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Autore: shana8998    23/06/2021    0 recensioni
Appena arrivato, in soli dieci minuti, era riuscito a fare retromarcia contro la mia cassetta delle lettere, a disseminare per il mio giardino immacolato gli incarti del fast food di cui straripava la sua auto, e per finire si era svuotato la vescica sul grosso tronco della vecchia quercia che si trovava sul prato di fronte, indirizzandomi un sorriso pigro e una scrollata di spalle, non appena si accorse di me, scandalizzata, sull'uscio di casa.
Quel ragazzo era un barbaro.
Nei quattro mesi successivi, aveva trasformato la mia vita da cartolina in un inferno. Non riuscivo a spiegarmi come potesse, un ragazzo da solo, avere un impatto tale sulla mia felicità, eppure lui ce l'aveva.
Genere: Erotico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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                                                                                                      1.
Non credetti ai miei occhi quando vidi Aron gettarsi sui miei tulipani - gli ultimi rimasti -, strappandoli via come se fosse fuori di sé.
«Fermati!»
Sul suo viso era stampata l'espressione più dispettosa che avessi mai visto.
«Ho detto fermati, Aron!»
Mi ignorò e continuò a sradicare le mie piante, assicurandosi di tirarsi appresso anche i maledetti bulbi.
Li lanciava il più lontano possibile, nella sua proprietà, così che io non potessi andare a riprendermeli.
Con un dito premuto sulla bocchetta del tubo, lo inondai con un lungo getto d'acqua gelata. Ma nulla poteva interrompere la sua opera di distruzione dell'aiuola.
«Basta!» gridai, ma nemmeno allora concentrò la sua attenzione su di me.
Rallentò solo per un istante, quando si ritrovò davanti allo spazio angusto nella staccionata, quello che divideva la mia villetta dalla sua.
Per infilarcisi, Aron dovette stringere le spalle e chinarsi. A quel punto, capii che sarebbe scappato a rintanarsi come un ratto in casa sua. Non potevo lasciarlo andare senza fargliela pagare.
Mentre si chinava per raccogliere i tulipani e gettarli nel cassonetto dell'immondizia, gli afferrai le caviglie.
«Ma che cazzooo!» Aron piombò a terra. I tulipani stretti nelle sue mani esplosero attorno a lui e sulla sua testa, spargendosi per tutto il cortile.
«Guarda cosa hai fatto, idiota!» Inveì.
Avvinghiai i suoi polpacci e strisciando mi portai fin sopra la sua schiena.
«Se tu non avessi fatto il cazzone come al tuo solito, a quest'ora non saresti bagnato fradicio e non avresti tulipani dappertutto!»
Sfruttando il vantaggio di essere esile e snella, scavalcai in fretta Aron e mi chinai come un rapace ad agguantare i miei poveri tulipani.
Ne raccolsi quanti più possibile. Li avrei ripiantati, tutti. E nell'esatto posto dov'erano.
«Lascia quei fiori!» Ad un tratto, sentii le ginocchia di Aron sfiorare la mia schiena e le sue mani correre ai miei polsi.
«Toglimi le mani di dosso!» Con tutta la forza, continuai a raccogliere fiori nonostante avessi appena ingaggiato una vera e propria lotta con lui.
«Non ti metterei le mani addosso se non fossi nella mia proprietà!».
Non ci vidi più. Sapevo che quella era una tattica come tante per farmi perdere ulteriormente le staffe, e...aimè, Aron aveva vinto.
Mi infuriai e gli rifilai una gomitata.
Aron imprecò borbottando fra i denti, nonostante ciò, però, tornò alla carica come un animale selvatico.
In un batter d'occhio Aron Green stava imprigionando il mio corpo fra il suo e il prato dietro le mie spalle.
Rimasi di sasso, e lui ne approfittò per spostare la presa dai miei polsi, che teneva saldamente incollati all'erba, ai fiori che stringevo fra le dita. Me li strappò dalle mani e se li lanciò dietro le spalle.
«Ho detto toglimi le mani di dosso, non crollami addosso»
In poco meno che qualche attimo, mi ritrovai a non saper cosa fare. Faticavo a controllare il respiro, probabilmente sarei finita in iperventilazione e poi avrei perso i sensi.
Come diavolo ero finita nel suo cortile, al centro di una pioggia di tulipani, con lui sopra di me?!
