Serie TV > Il paradiso delle signore
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Autore: InvisibleWoman    24/06/2021    0 recensioni
Irocco | Con questa storia esco un po' dalla mia comfort zone del canon per dedicarmi alla fantasia (e non so quanto sarà una buona idea a lungo termine lol). Prende il via dagli eventi delle ultime settimane: tra Rocco e Irene non c'è più niente e lui è ufficialmente fidanzato con Maria. Ho ripreso un personaggio che avevo buttato lì tempo fa in una storia (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3976440&i=1) e che speravo arrivasse anche nella fiction per far svegliare Rocco. In realtà l'hanno fatto, ma con Maria, argh.
Da qui proseguirò la storia, che avrà più capitoli (spero per me non tanti), e proverò a dare la felicità al mio personaggio del cuore: Irene. Con o senza Rocco. Vedremo.
PS: troverete qualche errore o tempo verbale sbagliato in alcuni personaggi (Rocco e Maria e gli Amato), giuro che è voluto. Se dovesse capitare con gli altri fustigatemi pure!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rocco non aveva chiuso occhio quella notte. Faceva roteare il cucchiaio dentro la tazza di latte, fissando i cerchi concentrici creati dai suoi movimenti, come ipnotizzato. In realtà la sua mente era altrove, ferma alla sera precedente. Le parole di Irene gli risuonavano nella testa come un disco rotto, un giradischi inceppato che continuava a stridere nelle sue orecchie imperterrito, incessante. “No che non è così” gli aveva detto lei e tutte le certezze di Rocco si erano sgretolate in quel momento. Aveva visto la sua espressione ferita e amareggiata e non aveva potuto fare a meno di crederle. Era sinceramente dispiaciuta e offesa che Rocco potesse averla dipinta in quel modo. Eppure quella era stata l’unica spiegazione che lui era stato in grado di darsi. L’unico motivo che potesse spingere Irene ad allontanarlo e voler nascondere il loro rapporto era la differenza tra i due. Lei aveva sempre sognato un certo tipo di uomo, un altro tenore di vita che Rocco non avrebbe mai potuto offrirle. Era un semplice magazziniere con pochi grilli per la testa. Sognava una vita semplice, un matrimonio, dei picciriddi. Qualcosa che Maria avrebbe potuto offrirgli. Lui e Irene non avevano nulla in comune. Un tempo aveva descritto lei e Maria come il diavolo e l’acqua santa e lui in mezzo, tra due fuochi. E sebbene non avesse senso, il suo cuore l’aveva sempre e solo portato verso l’unica direzione che tutta la sua famiglia non avrebbe mai approvato. Irene gli aveva insegnato a decidere per se stesso. A scegliere con la propria testa, senza lasciarsi influenzare. Ma Rocco non era bravo a farlo. Non sopportava i conflitti, non accettava l’idea di mettersi contro tutte le persone che gli volevano bene. Non voleva scontentarli. I suoi zii si erano presi cura di lui, lo avevano accolto, dandogli una casa lì a Milano, aiutandolo a trovare lavoro e allontanarsi da quella famiglia disfunzionale che si era lasciato alle spalle a Partanna. Non sarebbe mai più voluto tornare indietro. La Sicilia apparteneva al suo passato, a un Rocco profondamente diverso. Milano lo aveva aiutato a crescere e maturare e lì era il suo futuro. 
Eppure era stato disposto a lottare contro tutti loro per lei. Non voleva nascondersi, voleva che tutti sapessero che lui aveva scelto e aveva scelto Irene. Lei non capiva quanto quel gesto contasse per lui. Sapeva che la sua famiglia non avrebbe mai approvato la sua scelta, eppure l’aveva fatta lo stesso. Non aveva voluto nasconderla ai suoi zii, né a Maria. Aveva deciso di comportarsi da uomo, come lei gli aveva sempre insegnato. Aveva insistito, l’aveva pregata, voleva farlo sapere al mondo intero, non badando alle conseguenze. Ma davanti ai suoi continui rifiuti aveva alla fine desistito. Si era sentito piccolo, non all’altezza, rifiutato come aveva fatto suo padre con lui, privandolo sempre di qualsiasi gesto di affetto. 
Quando aveva capito di non essere abbastanza per Irene, che non lo sarebbe stato mai, allora anche quella parte di lui che credeva nel potere delle proprie scelte, era stata accantonata proprio come aveva fatto con lei. Aveva rinchiuso in una scatola tutti i suoi insegnamenti, tutto il suo percorso di crescita e l’aveva nascosto in un angolo remoto della propria mente. Aveva lasciato che fossero gli altri a decidere per lui, come avevano sempre fatto. Aveva creduto di non essere in grado di farlo da solo, se le sue scelte lo portavano a soffrire e sbagliare come aveva fatto prima con Marina, e adesso con Irene. Sua zia Agnese lo conosceva e sapeva meglio di lui di cosa avesse bisogno. E ciò che serviva nella sua vita era una ragazza come Maria, perché un ragazzo di umili origini come lui non poteva ambire all’attrice di successo come Marina o a una milanese intraprendente e moderna come Irene. Doveva restare nel suo. Tra i suoi simili. Mogli e buoi dei paesi tuoi, come gli dicevano sempre tutti.
Peccato che adesso ogni sua certezza aveva iniziato a vacillare dopo la serata del giorno precedente. Se Irene non si vergognava di lui, allora perché aveva deciso di mettere fine a qualsiasi cosa ci fosse tra di loro? Perché non aveva voluto dargli nemmeno una possibilità?
“Mamma mia, e che hai fatto a pugni col cuscino?” dichiarò Tina entrando in cucina, sistemandosi la camicetta dentro la gonna a ruota a pois nera che indossava. 
