben venga. Spero che almeno ci diano un modello nuovo, di quelli con la ventola di sotto».

   «Penso che sarà il minimo».

   «Resta il fatto che nel frattempo non possiamo tenerli sempre d’occhio» avvertì Rob, squadrando nervosamente il frigo.

   «Il portello è spesso. Non credo che possano uscire, finché noi lo teniamo chiuso» sostenne Gail.

   «Così però non possiamo usare il frigo!» si allarmò Rob.

   «Un piccolo sacrificio, per il bene della scienza» insisté Gail.

   «E va bene» si arrese l’uomo. Riprese la tazza del caffè, che aveva posato sul tavolo, e la svuotò d’un sorso. «Pensiamo a continuare il trasloco. Ma stasera voglio darci un’occhiata, per vedere cosa combinano là dentro» disse accennando al frigorifero.

 

   I lavori occuparono gran parte della giornata; fortunatamente era domenica e i coniugi non avevano altri impegni. In certi momenti riuscivano quasi a dimenticare il prodigio che si svolgeva nel congelatore, presi com’erano dalle incombenze del trasloco. Ma ogni volta che dovevano entrare in cucina, o che semplicemente ci passavano davanti, il loro sguardo correva al vecchio frigo. Furono spesso tentati di aprirlo, per controllare la situazione, e un paio di volte lo fecero, all’ora di pranzo e in una breve pausa a metà pomeriggio. Scoprirono che la popolazione era ancora primitiva, sebbene stesse evolvendo verso l’Homo sapiens.

   Le cose cambiarono all’ora di cena, come aveva previsto Gail. La popolazione aveva sviluppato una civiltà simile a quella dell’antica Cina, con grandi risaie, grazie alla pozzanghera creata dallo scioglimento del ghiaccio.

   «Guarda, guarda... si stanno dando da fare» commentò Rob. «Ma la città di ieri non era fatta così. Questa sembra più l’Estremo Oriente» aggiunse, notando gli edifici coi tipici tetti dai bordi rialzati.

   «Devono essere le diverse condizioni climatiche» ipotizzò Gail. «Sai, il disgelo... ora c’è più acqua».

   «Mi domando cosa ne verrà fuori».

   «Non credo che ci vorrà molto a scoprirlo».

   Diversamente dalla sera precedente, stavolta i coniugi osservarono a lungo la civiltà che evolveva sotto i loro occhi. I simil-cinesi costruirono grandi città e persino una muraglia per contrastare i barbari che calavano dalle profondità inesplorate del frigo. Dopo grandi conflitti e invasioni, anche questa società conobbe una Rivoluzione Industriale. Le città divennero enormi, riversando tanto di quello smog fuori dal frigo che Rob si mise a tossire e Gail dovette aprire la finestra per aerare la stanza.

   Vedendo i primi aerei che sorvolavano le città in continua espansione, Rob cominciò ad agitarsi. «Senti, è meglio se chiudiamo» disse. «Questi sono sempre di più e non vorrei che invadessero l’appartamento per conquistare nuovo spazio vitale».

   «Gli altri non l’hanno fatto» notò Gail.

   «L’hai detto anche tu che questi sono diversi. Magari sono più aggressivi» insisté Rob, inquieto.

   Vedendo che il tessuto urbano aveva ormai riempito il congelatore, anche Gail si preoccupò. I grattacieli erano sempre più grandi e avveniristici; sembrava che la società avesse ormai superato il XXI secolo e progredisse verso il futuro. «Almeno stavolta non ci sono state guerre atomiche...» mormorò la donna.

   «Non ancora» corresse Rob. «Okay, ne ho abbastanza; io chiudo» decise di lì a poco. In quella però le cose si sistemarono, con la subitaneità dovuta al tempo accelerato. Pur non ascendendo come i loro predecessori, gli esserini costruirono una sorta di stargate e lo attraversarono in massa, abbandonando il frigo. Restò la megalopoli vuota, che si deteriorò rapidamente. I grattacieli, i ponti e tutti gli altri edifici arrugginirono a vista d’occhio, fino a crollare. Al tempo stesso la vegetazione tornò a colonizzare le rovine, finché parve che l’ambiente fosse tornato primitivo com’era al mattino. L’unica differenza era la minor quantità d’acqua, dato che un po’ era evaporata. Per il momento non c’erano dinosauri, né altri grossi animali in vista.

   «È finita?» fece Rob, un po’ sorpreso. A paragone dell’exploit della sera prima, quel finale era in sordina.

   «Volevi ancora i fuochi d’artificio?» chiese Gail.

   «Beh, non per forza, ma... mi piacerebbe sapere dove diavolo sono andati» ammise l’uomo.

   «Ovunque siano, non credo che li rivedremo» disse la moglie, con vago rimpianto. Rimasero a discutere per un po’ dell’accaduto, ma non a lungo, perché erano stanchi dopo la giornata di trasloco. Infine Gail asciugò l’interno del congelatore con uno strofinaccio, rimuovendo la grande pozzanghera, e chiuse lo sportello. I due andarono a dormire.

 

   Al mattino i coniugi erano più silenziosi del solito. A vederli si sarebbe detto che avevano litigato, ma non era questa la ragione del malumore. Stavano pensando al frigo, che non avrebbero potuto controllare nelle successive otto ore, poiché dovevano recarsi entrambi al lavoro. Infine Rob si riscosse. «Groan... vediamo come butta oggi» disse, aprendo lo sportello di malagrazia.

