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Autore: Lamy_    23/06/2021    1 recensioni
Ariadne ha smesso di scappare dal suo passato. Ha deciso di sfidare l’autorità della madre e di opporsi a Mick King. Per farlo scende a compromessi con Alfie Solomons: Ariadne accetta di diventare il capo della gang di Camden Town.
A Birmingham Tommy continua a mandare avanti gli affari dei Peaky Blinders e a lavorare per il Parlamento.
Le strade di Ariadne e Tommy si incontrano di nuovo intorno ad un tavolo di affari. Stringono una alleanza che viene suggellata da baci di passione pura.
Ariadne pagherà cara la sua discesa agli inferi e scoprirà che le fiamme bruciano più intensamente quando sei un peccatore.
“Qui possiamo regnare sicuri, e a mio parere
regnare è una degna ambizione, anche se all'inferno:
Meglio regnare all'inferno che servire in paradiso.”
(John Milton, Il Paradiso Perduto)
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Thomas Shelby
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. I FUGGITIVI

“L’inferno è la mia grande passione.”
(Alda Merini)
 
Il giorno dopo
Jonah come al solito fu in piedi alle sei del mattino. Fin da quando aveva dodici anni aveva l’abitudine di svegliarsi all’alba. All’epoca lo faceva per andare a lavorare e aiutare la famiglia, mentre adesso lo faceva perché dormire gli procurava sogni a cui non voleva pensare. Rimase sbalordito quando trovò Ariadne in salotto che fissava il quadro di una natura morta firmata da un pittore scozzese.
“Signorina, state bene?”
Ariadne annuì distrattamente, non aveva neanche sentito la domanda. Era troppo concentrata sul fiore secco dipinto per dargli attenzione. Jonah le toccò delicatamente la spalla, la sua mano era tanto leggera da sembrare priva di ossa.
“Signorina.”
Ariadne sbatté le palpebre, alcune lacrime le bagnavano le ciglia, e si schiarì la voce.
“Sto bene, Jonah. Stavo solo riflettendo. I prossimi giorni saranno difficili.”
“Ci siamo preparati a questo momento per molto tempo. E’ ora di affrontare vostra madre.”
“Non so se ce la faccio. Ho paura di fallire. Quella donna mi mette sempre in difficoltà.”
Jonah notò che lei indossava ancora i vestiti del giorno precedente. I ricci erano più scompigliati del solito e la sua pelle emanava un vago sentore di tabacco.
“Per questo siete stata con Tommy Shelby? Suppongo che abbiate elaborato una strategia.”
“Esatto. Tommy dice di avere un piano infallibile.” Disse Ariadne.
“Ovviamente.” Replicò Jonah, piccato.
“Che problema hai con Tommy? E’ chiaro che non lo sopporti.”
L’uomo si alzò e si passò le mani sul viso, aveva gli occhi che quasi gli schizzavano dalle orbite per l’agitazione.
“Tommy è una fonte di distrazione per voi. Non potete concedervi questo lusso, signorina. Voi dovete restare focalizzata sull’obiettivo.”
Ariadne inclinò la testa e studiò l’atteggiamento ostile di Jonah. Era una persona pacata, salda anche nei momenti peggiori, ma adesso stava perdendo il controllo.
“Jonah, parla con me. Io sono tua amica. Lo vedo che qualcosa ti tormenta.”
Jonah si afflosciò sul divano, le mani che tremavano e la fronte che sudava freddo.
“Sarò costretto a tornare a Gerusalemme se il nostro piano fallisce. Non posso tornare là.”
“Perché? Dimmi.”
“Oh, signorina… ho commesso un grave errore. Un errore mortale.”
Ariadne gli sollevò il mento con la mano e gli accarezzo lo zigomo sinistro.
“Parla con me.”
“Sono cresciuto in un villaggio nei pressi di Gerusalemme in cui vivevano dieci bambini. Ester era la mia migliore amica. Passavamo ore a parlare di tutto, a sognare il momento in cui ci saremmo trasferiti in Inghilterra grazie agli affari di Alfie. Ma i sogni si infransero quando Ester si ammalò all’età di ventidue anni. Il nostro villaggio era povero come le nostre famiglie. A Gerusalemme nessuno era disposto a fare la carità ad una ragazza malata. Così ho accettato di fare il lavoro sporco per Alfie: io stavo al suo servizio e lui mi dava i soldi per aiutare Ester.”
“Ce l’hai fatta? Ester è guarita?”
Per la prima volta Ariadne vide Johan piangere. Non era più l’uomo-falco che vegliava su di lei con espressione marmorea, era solo un uomo affranto da dolore.
“Ester è morta l’anno scorso. Non sono riuscito a partecipare al funerale, ero impegnato a nascondere Alfie a Margate. Capite, signorina? Ho deluso l’unica persona importante della mia vita. Non posso tornare a Gerusalemme e far finta di niente. Mi vergognerei troppo a guardare in faccia i genitori di Ester dopo che ho deluso le loro speranze.”
Ariadne lo abbracciò forte. Ormai Jonah era fondamentale nella sua vita, un amico leale a cui non avrebbe mai rinunciato. Si accorse che distruggere i Blue Lions implicava salvare molte persone: Julian, Eric, Jonah, Barbara e Agnes, Rose, e infine se stessa.
“Farò il possibile, te lo prometto. Non tornerai a Gerusalemme.”
Jonah pianse sulla sua spalla fino a quando le lacrime non diventarono silenziosi singhiozzi.
 
