Perché
io sono pazza ma tu sei un idiota
Questo era uno di quei giorni, pensò Draco, passando
il dito sulla lama tagliente della lametta. Uno di quei giorni in cui sentiva
di sprofondare nell’abisso attorno il quale sguazzava da tutta una vita e dentro
il quale solo per puro miracolo non vi era mai scivolato dentro. Uno di quei maledetti
giorni in cui era vivo e desiderava solo non esserlo.
Morire e non soffrire. Morire e non amare. Per la
prima volta gli sembrava di essere in pace.
Era così che se lo immaginava? No di certo. Aveva
sempre creduto di perire per mano sua, per mano della bacchetta che lo aveva
tenuto prigioniero una vita intera. L’uomo di cui ancora oggi non riusciva a pronunciarne
il nome, nonostante giacesse morto sotto terra da ormai qualche mese.
Comunque spirare sotto la bacchetta del signore oscuro
era sempre meglio di quello che lui aveva scelto per sé stesso. Poteva morire da
martire. Così, invece, non aveva senso. Una vita senza senso, come la sua
morte.
Si distese sul pavimento del bagno e attese. Il freddo
incominciò a farsi sentirle e i primi brividi lo accolsero. Succedeva tutto
troppo lentamente. La lucidità tornava a farsi sentire, come quella angosciosa fitta
nelle budella che lo aveva accompagnato per tutta la vita.
Riprese in mano il foglio che aveva scritto a lei.
L’aveva scritto di furia, con scarsa lucidità, la calligrafia a volte era
illeggibile anche per lui. Poteva sembrava più patetico? Le sue ultime parole scritto
sul foglio giallo che loro usavano per segnare la spesa da comprare.
La vista si fece opaca per un secondo. Gli ci volle
più tempo del dovuto per mettere a fuoco. Riuscì a leggere un'unica riga: perdonami
ti prego di esser stato così debole, ho paura ancora di amarti fino in fondo,
io che di amore non ho mai capito un cazzo.
Ne avrebbe capito il senso o le sarebbero sembrate le
elucubrazioni di un pazzo?
Si sarebbe pentita allora? Avrebbe pianto?
La vista divenne di nuovo sfuocata, poi bianca. Abbandonò
il foglio sul tavolino accanto alla tazza del water prima che l’ultima forza
che aveva svaniva.
La stanchezza divenne insostenibile. Non riusciva a tenere
gli occhi aperti, il braccio cadde al suo fianco. Spostò la testa di fianco. Il
pavimento era rosso. Dicono che prima di morire dissanguato i colori sembrano
appannati, come scoloriti, ma niente sembrava più rosso di quel sangue sul pavimento
bianco.
Provò a guardare il polso che si era tagliato. Il
sangue fluiva ancora come un minuto prima. Non aveva avuto il coraggio di
aprirsi anche l’altro polso. Ne aveva abbastanza del dolore. Questo, si disse
aprendosi la vena de polso sinistro, che sarebbe stato l’ultimo.
Qualcuno bussò la porta. I suoni divennero sordi.
Provò a aprire la bocca, ma niente. La voce non usciva, i muscoli non
rispondevano.
Il cuore batteva sempre più lento nel suo petto. La
paura scemo del tutto, prendendo il posto di una sana indolenza nel corpo.
Percepì un rumore, un grido. Era lui che gridava?
“Draco.” Qualcuno lo scuoteva così forte da farlo
riprendere. Sentiva ancora qualcosa ma era un eco lontano rispetto a quello che
sentiva di solito. Finalmente il mondo era diventato quella distesa di pace,
priva di sollecitazione, che a volte sperava di raggiungere quando si sballava
di qualche droga, ma che non riusciva neanche in quei momenti a ottenere.
Avvertì sé stesso sorridere.
Uno schiaffo in pieno volto lo percosse. Aprì gli
occhi e riuscì a mettere a fuoco, una ragazza dagli occhi caldi contorniate da
grosse lacrime. I cappelli rossi scendevano come fuoco liquido attorno alle spalle.
Niente era più rosso di quel colore.
“Gin...”
“Non ti addormentare, Malfoy.
Adesso chiamo aiuto. Non addormentarti, hai capito?”
“i tuoi occhi… Fammi vedere i tuoi occhi.”