Aron restò a fissarmi per un momento. Non avevo idea della direzione che avevano preso i suoi pensieri, ma mi sembrò letteralmente perso chissà dove con la mente.
«Qual è il tuo problema?» La mia voce metallica però lo risvegliò all'istante.
«Il mio problema? Qual è il tuo problema?!»
Io avevo un solo problema e portava il suo nome ed il suo cognome.
«Sei tu il mio problema. Tu e i tuoi dispetti del cazzo. Le tue feste del cazzo e le tue grida del cazzo!»
Al mio esplodere di rabbia, tutto ciò che fece fu...ridere.
Ridere a crepa pelle.
Si portò una mano sulla pancia e ricadde a sedere sull'erba.
Anche se ora ero libera, non mi consolò affatto vederlo così divertito.
«Il tuo problema...sarei io? Ma se non mi guardi in faccia da quando ti ho pisciato davanti!»
Dovetti deglutire a forza. Era più sboccato di quanto non lo fossi io. Solo che dette da me le parolacce avevano tutto un altro suono. 
«Forse è proprio perché mi hai pisciato davanti, che mi dai così sui nervi.» Mi risollevai in fretta. La mascella serrata e lo sguardo fisso su di lui in caso mi avesse trascinata nuovamente a terra.
«O magari perché me lo hai visto
Il sangue mi scivolò alle ginocchia. Non ricordavo questa parte e mi pareva assurdo che lui, fra tutte le cose che poteva notare, aveva visto me guardargli...insomma, guardarglielo.
Scossi la testa non nascondendo una smorfia di disgusto «Non faccio questo genere di cose, non è da me.»
Mi passai le mani sul sedere per far cadere del terriccio che mi era rimasto attaccato. Lo sguardo rapace di Aron seguì ogni singolo movimento delle mie mani e varcò ogni curva del mio corpo. Se avessi continuato a farci caso, sarei finita per arrossire e non volevo.
«Secondo me, saresti in grado di fare un bel pò di cose...»
Sentii le guance imporporarsi all'istante. Carica d'ira, pensai che fosse giunto il momento di rompergli il naso con un pugno.
Strinsi le dita fino a farmi diventare le nocche bianche. Ero pronta.
«Ti sbagli e...non permetterti di dirmi certe cose! Tu non mi conosci affatto!»
No. Non dovevo colpirlo. Dovevo sparire dal suo cortile. Volevo solo correre a casa e barricarmici dentro.
Aron sbuffò e, issandosi su con un braccio, tornò in piedi.
Mi guardò quasi con indifferenza e tutto l'entusiasmo nel farmi sentire a disagio sembrò diradarsi velocemente «Tranquilla, non sei il mio tipo, non mi interessa sapere veramente quello che fai a letto con la gente»
All'impatto con le sue parole, per assurdo, mi sentii punta nel vivo. Sminuita. E il fastidio accrebbe dentro me come una vampata di calore improvvisa.
Restai zitta. Mi aveva messa all'angolo, svalorizzata, mi sentivo piccola come una formica.
«Bene così. Perché dovresti saperlo poi? Non te la darei nemmeno se ne avessi due!»
Voltai le spalle e a passi pesanti mi diressi verso il piccolo spazio al centro di due travi nella staccionata.
Non avevo idea dell'espressione che poteva avere il suo viso, ma sapevo che, per una volta -una soltanto-, mi ero fatta valere o almeno ci avevo provato.
Afferrai un lato della trave e mi chinai, ma proprio quando finalmente potevo battere la ritirata, Aron tornò a parlarmi.
«Che fai, non li rivuoi questi?»
Mi voltai. Si era chinato a raccogliere i miei fiori e li stringeva in un pugno scuotendoseli davanti.
A quel punto c'erano due cose che potevo fare: tornare a prendermeli o lasciar perdere e mettermi in salvo.
«Tieniti quei dannati fiori.» Borbottai.
La mia mente mi voleva fuori da quel prato. Avevo una sorta di repulsione per quel ragazzo, ma la reazione del mio corpo non fu in linea con i miei pensieri.
Le gambe non si mossero di un millimetro, la schiena non si piegò per passare all'interno della staccionata e le mie mani restarono appoggiate sulle travi.
Ero in attesa. In attesa di cosa, però?
Aron si morse un labbro e con un mezzo sorriso scosse ancora il mazzo davanti a sé.
«Dannazione, e va bene.» mormorai.