   Stavolta il paesaggio era decisamente più asciutto, persino arido. C’erano i soliti ominidi, che bazzicavano nelle rade oasi, mentre gli animali erano pochi, perlopiù cammelli. «Mi sa che oggi l’evoluzione sarà diversa» commentò Gail, dopo aver guardato a sua volta.

   «E noi non saremo qui a seguirla» commentò Rob. «Facciano quel che gli pare... a me basta ritrovare la casa intera».

   I due lasciarono l’appartamento con una certa apprensione, chiedendosi in che stato lo avrebbero trovato al ritorno. Anche sul luogo di lavoro – Rob in fabbrica, Gail alla scuola – continuarono a rimuginarci, tanto che i colleghi li trovarono distratti. Loro però non osarono parlare del problema, temendo d’essere presi per matti, e si giustificarono dicendo che il trasloco era più stressante del previsto.

   Quando finalmente rincasarono, incontrandosi davanti al condominio, Rob e Gail salirono in fretta e in silenzio fino al loro appartamento. Una volta dentro andarono dritti in cucina, dove l’uomo spalancò il frigo. «Wow... quest’arnese non si smentisce mai» commentò, osservando l’interno.

   Gail gli si affiancò per controllare. Nel vano del congelatore si era sviluppata una civiltà simil-egizia che stava costruendo piramidi, templi e sfingi. I coniugi osservarono affascinati millenni di storia, condensati in un paio d’ore. Anche stavolta ci furono invasioni e conquiste da parte di popoli provenienti dalle misteriose profondità del freezer. «Mi chiedo se la storia debba per forza somigliare alla nostra» commentò Rob.

   «Sembra di sì... almeno a grandi linee» mormorò Gail, che aveva preso una macchina fotografica e stava scattando delle istantanee. «Prima hanno costruito le piramidi, poi quel tempio che sembra Abu Simbel, proprio come nella realtà. E guarda lì!» si emozionò, indicando una torre squadrata che prendeva forma presso l’ultima pozzanghera stillata dalle pareti del congelatore.

   «Cos’è?».

   «Il Faro d’Alessandria, una delle Sette Meraviglie dell’Antichità!» spiegò Gail, scattando foto fintanto che l’edificio era in buono stato. «Fu costruito nel III secolo a.C. dalla dinastia tolemaica, nel periodo della dominazione ellenistica d’Egitto» proseguì, sapendo che il marito non era ferrato come lei in storia.

   «Okay, fantastico... e quindi?».

   «Quindi significa che la storia di questa civiltà ricalca davvero quella dell’Egitto, con la sua successione di popoli e culture. Non è fantastico?!».

   «Altroché» fece Rob, ma la sua espressione era ancora preoccupata. Dopo il periodo ellenistico e quello romano apparvero piccole moschee, segno che l’intuizione di Gail era corretta, sebbene la geografia davanti a loro non ricalcasse esattamente quella dell’Egitto.

   Passò altro tempo e anche lì sorsero le industrie moderne. Le città si ampliarono e in fondo al vano apparvero dei pozzi di petrolio. «Vorrei tanto sapere cosa stanno davvero estraendo» commentò Rob.

   «Ehi, s’è fatto tardi. Vuoi cenare?» chiese Gail, deponendo la macchina fotografica.

   «Sì, ho fame» convenne Rob. «Che abbiamo stasera? Ancora pizza?!».

   «Finché non potremo usare il frigo...» annuì la moglie.

   L’uomo lasciò l’elettrodomestico con un sospiro rassegnato. Fu la sua fortuna, perché in quella vi fu un’esplosione atomica simile a quella del primo giorno.

   «Merda!» gridò Rob, chiudendo il portello di scatto.

   «Ti sei fatto male?!» si preoccupò Gail, correndogli a fianco.

   «No, stavolta ero più lontano» la rassicurò il marito. «Però non possiamo andare avanti così, con una guerra atomica in casa un giorno sì e uno no!» protestò.

   «Aspettiamo un po’ e poi torniamo a guardare. Magari ricostruiranno tutto, come hanno fatto l’altra volta» disse Gail, speranzosa.

   «Uhm... speriamo per loro».

   I due consumarono una cena a base di pizza, con l’aggiunta di frutta per rendere il pasto più equilibrato. Dopo di che sistemarono alcune carabattole che erano rimaste tra i piedi per via del trasloco. Infine si ritrovarono davanti al frigo. Rob era armato con una spazzola e Gail con uno spray anti-insetti, per respingere gli esserini qualora si fossero mostrati ostili.

   «Al mio tre» disse Rob, teso. «Uno, due... tre!». Aprì di scatto lo sportello, aspettandosi il finimondo. Ma lui e la moglie rimasero delusi, perché l’interno del congelatore era deserto. L’ultima pozza si era asciugata e i resti delle città diroccate si erano ormai dissolti in polvere.

   «Oh, poverini... sembra che stavolta non ce l’abbiano fatta» commentò Rob.

   Accanto a lui, Gail era così scossa dalla scoperta che parve sul punto di piangere. «Gli altri c’erano riusciti... perché loro no? Non capisco» disse con voce incrinata.

   «Ehi, calmati» disse il marito, abbracciandola. «Forse hanno ricostruito e poi sono ascesi come gli altri. È colpa nostra che abbiamo aspettato troppo a riaprire il frigo e ci siamo persi lo spettacolo».

   «Ne sei certo?» fece Gail, stringendolo forte.

