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Autore: shana8998    24/06/2021    1 recensioni
Appena arrivato, in soli dieci minuti, era riuscito a fare retromarcia contro la mia cassetta delle lettere, a disseminare per il mio giardino immacolato gli incarti del fast food di cui straripava la sua auto, e per finire si era svuotato la vescica sul grosso tronco della vecchia quercia che si trovava sul prato di fronte, indirizzandomi un sorriso pigro e una scrollata di spalle, non appena si accorse di me, scandalizzata, sull'uscio di casa.
Quel ragazzo era un barbaro.
Nei quattro mesi successivi, aveva trasformato la mia vita da cartolina in un inferno. Non riuscivo a spiegarmi come potesse, un ragazzo da solo, avere un impatto tale sulla mia felicità, eppure lui ce l'aveva.
Genere: Erotico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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                                                                                      2.
Aron raccolse il secchio e tornò a fissarmi in attesa di una mia reazione.
Dovevo entrare? Stavo gelando e mi sarebbe preso un colpo se avessi attraversato il marciapiede così conciata.
«Allora? Resti li a gelarti?»
Mi strinsi maggiormente nelle spalle. Il grosso cipiglio che si era impresso sul mio viso non voleva saperne di sparire.
Gettai lo sguardo sulle travi di legno sbiadite dell'ingresso. Dovevo entrare?
Quel dubbio mi stava massacrando la mente.
Ma non era il solo. Perché Aron si comportava così? Non gli era bastato quell'anno e mezzo di torture?
Avevo sopportato in silenzio ogni sorta di dispetto, di mancanza di rispetto, di sgarbo e poi, quando sembrava aver capito i suoi sbagli, eccolo li che si perdeva nuovamente in un bicchiere d'acqua.
A lui piaceva prendersi gioco di me, esattamente come a tutti gli altri.
Mi salì un groppo alla gola. Ero stufa di essere presa come bersaglio di ragazzi annoiati, di stronze affamate d'invidia, di persone che non  si rendevano conto che io ero fatta di carne ed ossa e avevo dei sentimenti.
«Halanie...» La voce di Aron, da divertita quale era, all'improvviso divenne un sussurro.
Lasciò il secchio accanto allo stipite della porta. Per un momento esitò restando a guardarmi, poi provò ad avvicinarsi.
«Sta lontano».
Avrei voluto darmi uno schiaffo in piena guancia da sola quando mi accorsi che la voce mi era uscita dalla gola rotta e che stavo per piangere come una stupida bambina.
Aron sollevò una mano, ma al mio ordine gli restò sospesa a mezz'aria.
«Cosa ci trovate tutti di tanto divertente nel trattarmi così?» Affondai ancor di più le unghie nella stoffa umida della camicetta.
Non riuscivo a guardarlo, non avevo il coraggio.
Piuttosto mi concentrai sulla borsa rovesciata a terra e sulla giacca impregnata d'acqua ai miei piedi, cercando di ricacciare indietro quelle dannate lacrime che spingevano per rigarmi le guance.
«Era solo uno scherzo...» Tentò di giustificarsi lui con un filo di voce. Ebbi l'impressione che vedermi in quel modo lo aveva colto seriamente alla sprovvista.
«E' sempre solo uno scherzo! Peccato che dietro i vostri scherzi di merda ci sia una persona!»
Non riuscivo a controllarmi. Sapevo di star esagerando, come al mio solito, ma non ce la facevo più. Dopo una vita passata a subire dispetti e maltrattamenti da tutti i miei coetanei, il livello di sopportazione aveva raggiunto il culmine.
Ero satura.
E ferita.
In un'altra circostanza, avrei riso anche io di me stessa. Ma non ora.
«Scusa. Io non credevo che avresti reagito così» fece un passo avanti ma si fermò all'istante, quando sollevai lo sguardo prima ai suoi piedi scalzi e poi a lui.
«Sai cosa significa essere un bersaglio? Perché io lo sono stata per anni» dissi in un singulto « No. No, che non lo sai. Perché tu sei come tutti quegli stronzi che per anni hanno sabotato la mia vita!»
Aron stirò le labbra nervoso e poi si mosse nonostante sapesse perfettamente che non volessi.
«Adesso calmati. Ok?» 
Trattenni il respiro. Gli occhi sbarrati e rivolti al profilo della sua spalla. La vedevo sgranata, ciò stava a significare che mi era vicino. Troppo vicino.
