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Autore: Lamy_    21/06/2021    1 recensioni
Ariadne ha smesso di scappare dal suo passato. Ha deciso di sfidare l’autorità della madre e di opporsi a Mick King. Per farlo scende a compromessi con Alfie Solomons: Ariadne accetta di diventare il capo della gang di Camden Town.
A Birmingham Tommy continua a mandare avanti gli affari dei Peaky Blinders e a lavorare per il Parlamento.
Le strade di Ariadne e Tommy si incontrano di nuovo intorno ad un tavolo di affari. Stringono una alleanza che viene suggellata da baci di passione pura.
Ariadne pagherà cara la sua discesa agli inferi e scoprirà che le fiamme bruciano più intensamente quando sei un peccatore.
“Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere
regnare è una degna ambizione, anche se all'inferno:
Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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7. GIOVENTÙ PERDUTA

“Si parla sempre del fuoco dell'inferno, ma nessuno l'ha visto. L'inferno è freddo.”
(Georges Bernanos)
 
Tre giorni dopo
Julian non era riuscito a riposare. A dire il vero, non dormiva bene da quando Lucius lo aveva accoltellato. Di notte la ferita pareva fare più male, era come avere un uncino conficcato nel fianco che strattonava la pelle. Quella mattina si era alzato più intorpidito del solito, con le braccia rigide e il taglio che bruciava. In cucina incontrò il sorriso di Rose.
“Buongiorno. Come stai?”
“Buongiorno, amore mio. Sto come uno pugnalato.”
Julian le diede un bacio sui capelli e lasciò che l’odore di ciambelle fritte lo rinvigorisse.
“Stai comunque meglio di uno morto.” Disse Rose ridendo.
Si misero a tavola per la colazione, le ciambelle zuccherate si sposavano bene con il tè amaro.
“Hai visto Ariadne?” domandò Julian.
“Si trova ancora a Londra. Ieri sera ha chiamato dicendo che forse tornerà nel pomeriggio.”
Ariane tre giorni prima era partita alla volta di Londra con Jonah per lavoro, sebbene Julian sapesse che si trattava di qualche malaffare. Ormai stentava a riconoscere la sorella. Un tempo era la paladina della giustizia, sempre a criticare la vita criminale della famiglia, mentre adesso lei stessa guidava una gang. Era davvero così disperata da tramutare la propria morale?
“Dovresti andare a stare a Bristol da tua cugina. Quello che voglio fare potrebbe metterti in pericolo.”
Rose lo guardò con gli occhi spaventati di un animale abbagliato dai fari.
“Julian, che cosa vuoi fare?”
“Voglio liberare Eric. Non deve finire i suoi giorni sotto il dominio di mia madre. Lui merita di morire in pace.”
“Come pensi di liberarlo? La villa è sorvegliata dentro e fuori, e anche la stanza di Eric sarà sorvegliata.”
Julian si passò una mano fra i ricci castani, i suoi magnetici occhi verdi bruciavano di determinazione.
“Troverò un modo. Conosco delle persone che posso aiutarmi.”
Rose gli afferrò le mani e gli sollevò il mento per guardarlo in faccia. Julian era sempre sorridente e malizioso, ma ora il suo viso era una fredda maschera.
“Non metterti nei guai. Ti supplico, Julian. Resta con me.”
“Fidati di me. Andrà tutto bene, amore mio.”
 
Ariadne non ne poteva più di quella riunione perché, in fondo, sembrava piuttosto un tribunale pronto a condannarla. La distilleria di Camden Town era in fermento da tre giorni. I turni di lavoro non finivano mai, le macchine non smettevano mai di funzionare. Quella mattina un gruppo di lavoratori – uomini fidati di Alfie Solomons – si erano presentati nel suo ufficio con una serie di domande.
“Come facciamo a trasportare l’alcol senza esseri beccati dalla polizia?” chiese uno di loro.
“Le leggi del proibizionismo sono più ferree.” Disse un altro.
Ariadne sospirò, si sentiva come una maestra a cui gli scolari chiedono sempre il perché.
“Ora che leggi del proibizionismo si sono fatte più rigide è il momento di cambiare il metodo di trasporto. E’ ovvio che io abbia una soluzione. La polizia pattuglia tutte le strade, le stazioni e i porti, dunque noi dobbiamo aggirarli.”
“E come? Alfie prima…”
“Alfie non c’è. Adesso è la signorina Evans a decidere.” Disse Jonah.