Due giorni dopo
Alle cinque di pomeriggio Ariadne entrò al Garrison insieme a Julian e Rose. Margaret li accolse con un sorriso gentile.
“Gli altri ci aspettano nel privé.”
Era la prima volta che Tommy invitava Margaret nel privé per questioni legate ai Peaky Blinders. La ragazza di solito si limitava a pulire il tavolo, lavare a terra e consegnare i drink. Ecco perché era tutta emozionata mentre si sedeva accanto a Finn. Anche Julian e Rose prese posto vicini, mentre Ariadne si appoggiò alla parete e incrociò le braccia al petto.
“Io e Arthur abbiamo preparato tutto. Voi siete ancora d’accordo?” chiese Tommy.
Il suo sguardo era saettato su Ariadne quando lei era comparsa. Anche adesso la guardava con la coda dell’occhio.
“Assolutamente sì. Possiamo procedere.” Convenne Julian.
Arthur stese sul tavolo una piantina della villa degli Evans su cui erano segnati delle ‘x’ nere.
“Ieri sono andato all’ufficio catastale per avere questa pianta della casa.”
“Tocca a voi dirci i punti di accesso favorevoli e sfavorevoli.” Aggiunse Tommy.
Ariadne si chinò sulla piantina, i ricci rossi che le pendevano lungo le tempie come preziose tende di lino rossastro.
“La villa risale agli inizi dell’Ottocento, quando Napoleone dichiarò guerra all’Inghilterra. Fu creato un passaggio sotterraneo per scappare nel caso in cui i francesi avessero invaso il Paese. Il passaggio corre dalla cantina al giardino, superando il recinto e uscendo in strada.”
“Possiamo passare dall’entrata. Nessun problema.” Disse Arthur.
“Un problema c’è: nostro padre ha sigillato il passaggio anni fa.” Spiegò Julian.
“Come lo ha sigillato?” domandò Tommy, pensieroso.
“Con un cancello di ferro spesso. Non c’è serratura, quindi è impossibile usare una chiave.”
“Possiamo fondere il ferro del cancello.” Disse Arthur.
Tommy gli lanciò un’occhiata in tralice e si passò le dita sul mento, quasi poteva sentire gli ingranaggi del proprio cervello muoversi.
“Il ferro fonde a 1530 gradi. Ci serve del combustibile per scioglierlo.”
“Non devi sciogliere tutto il ferro. Basta un buco per farci passare una persona.” Disse Arthur.
Ariadne fece scattare la testa in direzione di Tommy, stupita dalla conoscenza dell’uomo.
“Come sai queste cose?”
“Quando sei un soldato e passi anni a scavare dei fottuti tunnel in Francia impari qualcosa.”
“Possiamo usare il coke della fabbrica. E’ un combustibile artificiale utile.” Disse Arthur.
“Possiamo usare un attrezzo per spaccare il cancello? Tipo una tenaglia?” fece Finn.
Tommy gli tirò uno scappellotto sulla nuca che quasi gli fece sbattere la fronte sul tavolo.
“Perderemmo tempo a cercare un fottuto combustibile se potessi usare uno strumento? Una grossa tenaglia del cazzo non apre un cancello di ferro rinforzato e fa troppo rumore. Deve essere per forza sciolto per aprirlo senza che qualcuno se ne accorga.”
“Me ne occupo io. Vado in fabbrica e chiedo ai saldatori.” Disse Arthur.
“Porta Finn con te, magari impara qualcosa.”
Finn e Arthur lasciarono in Garrison per raggiungere la fabbrica di Small Heath dove lavoravano alcuni uomini che ogni tanto gli passavano informazioni in cambio di soldi.
“Come superiamo le guardie? Mia madre avrà ingaggiato un esercito.” Esordì Julian.
Ariadne staccò gli occhi dalla pianta per guardare il fratello con estrema serietà.
“Qui entrate in gioco tu e Rose. Voi dovete distrarre la mamma mentre noi portiamo via Eric.”
“Possiamo andare da lei con la scusa del fidanzamento.” Propose Rose.
“E io posso innescare uno dei nostri consueti litigi.” Si aggregò Julian.
“Ottimo!” esclamò Ariadne.
“E chi porterà fuori Eric?” chiese Margaret, perplessa.
D’istinto Tommy e Ariadne si guardarono, avevano comunicato anche senza parlarsi.
“Entreremo solo in due. Meno siamo, più facile sarà nascondersi dalle guardie. Io e Ariadne attraverseremo il passaggio, raggiungeremo Eric e rifaremo il tragitto per uscire. Una macchina ci aspetterà fuori dal recinto e andremo in un luogo sicuro.”
“Quale luogo?” domandò Ariadne.
“In una casa di campagna da mia sorella Ada. Michael incontrerà Barbara davanti alla cattedrale alle dieci e la porterà fuori città.”
“Significa che entro le dieci dovremo essere tutti fuori da quella casa.” Disse Rose.
Ariadne fissò la pianta della villa nel punto in cui la didascalia indicava lo studio di suo padre. Per un secondo le urla del padre riecheggiarono nella sua testa, era un suono rabbioso e assordante. La mano destra con cui aveva conficcato l’attizzatoio incominciò a tremolare. Il respiro accentuò fino a bruciarle i polmoni. Stava avendo un attacco di panico.
“Aria?” la chiamò Julian.
Per quanto volesse concentrarsi e tornare indietro, era come se il suo corpo fosse bloccato nel ricordo atroce di quella notte.
“Shh, calmati. Va tutto bene, Ariadne. Respira.” Le sussurrò Tommy.
Pian piano si sforzò di regolarizzare il respiro e la vista cominciò a tornare lucida. Quando si fu ripresa, tutti gli occhi erano puntati su di lei. Julian era il volto della preoccupazione.
“Aria?”
“Sto bene. Scusatemi.”
Ariadne corse fuori dal privé per andare in strada a prendere una boccata d’aria fresca. Fu come togliere un tappo dal petto e lasciare defluire l’aria.
“Come stai?”
Tommy sollevò la testa per guardare il cielo che si riempiva di nuvoloni neri; presto sarebbe venuto a piovere, Polly lo aveva letto nei fondi del tè.
“Sto meglio, grazie. Mi capita spesso.”
“Ti capisco. Anche io certe notti perdo il contatto della realtà quando i ricordi della guerra sono troppo forti per combatterli. Siamo umani, a volte succede.”
Ariadne si passò una mano fra i ricci e raddrizzò la schiena come a voler riprendere in mano le redini di se stessa.
“Stasera potrebbe essere difficile per me tornare in quella casa. Hai lo stesso fiducia in me?”
Tommy, per qualche assurda ragione a lui ignota, si chinò su di lei per scostarle un riccio dalla fronte.
“Fiducia o follia, chiamala come preferisci.”
 
