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Autore: Manu_00    19/06/2021    5 recensioni
Raccolta di one-shot legate ai personaggi principali e secondari di JIID: Story of a thief.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Figlio prediletto

Suo padre non lo amava.
Qualche anno fa questa verità gli avrebbe spezzato il cuore, ma ormai aveva imparato ad accettarla come un dato di fatto.
Non c'era posto nel cuore di Dominik Keller per qualcosa che non fosse se stesso, il suo ego, e le pochissime cose che erano in grado di rientrare nei suoi personalissimi (e dagli standard offensivamente alti) canoni di accettabilità.
E Xavier non rientrava tra quelli.
Non era nulla di incredibile, davvero, quanti padri non amavano il proprio figlio?
Molti, molti genitori che avevano avuto gravidanze indesiderate ed incolpavano i figli per avergli rovinato la vita, genitori incapaci di gestire un divorzio e bisognosi di proiettare le proprie frustrazioni sulla forma di vita più prossima.
Ma Dominik non era niente di tutto questo, lui semplicemente lo aveva fatto venire al mondo con delle aspettative, aveva poi ritenuto che le aspettative non fossero state soddisfatte, e lo aveva scartato come un prodotto difettoso.
Un prodotto difettoso sarebbe in grado di razionalizzare la cosa allo stesso modo?
Beh, non che lo avesse fatto da solo, suo padre era stato estremamente conciso sulle sue opinioni.
E non c'era mai rabbia nella sua voce, né rabbia né pietà, affetto, delusione o qualsiasi altra cosa anche solo lontanamente simile a un sentimento, avrebbe potuto mandargli un messaggio sullo scroll e avrebbe avuto lo stesso effetto.
Ma perché si preoccupava tanto poi?
Suo padre era un bastardo egoista, e lui non aveva nessun motivo di sentirsi nel torto.
Punto.
Del resto non era la prima delle sue vittime, sua madre e suo fratello dovevano saperne qualcosa.
Già, Vlad.
Suo fratello maggiore, a sua volta prodotto scartato dal genitore.
Anche lui sembrava aver accettato il suo destino, anzi, riusciva a vederci qualcosa di positivo nonostante tutto, che fosse per saggezza o per sfuggire alla depressione era difficile a dirsi, ma almeno aveva qualche parola di conforto anche per lui.
<< Non preoccuparti, ci darà un qualche lavoro ben pagato in una filiale dell'industria e ci lascerà lì a prendere polvere, non sarà così male. >>
Xavier sospirò a gran voce, abbandonando la posizione sdraiata per tornare seduto sul comodo divanetto di casa Keller.
Era da qualche ora che se ne stava sdraiato su quel divano del salotto, forse erano due ore che se ne stava lì, non ricordava nemmeno perché aveva scelto di riposare lì.
Nonostante fosse sempre vissuto in quella casa, più cresceva più si rendeva conto della presenza di elementi che lo mettevano a disagio, a partire dal fottutissimo salotto.
Di per sé non c'era nulla che non andava... e forse il problema era proprio questo, l'ampia sala di casa Keller sembrava il set di un negozio di mobili: niente polvere, niente colori che stonavano, mobili piazzati esattamente dove potevano farsi notare al meglio.
Forse era tutta una sua paturnia, ma quel salotto, anzi tutta la casa fatta eccezione per camera sua sembrava finta, poteva passare tutto il giorno ad aprire cassetti e sportelli, a sincerarsi che fossero realmente mobili con dentro vestiti e oggetti veri, eppure non si sarebbe mai tolto la sensazione che tutto quello che lo circondava fosse semplicemente un grosso set per impressionare ospiti che non sarebbero mai arrivati o per scattare qualche bella fotografia di famiglia (non ricordava l'ultima volta che ne avevano fatta una, se ne avevano fatta una).
Un finto salotto in una finta casa per una finta famiglia, sarebbe quadrato tutto quanto.
Con una smorfia, Xavier decise che ne aveva abbastanza di quel divano e di quel salotto, ma prima di uscire non poté fare a meno di soffermarsi con lo sguardo su un piccolo specchio da parete attaccato alla porta che dava verso il corridoio.
Guardandosi, nemmeno lui sarebbe stato certo del legame di parentela che lo legava a suo padre.
Certo, il colore nero dei capelli era quello, ma più che alla capigliatura del padre, la sua assomigliava ad un grosso cespuglio di cui il giardiniere si era dimenticato dell'esistenza, ed anche i suoi occhi, blu come quelli del padre, gli parevano in qualche modo diversi da quelli di Dominik.
Non che fosse ansioso di assomigliare al genitore, tutt'altro.
Giacca rossa con tanto di cappuccio in cui scomparire dopo una brutta giornata, sopra una maglietta nera e pantaloni grigio chiaro.
Le orecchie perennemente occupate da un paio di grosse cuffie collegate allo scroll in tasca con cui stordirsi di musica dall'alba al tramonto, e al collo una collana consistente in una cordicina scura che reggeva una piccola placca metallica rettangolare che molti scambiavano per un accendino, o almeno così pensava visto che quando usciva trovava sempre quello che gli chiedeva se aveva da accendere.
Decisamente non il figlio modello del grande scienziato Dominik Keller, ma aveva ragione Vlad: a che scopo crucciarsi?
Lavoro in una filiale e apposto per la vita, no?
Sì.
Eppure l'idea di dover elemosinare qualcosa da una persona che lo considerava poco più che polvere non lo rendeva felice, era davvero così patetico?
Sì.
