Storia scritta
ancora mesi che furono, durante le lezioni, si beh non è che seguissi poi
molto, l’ho scritta in una pagina di quaderno piccolo, in pratica una riga di
quadretto vi sta due mie righe di scrittura, non sapete che fatica batterla a
pc çOç ma ci sono riuscita!
Una NejiTen era nata come iniziò o
primo capitolo di una storia, ma poi come dire, mi piace come è uscita così
senza seguiti ne niente anche se lascia immaginare, lascia aperte un sacco di
porte e interrogativi1 xD
N.B. = La storia della leggenda se
si può chiamare così è in corsivo per una miglior capibilità? Si può dire? xD
Ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°çç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°çç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°
E’ una giornata come tante,
la ricreazione è iniziata solo da qualche minuto, ma già il bancone del bar è
affollato di studenti, che a suon di gomitate cercano di esser serviti per
primi.
Li osservo e intanto me la rido, sembrano un
branco di scimmie intorno alla pozza d’acqua, dove tutti vogliono bere.
“Vi ricordate come eravamo noi all’asilo?”
guardo la mia compagna di classe, che ha interrotto i miei pensieri, ha lo
sguardo rivolto oltre la porta-finestra in vetro e sorride. I bambini
dell’asilo neanche fanno caso a noi e continuano coi loro giochi, ce ne sono
alcuni che si rincorrono, altri giocano coi sassi, altri ancora ridono felici
insieme alla maestra di turno.
Un sorriso dolce mi increspa il viso, sembrano
così innocenti, belli e tranquilli, peccato che dietro questa facciata si
nascondano dei veri diavoli.
Fino a qualche minuto prima lanciavano carte,
pennarelli a destra e a manca, coloravano il viso dei compagni e correvano per
tutta la classe gridando, la maestra era ad un passo da una crisi isterica,
fortunatamente era suonata la campanella dell’uscita. Ma questo i miei compagni
non posso saperlo perché loro non possiedono quel maledetto dono.
[Flashback]
“Mamma, ho mal di testa e la pancia fa le
capriole!”
“Tesoro, ormai sei nell’età in cui si diventa
donna, hai presente le mestruazioni?”
Una smorfia mi deforma il viso, facendo
sorridere la mamma, ma i suoi occhi erano diventati un po’ tristi, ad un tratto.
“Su è la vita, ora cambiati e vai a dormire!”
Feci come mi aveva consigliato, ma il sonno
tardo ad arrivare e quando venne fu un sogno strano quello che mi prese.
Ero al centro di un cerchio di persone, tutti mi
guardavano con la bocca chiusa, ma dentro la mia testa un vortice di voci si
cozzavano tra loro, urla, strilli a volte. Mi chiusi a guscio, seduto sulle
ginocchia con le mani alle orecchie, gli occhi serrati, mentre gridavo di
smetterla.
“Tesoro! Tesoro! Svegliati!” aprii gli occhi di
scatto, il viso di mamma sopra il mio, che mi guardava un po’ preoccupata.
“Mam-ma!” disse tremante, il sudore mi aveva
appiccicato i capelli alla fronte e sentivo le coperte bagnate. Mi alzai a
sedere e buttai le coperte ai piedi del letto. Mi scostai un po’, nel punto
dove ero seduta si spandeva una piccola macchia di sangue.
“Vieni a lavarti! Intanto cambio le lenzuola e
poi ti raggiungo che dobbiamo fare due chiacchiere”
“Amore? E’ successo qualcosa? Come sta?” mio
padre era sulla porta, mezzo nascosto, anche lui aveva lo sguardo preoccupato
che intanto faceva vagare tra me e la mamma.
“Tranquillo, amore! Domani ti spiego ora torna a
letto, domani devi alzarti presto!” gli disse la mamma sorridendo e anche se un
po’ incerto, se ne tornò in camera.