“Lassa stari, va” la guardò male lui. Ieri aveva tartassato lui e Irene per l’intera giornata, portandoli allo stremo. Non avrebbe sopportato di essere nuovamente riempito di domande, specialmente dopo una nottata come quella.
“Te l’avevo detto che non erano cosa di andare in giro come voialtri” disse Agnese avvicinandosi al nipote per fargli una carezza sul viso. “Gioia mia, ti senti bene?” gli aveva domandato sua zia.
“Non ho dormito stanotte” bofonchiò lui senza neanche alzare lo sguardo. 
Tina sollevò le sopracciglia e si mordicchiò una guancia con l’aria colpevole di chi sapeva aver contribuito a quella notte insonne. Ma fece spallucce davanti alle occhiate della madre, fingendo totale estraneità.
“Si vede, gioia, sei pallido” avvicinò una mano alla sua fronte per vedere se aveva preso qualche malanno. 
“Zia, sto bene, avà” si scostò lui, più irritabile del solito.
“Magari ci dico al signor Ferraris che vieni dopo pranzo? Così provi a dormire un po’ questa mattina, che dici?” rispose lei, guardando prima lui con aria interrogativa e poi sua figlia Tina con sguardo minaccioso. Se c’era il suo zampino in tutta quella storia, l’avrebbe sentita. 
“No, non c’è bisogno, zì. Ora mi alzo e…”
“Sì, mamma, è meglio. Digli così” lo interruppe lei, facendo alla madre il gesto di andare via, mentre con l’altra mano strinse il polso di suo cugino per non farlo spostare da quel tavolo.
“Va bene, allora ci vediamo più tardi. Riposati, gioia” si avvicinò per sfiorargli bonariamente i ricci, prima di afferrare le chiavi e uscire di casa. 
“Si può sapere che ti prende?” Tina gli domandò non appena la porta si chiuse, dandogli dei colpetti sulla spalla.
“Oh, piano, au. Chi bo?” ribatté lui con sguardo imbronciato. Ci risiamo, pensò.
“Lo sai cosa voglio. Forza, parla” disse afferrando il coltello da burro per puntarlo contro di lui con aria minacciosa.
“Lo sai ca cu chiddu non mi fai nenti?” le rivolse un’occhiataccia, prima di bere gli ultimi sorsi di latte e alzarsi per cercare di defilarsi da quell’ennesimo interrogatorio. 
“Questo lo credi tu” Tina lo seguì, afferrandolo per la collottola. “Vuol dire che non mi conosci abbastanza bene. Non ti ricordi che male ti facevo con dei semplici noccioli di pesche?”
“Avà, Tina” sbottò, esausto. Non era in vena di giocare.
“Il mio cuginetto smutandato è conteso tra due donne” lo canzonò lei, cercando di buttarla sul ridere.
“Ma quale smutandato e quali donne. Non c’è nessuna contesa” provò a liquidarla. 
“Rocco, non hai dormito e la crostata è ancora tutta lì” gli disse indicandogli il piatto con lo sguardo, come se fosse la prova inconfutabile del fatto che lei avesse ragione, qualsiasi fosse la sua idea. Sin dai tempi dell’infanzia, la caratteristica che aveva maggiormente contraddistinto Rocco era l’amore per il cibo. Quando non mangiava, lì significava che qualcosa non andava e chi lo conosceva ormai lo sapeva fin troppo bene.
“E allora? E’ colpa tua e di quella cosa che mi hai fatto bere ieri” si giustificò con una smorfia. 
“Certo, certo. E’ anche colpa mia la sceneggiata che avete fatto tu e Irene? Se prima ero solo io ad avere qualche dubbio, adesso li avete tolti a tutti quanti” Tina continuò a sventolargli il coltello davanti alla faccia.
“A finisci cu stu coltello” rispose lui afferrandole la mano per sfilarglielo dalle dita e poggiarlo sul tavolo. Ignorò il resto delle sue neanche tanto velate allusioni. 
“La finisco quando mi dirai tutta la verità” gli disse lei con aria minacciosa. Non aveva bisogno di un coltello per incutergli timore, il suo sguardo faceva tutto il lavoro al posto suo. 
“Irene non vuole” si strinse nelle spalle lui, giustificando così il proprio silenzio. La verità era che non aveva voglia di parlarne, ma usare Irene come scusa era molto più semplice, dato che non era lì per difendersi. 
“E perché non vuole, sentiamo. Allora è vero che avete qualcosa da nascondere” lo punzecchiò lei, toccandogli i fianchi con le dita.
“Avà. Ma che nascondere e nascondere. Che c’entra che abbiamo qualcosa da nascondere, no” ribatté Rocco con un gesto della testa, allontanandosi dalle grinfie di sua cugina. Il principale difetto di Tina era che non riusciva ad accettare un no come risposta. Era invadente e, soprattutto insistente, e non capiva mai quando era il momento di fermarsi per evitare di oltrepassare il limite. E sebbene ai suoi occhi quello doveva essere solo un gioco per lei, non lo era per Rocco. Né per Maria o Irene. Ne andava delle loro vite e lui non aveva affatto voglia di scherzare.
“E allora parla, mamma mia! Ti devono tirare fuori le cose con le pinze?” domandò Tina esasperata. “Tanto lo sai che prima o poi scopro tutto, quindi tanto vale togliersi il pensiero, no?”
“Ma tu perché ti devi mettere in mezzo, me lo spieghi? Che ci fai qua? Dov’è to maritu?” le domandò spazientito. Perché doveva immischiarsi nella sua vita, non aveva di meglio a cui pensare?
Tina trasalì, irrigidendosi di colpo. “Che c’entra, non si stava parlando di me.”
