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Autore: IroccoPerSempre    21/06/2021    1 recensioni
Una scena quotidiana di Irene e Rocco. Loro due. Il loro primogenito. I progetti per il futuro.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Irene si sfregava nervosamente le mani, mentre misurava la stanza a grandi passi e gettava di tanto in tanto lo sguardo alla porta d’ingresso. Ben presto si accorse che quel gesto compulsivo era anche inutile. ‘Che stupida!’, disse fra sé, come se fosse possibile aumentare le possibilità che Rocco finalmente si materializzasse mentre più guardava la porta.
Si abbandonava a tutta la propria ansia solo quando era sola, ma era risaputo che alla signora Agnese non sfuggiva nulla degli stati d’animo dei propri “figli” e così fu: dalle prime parole che aveva proferito Irene per telefono era riuscita a percepire il suo nervosismo per l’evidente ritardo di Rocco. I rapporti tra Agnese e Irene erano diventati quanto di più simile a quelli tra una madre e una figlia che bisticciano un giorno sì e l’altro pure.
Comprensibile, visto che erano fatte per certi versi della stessa pasta. E, proprio come spesso succede tra madre e figlia, erano legate da una profonda stima e uno strano affetto. Dopo le note remore iniziali, Agnese si era resa conto che Irene era una persona che preferiva risultare antipatica pur di non sacrificare la propria schiettezza e che quindi, in fondo, non era così diversa da lei. Era stata capace di amare in silenzio per due anni, senza fare sfoggio dei propri sentimenti, anzi, piuttosto facendo di tutto per nasconderli da occhi indiscreti.
Inutile dire che la sua storia con Armando era la prova che neanche in questo Irene era così diversa da lei.
Tu mi critichi tanto Ire’, ma la vedi l’ansia che ti prende se tuo marito fa ritardo?” disse bonariamente Agnese dall’altro lato della cornetta.
Non sono ansiosa.” ci tenne a precisare Irene “È che non capisco, un’ora e mezza di ritardo è davvero troppo!” esclamò Irene.
Stai tranquilla. Vedrai che quello il treno è. Non penso che è sceso di nuovo a Torino come quando venne la prima volta. Adesso almeno sa leggere…” disse Agnese burlandosi del nipote, mentre si scambiava uno sguardo di intesa con Armando.
Confortante!” disse Irene lasciandosi scappare una risata sommessa. “Un saluto al signor Armando. Vi avviso domani se va tutto bene” concluse Irene frettolosamente. “Ah. E comunque non sono ansiosa!” puntualizzò Irene prima di riagganciare, nel vano tentativo di convincere entrambi.
Intanto, trascorsa un’altra buona mezz’ora da quando aveva chiuso la chiamata con la signora Agnese, Irene sussultò all’udire finalmente il rumore delle chiavi nella toppa.
Come il più delle volte in cui si proponeva di fargli una parte poi fallendo miseramente nel momento in cui i suoi occhi si posavano su quelli di lui, così anche stavolta.
Rocco aveva stampato sul volto quel sorriso contagioso che faceva sorridere d’istinto anche lei. Ancor di più perché non si vedevano da una settimana.
Ciao chiattidda” disse lui amorevolmente, quasi in un sussurro, dopo aver posato la valigia a terra.
Irene si tratteneva dal ridere ogni volta che la chiamava con quel termine siciliano, usato a mo’ di vezzeggiativo. Piattola. Che indicava scherzosamente tutto ciò che Irene NON era. Dopo cinque anni di matrimonio, Rocco si era liberato da molte sue inibizioni grazie a lei ed era venuta fuori tutta la sua passionalità, quel “lupo” che Irene aveva preannunciato ben sette anni prima.
La cercava. Sempre. In tutti i sensi. Che fosse il più affettuoso tra i due, poi, non era invece niente di sorprendente. ‘Chiattidda’ era quindi la cosa più vicina ad ‘amore mio’ che lei gli aveva concesso di usare. Il ché era tutto dire!
Ma dove sei finito, mi hai fatto morire di paura!” disse Irene con fare di rimprovero ma, seppur impegnandosi, non risultava credibile. Quando infatti la sollevò da terra per stringerla a sé, lei ricambiò senza esitazione.