Mamma mi aiutò ad alzarmi e poi mi condusse in
bagno, poi tornò in camera a cambiarmi le coperte, neanche 5 minuti dopo la
sentii nuovamente entrare in bagno.
Mentre mi facevo una doccia iniziò a parlare:
“Non voglio dirti cose che sai già e che avrai sicuramente già discusso a
scuola. Voglio sapere perché stavi urlando, hai fatto un brutto sogno?”
Un po’ reticente le raccontai tutto e quando
ebbi finito la sentii tirare un sospiro, ricolmo di tristezza e rassegnazione.
“Speravo che con te fosse diverso, ma buon
sangue non mente!”
La guardai interrogativa, ormai asciugata e
rivestita, mi condusse in camera e mi fece sedere sul letto, mentre lei
prendeva posto al mio fianco e mi circondava con un braccio le spalle.
“Quella che ti sto per raccontare è una leggenda
che si tramanda nella mia famiglia da secoli, da madre a figlia, a nonna a
nipote”
Fece una pausa, non capivo dove voleva andare a
parare.
“Sai i nostri antenati abitavano nell’antica
Grecia, ma per via della guerra si sono trasferiti qui a konoha per vivere
pacificamente. Dobbiamo andare a quella terra lontana, è lì che inizia la nostra
storia” fece una pausa e prese dal mio scaffale un libro che non ricordavo di
possedere, lasciai perdere la cosa e mi accoccolai meglio contro di lei e
stetti ad ascoltare.
“Ad Atene viveva una ragazza, Sara, era
orfana di entrambi i genitori, ma con molta fatica riuscì a crearsi una vita.
Era bella e aveva un cuore grande, immenso. Tutti la trattavano con dolcezza,
con gentilezza solo per ricevere uno dei suoi sorrisi, che ti scaldavano il
cuore. Un giorno le si presentò davanti una vecchia, era vestita di stracci e
scossa da una forte tosse, stava guardando famelicamente una scatola di pesce.
Sara vedendola le si strinse il cuore e la invitò a casa sua per pranzo. Cucinò
un piccolo banchetto e quando vide che la vecchietta aveva difficoltà a tenere
la forchetta, l’aiutò imboccandola. Un sorriso increspò il viso dell’anziana
signora: “Grazie!”.
Sara le sorrise di rimando e le chiese se
avesse un posto dove dormire, ricevuto il diniego che si aspettava, la invitò a
restare. La vecchia iniziò a piangere di gioia, nessuno l’aveva mai trattata
con tanta gentilezza.
Ormai la notte era calata ed entrambe le
donne si coricarono, l’anziana sul letto e Sara su un pagliericcio di fortuna
ai suoi piedi. Durante la notte, la signora iniziò a tossire convulsamente,
Sara spaventata fu subito al suo fianco. La fronte le scottava e respirava
malamente, si era già alzata per andare a chiamare il dottore, ma una mano
dell’anziana la fermò: “Resta con me!”
Sara non se la sentì di andarsene, così corse
a bagnare una pezza con cui bagnò il viso della signora. Fu inutile, la febbre
non scendeva e anzi la tosse peggiorava. Delle lacrime iniziarono a scendere
sulle guancie di Sara, che presa dalla disperazione iniziò a parlare, quasi
urlare verso la vecchietta.
Ad un tratto non sentì più il tossire, guardò
la sagoma distesa, nessun minimo rumore usciva dalle sue labbra o dal suo
torace ormai fermo per sempre. Poggiò il capo sul letto e pianse sommessamente”
Avevo un groppo in gola, non sapevo bene neanche
io il motivo preciso, ma era come familiare, come se l’avessi già sentita.
Scacciai quella stupida sensazione e aspettai il seguito.
“Mentre la nostra Sara stava piangendo il
corpo della vecchietta s’illuminò e piano dei fiocchi di luce si alzarono da
lui, convergendo in un punto vicino al soffitto. Con gli occhi rossi e il corpo
ancora scosso dai singhiozzi guardava la scena incredula. Dopo qualche minuto
l’agglomerato di luce, prese forma umana.