“Eh, certo. Siete tutti bravi qua a dare consigli quando le cose non vi riguardano. Pure to frati tanto bravo a dirmi cosa fare e cosa non fare però, quando si trattava di Gabriella, mutu. E col muso lungo per mesi” sbottò Rocco, gesticolando più del solito in preda alla collera. 
“Perché è più facile dare consigli agli altri che applicarli noi stessi. E poi dall’esterno vediamo le cose con più lucidità” il tono di voce di Tina si addolcì, portando Rocco ad abbassare per un attimo le difese. 
“E che vedi, sentiamo?” domandò curioso, cercando di nascondere l’imbarazzo.
“Vedo che stai facendo una sciocchezza. Vedo che non sei felice. E vedo soprattutto come guardi lei” gli disse avvicinandosi per prendergli il mento con una mano e spingerlo a fissarla negli occhi. 
“Lei chi?” chiese Rocco, sebbene sapesse perfettamente a chi sua cugina si riferisse.
“Ma come lei chi! Tu fai il finto tonto per non pagare dazio, ammettilo” rispose sua cugina con irritazione.
Rocco inspirò profondamente, cedendo sotto al peso di quelle parole e di una verità che in fondo aveva sempre saputo anche da solo.
“Tina, io non lo so che devo fare” si accasciò su una sedia, finalmente sincero sui propri sentimenti.
“E non te lo posso dire io cosa devi fare. Ti sei infilato in un gran casino, però, questo posso dirtelo” iniziò a scuotere la testa sconsolata. “Devi solo farti una domanda: tu chi è che vuoi? Con chi immagini il tuo futuro? Non farti influenzare dagli altri. E non fare la scelta sbagliata, perché lo sai che una volta presa non potrai più tornare indietro” gli consigliò. Lei e Sandro stavano vivendo uno dei momenti peggiori da quando avevano iniziato a frequentarsi. Non era sicura di come sarebbero andate le cose, era arrabbiata e ferita. Ma lei aveva una scelta. A Londra esisteva il modo per troncare quella storia e ricominciare. Rocco non avrebbe potuto farlo, specialmente se avesse deciso di sposare una ragazza tanto religiosa come lo era Maria. 
“Credevo ca chidda si vergognava di mia” rivelò a Tina, con aria imbronciata. 
“Lei chi? Irene? Beh, in effetti…” rispose lei. “Una come lei insieme a uno come te?” fece una pernacchia con le labbra.
“Avà” Rocco la guardò male. Se il suo obiettivo era aiutarlo, non ci stava riuscendo affatto. “Io volevo stare con lei e lei mi diceva che dovevamo prima conoscerci. Allora l’avevo invitata a uscire e mi diceva sempre di no. Ma io dico: come facevamo a conoscerci se non me lo faceva fare?” le spiegò, cercando approvazione nello sguardo di Tina. 
“E c’hai ragione pure tu” disse infatti sua cugina. “E quindi? Era per questo?”
“No” confessò, arricciando le labbra. “Ieri sera è venuto fuori che non era pi chistu. Anzi, pensa, si è pure offesa perché l’ho pensato” aggiunse Rocco con incredulità. 
“E allora cos’era? Mamma mia, Rocco, ce la fai a raccontare tutto in una volta?” Tina roteò gli occhi al cielo, spazientita. Lei voleva andare dritta al punto, conoscere ogni aspetto di quella storia, magari mentre si gustava una bella busta di caramelle come davanti a uno spettacolo del cinema, e invece Rocco non faceva altro che lesinare informazioni, facendosele tirare fuori dalla bocca con la forza.
“E non lo so picchì!” rispose lui di getto, arrabbiato. “Non me l’ha detto. Poi è arrivata Maria…” Già, Maria. Al pensiero di dover parlare con lei, a Rocco si chiudeva ulteriormente lo stomaco.  
“A proposito di Maria. Non puoi sposarla, Rocco” disse Tina con leggerezza, come se gli avesse appena intimato di non accoppiare una certa camicia con un paio di pantaloni. Tina non era una persona leggera e superficiale, pensava anche lei alla reazione della povera Maria e, soprattutto, di tutta la sua famiglia. Rocco aveva certamente peccato di ingenuità, ma questo non voleva dire che dovesse pagare quell’errore per tutta la vita. Era meglio farla soffrire adesso, che per gli anni a venire.
“Ma va finiscila” tornò ad alzarsi dalla sedia. Si avvicinò all’attaccapanni e afferrò il soprabito. Aveva bisogno di un poco di aria e di tempo per capire cosa fare. Voleva parlare con Irene, voleva finalmente capire tutto, ma sapeva che in quel momento l’avrebbe trovata al lavoro e non sarebbe stato il luogo adatto in cui avere quel tipo di conversazione. 
“Rocco, non la ami. Non è giusto” gli urlo prima che lui si richiudesse la porta alle spalle, lasciandola da sola con una voglia matta di caramelle.