Lei lo accontentò per un secondo. Leggeva la
confusione nel suo sguardo, un barlume di compassione.
Povera ragazza.
Gli sono capitato come un fiume in piena. Sono proprio un idiota. Pensò
un attimo prima di scivolare a terra.
Uno spiraglio di luce bianca gli fendette gli occhi.
Socchiuse gli occhi. Gli facevano male. Bruciavano.
Aprì la bocca che non rispose come si aspettava, ma
come se gli fosse rimasta incollata al palato.
Cercò di muovere le mani, le braccia.
Era vivo. Era stramaledettamene vivo. Evviva! Un'altra
giornata in questo mondo. Sorrise, non seppe perché.
Si guardò attorno, cercando di capire dove fosse. Constatò
con malumore che fosse disteso in un cazzo di letto di ospedale. Il suo
malumore crebbe quando cercò di muovere le mani e constatò che una mano era legata,
mentre la sinistra era libera, ma del tutto inutilizzabile poiché fasciata e
ferita. Sospirò. Giusta premura per un neo suicida.
Non era solo. Due occhioni nocciola caldi come
cioccolato fondente erano aperti su di lui, vigili e attenti, molto più di lui.
Draco sarebbe volentieri scappato, se non fosse legato a quel cavolo di letto.
Si umettò le labbra prima di parlare. “Perché sei
qui?”
“Secondo te?” Disse Ginny, facendo ondeggiare la coda
di cavallo dietro le spalle.
Lui corrugo la fronte. Cercò di far ragionare il
cervello, quel tanto che poteva. Questo poteva significare solo che ormai lei sapeva.
“Te l’hanno detto.”
Lei annuì. “si.”
Non voleva discutere inevitabile, non ora. “Quindi
perché sei qui?” Disse arido, alzando lo sguardo e cercando una risposta che
non giunse. Non da lei per lo meno, ma un idea gli passò per la mente.
Lui si leccò le labbra disidratate e appoggiò la testa
sul cuscino. Incominciava a capire. “Quindi vuoi sapere.”
“Diciamo così.”
“Chi è stato a dirtelo? Potter?”
Lei scosse la testa. “No, è stato Ron.
L’ho praticamente costretto dopo che ti hanno portato all’ospedale. Il tuo
biglietto non lasciava certo molti dubbi.”
Draco fece un sorriso amaro. Il biglietto certo. Che
sciocco. Non si aspettava certo di sopravvivere per spiegarglielo.
Si portò la mano sinistra sulla fronte, bloccandola di
fronte al viso. Era bendato. Quello che era il polso che si era tagliato. Non
ci voleva un'altra cicatrice. Abbassò le mani.
“Scusami, ma non sono in vena di chiacchere. Sono molto
stanco.” Cercò di tagliare corto.
Lei scosse la testa. “Non me ne vado da nessuna parte.
Se sei stanco dormi, ma quando sarai sveglio sarà qui a chiederti la stessa
cosa.”
Sospirò, socchiudendo gli occhi. Chissà perché se
l’aspettava. Quella stessa determinazione che l’aveva fatto innamorare di lei
dalle prime battute che si era scambiate. Quella testardaggine che aveva odiato
fin ad amare. Il suo cipiglio sicuro anche quando lo sgridava come se fosse un
bambino. Un tono di voce che nessuno gli aveva rivolto.
Aprì gli occhi per essere trafitto di suoi, attenti e
vigili, mentre lui si sentiva così stanco.
Distolse lo sguardo, guardando fuori dalla finestra.
Era buio. “Che ora è?”
“è sera. Hai dormito tutto il giorno.”
“è tanto che sei qui?”
Lei scosse le spalle. “Non sono stanca.”
Lui sospirò. Non le avrebbe dato pace. “Cosa vuoi
sapere?”
Ginny si sistemò la chioma rosso fuoco dietro le
spalle delineate. Indossava una canotta bianca che risaltava la sua corporatura
atletica, i suoi seni sodi. Un pantaloncino aderente copriva i fianchi. Il
tatuaggio del serpente saliva sulla spalla sinistra. Era bellissima, anche più
bella di quando l’aveva conosciuta. Lui invece doveva avere un’aria di merda.
Era anche vestito con quei camici che lasciano scoperto il sedere. Non voleva
guardare i suoi capelli. Era sicuro di avere il catetere infilato su per
l’uccello perché era un bel po’ che era disteso e non aveva nessunissima voglia
di pisciare.