Margaret non credeva davvero che Tommy l’avrebbe coinvolta in una missione dei Peaky Blinders. Di solito gli Shelby si rivolgevano a lei solo per il whiskey e per sapere in quale zuffa fosse capitato Finn. Adesso, a dispetto delle sue credenze, aspettava in una lussuosa auto blu insieme a Charlotte Foster.
“Cosa dobbiamo fare di preciso?”
Charlotte le sbuffò il fumo della sigaretta in faccia, ridendo per la sua tosse convulsa. Tossiva anche quando Finn fumava vicino a lei.
“Non sei molto sveglia, ecco perché fai la barista. Dobbiamo distrarre gli uomini che sono appostati fuori dalla villa. Comprendi o devo ripeterlo lentamente?”
Margaret gonfiò il petto per incanalare la rabbia, odiava quei modi di fare altezzosi di Charlotte.
“Guarda che ti comprendo benissimo! Non ho fatto le scuole come te, però non sono mica stupida!”
“Allora forse, e dico forse, ne usciremo vive.” Replicò Charlotte.
“Perché sei sempre così cattiva?” chiese Margaret.
“Sono pragmatica, che è ben diverso. Rischiamo tutti il culo perché la principessina dai riccioli rossi vuole vendicarsi. Inconcepibile!”
Charlotte era stata diffidente sin da dubito. Dopo che Tommy l’aveva assunta, Margaret aveva pensato che potessero diventare amiche, però la ragazza rispondeva a tono e non la degnava di uno sguardo.
“Ariadne non ti piace, giusto?”
“E’ per colpa sua se sono stata picchiata. Ovvio che non mi piace! Anche tu dovresti lasciarla perdere, quella porta solo rogne.”
“Quindi sei qui per Tommy.” Disse Margaret.
Charlotte strinse le mani intorno al manubrio, le nocche stavano sbiancando. Avrebbe voluto andarsene, rifiutare quell’incarico, ma Tommy come al solito l’aveva convinta. Non riusciva mai a dirgli di no.
“Tommy è il mio capo. Faccio quello che mi chiede.”
“Gli uomini Shelby piacciono a tutte. Io ne so qualcosa, fidati.” Disse Margaret.
Le loro bizzarre confidenze furono troncate dall’arrivo di un camioncino grigio da cui scesero Arthur, Tommy e Finn. Charlotte smontò dalla macchina e camminò a braccia incrociate verso di loro.
“All’esterno ci sono quattro uomini. Dobbiamo occuparcene io e la biondina?”
“Tu e Margaret dovrete distrarre solo quelli davanti all’ingresso.” Rispose Tommy.
Dal fondo della strada Ariadne sopraggiunse in bicicletta. Jonah stava indagando sui movimenti degli Scuttlers e aveva preso l’auto, dunque lei aveva dovuto affidarsi alle sue gambe.
“Scusate il ritardo. Ci siamo tutti?”
Charlotte notò che gli occhi di Tommy si era illuminati alla vista di Ariadne. Sebbene lui si sforzasse di restare indifferente, era palese che adorasse avere attorno la rossa.
“Non trovavi la corona, principessina?” la canzonò Charlotte.
Ariadne rise e fece un inchino buffo, trovava davvero divertente quella frecciatina.
“La corona non mi si addice, potrei perderla durante la fuga.”
“Andate da parrucchiere o ci diamo una mossa?” si intromise Tommy.
Arthur e Finn ridacchiarono, come sempre il fratello si trovava in mezzo ad un dramma tutto al femminile.
“Diamoci una mossa, a mezzanotte la bicicletta si trasforma in zucca.” Disse Ariadne.
“Patetica.” Mormorò Charlotte.
Nel frattempo – per sottrarsi a quella scenetta – Tommy si stava togliendo la giacca e la cravatta, poi si avvolse le maniche fino ai gomiti.
“Avete trovato l’occorrente per squagliare il ferro?” domandò Margaret.
Finn estrasse dalla tasca un panno bianco e aprì i lembi per mostrare il contenuto: si trattava di polvere grigia opaca simile alla cenere.
“E’ coke catalico, ottimo combustibile. Ce l’hanno dato i ragazzi della fabbrica a buon prezzo.”
“Come si usa?” chiese Charlotte.
“Me la vedo io. Ariadne, sei pronta?” tagliò corto Tommy.
“No. Proprio per niente.”
“Grandioso. Andiamo.”
Tommy le afferrò la mano e la trascinò verso il retro della villa. Charlotte vide con disappunto che le loro dita automaticamente si incastrarono alla perfezione.
 