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Rocco era rientrato in casa dopo un’oretta in cui aveva vagato senza meta per la città. Si era tenuto a debita distanza dal magazzino, dato che il signor Armando lo sapeva a casa a riposare. Quella camminata, tuttavia, non gli aveva aperto gli occhi e non aveva portato consiglio. Non sapeva ancora cosa avrebbe dovuto fare. Se il suo cuore lo portava verso una direzione, la sua mente lo trascinava da tutt’altra parte. Come avrebbe potuto mettere fine al fidanzamento con Maria dopo tutto quello che era successo? E se l’avesse fatto, nulla gli avrebbe assicurato che dall’altra parte avrebbe trovato Irene ad aspettarlo. Anzi, era più probabile che lei non ne volesse sapere più niente di lui, specialmente adesso che aveva quel Lorenzo nella sua vita. Come poteva competere con un uomo interessante, elegante, con una professione tanto entusiasmante? Rocco era un banale magazziniere illetterato che si divertiva a pedalare su due ruote, niente di più e niente di meno. Non aveva niente da offrirle, eccetto se stesso. E quel poco che aveva non era abbastanza per lei. L’idea di un suo rifiuto lo aveva frenato e impaurito tanto da portarlo a compiere una scelta che in cuor suo sapeva già fosse sbagliata sin dal principio. Ma se non poteva avere ciò che voleva, se continuava a commettere errori di valutazione che lo portavano a scegliere le donne sbagliate, non poteva fare altro che scegliere quella che tutti gli dicevano fosse quella giusta per lui, solo così non avrebbe fatto scontento nessuno. Nessuno, eccetto se stesso, e solo adesso iniziava a rendersene conto. 
Sul ballatoio fissò pensieroso la porta accanto alla loro. L’appartamento che Irene e Maria condividevano. Ripensò alla cena di Maria dalla quale si era defilato settimane prima quando aveva capito che Irene non ci sarebbe stata. Ripensò ai suoi tentativi di convincere Irene a uscire con lui. Rivide davanti a sé il momento in cui aveva chiesto a Maria di sposarlo e quello in cui si era accorto di Irene affacciata alla porta che osservava l’evento. Aveva creduto davvero di non interessarle, che lei non provasse assolutamente nulla per lui, perché si era prodigata tanto per farglielo credere. Eppure la discussione della sera prima gli aveva fatto credere il contrario. Rocco non era una persona perspicace, lo ritenevano tutti un tontolone capace di farsi rivoltare come un calzino da chiunque. Ma quella sera aveva avvertito qualcosa di diverso, qualcosa che lo aveva portato a rivalutare ogni aspetto della sua vita. 
Infilò le chiavi nella toppa e si richiuse la porta alle spalle, poggiandovisi sopra sconsolato, come un’anima in pena. L’appartamento era vuoto, Tina era andata chissà dove, lasciandogli la possibilità di riposarsi senza ulteriori provocazioni. Rocco si sfilò le scarpe e si buttò a peso morto sul materasso e, nonostante fosse stanco, si rigirò sulle lenzuola per qualche tempo, prima di riuscire finalmente a prendere sonno. Non aveva idea di che ora fosse e quanto avesse dormito, sapeva solo che una voce proveniente dalla stanza principale lo aveva appena svegliato. 
Rocco sbadigliò assonnato, tendendo l’orecchio fuori dalla porta e riconoscendo la voce di suo zio. Si stiracchiò, ma non si alzò dal letto. Il rapporto con suo zio era ancora troppo teso e Rocco non aveva intenzione di affrontarlo, preferiva fingere di essere ancora addormentato così da non dovergli parlare. 
“Stia tranquillo, Puglisi, Rocco farà come gli dico io” sentì suo zio urlare al telefono. Rocco immediatamente si mise a sedere, accostando l’orecchio alla porta della camera da letto.
“Ca cettu, figuratevi. Un accordo è un accordo. Ci penserà Rocco alle terre. Tanto suo padre l’ha già addestrato come si deve” ridacchiò lui, riferendosi al nipote come se si trattasse di un cane da pastore e non di un essere umano con dei sogni e delle idee tutte sue. 
A Rocco si raggelò il sangue nelle vene. Rimase lì fermo e incredulo per qualche istante. Accordo? C’era un accordo tra suo zio e il padre di Maria? Improvvisamente tutto diventò più chiaro e capì perché suo zio avesse spinto tanto per fargli sposare Maria. Iniziò a chiedersi se anche sua zia Agnese ne fosse a conoscenza e ci fosse pure il suo zampino in quella unione. Da due anni tutti non facevano che spingerlo tra le sue braccia, tessendo le lodi di Maria, facendogli il lavaggio del cervello. Quanto c’era di suo nella decisione di sposarla? E quanto invece era stato un pensiero indotto da tutti loro? Si sentì un burattino, manovrato da un lato e dall’altro a proprio piacimento, e lui troppo ingenuo per accorgersene. Era uno stupido. Non era padrone del proprio destino, tutti volevano decidere per lui, tutti credevano di sapere meglio di lui cosa fosse più giusto. Rocco deglutì a fatica, con la mano appoggiata alla maniglia. Non poteva nascondersi lì dentro, aveva bisogno di sapere, di sentire la verità. La abbassò e aprì la porta di scatto, facendo trasalire suo zio. 
“Rocco! Chi ci fai ca? Mi facisti scantari” Giuseppe la prese sul ridere, mentre lo sguardo di Rocco era inequivocabile. “Devo richiamarvi” si affrettò a dire al telefono, riagganciando rapidamente la cornetta. 
“Era il padre di Maria? Chi vuleva?” Rocco domandò serio.
“Ma niente, sai, i preparativi per il matrimonio. Cose così” cercò di liquidare l’argomento, nella speranza che suo nipote lasciasse perdere.
“Ormai non mi ci pigghi più in giru” disse Rocco puntandogli il dito contro. Lo aveva anche preso nella giornata sbagliata. Era preoccupato e nervoso per tutte le domande che gli frullavano per la mente e per quella nottata insonne. Non era più disposto a farsi trattare da stupido e incapace da tutti loro. “Cos’è ‘sta storia delle terre, ah? Iu a Partanna non ci torno” gli intimò lui.
“E invece è quello che farai perché è quello che vuole il padre di Maria. O così, o non te la sposi proprio” gli urlò Giuseppe, inconsapevole di avergli offerto su un piatto d’argento la via di uscita al suo dilemma interiore.
