2. Lei.
Non ho mai voluto diventare madre,
semplicemente perché sapevo che non avrei voluto esserlo.
Non ero come la maggior parte delle ragazze
della mia generazione; non condividevo i loro desideri e le loro volontà.
Quand’ero giovane mi dicevano che ero un
cavallo matto – e se di cognome fai Mustang sembra proprio una battuta
di infimo livello.
Era mio fratello quello che sognava una
famiglia, una bella moglie e una casa stabile. Proprio da idillio insomma. Lo
sognava, lo voleva e alla fine se l’è preso. Per troppo poco tempo.
E così mi sono ritrovata io con un
marmocchio attaccato alla sottana. Il giorno del loro funerale ho riso e
pianto insieme, pensando a quanto la cosa mi sembrasse grottesca.
Ma ho comunque preso con me quel bimbo che
tanto assomigliava al mio fratellone, anche se la dolcezza nello sguardo non
poteva che essere di sua madre.
Ho fatto del mio meglio con quello che
avevo. Né più, né meno.
E comunque Roy è
sempre stato un bambino indipendente, intraprendente e sveglio. Anche se forse,
forse, una buona parte di quel carattere malizioso e un po’ farfallone è
stato dettato dall’ambiente in cui l’ho fatto crescere. Ma in fondo ho sempre
saputo che sarebbe stato una persona buona.
Sì, sono sempre riuscita a sapere, a
capire, con Roy – anche quando si nascondeva dietro a
quel ghigno bastardo e menefreghista.
Di Lei, invece, ho sempre saputo
troppo e troppo poco.
Fa quasi strano pensarci adesso, a come
tutto sia scaturito da quello che potrei benissimo definire un infantile
capriccio di un moccioso fastidioso.
Quando mi ha detto di voler studiare
l’Alchimia gli ho detto che andava bene, che poteva scegliere quello che
voleva.
Avevo deciso quando lo avevo preso con me
che gli avrei permesso di vivere la vita che voleva senza rompergli le scatole.
Almeno sarei stata diversa dai miei genitori.
Tuttavia, all’epoca, ancora non avevo idea
di come questa decisione avrebbe toccato la vita di molti, né delle
ripercussioni che ci sarebbero state.
Anche dire che l’ho cresciuto suona
tanto di barzelletta, dato che è stato più il tempo che ha passato lontano
da me che altro che quello che ha passato con me.
Tuttavia, Roy non
è cresciuto da solo. No, Roy è cresciuto con
Lei.
Ricordo le lettere che mi mandava nel
periodo dell’apprendistato, tante nei primi tempi e sempre più rade man mano
che gli anni passavano; palava del suo Maestro, di quanto fosse severo e di
quanto lo ammirasse, dei suoi studi che proseguivano.
E scriveva di Lei – della ragazzina
bionda; della figlia del Maestro Hawkeye; della sua amica.
Ridacchiavo sempre, leggendo di Lei.
Di come scriveva di Lei.
Roy nemmeno se ne rendeva conto, ma da quelle
lettere trapelava già allora un profondo affetto che si stava trasformando in
ingenuo amore adolescenziale.
Curiosa, mi chiedevo quanto sarebbe durato,
quanto sarebbe sopravvissuto una volta che lui fosse uscito da quella casa. Gli
amori adolescenziali sono, per definizione, finiti. Si concludono. Terminano.
Quando mi scrisse che sarebbe entrato
all’Accademia Militare decretai per lui la parola fine.
“Ecco, ora non
rimarrà che una vaga malinconia che pian piano si trasformerà in dolce
ricordo.”
Allora non avevo ancora capito nulla.
Iniziai a sospettare qualcosa un paio
d’anni dopo, quando tornò a casa a seguito del funerale del vecchio.
“E Lei?”
L’occhiata che mi rivolse valse tutte le
parole che non avrebbe mai pronunciato, non allora almeno.
Nel suo sguardo si annidava qualcosa che
quasi mi provocò un brivido, viscido e fastidioso.