“Tutto. Puoi iniziare dall’inizio.” Il suo sguardo era
duro, come quando si arrabbiava perché non la chiamava e faceva tardi dopo una
missione. Come quando oltrepassava quella linea fra scherzo e ironia. Poteva
tracciare un disegno di quell’occhiata, da tanto la conosceva. Poteva quasi
sentirne il sapore.
“è una storia noiosa.” Tentò un ultimo approccio.
“Non mi vorrai mica annoiare, rendila interessante.”
Disse incrociando le braccia al petto.
Draco abbandonò la testa sul cuscino.
“Che cosa sai?” si umettò le labbra Draco.
“Difficile da dire, no? Dovresti chiedermi piuttosto
cosa non so per colpa tua.”
“Sei arrabbiata?” questa frase lo portò indietro nel
tempo. A tutte le volte che erano da soli e sentiva l’intonazione della sua
voce che saliva, in quelle interminabili volte che faceva qualche battuta che
superava quell’incolore linea che avevano tracciato per non litigare, ma che
inevitabilmente superava solo per poter vedere le sue sopracciglia brune che si
incrociavano.
“Sono furiosa. Grazie per averlo chiesto. Adesso puoi
iniziare.” Lo sguardo della rossa era fisso davanti a sé. Furiosa era dir poco.
Aspettò di poter ricevere il suo sguardo, ma attese invano poiché non si levò finché
non riprese a parlare.
“Chiaramente mi sono innamorato io per primo.” Lei alzò
la testa per incrociare gli occhi.
Un sorriso amaro comparve sul suo volto. Il loro primo
incontro, al quartiere generale della fenice, non era stato idilliaco.
“La prima volta che ci siamo incontrati volevi
uccidermi. Non mi credevi capace di essere realmente una spia. Mi hai
rovesciato tutto quello che pensavi in faccia: che ero uno schifoso voltafaccia,
un opportunista, hai urlato che l’unica ragione per cui ero lì era che volessi tenere
un piede in due scarpe. Hai cercato di convincere Potter ad uccidermi e buttare
il mio cadavere ai maiali. Testuali parole. Io ero esterrefatto. La prima volta
che ci siamo visti in pratica abbiamo litigato, anzi ci hanno dovuto dividere
per calmarci.
Quando sono tornato a casa era furibondo, volevo
buttare tutto a monte. Potter ci aveva messo mesi a convincermi a far parte dei
vostri e fare la spia dell’ordine dentro i mangiamorte, quelli che una volta
avrei chiamato i miei compagni. Io e Potter avevamo parlato per settimane su
come scambiarci le informazioni, chi mettere al corrente del mio doppio gioco,
le parole da utilizzare nei messaggi. Gli avevo raccontato tutto, le missioni,
i nostri obbiettivi, le basi nascoste. Tu stavi per buttare settimane di
contrattazioni e trattative in meno di mezz’ora e sembrava non fregartene
nulla.
Potter ha cercato di mediare per calmarmi, ma non
volevo ascoltare ragioni. Non volevo aver niente a che fare con te. Nessuno mi
aveva mai parlato in quel modo.”
Draco piegò l’angolo della bocca in un ghigno. Come le
doveva esser sembrato sciocco all’inizio. Come era cambiato e solo grazie a
lei.
Ginny sollevò un sopracciglio incitandolo a continuare.
“Dopo essermi calmato, ho capito che avevi ragione su
tutto. Non avevo ancora deciso di affidarmi a Potter in tutto per tutto. A
volte l’idea di fare la spia per l’ordine nei mangiamorte, mi sembrava ancora
una terribile idea. C’era una parte di me che sapeva che, se le cose si
mettevano male, veramente male, potevo sempre vendere Potter al Signore Oscuro.
Convincerlo che mi aveva contattato lui, avendo salva la via. Avevo paura.
Tu mi hai aperto gli occhi per la prima volta in vita
mia. Non mi ero mai reso conto di come fossi, non realmente. Io ho sempre e
solo mentito nella mia vita, macchinavo dietro ogni cosa anche la più semplice
per girala a mio favore. Il contrario di te, che invece eri stata così semplice.