“Ah sì? Allora ci dici che non si ni fa nenti” Rocco si strinse nelle spalle. 
“Stai babbiando? Tu pigghisti un impegno con Maria e con suo padre e ora lo rispetti!” gli urlò contro, tornandogli a un palmo dal naso come l’ultima volta. Ma Rocco non avrebbe reagito allo stesso modo. Iniziò a respirare profondamente, cercando di contare fino a dieci come gli aveva detto il signor Armando. 
“La vita è a mia e decido io che voglio fare, chi sposare” gli rispose, fissandolo negli occhi con sfida. “Chi amare.”
“Ma quale amore e amore. Ma chi ni sai tu dell’amore” scoppiò a ridere con la sua aria da uomo vissuto che derideva l’ingenuità tipica dei giovani.  “Per caso c’entra quella…”
“Attento a chiddu ca rici” Rocco lo mise in guardia. L’ultima volta non aveva reagito bene alle accuse rivolte a Irene.
“Ah, mi vo fari scantari?” Giuseppe lo guardò serio, ma a tratti ancora divertito per quella ennesima presa di posizione. “Chiddi su fissarii, Rocco, la vita vera è un’altra cosa. Tu hai preso un impegno e lo rispetti. Altrimenti qui dentro non ci torni” gli intimò minaccioso. 
“E allora non ci torno” Rocco si strinse nelle spalle.
“Avaia, Rocco, vedi di finirla cu ‘sta storia” gli intimò Giuseppe, che adesso iniziava a preoccuparsi sul serio che il nipote potesse cambiare davvero idea. Se avesse rotto il fidanzamento, ne avrebbero parlato per tutta Partanna negli anni a venire e avrebbe rovinato la povera Maria, oltre che il suo progetto di arricchimento. Aveva un accordo con il signor Puglisi e non poteva permettere che Rocco glielo mandasse a monte per una insulsa ragazzetta. 
“Non ci pensi a Maria, ah? A chiddu ca dirannu o paisi? Ai suoi genitori? Ci facisti na promessa” gli ricordò lui. “Ti sei fidanzato cu Maria e ora te la sposi, fine della discussione.” Si allontanò con calma, decretando chiuso l’argomento. Tirò fuori dalla tasca uno dei suoi sigari e lo accese, come se niente fosse. Rocco rimase fermo a fissarlo, incapace di proferire parola, spiazzato da quell’ennesimo voltafaccia. Suo zio però su una cosa aveva ragione. L’aveva messa in una posizione difficile, ed era l’ultima cosa che desiderava. Nonostante tutto ci teneva a lei. Però il suo posto non era a Partanna, il suo posto era lì. Questa era l’unica cosa di cui Rocco era assolutamente certo e non aveva mai dubitato.
Inspirò profondamente, continuando a fissare suo zio che non lo degnava più di uno sguardo. Per tutta la sua vita Rocco aveva seguito gli insegnamenti e le direttive di chi aveva più autorità di lui. Da piccolo obbediva al padre che, con o senza l’uso della forza, lo obbligava a seguire le sue regole. Lavorava nei campi, andava dietro alle pecore e non poteva studiare, perché era troppo stupido per farlo. Adesso sapeva che non era così. Non era troppo stupido, era una forza lavoro troppo utile, nonché gratuita, perché suo padre potesse privarsene. Arrivato a Milano aveva seguito i consigli di sua zia Agnese, che da suo padre l’aveva strappato per concedergli una vita migliore. Doveva essere grato a lei e a quell’opportunità che gli aveva offerto. Senza sua zia sarebbe rimasto un ignorante contadino di Partanna. 
Tuttavia, prima di arrivare a Milano, Rocco non aveva mai preso una decisione che fosse sua e soltanto sua. Scegliere con chi correre era stato il suo primo e vero atto di ribellione, una sorta di emancipazione tardiva. Le parole di Irene ogni tanto gli risuonavano nella mente: ‘l’importante è che quello scontento non sia tu’. Non aveva mai visto la vita da quella prospettiva. Per lui l’importante non era la sua felicità, ma che le persone nella sua vita fossero contente. Voleva evitare conflitti e la paura di deludere chi gli voleva bene lo portava ad assecondarli sempre, mettendo da parte se stesso e i propri desideri in favore dei loro.
Per tutta la sua vita Rocco aveva cercato di compiacere gli altri, anziché se stesso, ma adesso non più. Si sentiva come un uccellino che finalmente era riuscito ad aprire la porta di quella gabbia in cui era nato e cresciuto e volare via, nel vento, libero. Sarebbe caduto, si sarebbe fatto male, ma sarebbe stata una sua scelta e non avrebbe avuto nessuno da recriminare se non se stesso. Doveva prendersi quelle responsabilità da cui fino a quel momento era rifuggito e accettare la possibilità di commettere errori talvolta imperdonabili. Era questo che significava essere un adulto, glielo aveva insegnato Irene. Non sapeva se l’avrebbe trovata dall’altro lato di quella porta, e avrebbe mentito se avesse detto che non gli importava. Ma doveva prendere quella decisione a prescindere da lei. Lo doveva a se stesso. Perché non poteva vivere una vita di rimpianti, chiedendosi sempre come sarebbe potuta andare se solo avesse trovato il coraggio di essere se stesso. Avrebbe avuto una bella vita accanto a Maria, di questo ne era certo. Solo che quella non era la vita che voleva vivere. Adesso lo sapeva.
Rocco diede un’ultima occhiata allo zio, poi drizzò la schiena e si incamminò verso l’uscita, senza dire una parola. 