Ariadne si alzò dalla poltrona e aprì uno stipetto da cui estrasse una ampolla piena di liquido giallo. La diede ad un ragazzo con la faccia sporca di grasso e tolse il tappo.
“Annusa. Che cos’è secondo te?”
“E’ profumo.”
“Esatto. Useremo il profumo per nascondere l’alcol. Quando la polizia ispezionerà le nostre casse, sentirà solo il profumo di agrumi. Ieri mattina ho acquistato centinaia di queste ampolle per superare le pattuglie.”
Ariadne era soddisfatta di come gli uomini si erano zittiti. Lei aveva pensato a tutto, ogni minimo dettaglio era stato preso in considerazione. Era troppo vicina a sconfiggere sua madre per lasciare qualcosa al caso.
“Ora potete tornare a lavorare oppure avete altre inutili lamentele?” chiese Jonah.
Il gruppetto lasciò l’ufficio con la coda fra le gambe, avevano sottovalutato Ariadne ed erano rimasti delusi. Non c’era altro da fare che tornare alle macchine.
“Jonah, ti occuperai tu della consegna delle casse a Byron Davis.” Disse Ariadne.
“Come mai, signorina?”
“Perché hai la giusta diplomazia per affrontare Byron. Io e Tommy non gli piacciamo molto.”
Jonah annuì e posò per un breve istante gli occhi da falco sulla ragazza.
“Perdonate la franchezza, signorina Evans, ma ritengo che la vostra amicizia con Tommy Shelby sia inappropriata.”
“Temi per i nostri affari?”
“Temo per voi. I sentimenti non sono mai una buona cosa quando c’è di mezzo un uomo come Tommy. State attenta al vostro cuore, signorina.”
Ariadne non disse nulla, la sua mente era annebbiata da quella sorta di sentenza sospesa nell’aria. Lo sapeva che a scherzare col fuoco si finisce col bruciare, ma ogni volta che vedeva Tommy quel fuoco sembrava crescere sempre di più.
A salvarla da quella pesante conversazione fu Rudy, il nipote più piccolo di Alfie che ricopriva il ruolo di segretario.
“Signorina Evans, in cortile c’è una donna che vuole parlare con voi. Si chiama Polly Gray.”
Ariadne era talmente curiosa di scoprire il motivo per cui Polly era a Londra che quasi si mise a correre per raggiungere il cortile. L’aria settembrina la colpì come una secchiata d’acqua gelida, in contrasto con il calore interno prodotto dai macchinari.
“Polly!”
La donna se ne stava appoggiata al fianco della macchina a fumare. Indossava un raffinato cappotto color malva che si intonava perfettamente al suo incarnato. Era una dea in terra.
“Salve, tesoro. Che piacere vederti.”
“Il piacere è mio. Come mai da queste parti? E’ successo qualcosa?”
Polly gettò la sigaretta a terra e la calpestò con il tacco, ogni suo gesto esprimeva una grande forza.
“Voglio portarti in un posto. Sei libera?”
“Abbiamo ancora molto lavoro da fare. Domani sera dobbiamo consegnare l’alcol a Birmingham.”
“Molla tutto. Devo svelarti un segreto di tua madre.”
Quelle parole bastarono a innescare una scintilla in Ariadne. Sua madre aveva un segreto e Polly ne era a conoscenza, era meglio indagare anziché bisticciare con gli uomini di Alfie.
“Suppongo di essere libera.”
 
Quando l’auto ebbe superato di gran lunga il confine della città, Ariadne si voltò a guardare la torre di Londra che diventava sempre più piccola. Accanto a lei Polly intonava un motivetto che somigliava tanto ad un canto di chiesa.
“Dove stiamo andando?”
“Al St Mary Bethlehem, un manicomio fuori città. Lo conosci?”
Ariadne aveva già sentito quel nome. Quando era bambina aveva sentito sua madre menzionare svariate volte quel posto ma senza dare ulteriori indicazioni.
“Mia madre ne parlava spesso. E’ un nascondiglio dei Blue Lions?”
Polly ridacchiò e scosse la testa, i boccoli le sfiorarono le tempie. Rivolse alla ragazza uno sguardo di compassione.
“Tu sai di avere una zia di nome Doris? L’hai mai incontrata?”
“Non ho nessuna zia Doris, che io sappia. Spiegati meglio.”