   «Io, beh... mi piace crederlo» disse Rob. In realtà non ci sperava molto, ma era deciso a confortare sua moglie, che in quel momento appariva sull’orlo di un esaurimento nervoso. «Però non voglio passare ogni giorno ad angosciarmi per ciò che potrebbe accadere agli abitanti del frigo. E poi sono stanco di mangiare pizza» aggiunse, sciogliendosi dall’abbraccio.

   Gail ammise che la cosa stava sfuggendo di mano. «Non pensavo che il nuovo appartamento ci avrebbe dato tanti grattacapi» disse. «Mi chiedo se queste cose accadevano anche al vecchio inquilino. Forse è per questo che sembrava tanto ansioso di vendere».

   «È il momento di darci un taglio» decise Rob. Ciò detto staccò il vecchio frigorifero dalla parete e prese a trascinarlo faticosamente verso l’ingresso.

   «Che fai?!» chiese Gail, incerta se aiutarlo o meno.

   «Lo carico in macchina e domani lo porto in discarica» rispose l’uomo.

   «Ma il progresso della scienza...».

   «Che vada a farsi fottere!» rispose brutalmente Rob. «Hai idea di cosa combinerebbe la nostra gente, se scoprisse come miniaturizzare le persone con le loro armi? O come accelerare lo scorrere del tempo?».

   «Hai ragione, è troppo pericoloso» convenne Gail, accantonando i sogni di gloria. «Però è un peccato rinunciare al frigo!».

   «Domani ne compreremo uno nuovo» promise il marito.

 

   Il giorno dopo – martedì – tutto sembrò filare liscio. Rob si svegliò presto e portò il vecchio frigo in discarica prima ancora di recarsi al lavoro. Per tutta la durata dell’operazione rifiutò ostinatamente di aprirlo per controllare cosa accadeva all’interno. «Se esce della gente, se ne occuperanno quelli della discarica» si disse. Ma aveva la netta sensazione che, una volta fatto a pezzi, il frigorifero avrebbe perso il suo singolare potere.

   A fine turno Rob s’incontrò con la moglie al negozio di elettrodomestici. La coppia scelse un nuovo frigorifero, di quelli moderni con la ventola in basso. Stavolta ci pensarono gli addetti a caricarlo sul loro furgoncino e recapitarlo a domicilio. Lo portarono persino su per le scale, fino all’appartamento, cosa di cui la schiena di Rob fu particolarmente grata. Infine lui e Gail lo trascinarono in cucina, sistemandolo al posto di quello vecchio. Rob attaccò la spina, poi fece qualche passo indietro e si affiancò alla moglie, osservando soddisfatto il nuovo elettrodomestico. «Bene... da oggi si mangia come si deve!» gongolò.

   «Da domani» corresse Gail. «Ancora non abbiamo cibo fresco, quindi per stasera dovremo accontentarci di roba in scatola».

   «E sia!» si rassegnò Rob. «Ma domani voglio l’arrosto. È ora d’inaugurarla sul serio, la nuova casa».

 

   La mattina dopo Rob e Gail si accostarono timorosi al nuovo frigorifero. «Stavo pensando... non sarà che il fenomeno si ripete anche qui?» chiese la donna.

   «Spero ben di no, con quello che ci è costato!» borbottò il marito. Aprì il portello ed esaminò accuratamente l’interno del frigo, sia il congelatore che il vano principale. Non c’era traccia di generazione spontanea. «Ah! È finita, finalmente!» si rallegrò Rob.

   «Già... ma un po’ mi mancheranno quegli esserini» commentò Gail in tono nostalgico. «Chissà se sono ancora da qualche parte... se stanno bene...».

   «Staranno benone» sostenne Rob. «E anche noi, col frigo che funziona!» aggiunse, fregandosi le mani per la soddisfazione. Per il resto della giornata il suo umore fu il migliore dacché avevano traslocato.

   Quel pomeriggio Gail fece la spesa prima di rincasare, così da rifornire il nuovo frigorifero. Prese anche l’arrosto, per la gioia di Rob. Al momento di riempire il frigo ebbe un nuovo attimo d’esitazione, ma poi si fece coraggio e lo aprì: era ancora vuoto. «È davvero finita» ammise, dopo di che lei e il marito lo riempirono. Con il frigo e la dispensa riforniti, e la maggior parte degli arredi sistemati al loro posto, l’appartamento cominciava ad apparire confortevole.

   «Bene... metto su l’arrosto, ci vorrà un po’» disse Gail. Lo sistemò in una pirofila di vetro, per cuocerlo al forno, e aggiunse un contorno di verdure.

   «Io finisco di sistemare i vestiti negli armadi» si offrì Rob, in uno slancio dettato dal buonumore. Lasciò la cucina e prese le valige con gli abiti, che erano ancora accatastate vicino all’ingresso. Ma le aveva appena sollevate che udì uno schianto, accompagnato dall’urlo di sua moglie. Lasciò cadere le valige e tornò di corsa in cucina. «Che c’è, tesoro?!» chiese allarmato.

   Trovò Gail inginocchiata davanti al forno, con gli occhi sbarrati e un braccio teso a indicare l’interno. Accanto a lei, sul pavimento, c’erano i cocci della pirofila e la carne sparpagliata. «Lì dentro!» disse Gail, con voce insolitamente stridula, continuando a indicare il forno.

   Con un orribile presentimento Rob le venne accanto, s’inginocchiò a sua volta innanzi al forno e vi scrutò dentro. Che fosse stato per la sostituzione del frigo, o per un’altra ragione sconosciuta, la nuova civiltà si era generata lì. Questa somigliava ai popoli precolombiani del Messico, che stavano costruendo i loro templi a piramide, presumibilmente per celebrarvi sacrifici umani.