“Dove stai andando? Oh, Rocco!” lo richiamò suo zio, ma lui non lo ascoltò. Sapeva già dove stava andando. Forse non era il luogo adatto, ma non poteva più aspettare. Aveva paura che più tempo passasse, più la forza e il coraggio di fare quello che avrebbe dovuto fare già da tempo sarebbero venuti meno. 

Si era incamminato di tutta fretta verso il Paradiso, senza guardarsi mai indietro. Era quello che avrebbe voluto fare d’ora in poi. Guardare solo avanti, al futuro. 
“Rocco, ti senti meglio?” aveva domandato il suo mentore vedendolo entrare in magazzino a passo spedito.
“Benissimo, signor Armà” rispose lui deciso, oltrepassandolo per raggiungere l’atelier. I suoi occhi incrociarono quelli di Irene mentre avanzava verso le scale. Lei, tuttavia, distolse lo sguardo, preferendo dedicarsi alla cliente di turno piuttosto che a lui. Era ancora arrabbiata. Rocco per il momento la ignorò. Avrebbe voluto correre da lei e dirle tutto quello che sentiva, ma sapeva che non sarebbe stato giusto nei confronti di nessuno. Doveva chiudere col passato, tagliare quel cordone ombelicale che fino a quel momento lo aveva nutrito e camminare con le proprie gambe. Da solo. O con lei.
“Maria, ti posso parlare un attimo?” le aveva chiesto affacciandosi timidamente alla porta.
“Adesso?” rispose lei scocciata. La serata precedente aveva aperto gli occhi anche a lei. Una parte di sé, tuttavia, aveva sperato di non veder arrivare mai quel momento. Avrebbe voluto fare finta di niente, ignorare quella vocina nella testa che le diceva quello che di lì a poco avrebbe sentito con le proprie orecchie. Voleva fingere che non fosse vero: se l’era immaginato, era paranoica. Perché la verità era troppo grande e dolorosa da accettare.
“Adesso” ribatté deciso. Ora che aveva trovato il coraggio di farlo, non poteva tirarsi indietro.
“Vai, Marì, qui finisco io” disse Agnese con sguardo comprensivo, ignara del motivo di quella visita, o altrimenti non l’avrebbe lasciata andare via con tanta facilità. 
Maria, riluttante, si alzò dalla sedia, appese il camice e uscì con un macigno sul cuore.
Rocco la invitò ad allontanarsi, non poteva affrontare quella conversazione lì dentro, con sua zia a pochi passi da lui. Attraversarono nuovamente la galleria e gli occhi indagatori di Irene. Ma Maria non la degnò di uno sguardo, andando dritta verso la porta insieme a Rocco.
“Maria, io…” iniziò lui dopo averla portata sulla panchina della piazzetta lì vicino. “Non è facile quello che devo dirti” aggiunse abbassando lo sguardo per vergogna.
“Senti, Rocco, facciamola breve. Tanto lo so già quello che devi dire” esordì Maria. Non era una stupida. Sebbene si fosse illusa per due anni, non era talmente cieca da non accorgersi di quello che c’era tra lui e Irene. Per tutto quel tempo aveva fatto finta di niente, catalogando il tutto come un semplice gioco. Per lei e per lui. Ma la scenata a cui aveva assistito la sera prima, il motivo per cui Rocco aveva dormito in magazzino, gli sguardi che gli aveva visto lanciare a lei e a quel Lorenzo. Tutti i pezzi del puzzle si erano incastrati per mostrare il quadro completo. E adesso le era tutto improvvisamente più chiaro. Rocco non amava lei, non lo aveva mai fatto. Nemmeno quando glielo aveva fatto credere. Abbassò lo sguardo su quell’anello che portava al dito e lo sfiorò con il pollice della stessa mano, facendolo ruotare attorno alla pelle per l’ultima volta. Era una ragazza del sud profondamente legata alla religione e alle tradizioni, ma non tanto da sacrificare se stessa con un uomo che non la amava. Non avrebbe fatto storie, non si sarebbe messa a piangere, urlare e strepitare. Non perché non fosse arrabbiata e delusa, ma perché lui non meritava di vedere quella parte più profonda di sé. L’aveva calpestata, l’aveva presa in giro e l’aveva messa nella posizione peggiore che potesse esserci. Non aveva idea di come avrebbe dovuto spiegare a suo padre che quel matrimonio non ci sarebbe stato. Sentiva già le comari del paese parlare di lei e di quello che era successo, gettando fango sull’intera famiglia. Suo padre non lo avrebbe perdonato né a lei e né agli Amato e l’avrebbe richiamata a Partanna senza possibilità di replica. Eppure, nonostante avrebbe potuto provarci, Maria non lo avrebbe legato a sé con la forza. Non si sarebbe umiliata fino a quel punto. Aveva abbastanza orgoglio e amor proprio da capire che era arrivato il momento di farsi da parte. 
Rocco chinò la testa e fissò anche lui quell’anello che le aveva regalato solo un paio di settimane prima. Si vergognava di se stesso per essersi spinto tanto in là, commettendo il più grosso sbaglio della sua vita. Ma non poteva non tirarsi indietro e commetterne uno addirittura peggiore.
“Maria, però io non ti ho mai presa in giro, te lo giuro” provò lui, poggiando una mano sulla sua. Lei la tirò via, sfilandosi rapidamente l’anello come se improvvisamente scottasse. 
“Ah no?” si voltò rabbiosa verso di lui. I baci con Irene erano avvenuti prima del loro fidanzamento. E lei era stata abbastanza stupida da credergli quando diceva che non erano contati niente. “Mi hai chiesto di sposarti, hai pure chiamato mio padre a Partanna. Ora mi dici che ci hai ripensato e non mi hai presa in giro? Anzi, non hai avuto nemmeno il coraggio di dirmelo, te l’ho anticipato io! Avanti, dimmelo” disse Maria tenendo l’anello tra le dita e piazzandoglielo davanti al viso. 