Ariadne e Tommy aspettarono all’incirca dieci minuti prima che Julian e Rose attuassero la loro messa in scena. Avevano trovato il finto tombino da cui sbucava il passaggio e permetteva di uscire.
“Dove si trova la camera di Eric?”
“Secondo piano, ultima porta a destra. Prima era la camera di Julian.” disse Ariadne.
Tommy studiò ancora la pianta della villa, non voleva sorprese spiacevoli di nessun genere.
“Com’è il passaggio segreto? Quanto è lungo?”
“E’ un semplice corridoio di circa trenta metri. Non è un granché, devo ammetterlo.”
Tommy usò un martello per sollevare il tombino, dopodiché illuminò il fondo e scorse uno spazio angusto.
“Sei mai entrata qui?”
“No. E’ abbastanza grande per due?”
“Ce lo faremo bastare. Caricheremo Eric sul furgoncino e andremo nel luogo indicato. Ada ci aspetta lì con un medico per visitare Eric.”
Ariadne allungò la mano per toccare la guancia di Tommy, che sollevò lo sguardo confuso su di lei.
“Grazie, Tom.”
“Lo faccio soltanto per gli affari.”
Ariadne fece ricadere la mano, ma in fondo avrebbe dovuto prevedere quella risposta gelida.
“Capisco.”
La testa di Tommy scattò nel momento in cui Julian parcheggiò l’auto nel vialetto. Diede un’occhiata all’orologio da taschino: avevano soltanto venti minuti.
“Scendiamo.”
 