   «Ma porca...!» imprecò Rob, esasperato da quella maledizione che gravava sull’appartamento e gli impediva di cenare decentemente. Non voleva che tutto ricominciasse daccapo, non voleva darsi pena per quegli esserini dalle vite brevi. Così, in preda a un raptus, accese il forno per distruggerli. «Via dalla nostra casa!» tuonò, richiudendo lo sportello.

   «Ma che fai! Così li uccidi!» strillò Gail, cercando di riaprirlo.

   «Cosa sono venuti a fare lì dentro, eh? Me lo spieghi?!» ringhiò il marito, tenendo cocciutamente chiuso lo sportello.

   «Non sono “venuti” da nessuna parte, sono nati lì!».

   «Beh, dovevano nascere altrove! Farlo in un forno ha queste conseguenze!».

   Dato che non c’era verso di convincere Rob a riaprire il forno, Gail mise mano ai comandi e lo spense.

   «Questa cosa è durata troppo a lungo, dobbiamo darci un taglio!» insisté Rob.

   «Beh, ma non così! Sono esseri viventi... sono persone!» ribatté Gail.

   I due bisticciarono per un po’, finché la donna riuscì a calmare il marito. A quel punto riaprirono il forno e vi scrutarono all’interno, per constatare l’entità del danno. Gli effetti dell’ondata di calore erano gravi: gli insediamenti precolombiani erano distrutti. In compenso erano arrivati gli europei – chissà da dove – e avevano preso a colonizzare il territorio.

   «Anche stavolta la storia sembra ricalcare la nostra, a grandi linee» commentò Gail. «Mi chiedo che fine faranno stavolta...».

   Non dovettero attendere a lungo per scoprirlo. Nei minuti successivi i nuovi insediamenti crebbero, finché anche lì si avviò la Rivoluzione Industriale. Sorsero fabbriche brulicanti di lavoratori, grandi stadi affollati e grattacieli avveniristici. Le cose però presero una strana piega quando gli esserini crearono dei robot che li soppiantarono con una rivolta sanguinosa. Infine anche gli automi svanirono dalla circolazione, lasciando il forno desolato e con le città in rovina.

   Mentre sbocconcellavano l’ennesima pizza, Rob e Gail discussero sul da farsi. «La situazione non è rosea. La nostra cucina genera una nuova civiltà al giorno, in un elettrodomestico o nell’altro» disse l’uomo. «Immagino che pure ieri se ne fosse sviluppata una nel forno, anche se non l’abbiamo vista».

   «Già... tutte civiltà che ricordano quelle del nostro mondo» aggiunse Gail, pensosa. «L’ambiente determina il tipo di sviluppo sociale e anche i nostri interventi possono influire pesantemente» proseguì, lanciando un’occhiataccia al marito. «Però non so cosa pensare degli esiti finali. Ogni civiltà sembra incontrare un destino diverso. Alcune ascendono, altre sono soppiantate dalle macchine o comunque si estinguono».

   «Senti... se questa cosa continua, potremmo non avere altra scelta che rivendere l’appartamento» disse piano Rob.

   «Cosa?! Ma siamo appena arrivati! E poi c’è il mutuo... non si può fare!» si allarmò Gail.

   «E allora che alternative abbiamo? Mangiare pizza per il resto dei nostri giorni e vivere nel terrore che una di queste civiltà trovi la levetta del gas e faccia esplodere il condominio?!» protestò Rob.

   «È difficile, lo so» sospirò Gail. «Ma proviamo a resistere ancora qualche giorno. Almeno fino al week-end. A quel punto decideremo cosa fare». Così avvenne.

 

   Nei tre giorni successivi il forno continuò a “sfornare” (è il caso di dirlo) nuove civiltà, corrispondenti grossomodo a quelle storiche. Una volta furono gli Arabi, un’altra i Mongoli, un’altra ancora gli aborigeni australiani a cui subentrarono i coloni europei. Alcune civiltà si auto-distrussero, altre si elevarono e svanirono; in ambo i casi non restarono tracce.

   Domenica mattina, a oltre una settimana dal trasloco, Rob e Gail sbirciarono nel forno e lo trovarono vuoto. Anche il nuovo frigorifero era normale. Quale fosse il potere che aveva operato in cucina per nove giorni, pareva svanito. I due coniugi tirarono un sospiro di sollievo.

   «Ora la nostra vita tornerà tranquilla» commentò Gail, con una punta di rimpianto.

   «E le nostre cene miglioreranno!» aggiunse Rob, per nulla rammaricato. «Però mi chiedo ancora cos’è successo realmente. Voglio dire... lillipuziani che spuntano negli elettrodomestici? Siamo seri! Queste cose non accadono nella realtà».

   «Forse è stata una suggestione, dovuta all’emozione del trasloco» ipotizzò Gail.

   «Mah!» fece Rob, poco convinto. «Questo non spiega come mai abbiamo visto entrambi le stesse cose. E poi sembravano troppo realistiche per essere allucinazioni. Ricordo quando la bomba atomica m’è esplosa in faccia... sono rimasto scottato per giorni».

   «Beh, in ogni caso è tutto finito» tagliò corto Gail. «Vado a fare il bagno... un bel bagno rilassante nella vasca». Era la prima volta che lo faceva dal trasloco: fino a quel momento si era sempre accontentata di una rapida doccia.