Solo un attimo dopo, capii di essere fra le sue braccia o forse me ne ero accorta subito ma non potevo crederci.
Il calore del suo corpo si irradiò contro il mio.
Avevo il cuore in gola e seppur volessi scappare, nessun arto si mosse.
Aron era in grado di pietrificarmi con una sola occhiata e allo stesso tempo, di sciogliermi come neve al sole.
Era imperdonabile: odiavo più quello che era in grado di farmi che il suo caratteraccio o i suoi stupidi scherzi.
«Entra. Giuro che non ti farò più nemmeno mezzo dispetto.» fece una breve pausa «Volevo solo che restassi, ma chiederlo a parole era troppo imbarazzante»
Sollevai il mento ed incrociai il suo sguardo.
Per la prima volta, Aron Green era imbarazzato. Anzi, l'imbarazzo lo stava proprio divorando.
Ma non era l'unico, anche io stavo morendo di vergogna.
Avevo bisogno di aria e di capire come riuscissi a stare fra le sue braccia.
Mi resi conto che i miei avambracci erano premuti contro il suo petto, ciò nonostante, non stavano applicando la giusta pressione per scacciarlo. Erano semplicemente appoggiati su di lui. E le mie gambe, fredde e umide, erano contro le sue. Era per questo motivo che sentivo i muscoli contratti.
«Impara a chiedere. Non sempre ti verrà detto di no.»
Lui era certo del contrario. Ma io non più.
Se era in grado di far provare una certa irrequietezza al mio corpo, forse sarebbe stato capace di convincermi a fare qualsiasi altra cosa.
«Lo farò, la prossima volta»
I suoi occhi immensi mi fissarono per quella che parve un'eternità. Io ci stavo affogando dentro.
Aron lasciò andare la mia schiena e una sensazione di freddo pungente mi attraversò nell'esatto punto dove il suo corpo non premeva più contro il mio.
Raggiunse l'anta della porta ed aspettò di vedermi entrare.
Raccolsi le mie cose con la coda fra le gambe e mi convinsi a seguire il tepore proveniente dall'interno della sua villetta.
Per quanto Phoenix fosse calda di giorno, di notte le temperature -specie nel mese di Ottobre- scendevano in picchiata.
E nonostante amassi da matti il freddo, in quella circostanza avrei preferito ci fossero quaranta gradi all'esterno.
Poi ci pensai: che differenza faceva? Dentro stavo bollendo.
Per la confusione.
Per l'imbarazzo.
Per lui.
«Ti faccio strada» 
Stringendo la giacca e la borsa contro il mio petto, seguii Aron nel buio del suo corridoio.
C'erano circa quattro porte. Una dritta all'ingresso, quella scorrevole del salotto e altre due a destra.
Poco prima di incrociarne una, urtai una consolle e le chiavi dentro la conchiglia di ceramica tintinnarono.
«Ti sei fatta male?» chiese in risposta al mio "aia".
Scossi la testa «Sono apposto.»
Aron tornò a voltarsi e poggiò una mano sul pomello della prima porta senza aprirla «Qui c'è il bagno.» poi si spostò di lato e aprì la seconda «E questa è camera mia, puoi cambiarti qui se vuoi»
L'idea di entrare dentro camera sua mi fece contrarre lo stomaco.
Non per l'avversità che provavo per lui, bensì per tutti gli strani pensieri che si stavano accavallando senza alcuna logica nella mia testa.
«Hai una camera così...normale» entrai.
Era veramente una stanza normale.
Le pareti erano rosse: un rosso spento, per niente intenso, ed erano costernate da scaffali colmi di libri e fogli.
C'era una scrivania al centro della parete a ridosso della finestra di camera mia. Era piena di quaderni.
Una chitarra era appoggiata al bordo del letto matrimoniale che occupava il lato sinistro della camera. Lo avevo sentito un paio di volte strimpellare con quell'affare e ricordavo di aver serrato la cerniera della finestra imprecando.
Non so se ci si fosse impegnato, ma in quel "paio di volte" era riuscito ad interrompere la mia sessione di studio senza problemi. Aveva un radar, secondo me, e gli diceva perfettamente quando agire per disturbarmi. Sennò non si spiegava.
Fece scorrere il piccolo cassetto nella colonnina di legno appoggiata sotto le mensole colme di libri.
«Non credo di avere indumenti da ragazza» mormorò frugandoci dentro «ma credo che una delle mie maglie ti coprirà abbastanza»
«Qualsiasi cosa, basta che me la presti in fretta. Sto gelando» 
Mi rannicchiai seduta sul bordo del letto. I brividi lungo la mia schiena - decisamente poco piacevoli- sembravano cavalloni in riva al mare.