“Puzza come se ci fossero cento cadaveri.” Si lamentò Ariadne.
Si erano calati nel finto tombino con una corda e da lì avevano proseguito velocemente verso il cuore della dimora.
“Cento cadaveri puzzano molto di più.” Confermò Tommy.
“Allora qui ci sono cinquanta cadaveri?”
“Resta concentrata. Cosa c’è dopo il cancello?”
“C’è la cantina. Per entrare nella villa dovremo usare la scalinata. Saremo visibili.”
“C’è di peggio.”
Continuarono in silenzio, soltanto i loro respiri accelerati spezzavano il mutismo. Più avanzavano e più l’ossigeno sembrava diminuire. Qualche metro dopo Ariadne si arrestò di colpo.
“Ecco il cancello.”
“Sposati e copriti il naso.”
Il cancello in questione era un enorme porta a doppio battente in ferro massiccio. Aldilà c’era il giardino, ma lo spessore metallico impediva ai rumori e agli odori di penetrare. Tommy versò il coke catalitico nella serratura e usò l’accendino per dare fuoco alla polvere. In pochi istanti una fiamma bollente avvolse il ferro divorandolo velocemente.
“Questo puzza davvero!” commentò Ariadne.
Lei e Tommy usavano il gomito per tapparsi il naso, però l’odore di ferro bruciato faceva loro pizzicare la gola lo stesso. Il combustibile aveva mangiato la serratura e un pannello, creando un grosso buco nero.
“Prima le signore.” Disse Tommy.
Ariadne si infilò nel buco, peccato che non fosse Alice e che quello non fosse il Paese delle Meraviglie. Attivò l’interruttore e la luce illuminò la cantina. Tommy fece fatica a varcare il cancello, il buco era troppo piccolo e un lembo di ferro gli strappò la manica.
“Julian e Rose sono entrati. Sento i passi.” Disse Ariadne.
Tommy si diede uno sguardo attorno: c’erano sacchi di farina, casse di vino e qualche sella da cavallo. Una porta di legno intarsiato divideva la cantina dal resto della casa.
“Abbiamo poco tempo. Facci strada.”
Si ritrovarono nel corridoio a metà fra la scalinata e lo studio. Un quadro raffigurante due putti faceva bella mostra sulla parete che era poi ornata da candelabri laccati d’oro e foto in bianco e nero. Ariadne osservò una foto in particolare che ritraeva i suoi genitori nel giorno del loro matrimonio; era uno di quei giorni che avevano rovinato la sua vita.
“Da questa parte.”
Arrivarono alle scale facilmente, il corridoio non era sorvegliato come avevano ipotizzato. Salirono veloci senza guadarsi indietro, attenti a non fare troppo rumore. Tommy l’agguantò per il gomito all’ultimo minuto.
“Dove stai andando?”
“A destra verso la stanza di Eric.”
“La porta è sorvegliata. Guarda dietro di te.”
C’era uno specchio ovale sulla parete che rifletteva due uomini armati davanti alla stanza. Ariadne era stata precipitosa, ma la voglia di rivedere suo fratello non doveva rovinare i loro piani.
“Io li distraggo e tu li abbatti.”
“Ariadne, non far-…”
Ma la ragazza si era già tuffata oltre la parete e a Tommy non restava che assecondarla.
 
