Scritta
in spiaggia, ha solo contribuito a peggiorare l’arsura estiva che mi
affliggeva! xD
Attenzione:
la storia tratta un argomento particolarmente controverso, non è adatta a tutti
perché presenta un tentativo di violenza sessuale, per di più ai danni di una
minore, per di più da parte di un professore. Non è particolarmente descrittivo
o spinto, ma voglio buttare le mani avanti così che nessuno ci rimanga male.
Nello scriverla non intendevo offendere nessuno, e non solo mi scuso in
anticipo, ma prego di astenersi dalla lettura chiunque potrebbe trovare il
racconto inappropriato o non gradisce le tematiche. Grazie per l’attenzione!
Special
Lily Luna
Potter aveva sempre trovato affascinante l’idea del Lumaclub: un gruppo di
studenti selezionati, solo i migliori, un’elite, un circolo privato, una setta.
Per
questo fu lusingata dall’invito del Professor Lumacorno. Addirittura lei sola
era stata invitata per un tè, una discussione a quattrocchi: doveva essere una
studentessa proprio degna di nota.
Bussò
alla porta, che scattò facendola entrare, dopo lo scintillio dello spioncino.
Il primo impatto con lo studio del Professore fu davvero esaltante: il fuoco
scoppiettava nel camino inondando la stanza di un piacevole caldo tenue,
gettandovi una delicata penombra, affiancato da quello che sembrava un divano
così morbido e comodo davanti al tappeto persiano, un tavolo d’ebano, ma
soprattutto strani manufatti magici che non aveva mai visto coprivano le pareti
e intasavano gli scaffali – notò in particolare una strana clessidra dalla
sabbia verde il cui flusso sembrava stranamente fermo -, tra cui riconobbe le
leggendarie mensole con le foto degli studenti.
Quanto
avrebbe desiderato finire in quella mensola, circondata da tutti quei maghi
famosi...
Il
Professore sembrava altrettanto felice di vederla: da buon cacciatore di
talenti, i figli Potter e Weasley erano un pezzo immancabile nella propria
collezione personale. Ma per lei aveva riservato sempre una particolare
attenzione...
Lumacorno
aveva notato il luccichio negli occhi della giovane Grifondoro di fronte a
quelle istantanee. “Riconosci qualcuno?” chiese sornione.
“Giocatori
di Quidditch, scrittori, politici, ricercatori... faccio prima a dirle chi non
riconosco!” sorrise la ragazza, compiacendolo. Poi il suo sguardo si soffermò
sulla foto di una classe particolarmente memorabile.
“Quello è
stato probabilmente il mio anno migliore” la anticipò.
“Mia
nonna... mi sarebbe piaciuto conoscerla”
“Era una
grande donna... se il nome, e il sangue, non mentono, anche il tuo futuro ti
riserverà grandi cose.”
Lo
sguardo della giovane si spostò sul vicino dell’antenata, un ragazzo cupo dagli
unti capelli corvini e il volto pallido sormontato dal naso adunco.
“Era una
delle mie studentesse predilette...” continuò l’uomo, “avevamo un rapporto
molto... speciale...” spiegò, avvicinandosi.
Il suo
respiro faceva ondeggiare i capelli bruno rossastri della giovane.
“Aveva i
tuoi stessi capelli” proseguì, sfiorandone una ciocca. Morbidi, i suoi capelli
scorrevano tra le dita come seta. Lentamente, Lily si voltò per incontrare gli
occhi del Professore. Leggermente rossa in volto, era onorata per tutte quelle
attenzioni. La facevano sentire così speciale...
“Aveva i
tuoi stessi lineamenti... le tue lentiggini” disse, sfiorandole la guancia
rossa col dorso della mano. Istintivamente, Lily curvò la bocca in un sorriso,
cercando di non arretrare per evitare di mancare di rispetto al Professore.
Forse il suo gesto venne frainteso, forse non gli interessava.
“Peccato
che non hai i suoi occhi” soffiò fissando intensamente i suoi profondi occhi
castani, i suoi polpastrelli lisciavano i suoi zigomi. Non se ne era resa
conto, quando il Professore si era avvicinato così tanto? Chino, i loro volti
potevano sfiorarsi, sentiva il suo respiro sulle labbra. Cosa...?
Non fece
in tempo a pensare, che il Serpeverde premette le labbra contro la tenera bocca
di lei. Esterrefatta, gli occhi sbarrati, Lily era in trappola. Sconcertata,
non capiva, non sapeva, non poteva... Premeva con tanta forza che lei non aveva
materialmente la possibilità di staccarsi, di respingerlo. Il cuore in gola,
avrebbe voluto urlare mentre non riusciva neanche a respirare. L’uomo non accennava
a mollare, anzi sempre più vicino ormai la schiacciava col suo corpo contro il
ripiano. Dietro di lei, qualche portafoto cadde. Non capiva che lei non stava
rispondendo al suo bacio? Il Professore le prese il volto nelle grosse mani
segnate dal tempo, tirandola ancor più verso di se. Con la sua lingua iniziava
ad inumidirle le labbra. Sperava forse così di aprirsi un varco tra le sue
mascelle?
Ormai la
paura aveva preso il sopravvento, si era tramutata in panico che aveva iniziato
a pompare adrenalina nel cuore e mandava messaggi contraddittori al suo corpo.