«Ecco, prendi» 
Mi porse una T-shirt che sicuramente doveva star grande anche a lui.
L'agguantai e con un'occhiata felina- «voltati» gli intimai di girarsi.
Non mi avrebbe visto nuda. Né quella sera, né in futuro.
«Ti vergogni?» chiese ridacchiando.
Inarcai un sopracciglio «Non dovrei?».
Incrociò le braccia al petto « Quando vai al mare, non sei in mutande e reggiseno lo stesso?»
«Non è la stessa cosa.»
Sospirò dal naso «Siete tutte uguali. Vi vergognate per le cavolate, poi andate alle feste e fate chissà quali sconcezze»
Sgranai lo sguardo «Aron, io non faccio sconcezze e non vado alle feste.» tirai fuori il bordo della camicetta dalla gonna «Quel genere di ragazza è il genere che frequenti tu. E adesso, voltati.» 
Mi sollevai dal materasso. Le dita, sulla stoffa candida della camicetta, pronte per separare i bottoni dalle asole.
«Si Signora.»
Aron lanciò gli occhi al cielo, girò sui talloni e mantenne le braccia incrociate, in attesa che mi cambiassi.
Mi ripromisi di farlo in fretta. Ero indecentemente imbarazzata, a tal punto che quando abbassai la zip della gonna e provai a sfilarla dai piedi, per poco non caddi.
«Ho fatto. Puoi voltarti»
I suoi occhi incrociarono prima il mio corpo e poi me, e le sue pupille si allargarono così tanto che l'iride azzurra divenne solo un piccolo cerchietto attorno ad esse.
Velocemente guardò in direzione dei miei panni e si mosse per raccoglierli da terra.
«Ho un'asciugatrice in bagno» mormorò.
Questa volta avevo l'impressione che gli si fosse attorcigliata la lingua e mi venne da ridere.
Potevo essere una gran fifona, ma non un'ingenua. Non così tanto.
Si chinò davanti alle mie gambe e raccolse in fretta la gonna e la camicetta.
Rialzandosi però, le sue pupille si ritrovarono a solcare la forma dei miei polpacci e delle mie cosce.
In quel preciso istante, qualcosa si era mosso dentro me. Mi dissi, assurdamente, che quello sguardo, su di me, mi piaceva.
E non importava come fosse, se sporco o impacciato. Mi piaceva essere guardata in quel modo da uno come lui.
Mi resi conto che la parte più carnale di me voleva uscire fuori e mi ritrassi all'indietro.
Lui si sollevò velocemente e sparì dietro l'anta della porta per qualche istante.
Che diavolo mi era preso?
Sfiorai le mie guance con i palmi delle mani: erano bollenti.
Stavo impazzendo? Sicuramente.
C'era una nota positiva in tutto ciò, però, perché Aron si era fermato alle cosce. Non aveva guardato sotto la T-shirt, e per quanto lo trovai strano da parte di un tipo come lui, gliene fui grata.
«Aron» mi voltai quando sentii i suoi piedi battere sul pavimento. Ma l'espressione che trovai sul suo viso mi confuse. Ancor di più ciò che disse «Se vuoi ti accompagno a casa».
Non mi guardava questa volta. Mantenendo gli occhi su un punto qualsiasi del pavimento e una mano sulla nuca, sembrava aver perso il controllo ed essere finito nel baratro del disagio.
Perché?
Guardai fuori dalla finestra, quella di camera mia.
Era giusto. Dovevo andarmene.
«Sei imbarazzato?»
Mi morsi la lingua subito dopo.
Ma che mi saltava in mente? Perché dovevo aizzarlo?
Aron sollevò entrambe le sopracciglia e dire che fosse stupito sarebbe potuto sembrare un eufemismo.
«Imbarazzato? Di cosa?»
«Di restare in camera con una ragazza-» mi avvicinai di un passo «mezza nuda» e poi un altro «e di non poterla sfiorare nemmeno con un dito» e poi l'ultimo, fino a che le mie labbra non furono pericolosamente vicine ad un lato del suo viso.
Aron sospirò una risatina fra i denti.
«Poi non dire che non te le cerchi...»
Parte del mio collo si irrigidì. Aveva ragione.
Drizzai la schiena.
Perché continuare a sfidarlo?