“Tua madre ha una sorella di nome Doris, è più grande di due anni. Quando eravamo ragazzine, io, Marianne e Doris eravamo amiche. Eravamo inseparabili. La nostra amicizia era l’unica salvezza in una città terribile come Birmingham. Per quanto le nostre vite fossero difficili, eravamo felici di essere insieme. Le cose sono cambiate quando tua madre ha conosciuto tuo padre.”
“Tu conoscevi mio padre da giovane?” domandò Ariadne, allibita.
“Purtroppo sì. Philip Evans era il ragazzo più bello della città, con quegli occhi colo ambra come i tuoi e i riccioli di tuo fratello Julian. Era anche divertente e astuto, tutte le ragazzine erano innamorate di lui. Philip scese Marianne. Si fidanzarono e si sposarono nel giro di soli quattro mesi.”
Ariadne non conosceva la storia di come si erano conosciuti i suoi genitori. Sua madre sembrava una persona troppo fredda per mettersi a raccontare il suo passato romantico.
“E poi? Perché avete smesso di essere amiche?”
Un lampo di malinconia baluginò nello sguardo di Polly. Perdersi fra i ricordi era come scoprire che una ferita non si era richiusa del tutto.
“Tuo padre era uno stronzo. Aveva da poco ereditato la guida del Blue Lions quando conobbe tua madre. Per lui tutto doveva essere perfetto, soprattutto Marianne. Peccato che tua zia Doris non rientrasse nei suoi canoni. Doris soffriva di schizofrenia, la sua mente non sempre era lucida e aveva degli attacchi improvvisi. Philip si vergognava, non voleva che gli altri lo considerassero un matto per via di sua cognata.”
“Mio padre ha ucciso Doris? E’ una cosa di cui sarebbe stato capace.” Disse Ariadne.
Ricordava ancora le urla del padre dopo aver scoperto il segreto di Julian. Sentiva ancora il rumore delle sue botte che la notte le facevano venire gli incubi.
“Se l’avesse uccisa avrebbe mostrato pietà, invece lui non sapeva neanche lontanamente cosa fosse l’empatia. Ha costretto tua madre a rinchiudere Doris in un manicomio. L’ha costretta a dimenticarsi di lei. E Marianne ha accettato tutto questo per lui. Ha abbandonato sua sorella perché lo amava troppo. L’amore è stata la condanna di tua madre.”
“Lei non è mai stata capace di scorgere la natura violenta di mio padre.” Mormorò Ariadne.
Polly annuì e abbandonò la testa contro il finestrino, raccontare quelle cose la stava sfinendo.
“Doris è ancora viva. Quando ho saputo dove era stata confinata, ho deciso che non l’avrei lasciata da sola. Vengo a farle visita tre volte al mese. Lei è davvero una persona speciale. Lo capirai non appena la vedrai.”
 
Carl e Lisa una volta le avevano raccontato di un prozio deceduto in un manicomio che si era trasformato in fantasma per vendicarsi di chi lo aveva fatto internare. Ariadne all’epoca era scoppiata a ridere, ma adesso che percorreva i lugubri corridoi del St Mary Bethlehem iniziava a credere il prozio vagasse ancora sulla terra.
“Buongiorno. Posso aiutarvi?” le accolse una infermiera.
“Cerchiamo Doris Milton. Sono sua sorella Marianne.” Rispose Polly.
Ariadne represse un sorriso. Polly per anni aveva fatto visita alla sua amica sotto mentite spoglie, un po’ come lei a Londra che fingeva di essere Judith.
“Prego, da questa parte.”
Polly e Ariadne seguirono l’infermiera nel cuore dell’edificio, più andavano avanti e più diventavano forti le grida dei pazienti. Una ragazza, forse dell’età di Ariadne, si strappava i capelli mentre correva in cerchio. Un signore dava testate alle sbarre che proteggevano le finestre.
Ariadne sussultò quando un uomo dalla faccia pallida e le dita scorticare l’agguantò per il braccio.
“Il mistero della vita penetra nel mistero della morte, il giorno chiassoso tace dinanzi al silenzio delle stelle!”
L’infermiera picchiò la mano dell’uomo con una bacchetta e chiuse la finestrella della sua cella. Gli occhi folli dell’uomo continuavano a fissare Ariadne in maniera inquietante.
“Bart adora le poesie di Rabindranath Tagore. Nulla da temere.” Assicurò l’infermiera.