Mi disse che sarebbe stata bene, ma il tono
era così piatto e falso che credergli era impossibile.
Cos’era successo? Cos’era successo in quei
pochi giorni? Dov’era l’ammirazione per il suo Maestro? Dov’era
l’infantile affetto che lo aveva legato a Lei?
Non chiesi. Sapevo che non avrebbe parlato.
I sospetti iniziarono a trasformarsi in paura
di aver ragione nel periodo di Ishval.
Roy non scriveva quasi mai a casa –
quattro lettere in totale – e più che lettere erano telegrammi.
“Sto bene.”
“Sono vivo.”
“C’è Maes…”
“Lei è qui!”
Sgranai gli occhi, orripilata.
Merda!
Già Roy, così
giovane, così idealista. Ma Lei… Era una ragazzina! Quanti anni aveva
allora? Non sapevo l’età esatta ma a venti non ci arrivava.
Avevo imparato ad interpretare le poche
parole di quei messaggi, così come avevo imparato a leggere tra la falsa
arroganza che quel ragazzo usava come scudo. Le uniche cose che mi scriveva
erano quelle degne di nota, e se aveva voluto farmi sapere della sua
presenza lì…
Non chiesi più nulla da quel momento.
Nemmeno quando quell’Inferno ebbe fine e i sopravvissuti poterono
tornare a casa – quei pochi che tornarono.
Lui tornò distrutto, con qualcosa di peggio
del rimpianto a scavargli nelle iridi. Con qualcosa di più forte del dolore a
trapassargli gli occhi.
Un peccato…
Fu lui a dirmi che avevano iniziato
a lavorare insieme, a spiegarmi quell’idea folle che aveva preso a bruciarlo
– a bruciare anche Lei; a bruciare loro.
Ebbi la certezza dei miei sospetti anni
dopo. Erano stati trasferiti a Central City.
Maes era morto… Quel giorno c’erano
stati i funerali.
Era venuto al locale, a bere così tanto da
stordirsi. Le ragazze intorno a lui, che cercavano inutilmente di accaparrarselo
a turno. Neanche uno sguardo per loro.
Fu a mezzanotte passata, quando ormai si
era arreso con la testa appoggiata sulle braccia, fradicio, che lo sentì dire
il suo nome.
“Riza…”
Lo guardai sottecchi, la sigaretta che si
consumava tra le mie labbra tremanti.
Erano anni, anni, che non pronunciava
più il suo nome.
Alzai la cornetta sospirando e invocando la
pazienza.
Nemmeno mezz’ora dopo la porta del locale
si aprì, e finalmente la vidi.
Rimasi scioccata.
Non era la ragazzina di cui Roy mi parlava nelle sue lettere – e come avrebbe potuto più
esserlo? – ma una giovane donna in pieno boccio.
Il mio primo pensiero su di Lei fu
che non c’entrava nulla con quel posto, con quel locale.
Vestita alla meglio, i capelli severamente
raccolti, e un’aria marziale che non l’abbandonava nemmeno smessa la divisa.
Schiena dritta, spalle rigide, sguardo
secco. In mezzo a tanto sfarzo e ostentazione e abiti colorati e risatine
alterate spiccava in maniera quasi fastidiosa. E gli sguardi, malgrado tutto,
erano per Lei.
“Non c’entri
nulla qui…”
Mi scusai per l’ora e per Roy, ma si limitò ad un’alzata di spalle. Di poche parole
la ragazza!
Qualche cliente decisamente alticcio le
lanciò un paio di commenti poco ortodossi, e per risposta si beccarono
un’occhiata tale da far quasi passare la sbronza.
Storsi il naso. Quello era un comportamento
che le ragazze non avrebbero mai avuto. Non in maniera così diretta per lo
meno. Avrebbero ridacchiato e ammiccato, e poi sarebbero scivolate vie
elegantemente.
Mi chiesi istintivamente se avesse mai
avuto un uomo, se un uomo avesse mai avuto Lei.