Julian aveva contato almeno dieci uomini: quattro in giardino che perlustravano il perimetro, due alla porta d’ingresso, due in cucina a difendere la porta sul retro e due di posta davanti alla camera di Eric. A proteggere sua madre come un’ombra c’era Lucius.
“Quindi vi siete fidanzati.” Disse Marianne.
“Esatto. Siamo qui per comunicare il lieto evento.” Replicò Julian.
La madre, vestita di nero e con i capelli castani legati in una severa crocchia, aveva l’espressione statica. I suoi occhi verdi – identici a quelli di Julian – lo guardavano come a voler trovare buchi in quella sua storiella amorosa.
“Hai lasciato questa casa per inseguire tua sorella e ora torni per annunciare il tuo matrimonio. Mio caro Julian, non credere che io sia così sciocca. Cosa vuoi davvero?”
Rose si irrigidì, non era sicura di poter continuare a mentire. Lucius teneva la mano sulla pistola ed era pronto a sparare fino all’ultimo proiettile. Ripensò alla notte in cui Lucius aveva pugnalato Julian, quasi le sembrava di provare la stessa paura. Non poteva perdere l’uomo che amava.
“Ci servono soldi perché sono incinta.”
Julian si strozzò con la sua stessa saliva e iniziò a tossire. Rose gli diede dei colpetti sulla schiena per aiutarlo.
“Già. Aspettiamo un figlio.” Disse lui.
Marianne si toccò la fronte con disperazione, una giornata di sole rovinata da una tale notizia.
“Oh, misericordia! Un ubriacone senza speranze che sta per diventare padre. Rose, ragazza mia, sei a conoscenza delle promiscue inclinazioni di mio figlio?”
“Amo Julian per quello che è. Non mi importa che gli piacciano anche gli uomini.”
Julian strinse la mano di Rose e le sorrise, era una delle poche persone che lo accettavano per la sua vera natura. Con lei non doveva fingere di essere qualcun altro.
“Molto bene. Sono lieta per voi, però non avrete un centesimo da me o da Eric. A meno che…”
Julian colse al volo il sorriso furbo della madre. Marianne Evans sorrideva solo quando la sua mente partoriva idee malefiche.
“Che cosa vuoi, madre?”
“Se voi mi consegnate Ariadne, io vi darò tutto il denaro necessario al bambino.”
Fu allora che Rose sentì un tonfo provenire dal secondo piano; Ariadne e Tommy erano giunti a destinazione. Lucius aveva sentito lo stesso rumore e stava per andare a controllare quando Rose pestò i piedi a terra come una bambina capricciosa.
“No! Io e Julian non accetteremo simili ricatti!” stava strillando.
Julian capì che stava gridando per coprire i rumori, dunque si mise in piedi per aiutarla.
“Madre, tu non ti smentisci mai! Sei una perfida bastarda!”
Marianne non fu scalfita da quelle parole. Lei e Julian avevano un rapporto conflittuale che niente e nessuno avrebbe mai appianato.
“Se Ariadne continuerà a fuggire, sappiate che tutti voi ne pagherete le conseguenze. Io e Mick King vi faremo pentire di essere nati.”
Julian scoppiò in una risata isterica e si abbassò per guardare la madre dritto in faccia.
“La tua esistenza mi fa pentire di essere nato ogni giorno, madre. Sono un ubriacone molto pericoloso, perciò non ti conviene minacciare mia sorella e la mia fidanzata.”
“Sciocco ragazzo. Sei sempre stato un bamboccio debole e perverso.” Grugnì Marianne.
“Augurati che la mia perversione non diventi follia omicida perché in quel caso tu saresti la mia prima vittima.”
 
Ariadne correva senza preoccuparsi del braccio che sfregava contro la parete grezza del passaggio segreto. Dietro di lei Tommy trascinava Eric a fatica. Poiché l’infezione gli aveva debilitato la gamba, Eric non riusciva a camminare bene senza bastone, ma non c’era stato tempo per quello. Tommy aveva tramortito le guardie e Ariadne aveva obbligato il fratello a scendere dal letto. I venti minuti erano scaduti, ecco perché ora correvano per uscire dalla villa.
“Siamo arrivati. Tieni duro, Eric.” Disse Ariadne.
La corda che avevano usato per calarsi nel finto tombino era ancora là, ciò significava che Margaret e Charlotte erano riuscite a distrarre gli uomini all’esterno.
“Ariadne, aiutami a legare la corda.” Disse Tommy.
Ariadne circondò la vita di Tommy con la corda, annodò per bene e la tirò per assicurarsi che fosse salda.
“Come saliamo?”
“Dopo che sarò uscito, legherai Eric e io lo tirerò fuori. Alla fine aiuterò te a uscire.”
“Va bene.”
Tommy avrebbe voluto dire altro, magari abbracciarla o baciarla, ma Eric gemeva di dolore ed era meglio farlo visitare dal medico. Si arrampicò con i piedi lungo la parete e con la braccia si spinse fuori dal tombino.
“Ti butto la corda.”
Ariadne afferrò la corda per legarla ai fianchi di Eric, il quale stava sudando freddo e stava diventando sempre più pallido.
“Eric, resta sveglio. Tra poco rivedrai Barbara e Agnes.”
“G-grazie.” Sussurrò Eric.
Ariadne gli diede un bacio sulla guancia e fece segno a Tommy di tirare.
“Salve, bambolina.” Disse Lucius.
La speranza di cavarsela illesa era appena sfumata. Lucius teneva la pistola puntata su di lei, e lui era un ottimo tiratore.
“Lucius Russel, il traditore per eccellenza.”
“Anche tu sei in fila per l’inferno. Come Julian, Eric e chiunque si opponga a tua madre.”
Ariadne si mise le mani dietro la schiena e richiuse le dita intorno alla pistola che Jonah le aveva dato quella mattina.
“L’inferno è di certo più accogliente di questa casa.”
“Non fare la stupida. Metti le mani in alto.” Disse Lucius sorridendo.
Ariadne sguainò la pistola e prese la mira come le aveva insegnato Jonah. Senza indugiare – e con agilità impressionante – sparò. Lucius si abbassò e schivò il colpo, un ghigno malizioso sulle labbra baffute.
“Sei come uno scarafaggio, Lucius. Non muori mai.”
Qualcosa cadde sulla spalla di Ariadne: era Tommy che le aveva lanciato la corda. Si aggrappò con un solo braccio mentre con l’altro teneva la pistola su Lucius.
 