Perché lui mi aveva messo a disagio un'infinità di volte, ed ora avevo colto io l'occasione.
«Però ho ragione, non è così?»
I suoi occhi chiari percorsero il mio viso sin troppo accaldato, ma lo sguardo che mi lanciò fu incomprensibile.
«Solitamente, chi entra qui dentro esce senza mutande» disse facendomi l'occhiolino «perciò la mia non è vergogna, è seccatura dato che non posso toccarti.»
Ripensai alle terribili mutande con la scritta "Martedì" sul fondoschiena. Ero una miracolata. Lui non le avrebbe mai viste. E la cosa mi consolò. Parecchio.
E poi non facevo parte della schiera di fan che avrebbe fatto di tutto per finire sotto le sue lenzuola.
Avanzò costringendo me ad arretrare di un passo, ma non chiuse la porta.
Forse voleva veramente riportarmi a casa.
Magari, proprio per non finire a desiderare qualcosa che mai e poi mai sarebbe successo.
Raggiunse il bordo del materasso e ci piombò sopra.
«L'asciugatrice impiegherà trenta minuti. Perciò rilassati, non penso di avere il tempo materiale per farti qualcosa»
Assottigliai le palpebre in due fessure «E cosa ti fa pensare che io tema che tu possa farmi qualcosa?» feci una pausa «So per certo che non farai niente, perché IO non voglio che tu faccia niente»
Aron cacciò una risata sterile.
«Sentila...»
Afferrò il cellulare sul comodino e sbloccò lo schermo con il pollice.
Con disinteresse si concentrò a guardar scorrere, molto probabilmente, post e foto su MySpace.
«Sei odioso» borbottai raggiungendo il bordo del materasso.
Mi accomodai ai piedi. Per nessuna ragione mi sarei stesa accanto a lui. Ugualmente però sentii i suoi occhi dietro la mia nuca ed involontariamente piegai il collo.
Scese un silenzio imbarazzante rotto solo dal soffio dell'asciugatrice nell'altra stanza.
Quella era il genere di situazione che mi faceva piombare nelle braccia di Imbarazzo. Il demone stronzo che mi perseguitava ormai da una vita.
«Gretha Kileen, è tua amica?»
La domanda mi fece voltare all'improvviso.
«S-Si, perché?»
Guardò me, poi lo schermo del cellulare.
«Mi ha aggiunto su MySpace» proferì con un'alzata di spalle.
Alla fine lo aveva fatto. Solo pochi giorni prima, durante un'esercitazione in facoltà, mi aveva confessato di volerci provare con Aron dato che lui non si decideva a fare la prima mossa.
Peccato che Aron non aveva fatto nessuna "prima mossa" perché Gretha non gli piaceva affatto.
E lei lo sapeva, glielo avevo detto durante una delle mie "paternali" da genitrice iperprotettiva. A quanto pareva però, i miei tentativi di dissuasione erano risultati vani.
«Ignorala» dissi, l'aria vistosamente agitata.
«Perché? Non è male.»
«Tu fallo e basta.»
Il lampo di dispetto che balenò nello sguardo di Aron mi fece salire i nervi all'istante.
«Emh...no.» Voltò lo schermo del cellulare verso me e con l'indice della mano libera pigiò "accetta" sotto la richiesta di amicizia.
Mi voltai del tutto, allungandomi sul materasso alla ricerca del cellulare. Volevo strapparglielo dalle mani e cancellare quella richiesta perché un tipo come lui le avrebbe spezzato il cuore.
Gretha lo conosceva poco. Non aveva idea delle cose che sapevo o che vedevo io molto più spesso di quanto non lo volessi.
«Ma che fai?» protestò lui quando vide la mia mano rigida come gli artigli di un'aquila mirare al suo cellulare.
Lo alzò sulla testa e mi guardò aggrottando la fronte.
«Cancellala.»
«Perché?»
«Perché tu le spezzerai il cuore.» ammisi senza difficoltà.
L'espressione di stupore tornò a stamparsi sul suo viso. 
«Mio Dio, Evans non mi scopo tutte quelle che respirano. Solo una parte.»
Corrugai la fronte ancora di più.
«Cancellala, ti ho detto!»
Mi issai più su, lungo il materasso e gli bloccai il polso libero mettendomi in sicurezza.
Il suo cellulare era sempre più vicino.
C'ero quasi.
Un altro po'.
Mi gelai.
Non so se fu perché mi resi conto di aver raggiunto quasi la testata del letto o perché avessi sentito il suo respiro solcare l'incavo del mio collo.