Quando mi vide tornare verso di lui, i suoi lineamenti si rilassarono. Ciò non cambiò l'espressione vittoriosa sul suo viso, ad ogni modo.
«Ecco a te» disse e mimò un grosso sorriso.
Afferrai i fiori con un gesto rapido. L'aria piatta e seccata.
«Adesso mi lascerai piantare ciò che resta di loro, o dovrai continuare a piazzarci sopra la tua sdraio?»
Non so per quale motivo, Aron amava tanto prendere il sole sulla mia povera aiuola.
«Fa pure. Piantali dove vuoi.»
Disse con una scrollata di spalle.
Era impressionante la velocità con cui si stufasse facilmente anche degli stessi scherzi idioti che ideava lui stesso.
«Ah. E non potevi lasciarmelo fare anche prima, senza distruggermi un quarto di giardino?»
Guardai i petali bianchi e gialli dei tulipani stretti fra le mie dita. Erano sgualciti, alcuni si erano strappati e qualche gambo pendeva lento e acciaccato dalla mia mano.
Mi si strinse il cuore a vederli così.
«Saresti mai venuta a parlarmi se non lo avessi fatto?»
Avevo sentito bene?
Scossi il capo. 
«Come hai detto?» 
Si allacciò le braccia dietro la nuca.
Non sapevo se continuare a fissare i suoi occhi azzurri o i piccoli tatuaggi stampati lungo entrambe le sue braccia.
«Hai capito.»
Persi un battito.
Perché Aron Green voleva parlare con me? No, la domanda esatta era un'altra: perché si era spinto a tanto, pur di parlare con me?
«Emh, no. Probabilmente non ti avrei mai rivolto parola.»
Distolsi lo sguardo da lui e lo riportai nuovamente ai fiori.
«Ecco, vedi? Allora ho fatto bene.»
Sfoggiò un sorriso così perfetto che per un momento mi sentii scottare le guance.
Guardare i fiori era un'ottima idea, senza dubbio.
«Potevi salutarmi, non c'era bisogno di tutta questa cagnara.»
Storse le labbra e mimò un'espressione eloquente.
«Ok, no. Non potevi»
Non gliene avevo dato mai occasione. Aron aveva ragione, da quando lo avevo visto urinare davanti a casa mia lo avevo evitato come la peste.
Per me era un barbaro, uno zotico, un elemento che non avrebbe mai fatto per me.
«Hai confermato una cosa, sai?»
«Cosa?»
Sciolse le braccia lungo i fianchi.
Il suo metro e ottanta abbondante, sovrastò il mio metro e settanta scarso e mi sentii costretta a rannicchiarmi nelle spalle quando si sporse verso me.
«Che sei una con la puzza sotto al naso.» Mi fece l'occhiolino e drizzò nuovamente la schiena.
«Non sono una che ha la puzza sotto al naso! Forse tu non te ne rendi conto di quanto sei fastidioso come vicino. Non si tratta di classismo o di puzza sotto il naso, si tratta di rispetto che tu non hai!»
Strinsi i pugni finendo per rompere anche gli ultimi gambi di tulipano.
«Dio, sei sempre così puntigliosa? Facevo per dire.»
«Ascolta.» Trovare la calma mi sembrò un gesto epico «Siamo partiti con il piede sbagliato, non trovi?»
Ma io ero, da sempre, una persona molto democratica e sapevo controllarmi quando ce n'era bisogno. Più o meno.
«Quindi,-» proseguii «che ne dici di ripartire da zero?»
Aron si massaggiò il mento guardando un punto indefinito sopra la sua fronte «Mmh, ci sto.»
Incrociò le braccia al petto e tornò a fissarmi in quella maniera che tanto mi faceva girare le palle «Come pensi di procedere? Devi riconquistarti le mie grazie.»
Le mie sopracciglia formarono un perfetto arco di stupore «Io?!»
Annuì convinto. «Non hai idea di quanto tu mi abbia ferito, ignorandomi» sollevò un dito e mimò di asciugarsi una lacrima finta.
Arricciai le labbra.
Era un cretino. Non c'erano dubbi.
«Posso immaginare...» mormorai piatta.
Nei suoi occhi balenò qualcosa al sapore di idea lampo.
«Che ne dici di una cena?» si affrettò a chiedere.
«Oh, no. Non se ne parla. Limitiamoci a fare i vicini rispettosi, Green.»
La sua bocca si incurvò all'ingiù.