Polly mise un braccio intorno alle spalle di Ariadne e delicatamente la spinse oltre quelle celle da cui provenivano urla disumane.
“Siamo arrivate.” Bisbigliò Polly.
L’infermiera aprì la porta blindata della cella e andò a parlare con la donna seduta accanto alla finestra. In quel momento Ariadne ebbe un tuffo al cuore: Doris aveva i capelli rossi e ricci proprio come i suoi. Per anni si era chiesta da chi avesse preso considerati i capelli castani dei fratelli, e adesso sentiva che un pezzo del puzzle era al suo posto.
“Avete venti minuti. Non fate agitare la signora.” Disse l’infermiera, poi sparì.
Polly accarezzò le guance ruvide di Doris e le baciò la fronte. Doris sorrise stancamente.
“Doris, ti presento Ariadne. E’ tua nipote.”
Ariadne si avvicinò con cautela, si inginocchiò e toccò la mano della zia con cura.
“Ciao, zia. Sono davvero felice di conoscerti.”
“Marianne? Marianne, sei tu?” domandò Doris sorridendo.
“Sono Ariadne, la figlia di tua sorella.”
Doris sbarrò gli occhi in preda al panico, ritrasse la mano e nascose il viso nel gomito.
“Vattene! Marianne, sei cattiva! Via! Via, Philip! No! No!”
L’infermiera irruppe nella cella insieme ad un inserviente. Lui tenne ferma Doris e lei le fece un’iniezione di calmante.
“Avevo pregato di non farla agitare. Uscite, subito.” Ordinò l’infermiera, brusca.
Ariadne guardò ancora per qualche istante Doris. Anche lei era vittima di Marianne. Tutti erano vittime di sua madre, inclusi Eric, Julian, Barbara e Agnes.
“Philip è morto. Non può farti più del male.”
Mentre Polly la strascinava via, Ariadne vide Doris sorridere e poi rovesciare la testa all’indietro per via del calmante. Le sovvennero in mente le parole scritte da Arthur Conan Doyle: il mio cervello si ribella di fronte a ogni forma di stasi.
Era il momento che Ariadne si ribellasse ai soprusi della sua famiglia. La stasi aveva i giorni contati.
 
A mezzanotte Tommy si aggirava nel porto alla ricerca della barca di zio Charlie. Poche ore prima Ariadne lo aveva chiamato da Londra per dargli appuntamento. La voce di lei era parsa tesa al telefono, come se qualcosa la turbasse. Quando individuò la barca, vide una figura nera seduta sul ceppo di attracco.
“Sei lento a camminare. E’ colpa dell’età?”
Era Ariadne, avvolta in un soprabito grigio con il colletto alzato. Nonostante la battutina, i suoi occhi ambrati tendevano al bronzo scuro.
“Parliamo dentro.”
Salirono a bordo e si infilarono nella piccola cabina, la luce traballante di una vecchia lampada ad olio rischiarava l’ambiente. Charlie Strong avrebbe dovuto modernizzare un po’ la sua imbarcazione, pensò Ariadne mentre apriva uno sportellino e tirava fuori una bottiglia mezza vuota di whiskey.
“Giornata di merda?” chiese Tommy.
Ariadne stappò la bottiglia e bevve senza troppe cerimonie. Non le piaceva il whiskey, le bruciava la gola, ma la sensazione di calore data dall’alcol fu rigenerante.
“Non puoi neanche immaginare.”
Tommy a quel punto era preoccupato. Se lei era arrivata alla bottiglia, qualcosa stava andando decisamente male.
“Che cosa è successo?”
“Ho saputo che mia madre ha rinchiuso mia zia in un manicomio per colpa di mio padre.”
“Polly, tua madre e tua zia erano amiche da giovani.”
Ariadne bevve un altro sorso di whiskey e digrignò i denti per il sapore forte. Si pulì la bocca con il dorso della mano. Voleva ubriacarsi fino a dimenticare anche il proprio nome
“Mio padre è sempre stato uno stronzo. E mia madre lo ha pure assecondato!”
“E cosa vuoi fare adesso?” chiese Tommy.
“Voglio sfruttare questo vantaggio. Mia madre non sa che io ho visto Doris, perciò possiamo usarla a nostro favore.”
Tommy si accese una sigaretta, si tolse la giacca e si appoggiò alla parete. Dall’oblò penetrava la luce bianca della luna.