Avevi detto la verità e non te ne fregava nulla di dirla. Avevi un’opinione di
me e me l’hai semplicemente sputata in faccia. Senza pensare alle conseguenze. Non
avevo mai incontrata una cosa così... onesta.”
Si volse per osservarla. Lei abbassò gli occhi, come
una ragazzina. Draco sorrise. Aveva sempre amato, quando fosse forte e
spudorata, ma al contempo poco avvezza ai complimenti.
“Così tornai il giorno dopo, solo per farti vedere che
ti sbagliavi. Tornai per diversi giorni, guadagnandomi solo il tuo disprezzo. Il
giorno dopo e quello dopo ancora. Con il tempo mi resi conto che la spia per
l’ordine non lo facevo più per me stesso, ma solo per vederti. Per poter
scambiare qualche parola con te. Alla fine era diventata un’abitudine cercarti,
stuzzicarti con qualche frase solo farti arrabbiare, solo far avere la tua
considerazione anche se era solo per deridermi. Mi ero innamorato di te senza
rendermene conto. Quando capì che tutto quello che facevo, era solo per avere
la tua considerazione, mi sono semplicemente rilassato. Rilassato per la prima
volta nella mia vita.”
Cercò per l’ennesima volta i suoi occhi. Lo sguardo
caldo di cui si era innamorato e che non aveva mai messo davanti a nessuno
nella sua vita, ma lei continuava a negarglielo. Si chiese se mai glielo
avrebbe di nuovo concesso o se, alla fine della storia, se ne sarebbe andata
via, lasciandolo di nuovo solo.
“Quindi, come mi hai convinta?” chiese asciutta.
Draco sospirò, scuotendo la testa, mentre sentiva il
dolore allo stomaco salire a torturarlo. Aveva fame. Raccontare storielle a
stomaco vuoto, dopo un tentato suicidio non era il massimo. “Hai semplicemente ceduto
dopo la millesima volta che ci ho provato.”
Fu la volta di Ginny di scuotere la testa.
“Non è da me. Io non mi comporto così. Per me non sei
altro che un estraneo. Devo esser stata una pazza per innamorarti di te. Come
ci siamo baciati? Come ci siamo innamorati? Siamo usciti insieme o mi hai semplicemente
stordito con un sputeficium.”
Draco provò ad ingoiare la sua salire, ma il dolore
alla gola era terribile. “Scusa ti dispiace darmi da bere.” Disse indicando la
brocca di acqua sul tavolino. Ginny si alzò per riempire il bicchiere, si volse
per porgerglielo. Si scambiarono uno sguardo più lungo del solito, mentre il
bicchiere passava dalle sue mani a quelle di Draco.
Ginny si appoggiò sulla poltrona facendo un lungo
respiro. “Continua per favore.”
“Perché?”
“Cosa?”
“Perché è tanto importante? Perché vuoi sapere
adesso?”
Lei alzò le spalle, poi le scosse. “Non posso
lasciarti finché non so tutto.”
Lui alzò uno sguardo su di lei, trovando gli occhi imperlati
di gocce lucide. Ginny scosse la testa. “Quando mi hanno detto di te e me, non ci
potevo credere. O meglio non potevo credere che eri stato così vigliacco da obliverare tutti i miei ricordi, i nostri. Ero così
arrabbiata, volevo correre qui a ucciderti. Poi una strana sensazione mi ha
preso. Tu eri in ospedale, non sapevo se stavi bene, non sapevo se avresti
passato la notte. Sono andata nel panico. Avevo paura che morissi, allora io non
avrei ricordato più perché ti avevo amato. Ho temuto che morto tu, una piccola
parte di me, una che non conosco, sarebbe morta anche lei.” Ginny sospirò,
passandosi una mano sulla fronte.
“Sono corsa in ospedale. Sono entrata urlando che ero
la tua fidanzata e che dovevo starti affianco. Mi hanno fatto entrare solo
così, forse anche per farmi stare zitta, non lo so. Urlavo come una pazza.”
La grinfondoro si fece
silenziosa. Uno scoscio fuori dalla finestra la fece soprassedere. Si mise a piovere
all’improvviso, l’acqua cadeva dal cielo come se non lo avesse mai fatto nei
millenni.
Un’infermiera si affacciò alla porta. “scusate ma
l’orario delle visite è terminato. Se non è un...”