“Io ho sbagliato. Ma ci tengo a te, davvero. E pensavo che potevamo stare insieme, che era te che volevo perché eri quella più giusta per me” le spiegò con gli occhi lucidi. “Ma non basta venire dallo stesso paese, Marì. Io non voglio tornare a Partanna, io voglio andare avanti. Il mio posto è qua” le spiegò.
“Ma chi te l’ha mai chiesto di tornare a Partanna? Anche il mio posto è qua. O almeno lo era” gli fece notare lei con rammarico. 
“Tuo padre e mio zio hanno fatto un accordo, Marì. Ci hanno fatti mettere insieme per sistemare le terre” le raccontò, sperando che questo aprisse gli occhi anche a lei. 
Maria lo guardò confusa, poi sorrise amareggiata, scuotendo la testa. “Loro ci avranno fatto mettere insieme, Rocco. Ma io non mi sono innamorata di te perché me lo ha detto qualcun altro” gli rispose. “Tu invece perché l’hai fatto? Perché io ti volevo e lei no e allora sei venuto da me? Ma non ti vergogni? E ora che fai? Mi stai lasciando perché lei ti ha promesso qualcosa?” 
“Sì, mi vergogno assai, Marì” rispose lui d’istinto. “Ma Irene non mi ha promesso niente. Io non lo so nemmeno se mi vuole. Però non era giusto prendere in giro te” le fece notare. In quel preciso istante lo sguardo di Maria si addolcì per qualche frazione di secondo. Se non altro apprezzava la sincerità. Avrebbe potuto tenersela buona in attesa di una risposta affermativa di Irene, invece aveva avuto il coraggio di prendersi le proprie responsabilità. Ma non bastava. Quel momento di magnanimità durò solo qualche istante, perché dopo sul suo volto tornò a fare capolino il comprensibile risentimento. 
“Potevi pensarci prima, Rocco. Tieni” gli disse schifata, prendendogli la mano per lasciargli dentro l’anello di fidanzamento. Poi, senza nemmeno guardarlo in faccia, si alzò e si incamminò di nuovo verso il Paradiso. Con la testa piena di pensieri e il cuore pesante. Non aveva idea di cosa avrebbe detto ad Agnese, né come avrebbe affrontato l’argomento con suo padre. La sua vita era diventata improvvisamente un’enorme incognita. Nonostante la cocente delusione, non voleva tornare a Partanna. Non voleva affrontare le malelingue, le ramanzine di suo padre, i suoi fratelli scalmanati e la prospettiva di un matrimonio arrangiato in fretta e furia per cercare di seppellire i pettegolezzi. A questo Rocco non aveva pensato quando aveva deciso di giocare con la sua vita. E sebbene una grossa parte di sé lo odiasse per quello che le aveva fatto, un’altra non poteva non apprezzare il suo coraggio. Era lo stesso che avrebbe voluto avere lei nel ribellarsi alla sua famiglia e decidere di rimanere a Milano, contro tutto e tutti. Se ce l’aveva fatta Rocco, forse poteva farlo anche lei. 

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Se il frullare dei pensieri avesse avuto un rumore, Irene avrebbe trovato assordante quello della sua compagna di stanza. La immaginava sul letto a rimuginare sulla confessione che le aveva fatto, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare di diverso per cambiare il corso degli eventi. Irene si era già pentita di aver scaricato su di lei parte di quella colpa, quando in realtà era consapevole fosse solo ed esclusivamente sua. Stefania aveva influito, ma non era stata il motivo per cui Irene aveva deciso di allontanarsi da Rocco. In cuor suo sapeva che l’avrebbe fatto in ogni caso, pur avendo il suo supporto. Ciò che l’aveva mossa era stata la paura, più che i possibili giudizi. Era stata solo lei l’artefice del proprio destino. L’unica su cui riversare ogni colpa.
Quella mattina non aveva visto né Rocco e né Lorenzo e, fortunatamente, nemmeno Maria, che aveva deciso di uscire di casa prima di tutte e rintanarsi in atelier. Irene le era grata per averle risparmiato l’ennesimo confronto che nessuna delle due aveva voglia di avere. Tuttavia, non era stata altrettanto fortunata con Tina, che l’aveva braccata all’uscita dallo spogliatoio dopo la pausa pranzo. 
“Puoi restare un attimo?” le aveva chiesto, mentre le sue colleghe si allontanavano parlottando tra di loro, ipotizzando di cosa dovessero parlare le due. Avevano notato un clima strano nell’aria, ma non erano ancora in grado di determinare quale fosse la causa, essendo all’oscuro dei retroscena che vedevano protagonisti Rocco e Irene. Solo Dora era venuta successivamente a conoscenza di quel flirt, ma non ne aveva fatto menzione con le altre, sotto specifica richiesta di Irene, che non voleva che si sapesse per non mettere ulteriormente in difficoltà Maria. 
“No, tu resta” chiese poi a Stefania, che si voltò sorpresa e preoccupata.
“Mi volevo scusare con voi per aver insistito ieri” esordì con aria afflitta. Si sentiva in colpa  perché aveva visto tutto come un gioco divertente, una distrazione dai propri pensieri e problemi, senza pensare che dall’altra parte c’erano delle persone con dei sentimenti che avrebbero sofferto se quella storia fosse venuta a galla. Una su tutte Maria. “Non era una questione che mi riguardava e ho messo in difficoltà Stefania” disse poi, portando la mora a irrigidirsi sulla sedia e strabuzzare gli occhi, in attesa della reazione di Irene. 