“Sfruttare una vecchia signora malata è una pessima idea. Tua madre l’ha rinchiusa in un cazzo di manicomio trent’anni fa, non credo che oggi le importi di Doris.”
Ariadne si attaccò di nuovo alla bottiglia ma l’alcol era finito, dunque emise un verso di protesta. Non poteva neanche prendersi una sbronza, dannazione.
“Non conosci la parte migliore della storia.”
Tommy notò un luccichio diabolico negli occhi di Ariadne. I ricci sciolti sulle spalle ora sembravano rossi come il sangue.
“Quale sarebbe?”
“Eric è il figlio di Doris. Lui è mio cugino.”
Tommy dovette sedersi per lo shock. Finalmente era una valida informazione che poteva essere sfruttata. Ariadne aveva ragione: era la loro carta vincente.
“Se Eric scopre che Doris è sua madre deciderà di stare dalla nostra parte.”
“Perdere Eric sarebbe un brutto colpo per mia madre.”
“La sua alleanza con Mick potrebbe vacillare.” Aggiunse Tommy.
Ariadne in un’altra occasione avrebbe fatto i salti di gioia, però c’era ancora una questione da affrontare.
“C’è un problema: Eric sta morendo e sua moglie mi ha chiesto di portarlo fuori città. I Blue Lions sorvegliano la villa di famiglia, entrare è impossibile.”
“Difficile ma non impossibile.” Disse Tommy, risoluto.
“C’è un modo sicuro per far evadere Eric e sua moglie Barbara?”
“Io prelevo tuo fratello e tu trovi un posto sicuro dove nasconderlo. Affare fatto?”
Tommy allungò la mano e Ariadne la fissò come se fosse un coltello affilato. Era come stringere un patto con un demone, e la destinazione finale era l’inferno. Gli strinse la mano con vigore.
“Affare fatto.”
Tommy la tirò verso di sé, i loro petti si scontrarono facendo trasalire la ragazza.
“Vuoi sigillare il patto con il sangue o con un bacio?”
“Domanda retorica.”
Ariadne gli posò la mano libera dietro la nuca e premette la bocca sulla sua. Tommy sentì un ronzio nelle orecchie, una scarica di adrenalina che dal sangue pompava in tutto il corpo. Affondò le dira nei ricci della ragazza spingendole la testa all’indietro per approfondire il bacio. Ariadne gemette e strinse la sua camicia nei pugni.
“Puoi restare?” le sussurrò Tommy all’orecchio.
“Sì.” Esalò Ariadne con voce roca.
Si spostarono sulla brandina che cigolò sotto di loro. Non era la prima volta che condividevano quel letto, eppure l’emozione cambiava ogni volta. Erano così vicini che Ariadne si accorse con stupore che c’erano pagliuzze grigie negli occhi di Tommy. Per qualche bizzarra ragione ebbe la voglia di disegnare quegli occhi, di trovare la perfetta combinazione di azzurro e argento che rendeva quello sguardo magico. Tornò alla realtà quando le mani di Tommy le sbottonarono la camicetta per baciarle il collo e le clavicole.
“Sdraiati.” disse Tommy.
Ariadne lo fece, sentendo subito la molla rotta della brandina che le pizzicava la schiena. Tommy iniziò a baciarla lungo la gola, il collo, la spalla. In un istante strattonò la camicetta di cotone azzurra e gliela tolse, poi le abbassò le spalline del reggiseno per baciarla ancora. Ariadne gli avvinghiò le gambe attorno ai fianchi per stringerlo a sé, le mani che scivolavano fra le sue ciocche scure per approfondire l’ennesimo bacio.
“T-tom, noi… non dovremmo…” biascicò lei fra i baci.
Tommy si staccò per guardarla in faccia, restando come sempre rapito dai suoi occhi color ambra. I ricci si erano sparsi a raggera intorno a lei come fili di seta rossa che si diramano. Era così bella che solo a guardarla sentiva il cuore contorcersi. Non era più un ragazzo, sapeva che quelle sensazioni erano vere. Sapeva di provare qualcosa per Ariadne: affetto, infatuazione, attrazione, ancora non sapeva dare un nome al sentimento che lo affliggeva.
“Non conta il dovere, ma solo il volere.”
Ariadne deglutì, sembrava che avesse ingoiato pezzi di vetro che le graffiavano la trachea.
“Voi cosa volete, signor Shelby?”
“Lo sai che cosa voglio.”