La risposta arrivò una frazione di secondo
dopo.
Si avvicinò a Roy
e lo scosse delicatamente finché lui non alzò lo sguardo.
“Riza…”
Di nuovo il suo nome dalle sue labbra…
Ma Lei scosse la testa, limitandosi
ad aiutarlo a tirarsi su.
E da come Roy si
appoggiò a Lei, da come le circondò le spalle mentre Lei lo
prendeva per la vita, da come entrambi indugiarono nella più invisibile delle
carezze, da come lui faceva ciondolare la testa fino ad appoggiarla alla
spalla di Lei…
Capii tre cose quella sera.
Primo: Roy non
era assolutamente sbronzo!
Secondo: un uomo Lei lo aveva avuto,
un uomo aveva avuto Lei.
Terzo: quell’uomo era Roy.
E seppi anche che quello non era stato
sesso, non era stato un aversi nel senso più carnale del termine.
No!
Lei era stata quella che di Roy aveva
avuto la dolcezza di carezze date per volontà e non per seduzione; aveva avuto
i baci infuocati che tolgono ossigeno e fanno girare la testa; le mani che
s’intrecciato così forte da far male; le braccia che si avvolgono anche dopo.
Soprattutto, Lei di Roy aveva avuto il sonno.
Unica tra tutte.
E seppi anche che quella notte,
nessuno dei due avrebbe dormito solo.
Quando la porta del locale si fu chiusa
alle loro spalle scoppiai a ridere sguaiatamente.
“Ah, Roy-Boy… Ti sei scelto proprio una bella gatta da pelare!”
Angolino
dell’Autrice (più o meno):
Ed eccomi di nuovo qui! E questa volta i
lanci di frutta e verdura marcia me li aspetto seriamente xD
Prima di tutto i ringraziamenti, che sono d’obbligo:
MizukiSun3008 grazie per aver messo la
storia tra quelle da ricordare.
Tammy1997 grazie per aver messo questa
storia tra le seguite.
RedLolly grazie mille per aver commentato!
Ora… Passiamo a questo nuovo capitolo. Un’altra
epopea. E seriamente non ho idea di cosa ne sia venuto fuori.
In questo caso il narratore non ho mai voluto
fosse un mistero, infatti credo che tutti abbiano capito chi parla: Chris
Mustang ovviamente xD
Un personaggio difficile da trattare senza
rischiare di sfondare nell’OOC. Ho provato in tutti i modi a tenere per lei
quella che penso sia la sua linea di pensiero, scindendola tra la donna diretta
che è e l’affetto che mostra seppur a modo suo per il nipote.
Un paio di piccole specifiche: nella mia
testa l’addestramento a casa Hawkeye di Roy almeno un paio d’anni sarà durato, se non di più. Da informazioni
ufficiali sappiamo che si è avvicinato all’Alchimia già da ragazzino in
effetti. Sappiamo altresì che entra in Accademia a 18 anni.
In più (santa wikipedia
inglese) ai tempi di Ishvar Roy
dovrebbe avere 23 anni e Riza 19 se non sbaglio. Da
qui il commento orripilato di Chris.
Sempre nella mia testolina ho immaginato
che Roy scrivesse di tanto in tanto alla zia, quando
studiava, e che qualcosa le raccontasse pure. Ho immaginato anche che Chris e Riza non abbiano mai avuto modo di sconoscersi. Tutto comunque
– il loro primo incontro – è opera della mia fantasia.
Così come il fatto che, a Ishvar, Roy e Riza
abbiamo diciamo intrapreso una relazione. Non preoccupatevi: su questo tornerò xD
Diciamo che il 90% di questa one-shot è
tutta un po’ campata per aria.
Divertente è stato mettere a confronto Riza con le ragazze del locale. Forse ho anche un pochino
esagerato. Abbiate pietà dai xD
Detto ciò me la filo che è quasi l’una di notte e domani
ho a sveglia all’alba.
ByeBye
LadyBlueSky