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Autore: shana8998    22/06/2021    0 recensioni
Appena arrivato, in soli dieci minuti, era riuscito a fare retromarcia contro la mia cassetta delle lettere, a disseminare per il mio giardino immacolato gli incarti del fast food di cui straripava la sua auto, e per finire si era svuotato la vescica sul grosso tronco della vecchia quercia che si trovava sul prato di fronte, indirizzandomi un sorriso pigro e una scrollata di spalle, non appena si accorse di me, scandalizzata, sull'uscio di casa.
Quel ragazzo era un barbaro.
Nei quattro mesi successivi, aveva trasformato la mia vita da cartolina in un inferno. Non riuscivo a spiegarmi come potesse, un ragazzo da solo, avere un impatto tale sulla mia felicità, eppure lui ce l'aveva.
Genere: Erotico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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                                                                                 Prologo
«Oh no, no, no!» mormorai  incredula, davanti allo spettacolo dei miei tulipani gialli, bianchi e rossi brutalmente divelti.
Mi alzai di scatto dalla scrivania, dove stavo lavorando al computer, e corsi alla porta finestra come una furia. Questa volta lo avrei ucciso, senza dubbio.
Dopo un lungo anno e mezzo di stupidi scherzi adolescenziali, alla fine si era spinto davvero troppo in là. Nemmeno la mia compagna di stanza al college era stata capace di farmi imbestialire così tanto, neanche al tempo dei sei mesi senza doccia e deodorante per "salvare il pianeta".
Quell'anno e mezzo prima, alla veneranda età di ventiquattro anni, ero diventata orgogliosamente proprietaria della mia prima casa. Avevo sputato sangue per comprare la casa dei miei sogni. La villetta ad un piano con le grandi porte finestre che davano sul giardino. Giardino nel quale avrei piantato i miei amati tulipani e tutte le rose che volevo.
La sensazione di essere proprietaria di una casa mi era parsa più esaltante di quanto non credessi.
Finalmente qualcosa di mio. Mio soltanto.
Avevo passato ore su ore a scegliere la gamma di colori giusta per ogni stanza, a pulire, sistemare e spulciare ogni mercatino nel raggio di cinquanta chilometri, per trasformare un po' di legno e cemento in una vera casa.
Eppure, tutto questo era nulla a confronto con le ore rubate allo studio per curare il giardino.
Dopo vesciche, punture d'api, graffi e mal di schiena da non contarsi, alla fine ero riuscita a trasformare quel cortile brullo in un paradiso.
La mia felicità era durata però solo quattro mesi. Fin quando, nella casa accanto, non si era trasferito lui.
All'inizio avevo trovato eccitante l'idea di avere un nuovo vicino, uno che non fosse vecchio e scontroso. Ma il giorno che incontrai Aron Green tutta la mia felicità di proprietaria novella di una casa era andata a farsi benedire.
Appena arrivato, in soli dieci minuti, era riuscito  a fare retromarcia contro la mia cassetta delle lettere, a disseminare per il mio giardino immacolato gli incarti del fast food di cui straripava la sua auto, e per finire si era svuotato la vescica sul grosso tronco della vecchia quercia che si trovava sul prato di fronte, indirizzandomi un sorriso pigro e una scrollata di spalle, non appena si accorse di me, scandalizzata, sull'uscio di casa.
Quel ragazzo era un barbaro.
Nei quattro mesi successivi, aveva trasformato la mia vita da cartolina in un inferno. Non riuscivo a spiegarmi come potesse, un ragazzo da solo, avere un impatto tale sulla mia felicità, eppure lui ce l'aveva.
Nel corso dei mesi avevo dovuto vedermela con i segni delle palline da tennis sulle lenzuola appena stese fuori ad asciugare, e anche sul muro esterno della casa. Avevo dovuto sopportare la musica a tutto volume, le feste. Un paio di volte avevo sorpreso gente senza vestiti scavalcare la staccionata, che divideva il suo dal mio giardino, con l'intento di fornicare nel mio cortile. Sul mio prato.
Poi, le partite di basket alle tre del mattino, i bagni in piscina da ubriachi, e le donne che facevano piazzate sul prato davanti casa di lui, o sul mio, quando vigliacco si rifiutava di uscire ad affrontarle.