Il suo riflesso nello specchio divenne troppo pesante da sopportare, abbandonò il salotto e prese a vagare per il corridoio, ma con le idee ben chiare su dove andare.
Suo padre quel giorno era lontano da casa, ultimamente aveva passato la maggior parte del tempo nel laboratorio sotterraneo (sì, a volte il padre sembrava un cliché dei fumetti, o forse tutti gli scienziati di Atlas costruivano i propri laboratori personali nel seminterrato), ma questa volta non si era potuto sottrarre ai suoi impegni lavorativi (un tenore di vita simile non si mantiene da solo).
Quale modo migliore di passare il tempo che curiosare nel laboratorio di papà?
Nulla di particolarmente eccezionale o eccitante per lui, da bambino ci era stato più volte di quante avrebbe voluto ricordare, e quel posto gli era sempre parso di una noia mortale.
Suo padre non gli aveva mai vietato di entrarci anche quando aveva rinunciato a considerarlo un “degno erede”, eppure agli occhi di Xavier, attraversare la grande porta metallica che separava il laboratorio dal resto della casa aveva il sapore delizioso di un'infrazione in piena regola alla faccia del bastardo.
O semplicemente sentiva il bisogno di stare in una stanza che non sembrasse un gigantesco set pubblicitario.
Al diavolo il mio vecchio, pensò, aveva bisogno di una distrazione, ed anche se di seconda categoria, lui rimaneva sempre un Keller, quel laboratorio era stato pensato anche per lui!
Così senza pensarci troppo, aprì la porta, che raramente il padre lasciava chiusa se non quando si assentava per lunghi periodi, e scese una brevissima rampa di scale che lo portò davanti ad una seconda porta ancora più spessa e pesante della prima.
Aperta anche quella, le sue narici vennero investite dal familiare odore di soluzione disinfettante che non aveva mai imparato ad ignorare.
Poi i suoi occhi iniziarono a viaggiare per il laboratorio, ma improvvisamente si sbarrarono, mentre poteva sentire il cuore perdere un battito.
Per un attimo smise di avere sensibilità alle gambe e dovette aggrapparsi allo stipite per non crollare a terra, non aveva nemmeno la forza per urlare, nemmeno la lucidità per elaborare quello a cui stava assistendo.
Anche se non era quello che stava guardando il problema, quanto il significato dietro la visione a cui stava assistendo.
Il laboratorio era esattamente come se lo ricordava: l'ordine, le librerie, la comoda sedia di papà e gli schermi da cui poteva seguire tutto quello che accadeva dentro casa sua in caso di emergenza, gli utensili da ricerca e una collezione di vecchi DVD.
Era la stanza principale, dalla quale si diramavano vari corridoi per le camere dei test, magazzini e altre zone adibite a scopi ben più specifici.
Il laboratorio era grande, non il più grande e certamente non l'unico, ma di sicuro era quello a cui il padre doveva essere più legato, anche Dominik Keller aveva dei sentimenti dopotutto.
Ma i sentimenti di Dominik erano sempre stati un mistero per suo figlio, che se era certo di conoscere qualcosa sul padre, almeno il minimo per interpretare sue certe idee e certe trovate, adesso era completamente inerte, incapace di elaborare quello che aveva davanti.
Eppure era tutto così chiaro, tutto così “da papà”, era lui che non voleva accettarlo.
Non poteva accettarlo, ma in realtà non si sarebbe dovuto sorprendere, anzi, si sarebbe dovuto dare dello stupido per non aver mai considerato l'ipotesi che una persona come suo padre sarebbe arrivata a farlo, perché lo conosceva abbastanza da sapere che ne era decisamente capace!
Accettare di essere stato sostituito, accettare che non avrebbe nemmeno potuto ereditare e vivere bene pur con la consapevolezza di essere una delusione, no, suo padre gli aveva negato anche questo, Vlad aveva ragione, il suo futuro era a marcire in una filiale mentre gli veniva persino negato il diritto di essere il figlio del celebre Keller.
Diritto che il padre aveva trasferito a quella... cosa che lo stava fissando da sopra l'unico tavolo della stanza.
Che Vlad lo avesse sempre saputo, mentre lui era il solito idiota che scopriva le cose per ultimo?
Ovvio, ovvio che doveva essere così, lui era sempre all'ultimo posto.
Mentre lui... lui sì che sembrava il figlio di Dominik, anche se il colore degli occhi era diverso, ed anche se gli mancavano le braccia e tutto dalla vita in giù ne aveva i lineamenti, la pettinatura, il portamento, e probabilmente, la stessa aura.
Tutto il suo corpo era in metallo eccetto la faccia, quell'egocentrico di suo padre non poteva che partire da lì, realizzando una sua copia carbone dagli occhi rossi.
Copia carbone che lo stava osservando, senza dire niente, appena indispettita dalla sua intrusione.
Anche se gli occhi non erano blu, il suo sguardo era... era come quello di suo padre, riusciva a leggere la stessa sufficienza, lo stesso disprezzo che poteva vedere in quelli del genitore.
E quando capì che quella vista lo turbava più di qualsiasi altro dettaglio, Xavier fece dietrofront e lasciò la stanza, senza nemmeno curarsi di chiudere la porta.
Ma quello sguardo, non avrebbe mai smesso di sentirlo sulla sua schiena per chissà quanto tempo ancora.



Nota dell'Autore
Xavier, come l'intera famiglia Keller, appartiene a
Thanos 05, che ringrazio per l'aiuto nella scrittura di questo capitolo.
   
 
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