Fa sul serio?
«E' un'offerta di pace, nulla di più» sollevò le mani davanti a sé. I palmi ben spalancati «e se ti sentirai a disagio, prometto di lasciarti andare»
Sapeva di trappola la sua offerta.
«Ok. Un'ora, non di più. Una cena veloce»
Le labbra di Aron si schiusero mostrando l'ennesimo meraviglioso sorriso.
E ammettere che fosse meraviglioso mi costò parecchio.
«Domani?»
«Domani.»

                                                                                         *******
Se c'era qualcosa che odiavo più di Aron, era l'uscire a cena fuori. L'ansia di prepararsi, il continuo e frenetico controllare l'ora e la mia ossessività nel calcolare tutto fino all'ultimo istante.
Per non parlare del dover scegliere cosa indossare...un attimo. Perché diavolo dovevo scegliere qualcosa da indossare? 
Non stavo andando ad un appuntamento, era solo il solito, fastidioso, Aron. Una tuta e una felpa sarebbero andate bene.
Aprii l'anta del mio armadio e sfilai appunto il pantalone di una tuta e la mia felpa preferita. Ma quando mi calai quest'ultima sulla testa e mi guardai allo specchio, assurdamente, mi sentii fuori luogo.
Insomma, era Aron si, ma io ero pur sempre una ragazza e poi lui mi vedeva tutte le mattine vestita così.
«No.» Me la sfilai e scesi giù per le gambe il pantalone grigio della tuta balzandoci fuori.
Tornai all'armadio e lo perquisii.
«Nemmeno questo» mi tirai dietro le spalle una maglia.
Un pantalone nocciola.
Una gonna.
Un'altra maglia.
«Ok. Respira.»
I miei occhi finirono su una gonna a pieghe grigia. Non era il massimo, ma almeno mi etichettava per quello che ero: una ragazza.
Sfilai da una gruccia una camicetta bianca e raggiunsi con le dita di una mano il cassetto dell'intimo.
"Martedì". Era questo che diceva il paio di slip che avevo afferrato velocemente dal comò, anche se era Venerdì.
La scritta risaltava a caratteri cubitali sul sedere. Qualche anno prima, durante un viaggio con i miei genitori, la compagnia aerea mi aveva smarrito i bagagli ed io ero stata costretta a comprare delle mutande economiche da Target. Certamente non avrei buttato sette paia di mutande solo perché mi ricordavano che giorno della settimana fosse.
E poi, nessuno doveva vedermi l'intimo né quella sera, né -probabilmente- in un futuro prossimo.
Frettolosamente corsi in bagno. Aprii l'acqua e mi fiondai sotto il getto caldo.
Avevo fretta che quella serata passasse. Già potevo sentire il disagio nel trovarmi dentro casa del nemico e sicuramente, sarebbe finita nel peggiore dei modi.
Aron amava due cose: le feste e mettermi in imbarazzo. Nulla lo avrebbe fatto demordere dall'organizzarmi un tranello sottobanco.
«Che Dio me la mandi buona»
Terminata la doccia corsi nuovamente in camera.
Avvolta da ben due asciugamani, uno addosso ed uno avvolto alla testa, strofinai via le goccioline d'acqua e mi affrettai ad indossare prima l'intimo e poi ciò che avevo scelto.
«Otto meno venti» Ero in anticipo di venti minuti. C'era tutto il tempo per asciugarmi i capelli e...
tlack.
Il tonfo di qualcosa sul vetro della finestra mi fece sussultare.
Esitante mi avvicinai alla tenda e la spostai.
No. Non era possibile.
Aron, appoggiato con i gomiti al davanzale della finestra di camera sua, si picchiettava un orologio immaginario sul suo polso.
«Non ho tutta la sera. Ho anche degli impegni, io.» Disse marcando l'io finale.
Strinsi le labbra e sentii le narici allargarmisi.
Tirai nuovamente la tenda e calpestando nervosamente il parquet con i piedi scalzi raggiunsi la toletta con le spazzole e il phon.
Mi accomodai seduta allo sgabello e nervosamente pettinai i lunghi capelli, biondi e mossi.
Impiegai meno di dieci minuti per asciugarli e raggiunsi l'uscio di casa Green in un'altra manciata di minuti.
«Finalmente, credevo di dover mangiare solo» Aron scostò l'anta e mi rifilò un'occhiata da capo a piedi. Non ebbi il coraggio di definire il suo sguardo perché ci avevo visto di tutto. Quindi lo ignorai.