E, come se non bastasse, a rendere il tutto ancora più difficile si aggiungeva il fatto che fossimo entrambi vincitori di una micro borsa di studio che aveva permesso ad entrambi di accedere ad oculistica come aiutanti di laboratorio abilitati.
Anche li era un tormento. Non gli ci era voluto molto per trasformare la mia casa e il mio lavoro in un incubo. 
Se fuori distruggeva qualsiasi cosa fosse mia, in sede, aveva la mania di "prendere in prestito".
Ed ecco qui che sparivano, penne, libri, intere pile di ricerche già consegnate e non, una volta perfino la scrivania.
Sembrava convinto di essere il ragazzo più affascinante del mondo. Lui poteva: poteva e basta.
Non si faceva problemi ad usare il fascino e la bella presenza per il proprio tornaconto, lasciando pesare sulle mie spalle lavoro e responsabilità extra, mentre lui si divertiva a fare l'abilitato simpatico che fa divertire gli studenti.
Già dal primo giorno -anzi, no - dal primo istante in cui  aveva messo piede nel mio corso, sapevo che avrei dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Questo genere di opportunità capitano una volta sola e di certo non mi sarei lasciata sfuggire l'occasione di diventare professoressa o oculista specializzata per colpa di uno stronzo.
Ma se dentro l'istituto dovevo tenere duro, fuori potevo scappare.
L'unica possibilità che avevo era quella di cambiare casa. Almeno quella.
Dopo il primo anno avevo cercato di metterla in vendita ma non c'ero riuscita.
Ogni volta che un possibile acquirente si faceva vivo, lui riusciva a dissuaderlo senza nessuno sforzo, semplicemente comportandosi...da Aron Green.
Pochi mesi fa avevo deciso di ritirare l'appartamento dalla messa in vendita, ma dopo che lui aveva deciso di darsi al golf rompendomi ben tre vetri, mi convinsi a tornare alla carica.
Piazzai di nuovo il cartello in vendita e sparai che l'incubo volgesse al termine.
Niente. Anche questa volta, Aron era riuscito a dissuadere ben dieci acquirenti: uscendo di casa in boxer per ritirare la posta, dando in escandescenze come quella volta memorabile, quando aveva lanciato il computer dalla finestra urlando come un matto, e poi inevitabilmente per la mancanza di manutenzione del suo appartamento.
Il suo giardino era ricoperto di sterpi ed erbacce. Si limitava a pagare un ragazzo del vicinato per tosare l'erba meno di una volta ogni mese.
Per tutto il resto del tempo, il suo giardino sembrava l'habitat di piccole creature dei boschi.
Anche le mura esterne non erano messe altrettanto bene, per non parlare dell'immondizia abbandonata qua e la ogni qualvolta dava una delle sue magnifiche feste.
Insomma, se qualcuno dei possibili acquirenti non era stato dissuaso da lui personalmente, ci aveva pensato la sua casa a farlo.
Ed io lo odiavo per questo. Con tutta me stessa.
Non avevo fatto nulla di male per meritare una simile croce. Aron era una maledizione.
Ma purtroppo sono sempre stata troppo spaventata da certi ragazzi, specie se di bell'aspetto, per potermi lamentare.
Ero sempre stata così, sin da piccola. Sempre tranquilla e timida, col naso seppellito in un libro, sperando che nessuno mi notasse. Non è che non fossi una persona socievole, lo ero. No, il fatto è che ero proprio una gran fifona. Quando i bambini a scuola mi prendevano di mira o mi importunavano, di solito mi facevo piccola piccola, incapace di reggere il conflitto. E questa brutta abitudine mi era rimasta anche da adulta.
Quando poi si trattava di ragazzi come Aron, la cosa peggiorava. I suoi capelli castani, gli occhi azzurri come il mare e i suoi bei lineamenti cesellati mi rendevano nervosa. Semplicemente, non ci sapevo fare con le persone.
Appena mi trovavo davanti a un bel ragazzo, che si comportava da stupido, eccomi che diventavo un'idiota piagnucolosa.