“Che cosa volete, signor Shelby?” ripeté Ariadne con tono imperativo.
Voleva sentirselo dire. Voleva che lui ammettesse che una parte del suo cuore di pietra teneva a lei.
“Voglio te.”
“Oh, adesso ci siamo, signor Shelby.”
Ariadne sfoggiò un sorriso compiaciuto. Non era chissà quale confessione d’amore, ma era un punto di partenza. Gli mise la mano sulla nuca e lo spinse verso la propria bocca per baciarlo. I minuti successivi furono un caotico lancio di vestiti e di baci roventi e di respiri affannati. Ariadne morse e leccò il labbro inferiore di Tommy e sentì le mani di lui che si aggrovigliavano tra i suoi capelli ricci.
Blestem!” sussurrò Tommy con voce roca.
Maledizione, in rumeno, ovvero la lingua che spesso sua madre aveva parlato e di cui lui aveva assorbito alcune parole. Era una lingua che lui e la sua famiglia usavano quando durante le trattative non volevano farsi comprendere dagli altri.
Ariadne emise un gemito mentre le dita di Tommy si facevano strada nel centro del suo corpo. La sensazione era simile alle vertigini che ti assalgono quando sei ad alta quota. Tommy era abile, le sue dita erano esperte e provocavano in lei una serie di mugolii di apprezzamento. Ariadne chiuse gli occhi in balìa di quelle carezze sublimi e dannatamente travolgenti.
“Sì. Sì.”
Tommy intanto le lasciava baci umidi sul collo mentre con la mano toccava territori inesplorati che gli facevano venire i brividi lungo la schiena. Ariadne si inarcò contro di lui, la bocca aperta in un gemito e gli occhi di un oro liquido.
“Così, signorina Evans. Così.” Cantilenò al suo orecchio.
Pochi minuti dopo Ariadne si sentì precipitare in un baratro di piacere violento. Si sforzò di guardare Tommy, che sorrideva contro la sua spalla mentre controllava il respiro.
Lui si mise seduto e raccattò i pantaloni dal pavimento per accendersi una sigaretta. La barca aveva incominciato a oscillare dolcemente, sospinta sull’acqua dalla brezza notturna.
“Non possiamo fidarci di Lucius. Ha addirittura pugnalato Julian.”
Ariadne si buttò addosso la camicia di lui giusto per coprirsi un po’, anche perché facevano freschetto con l’avanzare della notte.
“Non possiamo neanche escluderlo. Eric si fida molto di lui. Inoltre, credo che Lucius abbia pugnalato Julian su ordine di Mick.”
“E la cosa ti consola?”
“No. Al momento dobbiamo prendere tutto con le pinze.”
Tommy inarcò il sopracciglio, c’era qualcosa nella voce di lei che non era convincente.
“Che ti frulla in testa?”
Ariadne si tirò a sedere sistemandosi la camicia sul petto e sulle gambe, i ricci erano spettinati e formavano un groviglio rosso.
“Se riusciamo a portare via Eric, ed è un ‘se’ enorme, mia madre verrà a cercarci in campo al mondo. Capisci, Tom? Sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso.”
“Pensi che tua madre stia architettando qualcosa?” domandò Tommy, cupo.
“Sì. Riflettici un attimo: sono mesi che lei e Mick mi cercano ma appena torno a Birmingham non mi vengono a cercare. A quest’ora io dovrei essere morta.”
Adesso Tommy scorgeva il grande disegno. Fino ad allora non aveva riflettuto abbastanza.
“Si stanno organizzando per il colpo finale.”
“Esatto. Ma quale sarà? Che cosa stanno pianificando?”
“Manderò Charlotte a indagare. E’ brava a ricavare informazioni.”
Ariadne arricciò il naso come faceva quando si sentiva offesa. Avrebbe voluto anche mettere il broncio, ma non era il caso.
“E io manderò Jonah.”
“Mmh, il tuo caro amico Jonah. E’ il tuo cagnolino domestico?” scherzò Tommy.
“Tu sei geloso.” Asserì Ariadne ridendo.
Tommy fece spallucce e assunse la tua tipica espressione indifferente, malgrado dentro sentisse la gelosia fargli il solletico.
“Sei tu che odi Charlotte. Sei gelosa marcia.”
“Io non odio Charlotte! E’ bellissima, intelligente e organizza delle feste grandiose. Mi dispiace solo che lei riesca starti accanto mentre io non posso.”