«Ti prego. Dacci un taglio» lo sorpassai porgendogli con uno scatto il giacchino dello stesso color grigio sbiadito della gonna.
Aron borbottò una risata. Afferrò il giubbino e mi fece cenno di accomodarmi nell'unica stanza dalla quale filtrava della luce.
«D-Dov'è il disordine e lo sporco e le bottiglie che ti scoli di notte?!»
Il salotto dalle pareti cobalto era in perfetto ordine. C'era odore di pulito misto al tabacco di qualche sigaretta fumata distrattamente, e tutto sembrava essere perfettamente in armonia con i mobili e con i quadri.
«Quali bottiglie?» Ridacchiò sbalordito apparendomi accanto.
«Quelle che credevo...» E se avevo immaginato una persona che non era mai esistita? «Niente, lascia stare»
Aron mi rifilò un'occhiata indecifrabile e inarcò per un secondo le sopracciglia.
Restai sull'uscio del salotto per qualche istante, anche dopo che lui mi invitò ad accomodarmi a sedere. Le dita strette attorno alla cinta della borsa.
«Torno subito.» Attraversò la stanza passando a piedi scalzi su quello che aveva tutta l'aria di essere un grosso tappeto persiano e sparì dietro l'anta di una porta quadrettata in vetro smerigliato e legno.
Ero sbalordita. Probabilmente se mi fossi trovata esattamente dove credevo di finire, non mi sarei sentita così a disagio.
Se Aron fosse stato l'Aron per come lo avevo immaginato, forse, avrei approfittato di quella cena per dirgli quanto lo detestavo. Ma mi aveva colta alla sprovvista.
«Preferisci mangiare dentro o fuori?» Si affacciò da quella che sembrava essere la cucina, con le mani aggrappate alla cornice della porta.
Il viso sorridente, rilassato.
«E' uguale.» dissi senza riuscire a smettere di guardarmi attorno. Anche mentre avanzavo verso lui. «Non fare tante cerimonie, Aron. Sono solo io»
Accanto al muro vicino alla porta del salotto da dove ero passata, c'era un tavolino rotondo di legno. La luce proveniva dalla grossa abat-jour sopra di esso e illuminava una sfilza di cornici d'argento che tenevano ben protette delle foto.
Alcune dovevano essere di Aron da piccolo. I capelli scuri, gli occhi chiari che non gli erano cambiati affatto.
Una lo ritraeva appeso con le braccia alla fune di una barca a vela. Con lui c'era anche un uomo. Un uomo che gli assomigliava incredibilmente.
«E' mio padre»
Sussultai. Non lo avevo sentito arrivarmi alle spalle.
«Ti somiglia.»
Accennò un sorriso breve «Si.» ma svanì in fretta.
«E quella donna? E' tua madre?»
Indicai la foto di una donna bionda. Bellissima.
«Lei è la mia matrigna. Marleen.»
Il fatto che Aron mostrasse pubblicamente le foto della sua famiglia e che ne parlasse, doveva dimostrare che non era poi così spregevole come ragazzo.
Sicuramente rompi scatole, ma non cattivo.
Magari mi ero sbagliata.
«E' molto bella, anche lei.»
Qualcosa nella mia affermazione lo aveva dovuto disturbare perché notai l'espressione del viso cambiare per ben due volte. Ma poi, con il suo solito fare, aveva smorzato i suoi pensieri.
«Però non hai detto che sono bello anche io» Allungò una mano sulla superficie del tavolino e sollevò il mento fino a che i suoi occhi furbi non incrociarono i miei.
«Se avessi voluto dirlo, lo avrei fatto. Non credi?»
L'angolo della sua bocca si piegò in una smorfia divertita.
«Sei proprio stronza.» disse e poi spostò le sue labbra accanto al lobo delle mie orecchie «Tanto riuscirò a farti pronunciare quelle tre paroline».
Piegai il collo da un lato con la speranza di scacciare via il suo respiro, i brividi che mi aveva fatto salire lungo la spina dorsale e i pensieri positivi sul suo conto.
Aron era un predatore ed era furbo ed io non dovevo trovarmi li.
Poggiai le mani sulla canotta con la vistosa testa di un toro e la scritta Bulls stampata sotto e lo scostai da me «Andiamo a mangiare, ti prego.»