“Grazie, grazie della tue lacrime e della tua
gentilezza. Finalmente sono libera da quell’atroce maledizione”
Sara era stupefatta” io stessa avevo la bocca
spalancata da quello che avevo appena udito, ma non proferii parola “sopra il
letto levitava una donna, giovane quanto lei, indossava una lunga tunica
indaco, ornata da una cintura con una spada al fianco. I capelli erano presi
dietro la nuca, ma alcuni boccoli scappavano dal fermaglio, incorniciando un
viso perfetto. Una piccola risata scappò alla giovane.
“Oh, scusami, non mi sono neanche presentata.
Sono Atena, dea della Sapienza e della Giustizia” sentito questo, subito Sara
s’inginocchiò e posò la testa a terra”
mia mamma rise, la mia faccia doveva essere assolutamente ridicola, mi sentivo
la mascella staccata dal resto della testa. Quando finalmente riuscì a
trattenere le risate, mia madre continuò.
“Alzati, ti prego” disse Atena,
accovacciandosi di fianco alla ragazza e facendola alzare “Dovrei essere io ad
inginocchiarmi, era quasi un secolo che vagavo in quella forma in cerca di un
cuore tanto gentile e finalmente l’ho trovato” e sorrise dolcemente. Sara alzò
gli occhi, incrociando il suo sguardo.
“Come…?” ma si fermò improvvisamente
imbarazzata, facendo ridere nuovamente la dea.
“Sei curiosa, eh? Su siedi sul letto, starai
più comoda, di sicuro rimarrai sbalordita dal motivo, ma ricorda che gli dei
sono esseri annoiati e capricciosi” si fermò, prendendo posto accanto a Sara.
“Vedi nell’Olimpo ci si stava annoiando
davvero tantissimo, così indissero un concorso di bellezza, alla gara finale
veniva giudicato lo stato dei capelli” e così dicendo si toccò alcuni boccoli,
lisciandoli “Quel giorno non so per quale motivo, Venere aveva come si suol
dire un diavolo per capello” vedendo lo sguardo interrogativo di Sara, spiegò
“capelli in disordine. Fino all’ultima gara lei ed io eravamo in parità, ma con
questa io vinsi” Sara corrugò la fronte sospettosa”
“E’ stata Venere” uscii io, quasi urlando,
ricevendo un’occhiataccia da mia mamma, mi ricordai all’improvviso dell’ora e
chiesi scusa sottovoce.
“Sì è stata Venere, ma ora lasciamo finire la
storia, dove ero rimasta? Oh sì:
“Già Venere arrabbiata della mia vittoria, mi
fece bere una pozione con l’inganno e mi trasformò. Non sai quante lacrime
abbia versato, ma mio padre Zeus mi disse che per sciogliere la maledizione
avrei dovuto incontrare una persona gentile e che questa piangesse lacrime
sincere per me” Atena sorrise e strinse la mano a Sara “Come posso
sdebitarmi?...Col tuo cuore gentile è facile essere imbrogliata, ti farò dono
di un grande potere” a queste parole mi misi sull’attenti, curiosa di sentire e
un po’ intimorita “Potrai leggere nel pensiero, così saprai se la gente ha
davvero bisogno di aiuto o vuole solo imbrogliarti”
Rimasi a bocca aperta dalla rivelazione: “Allora
io…”
“Aspetta, questa è solo una faccia della
medaglia” così facendo guardò l’orologio: le tre del mattino. Chiuse il libro
“Ormai è tardi quindi andrò subito al dunque, ma te lo racconterò più nel
dettaglio domani quando tornerai da scuola” la guardai imbronciata “su,
cucciolo, ormai è tardi e devi dormire, ti dirò soltanto che c’è un motivo per
cui tua nonna è morta e così tutte le donne che hanno il nostro sangue. Ora
forza, dormi che domani,… oggi hai scuola” si alzò dal letto e mi rimboccò le
coperte, non riuscii ad emettere neanche un fiato che lei era già sparita.