Il silenzio piombò nella cabina striminzita come l’ascia di un boia che si cala su un collo esposto. Tommy si concentrò sull’orlo della sigaretta che si esauriva ad ogni tiro. Il suo rapporto con Ariadne era come una sigaretta: più tirava e più consumava.
“Anche Jonah ti sta appresso. Lavorano per noi.”
“Non tutto nella vita è lavoro e affari.” disse Ariadne.
“Nella nostra vita sì. Non puoi avere sentimenti che ti rendono vulnerabile.” Replicò Tommy.
Ariadne strofinò la guancia sul colletto della camicia, voleva imprimere nella memoria l’odore di Tommy che era una combinazione di colonia e tabacco.
“Tu hai una famiglia. Lizzie, Charlie e Ruby ti rendono debole?”
“Sì. La famiglia, gli affetti, le passioni, sono pericolosi. E’ per colpa dei sentimenti che sbagliamo. Se tu non fossi legata a Eric e Julian, avresti già fatto fuori Mick e tua madre.”
Ariadne non aveva voglia di affrontare quel discorso. Sapeva di essere fin troppo sentimentale per la vita criminale. Era proprio il sentimento di vendetta che l’aveva spinta tra le grinfie di Alfie Solomons.
“E’ tardi. Voglio tornare a casa.”
Tommy non disse niente, la guardò mentre si rivestiva e cercava di pettinarsi i ricci con le dita.
 
“Come torni a casa?” chiese Tommy.
Ariadne intanto aveva aumentato il passo ed era arrivata alla bicicletta sgangherata che Margaret le aveva prestato. Il manubrio non sempre seguiva le sue mani ma era meglio di niente.
“Jonah è uscito con l’auto stasera, quindi io ho preso la bici. Casa mia dista venti minuti da qui.”
“Guidi?”
“Non sono più la ragazza insicura e inesperta dell’anno scorso. Adesso so guidare, so sparare e so anche usare i grimaldelli per scassinare. Jonah è un ottimo insegnante.”
“Sono impressionato.” Disse Tommy.
Ariadne si sistemò sul sellino e poggiò un piede sul pedalo mentre con l’altro restava a terra in equilibrio.
“Mi piace lasciarti a bocca aperta. Magari capisci di non essere l’unico capace di fare le cose.”
“E’ questo che pensi di me?”
“Il mondo non è ai tuoi piedi, Tom. Un giorno capirai che mantenere il controllo su tutto e tutti è impossibile.”
“Quello sarà il giorno del mio funerale.” Replicò Tommy.
“Se lo dici tu. Adesso devo proprio andare.”
“Sali in auto. Non ti lascio tornare a casa da sola di notte.”
Ariadne accettò senza perdere tempo, la prospettiva di pedale nel buio era alquanto terrificante. Tommy aggiustò la bici sui sedili posteriori mentre lei prendeva posto davanti.
Il viaggio fu tranquillo, nessuno dei due osò fiatare. Lui guidava e lei guardava fuori dal finestrino. Si fermarono solo per far attraversare un ragazzo e il suo bassotto.
“Se Jonah fosse un cane sarebbe un pastore tedesco.” Esordì Ariadne.
Tommy le lanciò un’occhiataccia, non capiva da dove venisse fuori quell’idea.
“Ma tu parli sempre di Jonah?”
Ariadne scoppiò a ridere e gli diede una gomitata giocosa.
“Sei geloso, lo sapevo! Ci sei cascato in pieno nel mio tranello. Sei un fesso, Tom.”
Tommy aggrottò la fronte. Ariadne era così giovane e vitale, e spesso questa sua giovinezza d’animo esplodeva in momenti banali come questo. Lui, invece, aveva smarrito quell’energia gioviale in Francia, sepolta insieme a tutti gli altri compagni morti.
“Sei proprio una ragazzina.”
Ariadne rise ancora, sapeva che quel tono burbero era falso. Tommy si chiudeva sempre a riccio quando un briciolo di gioia lo raggiungeva.
“E tu sei proprio un fesso.”
Tommy guidò in silenzio, non era in vena di scherzare ed era anche piuttosto stanco. Di certo Lizzie lo avrebbe tempestato di domande sul suo ritardo e avrebbe dovuto mentirle, sebbene lei avesse già capito tutto. Dopo dieci minuti la casetta gialla si mostrò a loro.
“Siamo arrivati.”
“Bene.”