Scusa, non è colpa mia, il treno ha avuto un guasto. Siamo stati fermi un bel po’” rispose Rocco ancora col sorriso sulle labbra, sorvolando su quelli che in quel momento gli sembravano dettagli insignificanti. Non gli importava né del treno né del ritardo, aveva solo fretta di baciarla.
Quando Rocco cercò la sua bocca, Irene gli sfuggì platealmente: “Ci godi che tua zia mi abbia contagiato?” chiese lei in un tono tra il sospettoso e il faceto.
Rocco aggrottò le sopracciglia.
Sono stata in ansia come un vero angelo del focolare” disse lei autoironizzando, come in un attacco di orticaria, “tu vedi come mi avete ridotto tutti!
Rocco scoppiò a ridere. “Appiddaveru?” e la avvicinò a sé per stamparle un bacio sulla guancia, mentre lei roteava gli occhi. Era orgoglioso e grato di questi “scivoloni” di sua moglie davanti agli altri. Erano segno che, pur sforzandosi, a volte non riusciva a contenere quello che sentiva per lui.
Sì, dopo 5 minuti che ho chiuso con tua zia, mi ha chiamata Tina per prendermi in giro. Ti ho detto tutto” concluse Irene sconsolata.
Ihhh, tu e Tina sempre come cane e gatto, qualche motivo pe’ prenderti in giro lo trova comunque” disse Rocco minimizzando, divertito. “Allora me lo dai stu baciu, piccio’?disse aprendole le braccia e attirandola a sé.
Irene esitò “NO. Sono ancora furiosa.” disse ridendo.
Ma finiscila…” le sussurrò Rocco con tutta l’intenzione di ignorarla e di assalire le sue labbra.
Dio quanto gli era mancata. Quello fu l’unico pensiero che gli balenò per la testa mentre assaporava la sua bocca a occhi chiusi…
 
…“Bleah” fu il mugugno che li interruppe. Irene e Rocco si voltarono entrambi di scatto verso il loro Diego. Cinque anni. Riccioli scuri come il padre, occhi verdi come la madre.
L’espressione di sdegno tipica del figlio che scopre i genitori a scambiarsi effusioni non era molto convincente in quel minuto pigiamino verde acqua.
Ecco qua…” sospirò lei mentre si scambiavano uno sguardo d’intesa.
Rocco esclamò: “E tu?!”, e in un attimo era già accovacciato a terra a tendergli le braccia perché suo figlio vi ci si tuffasse.
Papààààà” gridò Diego circondando il collo del padre con le sue manine.  
E tu che ci fai ancora sveglio? Volevi dare il bentornato al papà?” chiese Rocco trepidante.
Seh, ti piacerebbe…” disse Irene fra i denti, con aria divertita, sapendo che rivelazione attendeva il marito.
Papà hai ritrovato la trottola di quando eri piccolo dalla nonna?” chiese Diego impaziente.
Rocco si girò verso Irene e la guardò interdetto. Irene alzò le mani come a voler dire ‘ti avevo avvisato!’
Ma!” proruppe Rocco, fintamente indignato, “allora solo per questo sei rimasto sveglio??”. Seguì una pernacchia di “vendetta” sull’esile corpicino del figlio che lo fece ridere di gusto.
È stato tutto il giorno a chiedermi la stessa cosa. Mi ha fatto una testa così” si lamentò bonariamente Irene mentre Rocco sedeva Diego sulle proprie gambe.
Rocco strizzò l’occhio a sua moglie. “Eh, mi dispiace, picciri’, ma non l’ho ritrovata” disse Rocco allargando le braccia, mentre pian piano si infilava una mano nella tasca.
Noooo, papà ma hai cercato bene?! Secondo me non hai cercato bene!” cantilenò Diego delusissimo, con lo sguardo ancora assurdamente in attesa di qualcosa.
Rocco e Irene si guardarono trattenendosi dal ridere, stupiti dall’insistenza del figlio. Diego aveva da sempre, sì, la dolcezza di Rocco ma anche la caparbia di Irene.
Visto l’atteggiamento sconsolato del figlio, Rocco capitolò di lì a poco. “Eh va bene dai, giusto perché sei tu…” e tirò fuori platealmente l’oggetto del desiderio, davanti al quale Diego emise un grido di felicità.