Abbassai repentinamente lo sguardo. La mano sollevata a mezz'aria.
Lentamente le mie palpebre si aprirono come le ali di un gabbiano.
Aron mi guardò. Scoppiò a ridere.
Non servì nessun commento: ero a cavalcioni sopra di lui, un'altra volta.
Be' la prima volta c'era stato lui, ma non eravamo su un letto ed io, sicuramente, non avevo l'espressione inebetita come in quel momento.
Abbassò la mano che stringeva il cellulare sul cuscino e mi scrutò con aria soddisfatta e un vistoso sorrisetto sornione.
Volevo dire qualcosa, ma balbettai un paio di parole confuse che lo fecero ridere di nuovo.
«Ok.» disse «Adesso dimmi, cosa dovrei pensare? Insomma, te le cerchi certe cose.»
Io non mi cercavo proprio un bel niente!
Agivo d'impulso, non con malizia e puntuale come un orologio finivo sempre per fare qualche cavolata.
Lasciai di colpo il polso che gli tenevo stretto e sollevai le mani avanti ancor prima di sollevare il resto del mio corpo.
Tirai su la schiena, pronta ad alzarmi, ma Aron mi afferrò i fianchi facendomi ricadere nuovamente su di lui.
«Ti sconsiglio di farlo» mormorò senza far sparire il sorrisetto odioso «Sarebbe decisamente imbarazzante, per entrambi»
Smisi di respirare.
Avevo capito perfettamente a cosa si stesse riferendo.
«È meglio che non sia quello che penso» sibilai a denti stretti.
«Oh, no. Non lo è» Invece lo era eccome. 
Sentii tutto il sangue dentro di me fluirmi sulle guance.
Avrei voluto gridargli che era un maniaco e un porco, ma infondo aveva ragione. Gli ero piombata addosso ed ero in mutande.
«Ti prego. Sto per urlare. Fammi alzare»
Non la smetteva di sghignazzare. Era strano -assurdo- nessuno aveva mai riso tanto con me. Di me forse si.
Aron lasciò andare i miei fianchi «Fa pure» e scrollò le spalle.
Appena trovai il modo schizzai sul materasso a sedere. Non guardai lui, né le sue gambe, né...il resto.
«Sei veramente....Non ci sono parole per definirti»
Guardò oltre la sua fronte «Be' in realtà ce ne sono un'infinità: simpatico, accattivante, perfetto» -bello da morire.
 No, cioè non lo avevo pensato sul serio...
«Tu non sei niente di tutto questo! Sei egocentrico, volgare e arrogante, e-»
Improvvisamente si sollevò con un gomito.
«E...questo ti piace» 
Lo scrutai allampanata. Non poteva pensare veramente le stronzate che gli uscivano dalla bocca.
«Ma ti senti?» Strinsi le ginocchia al petto e distolsi lo sguardo. Perché quelle parole bruciavano così tanto?
Incastrò le sue braccia dietro la nuca e socchiuse le palpebre.
«Ad ogni modo, tu non piaci a me...quindi.»
«Lo hai già detto.» dissi con una smorfia antipatica.
Poi ci ripensai «E il tuo coso, comunque, non la pensa come te» 
Rise «Il mio non è un coso e gli hai strusciato il sedere sopra, è semplicemente sensibile.»
Scossi la testa.
«Come dici tu, si.»
Aron ruotò su un fianco, una mano sotto al mento e l'aria furba sul viso «Ti da fastidio?»
Alzai un sopracciglio «Cosa?»
«Il fatto che io ti dica che tu non fai per me»
Mi dava fastidio? 
«Che dici? Certo che no!»
Si. Mi dava fastidio.
Schiuse le labbra e sorrise ma non disse altro.
Si rigettò con le spalle sul materasso e sbadigliò annoiato.
I suoi occhi corsero al soffitto. Non sapere dove fossero diretti i suoi pensieri mi snervava.
«Però sei simpatica.»
«Oh, ma davvero?»
«Si» mormorò atono «Mi fai ridere. Poche persone sono in grado di farlo.»
«Tu ridi perché mi massacri costantemente» guardai fuori dalla finestra. Camera mia non mi era mai mancata così tanto.
«Prima mi è dispiaciuto veramente vederti piangere.»
Sul serio?
«Però ridevi anche in quella circostanza»
«Perché sono fatto così. Non tutti nascono giusti» mi sembrò che mancasse un "come te", ma per fortuna non lo disse.