“Sono la sua fidanzata.” Disse Ginny con una voce
secca. L’infermiera rivolse uno sguardo al ragazzo disteso sul letto per
cercarne consenso, ma lui aveva occhi solo per lei.
L’infermiera dopo un attimo di esitazione fece un
cenno con la testa e chiuse la porta.
“Sembri una pazza.”
Lei alzò le spalle fissando la tempesta oltre la finestra.
“Non sono io quella legata a un letto di ospedale.”
“Vero.”
“A proposito, mi dispiace per quello che ti ho detto.”
“Quale delle mille volte che mi hai urlato in faccia
ti dispiace.” Sospirò Draco socchiudendo gli occhi. La luce della stanza gli
dava fastidio.
“L’ultima. Prima che tu...”
Draco alzò il polso per osservare il polso tagliato
coperto con una benda talmente stretta che non si sentiva più le dita. “Diciamo
che ho reagito male.”
La rossa sbuffò. “Hai reagito male? Andiamo. È così
che affrontate le cose voi serpeverde. Quando le cose
si mettono male, vi tagliate le vene?”
“in effetti nel mio albero genealogico ci sono un
sacco di suicidi, pensavo più che altro per tutti quel matrimoni combinati.”
“Per Merlino, Draco. Non riesci a essere serio. Hai
appena cercato di tagliarti le vene perché ti ho gridato addosso.”
“Mia madre me lo diceva sempre che sono un
melodrammatico.”
“Smettila una buona volta di fare finta e parlami da
uomo.” Urlò.
Lui socchiuse gli occhi puntandoli contro il soffitto.
Ne aveva abbastanza di litigare. Adesso era troppo presto per questo. Anzi ne
aveva abbastanza per tutta la vita.
Ginny si calmò.
Spostò il peso da un piede all’altro osservandolo tacere. Gli faceva male quel
silenzio, come se l’avesse invasa soffocandola. “scusa, io...” sussurrò.
“Lascia stare. Sto bene.” Disse asciutto.
Ginny sospirò, mettendosi affianco a lui, seduta sul
letto. “Non riesco a fare a meno di fare così, mi viene semplicemente naturale
urlarti in faccia.”
“Posso sopportarlo. Concedimi almeno il tempo di
rimettermi in piedi.”
“Non è una cosa che faccio solo te. Lo faccio con
tutti, anche con i miei fratelli. E semplicemente il mio modo di comportarmi. Solo
che con te ho esagerato, scusa.”
Draco fissava ancora il muro. Scusa… era tutto quello
che voleva sentirsi dire. Eppure, adesso che lo aveva detto, non desiderava
aver ragione, voleva solo stringerla fra le sue braccia. Baciarla, farla ridere
e pizzicarla con la barba ancora da rasare. Voleva di più. Chiedeva quello che
aveva distrutto con le sue mani. Un caldo abbraccio e un sorriso, una vita
felice.
“Lo so che non avrei dovuto dirti... quelle cose ieri
sera... io non capivo perché tu fossi venuto da noi dopo quello che ti era
successo, mi sembrava assurdo che volessi stare a casa con noi. Ero arrabbiata.
Non mi capacitavo come tu, un ex mangiamorte, fossi ancora vivo e Fred invece
fosse morto, tentando di salvarti.”
Il biondo si mise la mano libera, fasciata di bende
leggermente rosate dal sangue, sugli occhi e sospirò. “questa è un'altra cosa
con cui devo convivere.”
Lei scosse la testa. Fuori dalla finestra la tempesta
irrompeva sulle finestre. “Non devi, è morto da eroe, facendo quello che tutti
gli eroi fanno, salvano gli altri eroi.”
Draco spalancò gli occhi e alzò la mano dalla fronte.
La osservò alzando un sopracciglio. Ginny sorrise.
“Non sei un vigliacco, Draco. Sei stato molto
coraggioso a fare il doppio gioco per tutto questo tempo. Harry dice che non
avremmo vinto la guerra senza di te. Anche tu ti sei dimostrato un eroe.”
Draco abbassò la testa sul cuscino. “Non è così che mi
sento. Sono solo stanco.” La sua voce aveva un’inclinazione che non gli aveva
mai udito, ma che forse l’altra Ginny, quella che lo conosceva meglio di tutti,
aveva già sentito. Mentre Draco si confidava aprendosi, le sembrava quasi che
quella Ginny riaffiorasse, per sostituirsi alla solita Ginny, quella odiosa e
cinica. Pregò che fosse così, perché di essere sé stessa, ne aveva già
abbastanza.