Corrucciata osservai il buio e…
[Fine Flashback]
“Tenten! Tenten!” mi riscossi
all’improvviso, Sakura mi stava tirando per un braccio “Muoviti, la campanella
è suonata, arriveremo tardi!”
“Eccomi, eccomi!” mi stavo già dirigendo verso
la scala che porta alle aule, che mi fermai di botto.
-Aspetta!-
Mi voltai, una bambina mi stava guardando con
occhi supplichevoli.
-Aspetta!-
Consapevole d’esser già in ritardo, mi avvicinai
alla porta-finestra e, accucciata, misi una mano su quella di lei , aperta
contro il vetro.
-Sei tu che mi hai chiamato-
La bambina mi guardò sorpresa, era davvero
carina con i suoi occhioni azzurri e i capelli neri, in forte contrasto col
grembiule rosa.
Rimasi a fissarla per qualche minuto, poi la
vidi muovere la bocca, scossi la testa, facendole segno che non riuscivo a
sentirla.
-Devi pensare, io ti ascolto-
Le pupille le si allargarono ancora per la
sorpresa e abbassò lo sguardo un po’ imbarazzata.
-Ecco…io… non so…perché ti ho chiamato-
Sorrisi.
-Tranquilla, io sono una calamita per i problemi
e sono un genio a risolverli-
Feci il segno della vittoria.
-Su, racconta-
-Ho trovato un gattino, lì nei cespugli, è molto
piccolo e vorrei portarlo dentro al sicuro, ma non posso-
Inconsciamente mi fece vedere la maestra che
starnutiva violentemente davanti ad un altro gattino; sorrisi, ma feci comunque
un sospiro, mi sarei cacciata nuovamente nei guai, ma tanto, ormai ero abituata
alle ramanzine.
-Me ne occupo io, dimmi dov’è esattamente?-
Lei si girò e m’indicò un cespuglio vicino al
cancello, oh, be almeno non era tanto lontano e sarebbe stata una fuga rapida
se fossi stata scoperta.
-Ora torna in classe, la maestra inizierà a
preoccuparsi se non ti vede arrivare-
Fece un sì con la testa e scappò via. Mi alzai,
avevo le gambe intorpidite e quando mi voltai, vidi la barista che mi guardava
interrogativa, risi sotto i baffi, immaginandomi la scena che doveva aver
visto: una ragazza delle superiori e una bimba dell’asilo che si guardano in
silenzio dai due opposti di un vetro.
Salii le scale ed entrai in aula con la faccia
più stravolta che riuscii a fare, la prof mi guardò stralunata.
“Prof, non mi sento molto bene, credo di aver
bisogno di un po’ d’aria”
L’insegnate mi guardò per qualche secondo,
cercando di capire se era una bufala o la verità, ma preferendo non rischiare,
acconsentì.
“D’accordo! D’accordo! Neji accompagnala” mi
voltai verso il diretto interessato, non occorreva leggere la mente per capire
quanto la cosa gli scocciasse, per quanto il suo viso non lasciò trapelare la
minima espressione.
“Sì, professoressa” disse atono.
“Non è necessario” esclamai subito, cercando di
mantenere la voce sulla modalità dolorante, non potevo rischiare di mettere nei
guai anche lui o che lui andasse a spifferare la cosa in giro.
“Niente obiezioni, sei più bianca di prima, è
meglio avere qualcuno che ti possa aiutare in caso ti senta male davvero e Neji
non ha bisogno di ascoltare la mia lezione, essendo un genio”
-Brutta strega!- pensai feroce, mentre mi
avvicinavo alla porta. Subito la prof. si girò verso la classe.
“Chi ha osato?” urlò.