Fece un passo indietro e sospirò un sorriso. Poi allargò il palmo della mano e mi fece cenno di raggiungere la porta a vetro.
Se Gretha, la mia migliore amica di sempre, avesse saputo dov'ero finita quella sera e in che guaio mi ero cacciata!
Sicuramente mi avrebbe fatto una lavata di testa. Nemmeno lei vedeva di buon occhio Aron. Anzi, non lo sopportava affatto.
Ma secondo me, per come la conoscevo bene, odiava Aron per il semplice fatto che non la degnasse mai di uno sguardo.
Le piaceva. Le era sempre piaciuto, perché Aron era esattamente come la sfilza di ragazzi poco raccomandabili che amava portarsi a letto. Ma con gli altri ci era sempre riuscita.
Gretha era bella e prosperosa e simpatica. Tutti la desideravano, nonostante fosse una terribile "nerd" ed eccellesse praticamente in tutto.
Anche io lo ero, ma a differenza sua ero anche figlia di una marchesa, il che mi rendeva oggetto di odio e angherie da parte di tutti.
Ma ci ero abituata e quella era comunque un'altra storia.
«Accomodati»
Le pareti della cucina di Aron erano verde pisello o forse gialle senape. C'era un neon dentro l'applique sulle nostre teste ma non illuminava abbastanza perché io potessi distinguere il colore dei muri. Ciò che però distinguevo bene erano i banconi di legno perfettamente laccati e le presine a scacchi bianchi e verdi agganciate sopra il lavandino. Le calamite a forma di frutta sul frigo e le imbarazzanti presine di gomma a forma di anatroccolo abbandonate sul fornello.
«Oddio e quelle cosa sono?» Le indicai e risi.
Lui si imbronciò «Non offendere le mie presine!» le afferrò e se le infilò per prendere qualcosa dal forno.
«Non mi permetterei mai» risposi con ironia sollevando i palmi delle mani, combattendo la voglia di sghignazzare.
Aron si chinò e tirò fuori una pirofila dal forno.
Un polpettone fumante apparve davanti ai miei occhi immerso in un mare di patate al forno.
Lo stomaco mi si allargò all'istante.
«Lo hai fatto tu?» chiesi sbalordita.
Sollevò un sopracciglio «Va bene che sei un'ospite, però non montarti la testa.» Scostò la sedia e si accomodò davanti a me «Ho preso due roll al supermercato. Mi piace il polpettone.»
Risi fra i baffi.
Non credevo che ad Aron Green potevano piacere cose normali come il polpettone o le presine a forma di anatroccolo.
«Allora? Che aspetti, mangiamo.» Indicai le posate di servizio.
Lui le afferrò al volo e si sollevò per tagliare il roll a fette.
Ne mise tre nel mio piatto e una cucchiaiata enorme di patate.
«Non so quanto ne mangi» Per un momento, uno soltanto, mi sembrò terribilmente in difficoltà.
«Va bene così, grazie».
Ma ovviamente durò poco.

A fine cena, la pancia mi esplodeva. Sentirsi satolli nella tana del lupo era un guaio grosso.
Non avrei avuto i riflessi per mettermi in fuga, ma infondo...forse non ce n'era nemmeno bisogno.
«Resti a vederti un film?»
Riemergendo dalla cucina, con la borsa stretta fra le dita, trovai Aron sbracato sul divano del salotto con il telecomando stretto fra le dita.
«Sono le nove passate ed io ti avevo dato un'ora»
Anche se non stava guardando me, ma lo schermo del plasma agganciato alla parete accanto alla cucina, sorrise divertito lo stesso.
«Non ti mangio, cappuccetto rosso»
Socchiusi le palpebre per un istante «C-Come prego?»
I suoi occhi terribilmente azzurri e penetranti fecero una capovolta per la stanza prima di piombare su di me «E' solo un film.»
Storsi un labbro e poi me lo passai fra i denti delicatamente «Chi mi dice che non farai qualcosa...che potrebbe farmi arrabbiare? Sei bravo in questo»
Sospirò dal naso e sollevò le mani «Non farò niente, lo giuro»
Perché Aron mi avesse chiesto di restare? Non lo sapevo. Perché accettai? Men che meno.
«Ok. Un film, poi torno a casa»
Annuì e mi fece spazio sul divano.