Era una trottola di metallo tutta scheggiata, con i colori alquanto sbiaditi, ma non totalmente deformata; insomma, ancora riparabile. Non si capiva perché Diego fosse così ossessionato dall’idea di avere proprio quella. Era il primo “figlio” della grande famiglia del Paradiso e chiunque di loro, dalle Veneri, alla lunga serie di zii e nonni, effettivi e acquisiti, che aveva la fortuna di vantare, avrebbe potuto regalargliene di più belle e nuove.
Era probabile che Diego avesse ereditato da Rocco lo spirito nostalgico o che semplicemente lo facesse sentire ‘più grande’ avere una cosa che era appartenuta al padre, pensò Irene tra sé mentre si incantava segretamente a osservare lui e suo marito assieme nella loro bolla.
Rocco si issò il figlio in braccio, con trottola al seguito, e lo portò nella sua stanza “Su forza, al letto, che sei stato pure troppo in piedi”.
Ma papà perché non la proviamo adesso?!” chiese Diego tutto contento, mentre ancora se la rimaneggiava tra le mani.
I coniugi si guardarono, psicologicamente provati dinanzi alle inesauribili energie del figlio alla bellezza delle 11 di sera.
Intervenne Irene “Ma quando ti spegni tu, si può sapere? Certo che no, vuoi che ci caccino dal condominio?” disse mentre gli faceva il solletico. Diego rise a più non posso per le angherie della madre, ma chiese “Mamma, però almeno posso tenerla mentre dormo?
Irene sgranò gli occhi “No signorino, non se ne parla nemmeno, potresti farti male… anzi dalla a me che te la nascondo per bene”.
Irene gliela sfilò delicatamente dalle mani per passarla a Rocco, mentre questi diceva a suo figlio “Domani che è domenica che dici se la proviamo con nonno Armando?”.
Diego esultò e annuì vigorosamente. “Bravo, adesso dormi, peste bubbonica!” e Rocco gli diede un bacio sul nasino.
Era il turno di Irene, che gli schioccò un bacio sulla guancia intimandogli:
E dormi per davvero, ragnetto velenoso!”. Diego si girò su un lato, sorridendo a occhi chiusi nella trepidante attesa dell’indomani.
Uscirono dalla stanza, esausti ma appagati, e Rocco disse a Irene a bassa voce “mò la nascondo io dove non arriva neanche con la sedia, sennò succede la stessa cosa delle caramelle il mese scorso” e prese la trottola per riporla su in cima sulla credenza della cucina, dove nessuno poteva arrivare se non lui.
 
 
Qualche minuto più tardi, Rocco chiuse la porta della loro camera da letto dietro di sé, e con quella tutto il mondo fuori, e per un attimo si fermò a guardare sua moglie in silenzio mentre si sfilava la vestaglia. Lasciò le spalle scoperte… e tutto il resto quasi ugualmente visibile grazie alla brillante luce dell’abat-jour che penetrava attraverso la sottile trama della camicia da notte color panna.
Rocco deglutì, senza dire nulla.
Le piaceva concedersi dieci minuti da sola alla sera. Di solito dopo essersi struccata, si spalmava la crema e si prendeva cura di sé stessa, tutte azioni che le ricordavano, prima di tutto e con orgoglio, che era una donna e poi una madre.
Lei alzò lo sguardò nello specchio affianco al letto e si accorse di essere osservata. Un sorriso compiaciuto, dei suoi, ma anche caldo, languido. Era il suo segnale per avvicinarsi. La strinse con le sue braccia quasi ingabbiandola, mentre le sue mani grandi le sfioravano delicatamente il seno attraverso la stoffa. Irene chiuse gli occhi e inclinò la testa all’indietro offrendogli il collo, la guancia e poi la bocca.
A giudicare dal profumo delicato che copriva lievemente il suo odore naturale già buonissimo, lui capì che la crema che di solito metteva ce l’aveva già addosso e che quindi doveva aver anticipato la sua routine così da essere pronta per il suo ritorno. Erano le piccole cose come questa, su cui lei taceva e che lui scopriva ormai per istinto e attenzione, che gli riconfermavano i suoi sentimenti per lui, anche se non li ostentava, anche se solo in poche e significative occasioni gli diceva ‘ti amo’, anche se normalmente lo chiamava per nome, rifiutandosi categoricamente di chiamarlo ‘amore’.
‘Si svaluta il significato della parola’, decretò lei una volta, agli inizi della loro relazione.