«Però qualcuno ci prova anche ad essere giusto.»
Lo sentii respirare pesantemente «Perché io non l'ho fatto? Non ci ho provato? Mi sembra che sei li, vestita...»
Lo scrutai con disinteresse «Se questo lo chiami provare ad essere giusti...»
Mi sollevai dal materasso. Avrei ricacciato i miei panni anche umidi, li avrei indossati e sarei andata via.
Era ora di darci un taglio.
«Scappi?»
Ridussi le palpebre a due fessure e scossi la testa mimando una smorfia poco simpatica.
«Si, scappi. Dimentico sempre che sei brava in questo» incalzò.
Perché non lo avevo ucciso il giorno prima in giardino?
«Si può sapere che problema hai con me?»
Aron si sollevò a sedere e liquidò la mia domanda con un'alzata di spalle.
«Aron, lasciami in pace. Non sei nemmeno costretto ad essere carino o gentile con me, perciò...»
«Chi dice che sono costretto? Non ero costretto a fare niente questa sera, eppure, ti ho invitata a cena, ti ho fatta restare e sono stato persino bene»
«Ti rendi conto di aver elencato tre cose che fondamentalmente andava di fare a te ? La cena, il farmi restare...che c'è, ti annoiavi?» Affondai le braccia nel mio petto allacciandole l'una all'altra.
Schiuse le labbra e sviò lo sguardo.
«Ok. Pensa ciò che vuoi.»
«Apposto. Ora posso riprendermi i vestiti?»
Forzò un sorriso teso e settico, sollevò il palmo di una mano e lo mosse lentamente indirizzandolo verso la porta. «Accomodati»
Uscii dalla stanza senza troppe cerimonie e scostai l'anta della porta del bagno.
Io e Aron non saremo mai andati d'accordo.
Lui ed io eravamo come il giorno e la notte, incompatibili. Due rette parallele che non si sarebbero incontrate mai, né in questa vita, né in un'altra.
Pigiai il tasto off sull'asciugatrice e tirai fuori i miei panni.
Erano ancora umidi e anche un po' sgualciti, ma mi spogliai ugualmente della T-shirt e mi ricalai dentro la mia "pelle".
Tornai in camera di Aron pronta a raccogliere la borsa e gli stivaletti.
Me li sarei infilati in fretta e sarei scappata da lui e dal suo caratteraccio.
«Allora io vado» quando entrai in camera, dormiva. 
L'espressione distesa, beata.
Avanzai silenziosamente verso il bordo del letto e mi chinai a raccogliere gli stivaletti.
Restai come un'ebete a guardarlo: era bello. Bello sul serio.
Era chiaro perché tutte le ragazze del nostro corso gli sbavassero appresso: non c'era niente in lui che non fosse perfetto.
Peccato che ne fosse consapevole e usasse quel particolare per sminuire e maltrattare le persone a suo piacimento, come tutte le ragazze che avevo visto piangere e gridare contro la sua porta.
Per fortuna, io non sarei stata una di quelle.
Afferrai la cinta della borsa da terra e mi avventurai silenziosamente verso l'abat-jour sul suo comodino.
Gli avrei spento la luce e sarei uscita. Un gesto di premura, perché infondo mi aveva ospitata e aveva anche abbozzato delle scuse. Più o meno.
Allungai la mano nell'incavo fra il materasso e il bordo del comodino cercando a tastoni l'interruttore, quando, improvvisamente, mi sentii afferrare da sotto un'ascella.
«Aron»
Ritrovai il suo braccio attorno al mio sterno e la mia spalla accanto al suo viso, premuta contro il cuscino.
«Che diavolo fai?...» protestai cercando di raddrizzare la schiena da quella posizione innaturale.
«Resta. Odio dormire da solo»
«Ma non lo stavi già facendo?» Cercai di scacciare il suo braccio senza buoni risultati.
Alla fine mi arresi. Lasciai cadere il paio di scarpe a terra e la cinta della borsa scivolò dalla mia spalla un attimo dopo.
Sospirai rassegnata. E avvilita. «Almeno fammi spazio» 
Anche se non potevo vedere il suo viso immaginai quell'odioso sorrisetto sputargli sulle labbra.
Si trascinò leggermente più in là sul materasso e mi fece spazio fra il bordo e lui.
Volevo chiedergli di togliere quel dannato braccio dal mio petto ma non ebbi il coraggio di farlo. Per una volta non stavamo litigando e non avrei rovinato quel momento.
   
 
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