C'era del disinteresse. Una punta, in tutto ciò che faceva. Sia nel modo in cui mi aveva fatto spazio a sedere, sia in quello con cui si rivolgeva a me.
Eppure, una parte di lui doveva trovarsi a suo agio in mia presenza.
Mi accomodai ad un cuscino di distanza da lui.
La schiena dritta, le gambe strette e tese.
Ero rigida, agitata.
Tutto il contrario di lui, che se ne stava sbracato come se stesse in spiaggia.
Non si era nemmeno degnato di mettersi un paio di scarpe.
Insomma, inviti qualcuno a cena per lo meno cambiati i vestiti.
Guardai le dita nude dei suoi piedi per un po' prima che una smorfia non apparve sul mio viso portandomi a guardare altrove.
«Ti piacciono i polizieschi?»
Domandai notando che aveva smesso di cambiare canale dopo aver incrociato appunto un giallo.
Drizzò la schiena e incrociò le gambe sul divano.
«Si e i film d'amore»
Gli rifilai un'occhiataccia a cui rispose ridacchiando.
«No, infatti. Non fanno per me, ma non c'è un granché in tv.»
«A me invece piacciono. Non sai mai chi è l'assassino fino alla fine» feci una pausa per guardare una scena del film e poi tornai a parlare «a meno che non sei me e lo capisci dopo le prime cinque battute».
Sbuffò «Dimentico sempre che sei un genio, Watson
Lo guardai di sfuggita e quell'occhiata non fu l'unica cosa che mi scappò.
Stavo sorridendo il ché mi lasciò sorpresa all'istante.
Restammo per un po' in silenzio, qualche volta, interrotto da me per commentare il film fino a che dopo svariati minuti, dove nessuno dei due diceva niente, Aron parlò.
«Perché quando cercavo di salutarti borbottavi e rientravi in casa?»
Sbattei le palpebre un paio di volte confusa «Be' perché mi avevi rotto tre vetri e imbrattato la casa con quella maledetta pallina da tennis. E poi ti ho visto-»
«Non rincominciare con quella storia. Ti ho chiesto scusa»
Inarcai le sopracciglia «Quando scusa? Temo di non ricordare»
Si voltò. Ora si che avevo i suoi occhi addosso, ma erano nuovamente privi d'interesse. Avevo la sensazione che dei momenti non mi guardasse affatto mentre degli altri pensasse a qualcosa intensamente.
«Che dovrei fare, implorarti?»
«Sarebbe un'idea.»
Sbuffò scuotendo la testa «Non sono il tipo.»
Di quello non ne ero certa. Infondo mi aveva pregata di restare a cena da lui.
«Ti ho invitata qui, mi sembra abbastanza.»
La sua arroganza non tardò ad arrivare seguita dalla mandria dei miei nervi.
Come riusciva ad irritarmi lui, nessuno mai.
«Devi essere sempre così stronzo? Non eri obbligato a farmi venire qui.» Mi sollevai di scatto. Era ora di andarmene o avremmo finito per rotolarci sul pavimento un'altra volta, magari prendendoci a pugni però.
I suoi occhi si fecero di colpo più grandi e mi seguirono quasi increduli.
«Dove vai?»
«A casa. Ho sonno e domani abbiamo il corso.»
Dove diavolo aveva messo la mia giacca? Non la vedevo in sala.
«Sei sempre così permalosa? O hai difficoltà a distinguere un'offesa da un'affermazione?»
Sentii ogni muscolo farsi sempre più teso.
«E tu sei sempre così sgarbato con tutti?»
Si sollevò dal divano come se gli avessi appena sferrato un pugno e fosse pronto a reagire.
«Sgarbato? Sgarbato perché ti ho detto che la cena rappresentava il modo per chiederti scusa ?Non capisco, che diavolo volevi facessi?»
Ok, Haly dacci un taglio. Ha ragione.
«Scusa.» 
Quella parola lo fece demordere dal dire qualsiasi altra cosa. 
«Non mi relaziono spesso con le persone, ma questo credo tu lo sappia.» mi grattai la nuca. Sentivo le guance farsi sempre più calde ed il collo pizzicarmi.
Aron sospirò quasi con rassegnazione. Mi afferrò le spalle e guardò il mio viso.
«Dovresti incominciare ad abbassare quell'assetto militare che hai montato su per farti scudo. Rilassati Evans, non tutti sono degli stronzi. C'è anche chi si diverte a fingere di esserlo.»