Tommy e Arthur issarono Ariadne in pochi secondi. Uno sparò risuonò prima che lei fosse in superficie. La ragazza si riversò sull’asfalto con i ricci rossi spettinati.
“Ce ne avete messo di tempo!”
Arthur si accorse subito che Ariadne stava sanguinando dal polpaccio. La rimise in piedi e la tenne fra le braccia.
“Tommy, dobbiamo andare.”
Tommy seguì lo sguardo del fratello e imprecò sottovoce. Ariadne era stata colpita dal proiettile.
“Come ti senti, Ariadne?”
Se fino ad allora Ariadne si sentiva bene, l’agitazione di Tommy la mise in allarme.
“Oh, no. Hai la faccia preoccupata e tu non hai mai la faccia preoccupata. Che succede?”
Un forte capogiro la costrinse a tenersi alla camicia di Arthur. Di colpo le si appannò la vista e lo stomaco si contorse dolorosamente.
“Hai un proiettile nel polpaccio. Non possiamo andare in ospedale. Dobbiamo rimuoverlo mentre andiamo da Ada.”
 
Margaret non aveva mai immaginato uno scenario del genere, neanche nei peggiori dei suoi incubi. Arthur l’aveva trascinata nel retro del furgoncino e lei aveva subito notato una striscia di sangue sul pavimento.
“Finn, parti! Parti!” sbraitò Arthur.
Finn mise a tutto gas e sfrecciò per allontanarsi dalla strada il prima possibile. Dallo specchietto vide l’auto di Charlotte che li seguiva a gran velocità.
“Margaret, devi estrarre il proiettile.” Disse Tommy.
Sebbene la sua voce fosse ferma, continuava a deglutire in preda all’ansia. Le sue mani tremavano e non era in grado di estrarre il proiettile, ecco perché aveva richiamato la cognata.
“Farò del mio meglio. Avete un coltellino?”
“Che diamine devi farci con un coltello?” strillò Ariadne in lacrime.
Il dolore della ferita si era propagato in tutto il corpo. Le sembrava di essere stata folgorata da un fulmine e che tutti i muscoli vibrassero per la scarica. Sanguinava copiosamente, una pozza rossa si accumulava sul pavimento lercio del furgone.
“Mi serve per tirare fuori il proiettile. Fidati di me. Non ti farei mai del male.”
“Margaret ha rattoppato i Peaky Blinders un centinaio di volte.” La incoraggiò Arthur.
Ariadne si era accucciata in un angolo con le gambe distese, era talmente sudata che i capelli le si appiccicavano sulla fronte e sul collo. Tommy si inginocchiò accanto a lei per stringerle la mano.
“Farà molto male, ma tu dovrai resistere. Stringimi la mano quando senti dolore.”
“No! No! No! Non ce la faccio! Non ce la faccio!”
Intanto Arthur le teneva la gamba piantata per terra e con una mano le spingeva la spalla contro la parete del furgoncino.
“Smettila di frignare e fatti levare questo fottuto proiettile. Tira fuori le palle!”
“Non ho le palle, Arthur!” ribatté Ariadne, stizzita.
Tommy si sentiva male. Non sapeva per quale dannato motivo stava male solo a guardarla. Vederla soffrire, vedere il sangue e la sua pelle bianca gli procurava un sussulto violento al cuore. Ariadne era giovane, meritava pomeriggi in biblioteca e balli eleganti, non meritava di essere sparata e di sanguinare durante una fuga rocambolesca.
“Sta calma. Presto sarà tutto finito.” Disse Tommy.
“Col cazzo che mi calmo! Ho un proiettile conficcato nella carne!”
“Adesso non più.” Disse Margaret con un sorriso.
Aveva estratto il proiettile mentre Arthur e Tommy la distraevano. Aveva le mani sporche di sangue e reggeva il corpo estraneo fra indice e pollice.
“Alla salute!” disse Arthur.
Stappò la sua fedele fiaschetta – quella che portava sempre con sé – e versò alcune gocce di whiskey nella ferita. Il resto lo bevve in poche sorsate.
“Come ti senti?” volle sapere Tommy.
Ariadne sentì montare un conato di vomito, poi ebbe un altro capogiro che la obbligò a chiudere gli occhi. Svenne fra le braccia di Tommy.
“Non è andata male!” esclamò Margaret con entusiasmo.
 