L’istinto prese il sopravvento, alla faccia del rispetto e dell’ammirazione,
non aveva più davanti lo stimato Professore che l’aveva illusa, ma una
qualunque bestia feroce che cercava di predarla. Con quanta forza aveva in
corpo, cercò di spingerlo via appuntando i pugni contro il suo torace, ma
ottenne solo di staccarlo per qualche secondo. Preso alla sprovvista, forse
pensava che si sarebbe completamente piegata a lui senza discutere? Provò a spostare
la testa, ansimando, ad abbassare il capo per cancellare dalla mente quello
sguardo assatanato, ma il suo corpo robusto pesava inesorabilmente su di lei e
l’uomo tornò a schiacciarle le labbra. Mordendole il superiore, osò un “pensi
di sfuggirmi?” arrogante. Iniziò a baciarle il collo, mentre lei ormai si
dimenava accanitamente, gemendo, gli occhi gonfi di lacrime non volevano dare
soddisfazione. Da quanto quel sentimento era represso per uscire così
prepotente ed impetuoso?
“Basta,
la smetta...” pianse, consapevole di non ottenere altro risultato che aizzarlo.
Urlare sarebbe stato inutile, chiusa la nei deserti sotterranei, probabilmente
con la stanza già accuratamente insonorizzata con la magia. Era già stato tutto
programmato, era tutto un piano per incastrarla. Quanto era stata ingenua,
quanto era stata stupida.
Le mani
del Professore scendevano inesorabilmente lungo la giovane schiena, per
sfiorarne la vita ed indugiare sul corposo fondoschiena, iniziando a sollevare
la camicia che celava la sua pelle diafana.
Lei provò
a scalciare, ma con tutta risposta ottenne solo che le grosse gambe dell’uomo
circondassero le sue cosce, inchiodandole. Con una mano abbandonò il suo corpo
per abbassarsi la lampo dei pantaloni. Terrore. Cosa voleva farci, dove pensava
di... metterlo? Le lacrime erano ormai incontrollabili, il respiro affannato,
con voce rauca che le bruciava la gola pregò: “Aiuto...”
Il bacio
dell’uomo si aprì in un ghigno malefico. Con uno strattone le strappò i bottoni
e la lasciò col ventre nudo contro quel panzone. Sollevandola di peso,
strattonandola, cercava di portarla sul tavolo o al divano. La bramava,
famelico, voleva prenderla ora, come non aveva potuto tanto tempo prima...
Vedendo giungere la fine, la ragazza sfruttava ormai le ultime forse per
opporsi come un ossesso, calciando, sbracciandosi, dibattendosi, scossa dai
singhiozzi, senza più trattenere quel grido profondo che le ruggiva dentro.
Era
spacciata. Avrebbe perso la sua virtù con quel mostro. Avrebbe provato il sesso
per la prima volta come non era augurabile a nessuno. La sua vita era finita.
Come avrebbe potuto continuare, come avrebbe potuto riprendersi? Voleva morire,
andava bene per far smettere quel supplizio, voleva sprofondare, tanta la
vergogna, la dignità persa, il senso di colpa e afflizione. Voleva cancellare,
dimenticare, tornare indietro.
Il
Professore le tastava i seni violentemente, torturando quei capezzoli
arrossati, già pregustava il fiore che di lì a poco avrebbe colto. Con la mano
spregiudicata si faceva già spazio tra le sue gambe, la calzamaglia strappata
con noncuranza. Era la fine.
D’un
tratto, la porta sbatté. Lily riuscì a riprendere fiato, il cuore impazzito
risanato dalla flebile speranza nascente, ma ormai disilluso. Riconobbe il
vorticare di una chioma di neri capelli ribelli, ma tutto accadde troppo
velocemente. In un attimo il Professore inerme era stato schiantato,
scaraventato dall’altra parte della stanza contro i suoi cimeli. Il verme era
eliminato, l’erbaccia estirpata. Lily si ritrovò una coperta addosso, e gli
abbracci più dolci e affettuosi che ricordasse. Il suo eroe era lì, il suo
angelo custode: suo fratello Albus.
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I due
fratelli erano seduti vicini nell’ufficio del nuovo Preside. In attesa del
giudizio degli insegnanti chiamati d’urgenza. Chissà quali provvedimenti
avrebbero preso, se ne avrebbero presi. Chissà quali scuse avrebbero apportato.
Chissà che non fosse alticcio...
Lily, il
trucco sbavato, non riusciva a smettere di tremare. Albus tentava di
rincuorarla, le stringeva la mano, ma non poteva biasimarla. Riuscì solo a
biascicare: “Come?”
“Ero
fuori di nascosto dopo il coprifuoco con Scorpius, come al solito. Fortuna che
stavamo tornando nel Dormitorio di Serpeverde, passando proprio davanti a
quella stanza...”
Sconvolta,
stava quasi per scoppiare a ridere pensando quanto era stata fortunata.
Nella
confusione, cercando di non incontrare gli occhi del fratello, che non voleva
la vedesse in quelle condizioni, passava in esamine tutto quello che si trovava
nella stanza, e, nonostante lo sapesse, rimase stupita nel rincontrare quel
volto.
Quello
sguardo vuoto e freddo, quei capelli dritti. Il Professor Piton.
Se n’era
stato lì, assonnato, insieme agli altri Presidi passati, ma aveva schiuso gli
occhi appena aveva avvertito il loro ingresso. E quegli occhi non si erano mai
staccati da lei, dandole uno spiacevole senso di fastidio nell’essere
osservata, ma di nuovo si sentiva lusingata, e aveva paura di questa sensazione
adesso.
“Lil...” le sembrò che avesse respirato, mentre lo sguardo di lui passava agli smeraldi che Albus aveva incastonato al posto degli occhi. Con il sorriso sulle labbra, forse per la prima volta, quieto, si riassopì.