A lui bastava così, gli piaceva così, anzi, a pensarci bene, Irene gli era entrata così tanto sottopelle che gli sembrava assurdo e patetico qualsiasi altro atteggiamento che non fosse il suo.
Era quello il loro equilibrio; lui la stuzzicava – rideva ora ogni volta che lo sferzava il ricordo di quando erano amici e i ruoli erano praticamente ribaltati – e lei riusciva sapientemente a non cedere mai. O quasi. In quei rari momenti in cui Irene si abbandonava a dirgli qualche romanticheria, per esempio prima di un evento importante o talvolta a fior di labbra mentre facevano l’amore, Rocco saltava un battito e gli scendeva una lacrima di emozione, che si asciugava senza farsi vedere.
Le gambe gli cedettero per la stanchezza dovuta al viaggio, tanto che si lasciò sprofondare, seduto, sul bordo del letto - Irene ridacchiò sommessamente, intenerita da quel gesto - continuando però a tenerla avvinta a sé.
Qualcuno è particolarmente a pezzi questa sera” disse lei passandogli una mano sulla fronte.
Neanche in piedi mi reggo” annuì lui con un fil di voce prima di appoggiare il viso sul petto di Irene. Poi, tutt’a un tratto si ridestò e volle dare voce ai pensieri di poco prima.
… però…” esitò “mi sei mancata troppo” disse incontrando i suoi occhi.
Nel gergo di Rocco quella semplice frase, proferita in quel modo, significava sempre… anche altro.
Senza aggiungere niente, se la mise a cavalcioni senza staccare gli occhi da lei.
Per l’appunto.
Se qualcuno le avesse chiesto a bruciapelo perché era innamorata di Rocco – non i motivi tangibili e spiegabili, bensì quel-brivido-che-ti-spinge-a-portarti-una-mano-al-ventre, quella-cosa-che-fa-anche-un-po’-ridere-se-detta-ad-alta-voce – avrebbe risposto senza esitazione che era proprio questo.
Rocco aveva una sensualità totalmente inconsapevole, ancor più perché, appunto, non se ne rendeva minimamente conto.
Era quel suo fare dimesso che lo contraddistingueva anche nelle banali azioni quotidiane – in cui agli occhi di lei appariva sempre fastidiosamente bellissimo – e poi, erano gesti come questo – quel suo sollevarla da terra senza il minimo sforzo, quel suo farla scomparire ogni volta che la stringeva, tanto erano grandi le sue braccia, quel suo cercarla con la timidezza che accompagna le ‘prime volte’ piuttosto che un rapporto maturo – a smontarla, a confonderla e a farla cedere, sempre.
Insomma, inquietante. Anzi peggio, da prendere a sberle.
Irene schiuse le labbra, attenta a non emettere un gemito.
Lo voleva, tanto, anche lei. “Ma non eri stanco tu?” chiese lei, tuttavia, col suo fare provocatorio. Avrebbe giurato che le sue pupille fossero dilatatissime.
Le gambe!” puntualizzò lui frettolosamente, come davanti a una domanda a trabocchetto. “Le gambe mi fanno male… ma per il resto…” disse facendo spallucce, mentre giocherellava con i fili della camicia da notte di lei, cercando di non ridere.
Ah, capisco” fece lei stando al gioco. “Ma allora, poverino, forse dovremmo cambiare posizione…” disse Irene abbassando lo sguardo tra i due, sottolineando che era ancora seduta su di lui.
Giusto.” confermò Rocco con ovvietà “quello che dico pure io…” e inaspettatamente se la tirò su con forza per farla rotolare su di sé e cadere bruscamente sul letto con un tonfo sordo.
Il gesto sconsiderato fu accompagnato da un grido incontrollato di Irene e una risata fragorosa di entrambi.
Si resero conto a posteriori del rumore che avevano fatto, col rischio di aver svegliato Diego, e si misero subito all’ascolto per verificare se era effettivamente accaduta la tragedia. Pareva di no.
A pericolo scampato, Rocco: “Guarda” fece lui alzando la mano, a voler imitare la gestualità e le parole di Irene, “se svegli Diego sei un uomo morto!”.
Irene aprì la bocca, indignata per la presa in giro, e gli tirò un pugno sul braccio. Stavolta cercarono di soffocare per quanto possibile i gridolini che seguirono.