Quanto odiavo le persone aggressive. E quanto odiavo non essere in grado di gestirle.
Lo stesso si può dire dei ragazzi con i quali ero stata nel corso degli anni e che si erano approfittati di me senza farsi scrupoli.
Per colpa loro, mi ero ulteriormente chiusa in me stessa, incapace di reagire.
E questa era la sola ragione per cui Aron Green si era salvato in quell'anno e mezzo.
Ma ora basta. I fiori erano l'ultima goccia. Quei bulbi erano un regalo della mia defunta nonna. Me li aveva donati proprio appena trasferita, poi, qualche mese dopo, la demenza senile ed un tumore me l'aveva strappata via. Quei tulipani erano tutto ciò che mi restava di lei ed io ci tenevo più di qualsiasi altra cosa. Forse, anche più della mia stessa borsa di studio.
Ecco perché uscii in giardino tirata come le corde di un violino.
Notai un tubo di gomma arrotolato e presi una decisione lampo. La faccenda finiva qui e subito. I tempi in cui ero stata la più grande fessa del pianeta erano ormai giunti al termine.

«Maledizione!»
Aron balzò in piedi, colpito dal getto d'acqua ghiacciata.
Si voltò senza sapere bene cosa aspettarsi, di certo non di trovarsi davanti la sua timida vicina e collega che gli puntava addosso un chilometro di tubo dell'acqua.
Sicuramente pensò che fossi uscita di testa.
«Sta lontano dai miei tulipani!» gli intimai con un tono di voce autoritario che sorprese persino me stessa.
Aron mi guardò. Nonostante la mia espressione e la mia voce fossero tutt'altro che amichevoli, ed i nervi che avevo a fior di pelle fossero palpabili, lui non poteva fare a meno di sorridermi.
«Cazzo, ma sei matta?», sembrò costringersi ad imprecare, come se stesse mantenendo la parte.
Gli feci cenno con il tubo di farsi indietro.
«Levati dalla mia aiuola...Adesso!»
«La tua aiuola?» Mi chiese con quello che definirei un grugnito perplesso.
«Si la mia aiuola» E via un altro getto d'acqua «Questi fiori erano un regalo di mia nonna ed erano vivi, prima che arrivassi tu!»
Frustrato, Aron si passò una mano fra i capelli spettinati «Allora avresti dovuto controllare meglio il confine della tua proprietà»
Lo guardai stringendo gli occhi «L'aiuola è nella mia proprietà!»
«Non penso proprio tesoro, controlla nell'atto di proprietà. Quest'aiuola è tutta nella mia proprietà» ribatté seccatamente. Indicò il mezzo metro di spazio che separava le due case, dove l'aiuola correva fino alla grande staccionata di legno che cominciava sul lato del suo giardino e continuava affianco alla casa, separando i due giardini «Tu possiedi quindici centimetri a partire dal muro della tua casa. È per questo che quella stupida staccionata marrone parte a ridosso del tuo muro anziché del mio.»
Ispezionai il punto che stava indicando seguendo l'aiuola per tutta la sua lunghezza.
Chiunque aveva costruito quelle due case identiche era stato un vero stupido. Nonostante fra i due appartamenti c'erano più di dieci metri di distanza, le finestre delle stanze da letto erano lontane forse meno di ottanta centimetri.
Di colpo odiai quella sporgenza che mi ricordava tanto la stanza di una torre, come quelle delle favole.
Non c'era nessuna privacy. Se io non fossi stata abituata a rintanarmi in stanza con le tende ben stese, a quest'ora chissà quante ne avrei viste succedere li da lui.
Guardai la staccionata e la ripercorsi con le pupille a ritroso fino a ritrovarmi nuovamente gli occhi azzurri di Aron davanti.
Sospirai afflosciando le spalle «Li sposterò quei quindici centimetri. Preferisco perdere un po' di giardino che averti fra i piedi.»
A quell'annuncio, lui sembrò spalancare gli occhi come se si fosse accorto di aver esagerato.
«No! Non farlo.» 

Non potevo sapere che sarebbe incominciato tutto così. Che Aron si sarebbe trasformato nel mio effetto collaterale per colpa di una manciata di tulipani.

 
   
 
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