Tommy le restituì la bici e si appoggiò allo sportello per accendersi una sigaretta. Ariadne si infilò il cardigan e si fermò davanti a lui.
“Grazie per il passaggio, Tom. E’ stata una bella serata, tutto sommato.”
“Vedi di non fare casini anche mentre dormi.”
“Non ti prometto nulla, vecchio brontolone.”
Senza pensarci due volte, Ariadne gli mise una mano dietro alla nuca e lo baciò. Tommy rispose al bacio con altrettanta passione.
“Ariadne.”
Bonnie Gold era in piedi sulle scale di casa. Indossava un completo elegante e in mano teneva un mazzo di rose. Ariadne si era dimenticata del loro appuntamento.
“Bonnie… io… ho avuto da fare. Non mi sono… scusami. Sono imperdonabile.”
“Io ti ho aspettato per ore e tu facevi sesso con Tommy Shelby. Questo dovevi fare?”
Bonnie era furioso. Aveva pensato alla loro cena per tutta la settimana con il cuore in gola. Aveva una cotta per Ariadne dall’estate scorsa ed era convinto che quell’appuntamento avrebbe cambiato le cose.
“Mi dispiace. Stamattina sono stata a Lond-…”
“Ti dispiace per essere andata a letto con quello là?” la incalzò Bonnie.
“Vedi di darti una calmata.” Lo ammonì Tommy.
Intanto sull’uscio di casa era comparso Jonah in pigiama che fissava la scena come un soldato pronto all’attacco.
“Buonasera, gentiluomini. Ci sono problemi?”
Ariadne non era mai stata così felice di vedere Jonah. La stava salvando da una rissa, considerate le occhiate minacciose che Bonnie e Tommy si stavano scagliando contro.
“Tutto apposto. Ce ne stavamo andando. Vero, Bonnie?” Disse Tommy.
Bonnie gettò i fiori a terra e pestò le rose fino a disseminare l’asfalto di petali.
“Scusate il disturbo. Buonasera.”
Ariadne si morse la lingua mentre osservava Bonnie andarsene mogio verso la macchina. Si era completamente scordata di lui e questo era atroce, specialmente per lei che teneva agli amici.
“E’ ora di rientrare, signorina Evans. E’ tardi e fa freddo.” Disse Jonah con voce ferma.
Ariadne guardò Tommy e gli riservò un piccolo sorriso, dopodiché si infilò in casa e andò in salotto.
“Ariadne è grande abbastanza da difendersi da sola.” Disse Tommy.
Jonah adocchiò il corridoio per essere certo che la ragazza non lo ascoltasse, poi guardò Tommy come se potesse trafiggerlo col pensiero.
“Signor Shelby, permettetemi di essere cristallino: lasciate perdere Ariadne. Lei non fa per voi.”
 
 
Ariadne entrò in casa con le scarpe in mano per non fare rumore. Il suo intento andò in fumo quando vide Julian che sbucava dalla cucina. Si era preparato una tazza di tè poiché la ferita non gli dava tregua.
“Ti sei divertita con Tommy?”
“Tommy? No, sono stata a casa di Margaret.” Mentì lei.
Julian annusò l’aria e arricciò le labbra in un ghigno.
“Per questo Jonah è uscito di tutta fretta? E poi puzzi di tabacco e acqua di canale.”
“Che vuoi, Jules? Sono affari miei!”
“Va bene, non ti agitare!”
Ariadne lasciò le scarpe all’ingresso e si tuffò sul divano, allungando le gambe sul pregiato tavolino di cristallo.
“Ho trovato un modo per aiutare Eric. Sei con me?”
Julian sorrise, prese posto accanto a lei e le diede una spallata giocosa.
“Facciamo arrabbiare la mammina.”
 
Salve a tutti! ^_^
Povera Ariadne, braccata fra tre uomini che le ronzano intorno. Ma lei sa il fatto suo e nel profondo ha già fatto la sua scelta.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*Precisazione sull’esclamazione di Tommy in rumeno: nella prima stagione Tommy parla con una matriarca e il dialogo è in ‘’romani’’, spulciando su internet ho scoperto che gli Shelby in teoria dovrebbero parlare il rumeno essendo di origine gitana (più volte viene usato il termine ‘gipsy’ nella serie). La questione della lingua romaní è troppo complessa da affrontare, quindi spero che possiate comunque accettare la mia versione proposta.
 

 
  
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