   «Ottima idea... magari ti raggiungo tra poco, eh?» ghignò Rob. Sarà stata la continua tensione di quei giorni, ma non avevano ancora inaugurato il nuovo appartamento nel modo che intendeva lui.

   Gail andò in bagno, si svestì e aprì il rubinetto della vasca, così che si riempisse. Nell’attesa indossò la vestaglia e andò a prendere alcuni balsami e profumi che non erano stati ancora messi a posto. Ci mise un po’ a trovare il modo migliore per sistemarli nei piccoli cassetti sotto al lavandino. Quando ebbe finito rivolse di nuovo la sua attenzione alla vasca e vide che ormai era quasi piena. Allora si accostò, sedendo sull’orlo, e chiuse il rubinetto. Passò la mano nell’acqua per accertarsi che fosse abbastanza calda. Lo era. Ma quando finalmente stava per immergersi, la donna notò un’altra cosa. Nella vasca si era sviluppata una civiltà di tipo polinesiano, che stava colonizzando la spugna e la paperella galleggianti. Colta di sorpresa, Gail si lasciò sfuggire uno strillo.

   In quel momento Rob si era appena spaparanzato sul divano e stava guardando la televisione, cercando invano un canale che non trasmettesse disgrazie. Quando udì lo strillo, capì subito di che si trattava. Lasciò il divano e si precipitò in bagno, imbufalito contro quell’appartamento maledetto che non li lasciava vivere in pace. Vide Gail, immobile accanto alla vasca. Seguendo il suo sguardo notò anche gli esserini che veleggiavano sulle minuscole increspature dell’acqua, per loro grandi come onde oceaniche.

   «Ci sono ancora, Rob» disse la donna con un filo di voce.

   «Non per molto!» ringhiò l’uomo. «È ora di darci un taglio, con queste piattole!». Colto da un raptus simile a quello di quattro giorni prima, balzò presso la vasca e v’immerse un braccio, provocando uno tsunami. Ma questo era solo l’inizio. L’uomo infatti svitò il tappo, provocando un immane vortice, che inghiottì la civiltà con tutta l’acqua. «Bye bye! Salutatemi Atlantide!» disse cinicamente.

   Dietro di lui Gail rimase immobile, come svuotata da ogni energia. Sapeva che avrebbe dovuto fermarlo, ma non volle scatenare un altro litigio, che prometteva d’essere assai peggiore dei precedenti. Così attese che gli eventi facessero il loro corso. Quando tutta l’acqua fu defluita, sul fondo della vasca rimasero solo alcuni minuscoli sassolini, che osservati con la lente d’ingrandimento si rivelarono essere dei moai dell’Isola di Pasqua.

   «Non avremmo dovuto...» cominciò Gail, rimproverandosi di non aver fermato il marito.

   «Oh, andiamo!» esplose Rob. «Non voglio restare un giorno di più in questa casa stregata! Prima o poi spunterà qualcosa di veramente pericoloso, e allora saremo fottuti!».

   «Non possiamo saperlo con certezza, e in ogni caso questa ormai è casa nostra» insisté Gail, stringendosi la vestaglia. «Non avrei dovuto strillare, è stata la sorpresa. Comunque dobbiamo trovare un modo per convivere con questi esserini, ovunque sbuchino».

   «Convivere? No, non siamo tenuti a convivere. Nessuno li ha invitati!» sbottò Rob. «Anzi, sai che ti dico? Se ti stanno tanto a cuore questi mostriciattoli, resta con loro! Io però me ne vado!» dichiarò, uscendo dal bagno.

   «Aspetta, non puoi dire sul serio!» lo inseguì Gail, trafelata.

   «Sono serissimo, invece. Scegli loro o me!» minacciò l’uomo.

   «Sei arrabbiato, non sai quello che dici» lo rimproverò la moglie, sebbene lei stessa fosse in tumulto. «Ascolta, questa è la nostra casa. Noi dobbiamo trovare un compromesso per viverci con questi inquilini inattesi».

   «No! Io non voglio vivere in una casa piena d’esserini che ne combinano di tutti i colori e sfuggono al nostro controllo!» sbraitò Rob, al colmo dell’esasperazione. Aveva il viso arrossato e ansimava nel parlare.

   A queste parole, Gail di colpo s’intristì. Dopo un lungo, ma eloquente silenzio, riprese la parola. «Robert, perché non vuoi avere figli?» chiese di punto in bianco.

   «Figli?!» trasecolò il marito. «Ma di che diavolo parli? Non è di figli che stiamo discutendo...».

   «Beh, io sì» disse però Gail. «Ci siamo trasferiti in questo nuovo appartamento proprio per avere più spazio, nel caso decidessimo di averne. Però in questi ultimi tempi mi hai dato l’impressione di non volerli».

   «Questo non c’entra nulla col nostro problema attuale...».

   «Non m’importa, io esigo una risposta» s’impuntò Gail. «Dimmelo, Rob! Dimmelo, una buona volta! Perché non vuoi che abbiamo un bambino?!» chiese con voce rotta.

   A quelle parole, Rob dovette darsi una calmata. Si massaggiò la fronte, cercando di raccogliere le idee in un discorso coerente. «Amore, io non... non mi sento pronto per una tale responsabilità. Temo che le cose mi sfuggano di mano, ecco!» ammise.

   «Se aspettiamo di sentirci pronti per avere figli, non ne avremo mai» obiettò Gail.