“Vuoi che vado via?” chiese.
Lui scosse la testa.
Ginny si alzò di nuovo per guardare il temporale che
incombeva fuori dalla finestra.
“Quanto tempo hai passato prigioniero?”
“Mi hanno detto due settimane.”
Draco scivolò nei ricordi di quel periodo. Il metallo
sulle sbarre, il buoi, l’odore di urina. Le celle che da piccolo usava per
giocare, le stesse celle in cui aveva rinchiuso qualche povero elfo solo un
decennio fa, adesso gli si erano rivoltato contro. Non avrebbe mai pensato di
finirci un giorno dentro. Non le avrebbe più viste come prima, anzi una volta a
casa le avrebbe smantellate.
Ogni giorno era come i precedenti. Tutti uguali, le
stesse torture, lo stesso cibo, lo stesso dolore. Ogni giorno scendevano le
stesse persone, compagni che un tempo aveva chiamato amici, e venivano non per
farlo parlare, ma solo a torturarlo.
Draco credeva che avrebbe subito un interrogatorio, ma a nessuno interessava
quello che aveva da dire. A nessun importava perché avesse fatto quelle scelte.
Nemmeno a suo padre. Non era sceso a guardare in faccia suo figlio nemmeno una
volta.
Quando tutto era finito e c’era tanto silenzio da
poter sentire i grilli fuori dalla grata che dava sul giardino, era invaso una sensazione
di pace. Ringrazia dio perché Ginevra fosse libera, lontana da loro, al sicuro
nel tuo letto, con quello stupido peluche di giraffa che si ostina che tenere.
“Draco…” ginny fermò le parole
che si spensero in gola, sentendo una strana sensazione. Non le sembrò strano
chiamarlo per nome, solo nostalgico. Le parole rimasero incollate sulla lingua
come una carezza.
Due occhi diamantati si posarono su di lei. “Perché ti
ho cancellato i ricordi?”
Lei annuì. “Dimmelo, per favore.”
“Credevo di morire, Ginevra.”
Lei scosse la testa, non capendo, così continuò. “Il signore Oscuro…” si bloccò, pensando fosse
meglio chiamarlo come tutti, tu-sai-chi, ma anche ora che era morto per lui
restava sempre il signore oscuro. “Lui sapeva. Tornando alla base ero convinto
di andare a morire. Non credevo di poter avere una seconda occasione. Ho
parlato con Potter e con tuo fratello. Ho chiesto loro di cancellarti i ricordi
e li ho salutati. Loro si erano opposti ovviamente, soprattutto tuo fratello.
Non volevano farti questo, Potter mi ha chiesto più volte di restare, avrebbe
provato a nascondermi, diceva. Tutti i mangiamorte sanno che non c’è luogo che
ti possa nascondere dal Signore Oscuro. Se hai il marchio lui ti troverà. Non potevo
nascondermi e temevo di poterlo a te. Così solo andato da lui.
Io volevo solo che andassi avanti senza di me.”
Lei chiuse gli occhi. “Sei un idiota.”
“sì, me l’hanno detto anche loro.”
Ginny sorrise, prima di posarli un bacio sulle labbra.
Gli riaprì sui suoi e sorrise perdendosi in quello sguardo caldo che amava più
di lui stesso. Il biondo si scostò, osservando in volto e lei non volle esimersi
da quello sguardo.
“Perché ridi?”
La rossa allungò una mano per infialare la sua nella
propria. La strinse forte, sentendo le dita di uno affiorare fra le dita
dell’altro. Lui strinse le dita e gliele baciò. Chiuse gli occhi, assaporando
quel momento a cui le sue labbra anelavano da tempo.
“è tipico di me, innamorarmi di un idiota.”
Grazie a tutti quelli che hanno letto fino
a qua. Questa one-shot doveva essere l’inizio della fanfiction “Spia d’amore”,
ma in un secondo momento ho deciso di non farla iniziare con un suicidio. Così è
venuto fuori questo. Fatemi sapere se vi è piaciuta.
Un abbraccio
Vege!