Nella mia vita mi ero sentita molte volte piccola come una pulce, ma quella le aveva battute tutte.
«Be' a me sono capitati più stronzi veri, che attori.» Sviai lo sguardo ferito al tavolo rotondo colmo di foto.
Aron restò a guardarmi per qualche istante ma io non ebbi il coraggio di ricambiare.
«Io non voglio fare solo lo stronzo con te. Voglio anche conoscerti.»
«Che...significa?»
Mosse un passo verso me e la voglia di farne uno indietro accrebbe. Peccato che le sue mani fossero sulle mie spalle, il che mi serrò le gambe.
«Che mi piace fare l'idiota con te, farti arrabbiare, vederti incazzata nera ma l'ho fatto, è stato divertente e ora vorrei passare alla parte successiva. È più di un anno che lavoriamo insieme e viviamo ad un passo l'uno dall'altra, eppure, io non ti conosco affatto.»
«Tutto quest'interesse nel conoscermi?» Aggrottai la fronte senza accorgermene.
«Che ne so, magari mi paro il culo in questo modo se dovessi mai romperti un altro vetro» alzò le spalle.
«Anche se fossimo buoni amici ti prenderei a calci, qualora succedesse di nuovo. Ho speso un capitale per quei dannati vetri.»
Rise.
«Te li restituirò» notò che mi ero smarrita. Era colpa dei suoi occhi. «i soldi, intendo.»
Scossi la testa «Tienili per il prossimo vetro che mi romperai».
Afferrai la borsa dal divano e misi la cinta sulla spalla.
«E' davvero tardi, Aron».
Una parte di me - l'immancabile lato del cazzo, di me - provò un senso di delusione constatando che il cervello aveva agito prima della coscienza.
Ma anche una parte di Aron, forse quella che mal sopportava di più, sembrava delusa dalla mia decisione.
Non disse nulla però. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e aspettò.
«Devo riposare...»
Perché non diceva niente? 
Una vocina dentro la mia testa si era permessa di sussurrare qualcosa come :"dille di restare". La soppressi. All'istante.
«Si. Giusto. Il corso...»
Si spostò per farmi passare.
Lo superai e nel farlo trovai la mia giacca appoggiata ad una sedia, accanto alla parete dietro al divano.
La raccolsi. Avrei dovuto fare pochi metri e così evitai di infilarmela.
«Ti accompagno.»
Annuii seguendolo lungo il corridoio. Nonostante le luci spente vedevo perfettamente dove stavo mettendo i piedi e vedevo Aron, un passo davanti a me.
Afferrò la maniglia della porta e la girò. Il lampioncino appeso sotto la piccola tettoia non tardò ad accendersi grazie al sensore che rilevò i nostri movimenti.
«Sono stata bene, dopo tutto.»
Aron accennò un sorriso «Anche io.»
Respirai pesantemente «Allora a domani.»
Annuì ma poi di colpo qualcosa gli ritornò alla mente.
Sollevò l'indice e mi chiese di aspettare un attimo.
«Dove corri adesso?»
«Aspetta e vedrai!»
Sparì dietro la porta, lungo il corridoio, e poi ancora in salotto.
Che diavolo aveva dimenticato?
Alzai gli occhi al cielo sospirando e sfilai il cellulare dalla borsa. Sul display brillava l'ora, ed erano le dieci passate. Dovevo già trovarmi a casa, nel letto pronta a...
Una serie di passi veloci e pesanti scalpicciò sul pavimento e poi, di colpo, la sagoma di Aron con un grosso secchio stretto per le mani apparve all'improvviso al centro della porta.
Feci appena in tempo a sbarrare gli occhi, prima che una grossa secchiata d'acqua -per fortuna calda - mi piovesse addosso.
«Aron! Ma che cazzo!»
Lui lasciò andare il secchio e, piegato, rise tanto da farsi venire le lacrime.
«Dio! Sei un imbecille!» Mi guardai la gonna e la camicetta: ero zuppa. Bagnata fradicia fino alle mutande. Mi sentivo l'acqua ovunque e qualche brivido di freddo incominciava ad accavallarsi sulla schiena.
Mi strinsi nelle braccia.
«Dovevo farlo, scusami.»
«Dovevi?!» gridai.
«Certo» si ricompose asciugandosi l'angolo dell'occhio «Sennò saresti andata via»
Schiusi le labbra.
Ma che cazzo...









   
 
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