Cavoli dovevo aver usato il mio potere senza
accorgermene. Presi Neji e uscii dalla classe più velocemente possibile. Scese
le scale mollai il ragazzo.
“Vatti pure a prendere un caffè non ho bisogno
di te” dissi sbrigativa girandomi e avviandomi verso la porta. Lui mi seguì
comunque, ero esasperata, non solo stavo rischiando di finire nei guai per
l’ennesima volta, ma dovevo anche sorbirmi il secchione preoccupato.
“Senti un po’! Non sto male, ma mi serviva una
scusa per fare una cosa, quindi non rompere” mi guardò con la sua solita
maschera impassibile, mi faceva innervosire non capire cosa pensasse e la
tentazione di usare il mio potere era alquanto allettante.
Mi diressi verso il cancello dell’asilo, prima
di fare qualcosa di cui potevo pentirmi e con un salto lo scavalcai. Percepii
la sorpresa di Neji anche senza guardarlo, e mi venne da ridere, anche lui
allora provava dei sentimenti a volte.
Appena atterrai, mi accucciai e, coi sensi
allerta, mi guardai in giro. Nessuno in vista. Mi mossi piano verso il
cespuglio e scostando qualche foglia, trovai il gattino.
“Che amore!” esclamai, senza riuscire a
trattenermi. Era tutto nero, con gli occhi chiarissimi, somigliavano a quelli
di Neji, guardandoli bene, un pelo folto che al tocco era anche morbido, come
scoprii ben presto.
Mi soffiò contro e cercò di graffiarmi, ma
presolo per la collottola, me lo avvicinai al petto dove depose tanto
allegramente i suoi artigli, fin quasi ad arrivarmi alla pelle, feci una
smorfia, di sicuro qualcuno era penetrato. Mi avvicinai al cancello, Neji era
ancora lì dove lo avevo lasciato, a conti fatti non era stato inutile che ci
fosse, gli porsi il gatto. Prima guardò il felino, poi guardò me.
“Cavoli, guarda che a parte alcuni graffi non ti
a nulla”
Era stata un’impresa sfilargli le unghie e se
Neji non si muoveva, sarebbe riuscito a riattaccarsi alla mia adorata
maglietta. Lo prese e subito il gattino gli conficcò le unghie, arrivando alla
pelle, il ragazzo lo guardò, severo, …. Faceva paura quando guardavo qualcuno
con i suoi occhi bianchi velati di rimprovero. Incredibilmente il gattino
ritirò le unghie e si calmò, restando fermo e immobile contro il petto del
ragazzo. Li guardai strabiliata.
-Ci sa fare cogli animali- Lui alzò lo sguardo.
Merda, era successo di nuovo, cercai di portare
la mia attenzione al cancello che stavo per scavalcare, anche se sentivo il
viso arrossato.
“Hop”
Facilissimo, mi diressi verso il bar.
“Hey, il gatto!” mi disse Neji, camminando
dietro di me.
“Aspetta qui, torno subito” ed entrai nel bar,
chiedendo un bicchiere di latte alla barista, che mi guardò male, allungando
comunque il bicchiere.
“Quanto le devo?” chiesi, sapendo già di non
aver molti soldi in tasca.
“Lascia perdere! Fa che lo beva piano!” la
guardai sorpresa, ma sorrisi subito riconoscente.
“Grazie mille!”
Raggiunsi subito Neji, che trovai seduto a terra
con l’animale in grembo.
“Eccomi” mi sedetti di fianco a lui e, immerso
il dito nel latte, lo posi al micetto che lo guardò guardingo, ma poi lo lecco
timidamente, facendomi scappare una risata.
“Mi ero dimenticata la sensazione di una lingua
di gatto sulla pelle. Ahahah”
Immersi nuovamente il dito e glielo porsi, il
gatto lo leccò voracemente questa volta, facendomi sorridere di nuovo,
completamente dimentica della presenza vicino a me. Un movimento impercettibile
del braccio, mi ricordò di Neji. Alzai lo sguardo e scoprii che mi stava osservando.