   «Lo so, lo so» sospirò Rob. «È solo che... alle volte temo di non essere abbastanza come marito, e quindi penso che a maggior ragione non lo sarei come padre...» farfugliò, imbarazzato.

   «Ehi... tu sei un marito fantastico» sussurrò Gail, facendosi vicina. «Sì, ogni tanto bisticciamo, ma fa parte della vita. Io ti amo, non sono affatto pentita d’averti sposato».

   «Anch’io ti amo tanto, tesoro» fece lui, abbracciandola. Si baciarono a lungo, dimenticando le ansie e i dubbi che li avevano attanagliati negli ultimi giorni. Poi, di comune accordo, si ritirarono in camera da letto.

 

   Passarono alcune settimane, durante le quali la generazione spontanea continuò a manifestarsi in vari luoghi della casa. In genere erano gli elettrodomestici, che si trovavano in bagno e in cucina. Solitamente ciascun apparecchio ospitava il fenomeno per tre o quattro giorni consecutivi, dopo di che toccava a un altro. La coppia però cercava di non pensarci troppo. Quando individuavano il fenomeno, i due chiudevano l’elettrodomestico incriminato – applicandovi un post-it per non dimenticarlo – e aspettavano che la Storia facesse il suo corso. Ogni tanto osservavano le civiltà in via di sviluppo, ma cercando di non farsi coinvolgere eccessivamente dalla loro sorte. Certo era seccante restare tre o quattro giorni senza il frigo, o il forno, o la lavatrice, ma col tempo cominciarono ad abituarsi. L’altro fastidio era che quando il fenomeno si spostava occorreva setacciare tutti gli elettrodomestici della casa per trovare quello interessato e programmare di conseguenza i prossimi giorni.

   Ci fu una volta in cui la generazione spontanea non si manifestò in alcun elettrodomestico e i coniugi pensarono che la strana maledizione fosse finita. Poi però Rob aprì un cassetto del comò, per cercare dei calzini, e vi trovò dei nativi americani che costruivano tepee colorati, usando minuscoli pezzetti di stoffa strappata agli abiti riposti. Per qualche giorno il secondo cassetto dal basso rimase una riserva indiana, di varie tribù, poi il fenomeno si spostò di nuovo.

 

   Erano trascorsi ormai tre mesi dal trasloco e i coniugi si erano talmente abituati all’andazzo delle cose che quasi non ci facevano più caso. Tuttavia era da qualche giorno che Rob nutriva delle nuove preoccupazioni nei riguardi di sua moglie. La vedeva spesso distratta e stanca. Una sera, appena dopo mangiato, Gail fu assalita dalla nausea e dovette correre in bagno. Dalla cucina, Rob sentì i suoni poco piacevoli di un conato di vomito. Quando la moglie tornò le chiese come stava e si offrì di andare in farmacia a prenderle qualcosa per lo stomaco, ma lei non volle, sostenendo di star bene. L’uomo però era sempre più convinto che le cose non stessero così. Che fosse il rovello per quella situazione pazzesca che avevano in casa? O qualcosa di completamente diverso? Magari Gail aveva dei problemi sul lavoro e non gliene voleva parlare, per non farlo preoccupare? Rob si promise di scoprirlo, ma non volle neanche mettere sotto pressione la moglie mostrandosi troppo insistente con le domande. Decise quindi di tenerla d’occhio per qualche giorno, per notare se c’erano cambiamenti nel suo umore.

   Un sabato sera, Gail si chiuse in bagno e non ne uscì per un bel pezzo. Rob, che aveva bisogno di andarci a sua volta, dovette pazientare, dato che non c’erano altri bagni nell’appartamento. Ma col passare dei minuti sentì crescere l’inquietudine, perché da dentro non veniva il suono della doccia, né alcun altro rumore. Alla fine l’uomo si accostò alla porta e bussò. «Amore, va tutto bene?» chiese.

   Nessuna risposta.

   «Tesoro, mi senti? Ti ho chiesto se va tutto bene!» ripeté Rob, a voce più alta. Ancora niente. Se fossero vissuti in una casa normale, l’uomo non si sarebbe preoccupato più di tanto e avrebbe atteso ancora qualche minuto. Ma siccome vivevano in quell’appartamento stregato, dove ogni giorno era una sorpresa, fu assalito dal panico. E se stavolta la lavatrice avesse partorito una civiltà di conquistatori che si erano avventurati nel vasto mondo fuori dall’elettrodomestico? Si figurò sua moglie stesa sul pavimento, legata da mille sottili lacci, come Gulliver dai lillipuziani, impossibilitata a muoversi e perfino a parlare per chiedere aiuto. Magari stavolta gli esserini erano cannibali!

   Davanti a questa prospettiva, Rob sentì di non poter attendere oltre. Preferiva rischiare d’essere importuno piuttosto che non intervenire nell’ora del bisogno. Si augurò solo che la porta non fosse chiusa dall’interno, perché in tal caso avrebbe dovuto sfondarla, e non era sicuro di avere i giusti attrezzi. Con suo enorme sollievo, tuttavia, la maniglia girò e la porta si aprì senza sforzo.

   Rob fece irruzione, armato di scopa e strofinaccio con cui affrontare la minaccia lillipuziana. Ma i nemici paventati non c’erano. Vi era solo Gail, seduta sul bordo della vasca da bagno, immobile come una statua. Teneva in mano un piccolo arnese bianco e oblungo, simile a un termometro elettronico, e lo fissava senza distogliere lo sguardo.