Intanto, se non avesse il sonno profondo della madre, di cui tu ti lamenti tanto, sai quante notti insonni ci avrebbe fatto passare!” ci tenne a precisare Irene.
Infatti è un angioletto SOLO quando dorme… proprio come la madre” disse Rocco schivando un altro destro.
Non smettevano di ridere e, così come di sovente succedeva, si domandavano tacitamente chi fosse il più maturo tra loro due e Diego… per poi darsi puntualmente la stessa, rassegnata, risposta.
Irene prese l’iniziativa stavolta e, quando le loro risa si smorzarono, protese il viso e gli insinuò una mano dietro la nuca per cercare quel contatto. Lui rispose come se non avesse mai smesso di baciarla sulla porta di casa. La toccava in modo delicato ma impaziente, le sue mani irrequiete, a volersi disfare di quei superflui strati di stoffa che ancora li separavano.
Irene si lasciò scappare quel gemito trattenuto poco prima quando sentì il calore delle dita di lui che finalmente si facevano strada per risalire il suo corpo sotto la camicia da notte. Con la ‘scusa’ di togliergliela. Irene lo aiutò prontamente sfilandosela da sopra, desiderosa di riavere subito di nuovo le labbra di lui addosso.
Ma Rocco si scostò, mentre ancora il ritmo cadenzato del loro respiro affannoso risuonava nella stanza, e si fermò a osservarla.
Quanto sei bella amore…”. Irene si morse il labbro e sorrise, senza proferire parola, visibilmente emozionata.
Sì, tutto bellissimo… ma c’era dell’altro. Rocco sapeva quanto fosse allergica alle sviolinate e, se pur era sicuro che la rendevano comunque felice, in ogni caso non avrebbe mai interrotto un momento simile per dirgliene una.
Rocco abbassò lo sguardo sulla sua stessa mano, che aveva stranamente indugiato sulla pancia di lei, come ossessionato da un pensiero fisso che aveva avuto la meglio su di lui.
Irene posò la propria mano sulla sua e studiò il suo viso: “Rocco…?
Eh?” mormorò lui cadendo dalle nuvole, come se quella voce l’avesse destato dalle sue fantasticherie.
No eh…!” esclamò Irene, capendo finalmente.
Che?!” chiese, corrugando la fronte.
No, Rocco! Un’altra volta questo discorso no!” ripeté lei categorica.
No ma infatti, non sto dicendo proprio niente io…” si affrettò a giustificarsi, come un bimbo colpevole.
Infatti non hai bisogno di parlare, ti leggo tutto in faccia” fece lei con gli occhi piccoli, ma con un sorriso tenero, quello di chi conosce profondamente tutte le falle del proprio interlocutore.
Eh vabbè…” ammise lui facendo spallucce, quando capì che non aveva più senso negare.
Irene alzò gli occhi al cielo, avendo ora finalmente la conferma che non si sbagliava.
Ecco, adesso mi hai fatto passare la voglia di fare qualsiasi cosa”. Non era vero. “Avresti avuto più fortuna se non avessi detto niente…”. Ehm, no; stessa identica voglia di saltargli addosso che aveva poco prima al vederlo sulla soglia di casa. “Tanto serve comunque quello per fare un altro figlio no?Sì, ma erano sempre stati attenti dopo Diego.
E si voltò dall’altro lato, fintamente infastidita.
Dai Ire’… è che…” supplicò lui tirandole delicatamente il braccio per farla voltare “è che sei proprio bella con la pancia, capito?” gesticolava come se stesse spiegando un teorema infallibile.
Irene si voltò di nuovo verso di lui “Ah, è perché ‘sono bella con la pancia’, non perché vuoi un altro figlio e non fai che pensare ad altro, no eh?” disse lei, truce.
Rocco, preso in contropiede, rispose pensieroso: “Mmh, tutt’e due le cose effettivamente”.
Irene spazientita, “Rocco me lo spieghi chi me lo fa il lavoro di capocommessa con due figli? Non sono nemmeno riuscita a scendere con te a Partanna per una settimana!”.
Rocco la guardò di sottecchi. Peccato che anche lui la conoscesse come le sue tasche. “Veramente non sei scesa perché il lavoro tuo, tu, non lo vuoi far fare a nessuno” disse lui con la certezza che si ha solo della morte.