Ero davvero curiosa di sapere cosa gli stesse passando per la testa, ma non
volendo usare il mio dono, preferii usare i metodi tradizionali: chiedere a
voce.
“Cosa c’è?”
“Nulla, pensavo” mi rispose, beh, non sempre il
metodo tradizionale funziona.
Sentii la campanella, la quarta ora era passata,
ne mancavano altre due prima di andare a casa, non potevo aspettare tanto.
Chiesi a Neji di andare a riferire che non mi sentivo ancora bene e che restavo
fuori un altro po’, il ragazzo, sorprendendomi si alzò e si avviò verso la
porta, non credevo che avrebbe fatto davvero quello che gli avevo chiesto.
Lo vidi tornare cinque minuti dopo, fece
semplicemente un cenno e si risedette di fianco a me. Il bicchiere ormai era
vuoto per metà e il gattino sazio, non volendo buttarlo via, porsi il bicchiere
a Neji che scosse la testa. Feci un piccolo sbuffo, non mi piaceva granché il
latte, ma piuttosto che buttarlo, me lo bevvi. Disgustoso.
A quel punto porsi presi il cellulare, attenta a
non far cadere il gatto che mi dormicchiava sulle ginocchia e chiamai mamma.
“Ciao mamy!” una pausa “Si, di nuovo” altra
pausa “D’accordo ti aspetto! Ah, ho detto semplicemente che stavo male”
ennesima pausa “A fra poco” e chiusi la conversazione.
“Se vuoi tornare in classe, fai pure, mia mamma
dovrebbe arrivare tra poco”.
Lui non si mosse dal suo posto ed io sospirai,
sarei mai riuscita a comprendere quel ragazzo?
Il gattino si stiracchiò, era così carino, se
non fosse stato per le unghie, che gentilmente avevano bucato i jeans.
“Beep! Beep” un suono di clacson, la scosse.
“Eccola!” e pochi minuti dopo una donna svoltò
l’angolo, diretta verso di noi.
“Ciao, mamma! Tieni” e le porsi il gatto.
“Anche stavolta un gatto!” disse rassegnata,
prendendolo “Fortuna che ho lasciato una gabbietta in macchina, aspettami qui”
e sparì da dove era venuta, ricomparendo una manciata di secondi dopo.
“Hai mal di pancia” mi disse ed io annuii
“Andiamo in aula”.
Con la coda dell’occhio la vidi osservare Neji,
che per tutto il tempo era rimasto in silenzio. Si fermò di scatto, io le finii
contro.
“Sono la mamma di Tenten, piacere” disse e
allungò una mano, che Neji strinse subito.
“Neji Hyuuga, un suo ompagno”
Al sentire il cognome, spalancò gli occhi, ma si
ricompose subito.
“Grazie per esserti preso cura di mia figlia”
disse mia madre, s’inchinò e partì verso l’aula. Rimasi impalata per qualche
secondo a fissarli entrambi, cercando di capire cosa era successo, ma lascia
perdere e mi diressi anch’io verso l’aula.
Convincere la professoressa di turno era stato
un gioco da ragazzi e nessuno notò Neji tornare al suo posto, tranne la
sottoscritta, che cercava di capire la reazione della donna che ora ringraziava
una “gentile” professoressa.
“Allora, cosa è successo stavolta?” mi chiese,
era un tacito accordo quello di non sondare le rispettive menti, quando ormai
la scuola era alle nostre spalle.
Le raccontai per filo e per segno e lei mi
scoccò un’occhiata alquanto sospetta.
“Pensi di poterti fidare di quel ragazzo?”
“Sì” dissi decisa, non avevo alcuna prova
concreta che lui non mi tradisse, ma in un certo senso sentivo di potermi
fidare “Comunque, perché questa domanda?” chiesi curiosa.
Si fece un po’ reticente.