   «Amore, che succede? Perché non rispondevi? Mi ero preoccupato» farfugliò Rob, confuso. Da un lato era lieto di vederla sana e salva, ma dall’altro si accorgeva che qualcosa la turbava profondamente.

   Gail lasciò passare qualche secondo, poi alzò lo sguardo, fino a incontrare quello del marito. «È successo, Robert. Sono incinta!» disse con voce tremante. Mostrò l’oggetto che aveva in mano: solo allora l’uomo riconobbe che si trattava di un test di gravidanza. Era del tipo elettronico e il piccolo schermo riportava la dicitura incinta 2-3, a indicare il numero approssimativo di settimane.

   Nei primi attimi Rob fu paralizzato dall’emozione. Un figlio, santo Cielo! Questo avrebbe sconvolto le loro vite. Per la verità, la cosa non avrebbe dovuto sorprenderlo: avevano smesso di usare i contraccettivi dopo l’accalorata discussione seguita alla distruzione della civiltà simil-polinesiana. Ma insomma... un bambino in arrivo è qualcosa per cui non si è mai realmente pronti.

   «Sei contento?» chiese Gail, inquietata dal silenzio del marito.

   «Oh, amore... certo che lo sono!» si sciolse Rob. Venne incontro alla moglie e l’abbracciò teneramente. Gail non l’aveva mai visto così commosso, nemmeno il giorno del loro matrimonio.

   I due restarono abbracciati a lungo, ma alla gioia del primo momento subentrarono fatalmente mille ansie e preoccupazioni. Sarebbero stati dei buoni genitori? Avrebbero saputo dare al bimbo tutte le attenzioni di cui aveva bisogno? E soprattutto, come diavolo avrebbero fatto a gestire un figlio in quella casa stregata?

   «Se il piccolo cominciasse a sparpagliare gli esserini per casa, sarebbe un disastro» commentò Rob, osservando la lavatrice dove il giorno prima si era sviluppata una civiltà simil-indù. Quel giorno non l’avevano ancora aperta e non vollero farlo.

   «Credi che potrebbero fargli del male?» s’inquietò Gail.

   «Beh, se sfoderassero di nuovo le bombe atomiche forse sì» ammise Rob. «O potrebbe essere lui a distruggerli inavvertitamente».

   «Mi chiedo come farò coi lavori di casa, dato che abbiamo sempre un elettrodomestico off-limits» sospirò la donna. «Già è difficile tirare avanti per noi due; come faremo quando saremo in tre?».

   Lì per lì i due non trovarono risposta alle loro ansie, ma si promisero reciprocamente di fare tutto il possibile per dare a loro figlio un’infanzia serena. Lasciarono il bagno abbracciati, senza darsi la pena di controllare cosa stava accadendo quel giorno nella lavatrice.

 

   Il giorno dopo Rob accompagnò Gail a fare la prima visita ospedaliera. I medici assicurarono che, per quanto la gravidanza fosse appena all’inizio, non sembravano esserci problemi. La coppia prenotò quindi le visite di controllo da eseguire nei mesi successivi.

   Tornando a casa, i due si fermarono a fare i primi acquisti, tra cui abiti premaman per Gail e una culla. Rientrati nell’appartamento, telefonarono ad amici e parenti per informarli della novità. Fatto anche questo, la coppia cominciò ad allestire la cameretta del pupo. Appena installata la culla, tuttavia, Rob si fermò.

   «Che succede?» chiese Gail.

   «Stavo pensando... sono due giorni che non controlliamo la lavatrice» rispose Rob, grattandosi il mento. «Ieri ci siamo persi lo spettacolo serale, ma credo che oggi dovremmo darci un’occhiata. Sai, per vedere che combinano stavolta».

   «Uhm, sì» borbottò Gail. Fino ad allora era stata la più interessata dei due a osservare i progressi dei loro piccoli ospiti, ma ora che aveva un figlio in arrivo i suoi pensieri e le sue energie erano decisamente spostati su quel fronte. Non le restava molta pazienza per quell’altra faccenda.

   Con l’attenzione che ormai li caratterizzava in quelle indagini, i due si accostarono alla lavatrice. Gail pose la mano sul portello rotondo, apprestandosi ad aprirlo, mentre Rob impugnava uno spazzolone, pronto a respingere qualunque assalto dall’interno.

   «Ora!» disse Gail, spalancando il portello.

   I due guardarono dentro... e non videro niente. L’interno della lavatrice era buio. Ma Rob si era premunito e aveva con sé una piccola torcia tascabile. Illuminò l’interno, controllando ogni anfratto del vano, ma niente: non c’era traccia di civiltà. «Siamo arrivati tardi, lo spettacolo è finito» commentò.

   «Non credo ci sia mai stato» obiettò Gail. «Sono appena le otto, di solito a quest’ora le civiltà sono ancora nell’età antica. Qui invece non c’è nulla, nemmeno le rovine. Non c’è nemmeno quel pantano o quel terriccio che di solito permane tra una giornata e l’altra».

   Osservando con più attenzione, Rob convenne che la moglie aveva ragione. «Allora i lillipuziani si sono spostati di nuovo» commentò. «Vediamo un po’ dove si sono cacciati stavolta».

   I coniugi ispezionarono con cura gli elettrodomestici della casa, ma li trovarono tutti normali. Non c’era traccia di civiltà né presenti, né passate. «Ho capito. È un’altra di quelle volte che si nascondono nei cassetti» disse Rob.

   «Oh, no!» si lamentò Gail. «L’altra volta ho dovuto buttar via un sacco di vestiti. Sembravano mangiati dalle tarme».