Irene dovette assentire.
e poi… pure perché odi tua suocera…” disse lui provocandola di proposito.
Ma!” esclamò lei sdegnata “…. come ti permetti? Lo sai che...” lasciando volontariamente le parole in sospeso “… non è mia suocera che odio” concluse lei con un sorriso furbo.
Risero all’unisono, un po’ amaramente, con la consapevolezza che in tutti quegli anni il comportamento ottuso del Signor Amato non era poi tanto cambiato. E inorgogliva Rocco il fatto che sua moglie non ce l’avesse con suo padre perché questi la disprezzava, perché magari nutriva verso di lei gli stessi preconcetti che aveva avuto Agnese molti anni addietro. Anzi, era fiero di sua moglie proprio perché aveva la pelle dura e questi motivi la lasciavano totalmente indifferente. Lei ce l’aveva invece con suo padre per riflesso, per i traumi causati a Rocco fino alla maggiore età, per il suo atteggiamento ancora impenitente e perché, anche se non lo diceva, Rocco ci stava male per il quasi totale disinteresse verso Diego, lo stesso che un tempo era stato riservato a lui.
Grazie a Dio a Diego non manca l’affetto, anzi, pensò.
Però dai Rocco una cosa è avere un figlio e una cosa è averne due” disse Irene allarmata.
Sì, ma ti aiuto io… cresce al Paradiso com’è cresciuto Diego.
Tu vieni solo ad allattarlo e io me lo tengo in magazzino. Adesso sono pure capomagazziniere” insistette Rocco con una punta di orgoglio “Non abbiamo fatto sempre tutto assieme fino a mo?” chiese Rocco con occhioni imploranti.
Irene iniziò ad ammorbidirsi, mannaggia a lui. “Rocco vuoi sentirti dire che sei un padre meraviglioso? Sei un padre meraviglioso, però non è che…
Rocco interrompendola: “Veramente?” chiese quasi commosso.
Irene roteò gli occhi e si intenerì “Caschi dalle nuvole… pensi ancora di essere uguale a tuo padre?” mormorò, spostandogli un ciuffo dalla fronte.
Rocco fece spallucce “Boh, la paura c’è sempre…”.
Irene inclinò la testa osservandolo “Senti, adesso che non c’è la fila per il telefono dietro di te, mi vuoi raccontare per bene com’è andata con lui?
Sì” Bacio. “Però domani”. Bacio. Disse Rocco, con voce esausta. Di certo non avrebbe interrotto quella conversazione per parlare del padre.
Irene rise contro le sue labbra. “Be’, sappi che non somiglieresti a lui neanche nei tuoi peggiori incubi” disse Irene con la sua tipica voce ferma e convinta, che mai scadeva in sdolcinature superflue.
Rocco annuì con gratitudine, rasserenandosi in volto.
E io?” chiese lei tutta orgogliosa, come se già sapesse la risposta. Insomma, una domanda retorica ‘in stile Irene’. “Che madre sono io?
A Rocco passarono davanti agli occhi tutti quei momenti di lei e Diego nel loro mondo, tutte le volte che Irene se lo sedeva sulle gambe e gli insegnava le cose, quando lo faceva ridere se era imbronciato, quando lo richiamava prima di uscire se era in disordine, per aggiustargli la maglietta dentro ai pantaloni. Tutte quelle scene che gli scaldavano il cuore solo a pensarci.
Mah, dalla pazza che eri sei uscita abbastanza bene, va’” rispose Rocco sforzandosi di rispondere con sufficienza.
Vuoi un’altra sberla?” fu la reazione di Irene che non si fece attendere.
Dai piccio’, ma se ti sto dicendo che voglio un altro figlio, secondo te non penso che sei una buona madre?” disse Rocco ridendo, intrecciando una mano con quella di Irene.
Mmh vediamo un po’, Rocco Amato, famiglia tradizionale siciliana.” fece lei strizzando gli occhi. “Direi proprio che lo vorresti comunque…” concluse.
Nde bedda chista” fece lui con voce insolente, alzando la mano nel tipico gesto canzonatorio. “‘Famiglia tradizionale’” facendole il verso “Proprio ‘tradizionale’ lo scandalo che abbiamo dato io e te co Diego, ah?”.