“Hai guardato nella sua mente” esclamai,
strabuzzando gli occhi “Avevamo…”
“So, cosa abbiamo deciso, ma è stato più forte
di me” disse, lievemente imbarazzata “Comunque hai ragione, è un bravo ragazzo”
disse, sorridendo. Sbuffai, in fondo ero stata anch’io tentata di leggere
dentro Neji, ma mi ero trattenuta, il fatto che mamma l’avesse fatto mi rendeva
in qualche mondo e inspiegabilmente gelosa.
Scrollai le spalle, cercando di cancellare
quelle sensazioni e abbassai lo sguardo tra le mi gambe. Il gatto, nella sua
gabbietta se la stava ronfando dalla grossa. Sorrisi. Inizia a guardare il
paesaggio che correva fuori dal finestrino e senza un motivo preciso mi tornò
alla mente quella fatidica sera e la conversazione del giorno dopo.
[Flashback]
Ero appena tornata a casa, che subito andai al
sodo: “Racconta” seduta, davanti a lei con le braccia conserte, ad aspettare.
“D’accordo” disse sospirando “Ti avevo detto che
c’era un’altra faccia della medaglia ieri. Quel potere facilitò molto la vita
di Sara, anche perché così poteva aiutare anche chi non riusciva ad esprimere i
suoi desideri” sorrise, triste “Poi un giorno, Atena tornò da lei arrabbiata”
la guardai interrogativa e stavo per porre la domanda, ma mamma mi precedette
“Non se ne sa il motivo. Arrivò, arrabbiata, furiosa, gridando che aveva
abusato del potere, inutili furono i tentativi di difesa di Sara. Non potendo
toglierle il dono che le aveva fatto, lo legò, per modo di dire, ad una
maledizione” aveva la voce rotta “Chiunque delle sue discendenti che avesse
avuto il dono, sarebbe morta di una morte violenta e atroce” a quel punto, non
riuscì a trattenere una lacrima, mentre io ebbi una stretta al cuore.
“La nonna…”
“Già, quel giorno le rubarono la borsa e
cercando di riprenderla, cadde sulle rotaie, qualche minuto prima che il treno
passasse” un’altra lacrima seguì la prima. Spalancai gli occhi.
“Anche tu…” non riuscii a finire che un groppo
mi chiuse la gola, ricevetti solo un suo senno, a dirmi che sì, quella sorte
sarebbe presto o tardi toccata anche a lei.
[Fine Flasback]
“Come mai sei arrivata così
presto?” chiesi, girandomi a guardarla.
“Che posso dirti, sesto senso!” e sorrise “per
un lavoro” concluse poi.
Mugugnai. Conoscevo a grandi linee il lavoro di
mamma, lei lavorava con la polizia, psicologa criminale, diceva il cartellino,
ma in realtà entrava nella mente della gente per scovare informazioni che poi
passava mio padre che faceva il resto. Se fosse stato solo quello avrei anche
potuto accettarlo, ma essendo che avevo preso da lui il mio carattere, sapevo
che molte volte, non stava ferma dietro una scrivania, ma contro il volere di
papà, lo accompagnava sul campo, anche in mezzo ad una sparatoria, se
serviva.
Scossi il capo e sorrisi, il potere passando di
generazione in generazione si era ampliato e approfondito, in una parola?
Evoluto.
“Forza! Aprimi il cancello”.
Scesi e feci come mi era stato detto. Ormai era
a casa, al sicuro insieme al gattino, proprio come avevo promesso alla bambina.
“E un’altra giornata è andata”.
Ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°çç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°çç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°ç°
Finita!
Sinceramente ne sono
particolarmente orgogliosa, mi piace come è uscita, anche se ho faticato un
sacco a batterla a pc… ho una scrittura pessima *sospiro*
Ringrazio già da subito chiunque la
legga, a commenta o *le si accendono gli occhi* la metta tra i preferiti! ^-^/