Ariadne si svegliò con un terribile mal di testa. La stanza vorticò per qualche istante prima di riuscire a mettersi seduta. Si trovava in una stanza ben arredata, la carta da parati era nuova e lucida, anche il pendolo che ritoccava era nuovo di zecca. Era stesa a letto, avvolta in una calda coperta e con la nuca posata su un morbido cuscino. Una fitta di dolore risalì lungo la gamba facendole ricordare il proiettile nel polpaccio. Adesso la zona interessata era fasciata da una benda e il sangue era stato lavato via, sebbene ne rimanesse traccia sull’orlo dei pantaloni.
La porta si aprì e fece capolino il bel viso di Margaret.
“Bentornata, amica. Come stai?”
“Mi fa male tutto, però non male come mi aspettavo.” Rispose Ariadne.
“Il dottore che ha visitato Eric ti ha fasciato la gamba e ti ha somministrato delle morfina per il dolore.”
Ariadne si massaggiò le tempie pulsanti, era come avere un martello che le frantumava il cranio.
“Mi viene da vomitare.”
“E’ normale. E’ colpa dello shock. Non tutti vengono sparati.” Disse Margaret.
“Eric come sta? Che dice il dottore?”
“Eric se la cava. Un po’ di morfina anche a lui ha giovato. Vuoi alzarti?”
“Sì, per favore. Devo usare il bagno.”
Ariadne si sciacquò la faccia con l’acqua fredda per scacciare la stanchezza. Non servì a molto poiché si sentiva più affaticata di prima. Aveva due cerchi neri intorno agli occhi, le labbra secche, i capelli umidi di sudore.
“Ariadne, hai finito?”
Margaret l’aspettava fuori con un sorriso gentile; era davvero l’unica amica di cui poteva fidarsi.
“Certo, ho finito di ammirare la morta vivente allo specchio.”
“Sei bellissima lo stesso.”
Ariadne diede una spallata amichevole a Margaret e le fece l’occhiolino.
“Ho sete. Posso bere qualcosa o…”
“Andiamo di sotto, in cucina c’è del tè. Gli altri saranno contenti di vederti.”
 
Tommy sedeva davanti alla finestra con sguardo perso. Aveva ancora le mani sporche del sangue seccato di Ariadne, e ora anche la sigaretta che fumava era striata di rosso. C’era qualcosa – un brutto presentimento – che lo dilaniava dentro. Dov’era Michael? Perché era in ritardo? Ormai era sera inoltrata e il cugino avrebbe dovuto presentarsi al nascondiglio due ore prima.
“Sei viva, eh?” disse Arthur.
Tommy si girò e vide Ariadne che zoppicava sulla gamba sana per accasciarsi sul divano. Ada prontamente le versò una tazza di tè.
“Ecco, bevi questo. Per essere stata sparata stai una favola.”
Ariadne incrociò gli occhi di Tommy, per un secondo esistevano solo loro. Fu lui a distogliere lo sguardo per primo per timore che lei, se lo avesse guardato ancora, avrebbe visto il terrore che aveva provato quando le avevano sparato.
“Ma che diavolo…?” borbottò Charlotte.
“Che c’è?” chiese Ariadne, la voce tesa.
Tutti trattennero il respiro quando giunsero ripetuti colpi alla porta. Qualcuno stava bussando. Ci fu un generale – e nervoso – scambio di occhiate.
“Vado io.” Disse Tommy.
Ariadne e Arthur lo seguirono, con lui che reggeva la ragazza claudicante.
“Buonasera.”
Enea Changretta stava sull’uscio con il cappello in mano e un sorriso furbo sulle labbra.
“Che vuoi?” fece Arthur.
“Sono qui per dirvi che Mick e Marianne vogliono parlare con Ariadne e Tommy. Prima che possiate rifiutare o ammazzarmi, sappiate che abbiamo rapito Barbara, Agnes, Lizzie, Charlie e Ruby. Per darvi prova della nostra benevolenza vi lasciamo un regalo di pace.”
Un uomo di Changretta spinse fuori dalla macchina un corpo che ricadde sulla breccia.
“Michael!” disse Ada dalla finestra.
Enea lanciò un’occhiata al corpo scomposto di Michael e fece spallucce.
“Vi aspettiamo domani mattina al Sirens, il locale degli Scuttlers.” 
 
Salve a tutti! ^_^
Mi piaceva troppo l’idea di una evasione rocambolesca con tanto di sparatoria e battutine.
E come al solito Ariadne e Tommy hanno fallito.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.
 
*le indicazioni sulla fusione del ferro e sul coke catalitico sono vere, mi sono informata.

 
  
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