Scoppiarono a ridere, come due ragazzi un po’ cresciuti che ricordano le bravate di gioventù, ripensando a tutto quello che si erano sorbiti, dopo la tacita scomunica delle rispettive famiglie fino alla nascita di Diego, anche con Don Saverio che li aveva fatti sposare dietro l’altare. Insomma, il destino riservato a chiunque concepisse prima del matrimonio.
Era evidente che quello che gli altri consideravano un’offesa alla morale loro lo considerassero invece l’‘errore’ più bello della loro vita. Poco importava il resto.
In effetti con questa non ci sarebbe lo stesso dramma perlomeno” disse Irene con aria riflessiva.
Questa?” disse Rocco a bocca aperta, mentre sul suo volto si accendeva una speranza.
Ovvio, se non esce femmina almeno stavolta, lo rispedisco al mittente ti avverto” disse Irene con fermezza.
Rocco ignorò le minacce della moglie che prometteva di cambiare il suo futuro figlio come un vestito dei grandi magazzini – quando si dice la deformazione professionale - e si avvicinò al suo viso per provocarla “Chiattidda, ti stai convincendo…” le sussurrò.
Eh?” esclamò Irene arrossendo in volto, con lo stesso atteggiamento di chi viene colto in flagrante, “Ma figurati!
Sì sì” annuì Rocco energicamente, sapendo di averla ormai in pugno “già pensi che deve essere una picciridda!” sottolineando l’evidenza. “E secondo me stai pensando pure quella cosa che mi hai detto quando eri incinta di Diego…” disse Rocco smettendo per un momento di scherzare.
Irene corrugò la fronte con sguardo interrogativo.
… che la vuoi chiamare come tua madre”.
Vero. Irene abbassò gli occhi e si commosse il giusto che riusciva a concedersi - mentre sentiva le dita di Rocco che le accarezzavano il viso - per poi ricomporsi immediatamente. Così come Rocco un attimo prima, neanche Irene voleva passare quel momento a intristirsi, anche perché quello che affliggeva lei era più inesorabile a confronto.
Ma vedi se una persona deve fare questi discorsi a quest’ora di un sabato sera…” scherzò Irene, ormai rassegnata per la sconfitta inflittale dal marito “… pure mentre è mezza nuda!” esclamò abbassando lo sguardo sul proprio corpo.
Ma infatti così devi rimanere” disse Rocco affrettandosi a puntualizzare “perché adesso basta parlare del bambino…  Lo voglio proprio fare”.
Irene scoppiò a ridere, coprendosi il volto con le mani. “Quanta grazia!” disse Irene fra le risa, riferendosi alle doti di seduzione del marito, assimilabili in certi momenti a quelle di uno scaricatore di porto.
Rocco, anche lui ridendo come un pazzo, autoironizzando su quanto goffo suonasse quell’invito, le disse finalmente: “Senti un po’, ma ancora non mi hai detto se ti sono mancato…”.
Irene sospirò, ancora con le lacrime agli occhi per il ridere, “Meh, nella media” rispose lei con dissimulata indifferenza.
Rocco scosse la testa “Si’ tremenda!”. E quel sussurro si perse sulla bocca di lei…
 
Mi sei mancato da morire”. La risposta, quella sincera, arrivò solo più tardi, quando non era più presente a sé stessa, quando non sentiva altro che il calore di lui pulsarle dentro. E se ne accorse solo quando vide una piccola lacrima di gioia rigare il volto del marito.
Era così quando si lasciava totalmente sopraffare dalle emozioni, quando facevano l’amore come quella sera… cavalcando quell’onda di complicità, dopo aver riso, scherzato e conversato così tanto da perdere la nozione del tempo.
Le volte in cui succedeva, sentivano di aver fatto l’amore già mille volte prima di stare insieme fisicamente; ed erano l’ennesima conferma di quanto già fossero sicuri l’una dell’altro. Sicuri di amarsi anche e soprattutto nei loro sbalzi d’umore, nei loro colpi di testa, quando avrebbero voluto prendersi a schiaffi. Nonostante e PER quelli che tutti chiamavano banalmente ‘difetti’.
 
Un miracolo del genere era già accaduto una notte di cinque anni prima e aveva cambiato le loro vite per sempre.
Quella sera non era da meno e già portava il nome di Diana.
 
 
 
 
 
   
 
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