   «Avanti, piccoli diavoletti, dove siete?» fece Rob, recandosi in camera da letto. Aprì gli armadi e il comò, esaminando gli abiti e rimuovendoli persino dai cassetti. Trovò un paio di ragnetti che si affrettò a schiacciare, ma nulla che ricordasse vagamente le minuscole civiltà che da mesi infestavano l’appartamento. «Dannazione, stavolta si sono nascosti bene!» imprecò l’uomo, guardandosi attorno in cerca d’altri possibili nascondigli.

   La coppia setacciò l’appartamento da cima a fondo, frugando ogni cassetto e ogni anfratto, perché temevano che la civiltà del giorno sfuggisse al controllo, dilagando nell’abitazione. Ma la ricerca non dette alcun esito. A tarda ora si ritrovarono stanchi al centro del vestibolo e si guardarono.

   «Okay... diciamo che, per la prima volta dal nostro arrivo, l’appartamento non dà segni di generazione spontanea?» fece Rob.

   «Così pare» convenne Gail. «Non so spiegarmelo, ma... meglio così. È un bene che gli esserini ci lascino in pace, ora che abbiamo altro per la testa».

   Pur non sapendo spiegare la stranezza, per il momento i coniugi tirarono un sospiro di sollievo. Consumarono una cena decente, approfittando del fatto che tutti gli elettrodomestici funzionavano. Dopo di che andarono subito a riposare, dato che si era fatto tardi e li aspettavano giorni impegnativi.

 

   Nelle settimane successive la coppia continuò a preparare la cameretta del figlio e ricevette le visite di amici e parenti. Questi portarono spesso doni utili, come vestitini e biberon, che aiutarono i coniugi nei preparativi. Il frigo e gli altri elettrodomestici continuavano a non dare segni di vita. Questa era un’ottima cosa, perché così Rob e Gail avevano tutte le forniture funzionanti, oltre che una preoccupazione in meno. Ogni tanto Rob ispezionava ancora la casa, per accertarsi che i lillipuziani non fossero tornati in qualche anfratto, ma le ricerche dettero sempre esito negativo. Poco alla volta l’uomo le diradò, fino a cessarle del tutto.

   Passarono i mesi, il pancione cresceva e le visite di controllo in ospedale indicarono che era tutto regolare. Le ecografie rivelarono che si trattava di un maschietto. Rob e Gail discussero a lungo su che nome dargli; alla fine optarono per Michael. La cameretta era ormai pronta; non restò che arricchirla con peluche e sonaglini, i primi giocattoli del bimbo.

   E venne il giorno – anzi, la notte – in cui Gail avvertì le doglie. «Amore, mi sa che ci siamo!» mugolò, agitandosi nel letto.

   Più in fibrillazione che mai, Rob l’aiutò a rivestirsi per il viaggio. Poi l’accompagnò rapidamente in macchina, la fece accomodare sul sedile del passeggero e come in un sogno guidò fino all’ospedale. Le infermiere portarono Gail in sala parto, mentre lui rimase in quella d’attesa, a trascorrere la notte più agitata della sua vita. Ogni volta che passava un’infermiera, la tempestava di domande. Al mattino infine fu chiamato dentro e per la prima volta poté vedere il piccolo Michael. Gli parve il più bel pupo del mondo. Siccome tutto era andato bene, sia per la madre che per il piccolo, di lì a un paio di giorni poterono rincasare.

   Naturalmente l’arrivo del bimbo sconvolse i ritmi della vita domestica. L’appartamento non fu più lo stesso. Ora c’era davvero un esserino che ne combinava di tutti i colori e cercava di sfuggire al controllo. Ma i piccoli abitanti degli elettrodomestici non riapparvero mai più.

 

 

-Commento:

   Questo racconto è il seguito del cortometraggio Ice Age (L’Era glaciale) della serie Netflix Love, Death & Robots. Gail e Rob, una giovane coppia che ha appena traslocato, scoprono che nel vecchio freezer dell’appartamento si genera una minuscola civiltà, per la quale il tempo scorre accelerato. Entro sera la civiltà raggiunge un tale livello tecnologico che ascende a un livello d’esistenza superiore e svanisce. La mattina successiva il ciclo ricomincia dalla preistoria.

   Nel mio seguito, per introdurre maggior imprevedibilità, ho immaginato che nei giorni successivi il prodigio si trasferisca agli altri elettrodomestici. Ho immaginato altresì che non tutte le civiltà ascendano a un piano superiore: alcune si autodistruggono, altre svaniscono in strani modi, lasciando il dubbio sul loro effettivo destino.

   Per quanto riguarda il possibile significato allegorico della storia, è opportuno osservare che la giovane coppia non ha ancora figli. Dunque la chiave di lettura del prodigio potrebbe essere questa: gli esserini che appaiono ogni giorno in casa, vivendo un’esistenza accelerata, non sono altro che la proiezione del desiderio inespresso di genitorialità della coppia. Quando Rob e Gail decidono di avere un figlio e la donna scopre d’essere incinta, le misteriose apparizioni cessano, avendo esaurito il loro compito.

   Quanto alla caratterizzazione della coppia, osservando il cortometraggio si direbbe che appartengano a un ceto sociale medio-basso. Ho immaginato quindi che Rob sia un operaio e Gail un’insegnante di storia e geografia. Nel corto, infatti, la donna sfoggiava una cultura superiore al marito (ad esempio sapeva quando si estinsero i mammut).

 

   
 
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