“Scusa, scusa, non volevo dirle tutto, è che…” la pregò Stefania.
Irene la guardò come se volesse strozzarla, ma poi si addolcì. “Tanto scommetto che l’aveva capito comunque, non è vero?” domandò a Tina.
“Appunto, non è che siete stati proprio discreti. Soprattutto quel babbo di mio cugino” ridacchiò lei. “A proposito, stamattina ho parlato con lui” aggiunse dopo, spiazzando entrambe. “Oggi non è venuto al lavoro perché sembrava lo avesse investito la corriera” ridacchiò, prendendolo in giro. 
Irene arricciò le labbra in un’espressione dispiaciuta. Evidentemente quella nottata era stata difficile per entrambi. Si domandò se lei avesse a che fare col suo malumore, o se invece era solo preoccupato di aver potenzialmente compromesso il rapporto con Maria.
“Ma sta bene?” chiese Stefania preoccupata.
“Fisicamente sì. Qui un po’ meno” rispose toccandosi il petto per indicarle il cuore. “Io non lo so cosa c’è stato effettivamente tra di voi, né quali sono stati i motivi che ti hanno spinto ad allontanarti e non me li devi dire per forza. Ma se provi qualcosa per lui, sappi che Rocco prova lo stesso” disse Tina. Si stava intromettendo ancora una volta, ma se conosceva abbastanza bene suo cugino, immaginava che non avrebbe trovato il coraggio di prendere una decisione al più presto. Si sarebbe fatto condizionare dai suoi, o da Maria stessa. Ma se avesse saputo che Irene era ancora una valida possibilità per lui, forse sarebbe bastato a smuovere le cose nella giusta direzione. A dirla tutta, Tina non aveva preferenze. Conosceva poco Maria, ma si erano frequentate sin da bambine. Non voleva che soffrisse per quella storia, non lo meritava. Sarebbe certamente stata una moglie più adatta a uno come Rocco e avrebbe reso felici tutti i suoi familiari. Ma Tina aveva imparato che non sempre era così semplice. Il cuore andava spesso per conto proprio, senza dare retta alla ragione. 
“Te l’ha detto lui?” chiese Irene, perplessa dall’improvvisa onestà di Rocco. 
“Non a parole, ma lo conosco. E’ mio cugino. In famiglia sono l’unica che lo conosce come le proprie tasche. Se sto intervenendo non è per farmi i fatti vostri, ma perché so che non è bravo con le parole e volevo che tu lo sapessi” le spiegò, stringendosi nelle spalle, prima di avviarsi verso l’uscita. “Ma ti metto in guardia: se stai giocando con lui, lascialo perdere. Non è la persona con cui fare certi giochetti. O te la vedrai con me” aggiunse Tina, puntandole due dita contro prima di richiudersi la porta alle spalle. 
“Irene!” esclamò Stefania entusiasta dopo essere stata lasciata sola con la sua amica. “Non è una bella notizia?”
Irene deglutì a fatica, cercando di reprimere quel nodo che avvertiva in gola. Perché Tina le aveva detto quelle cose? Cosa pretendevano che facesse? Che corresse da lui a implorarlo di darle un’altra possibilità? Non sarebbe stata lei l’artefice della rovina di quel matrimonio.
“Stefania, questo non cambia niente” inspirò profondamente, rimettendosi la sua solita maschera di indifferenza. Si avvicinò allo specchio per sistemarsi la divisa e uscì dallo spogliatoio, lasciando Stefania interdetta. 

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L’orgoglio era uno dei più grandi difetti di Irene. Non avrebbe mai ammesso qualcosa senza avere la certezza di trovare approvazione dall’altro lato. L’idea di correre da Rocco e confessargli tutta la verità, le sembrava intollerabile. Cosa avrebbe fatto se lui le avesse detto che avrebbe comunque sposato Maria? Cosa se ne sarebbe fatto delle sue parole? 
Non riusciva a smettere di pensare al discorso di Tina mentre si avviava verso l’uscita con le sue colleghe, a braccetto con Dora e Stefania. 
“Irene” la chiamò Lorenzo, appoggiato alla sua auto con una sigaretta tra le dita. 
“Ciao” rispose lei avvicinandosi, lasciando le sue due amiche qualche passo più indietro. Lorenzo buttò per terra la sigaretta, la spense con la suola della scarpa e poi le cinse la vita con una mano, baciandole una guancia. 
“Torno a casa con le altre” la informò Stefania con un sorriso imbarazzato, mentre faceva un cenno con la testa a Lorenzo a mo’ di saluto.
“Buonasera, Stefania” ricambiò lui, mentre lei si accodava al resto del gruppo. Maria sopraggiunse in quel momento, accorrendo per raggiungere le altre. Rivolse solo un rapido sguardo a Irene, che lei non riuscì a decifrare. 
“Devo ancora chiederti scusa o…” disse Lorenzo imbarazzato, mentre Irene si lasciò scappare un sorriso, abbandonando il broncio che gli aveva tenuto dal giorno precedente.
“Non ti sei ancora messo in ginocchio, in effetti” rispose lei scherzando. 
“Lo farei, ma non vorrei rovinarmi i pantaloni. Non immagini quanto mi siano costati” ironizzò a sua volta. Irene sorrise nuovamente, appoggiandosi anche lei all’auto, uno accanto all’altra a fissare un punto imprecisato davanti a loro. 
“In primavera fa buio troppo tardi” le fece notare dopo qualche istante. “Dobbiamo aspettare un’oretta per la nostra conversazione a cuore aperto o possiamo iniziare lo stesso?” cercò di allentare la tensione, ricordando il dialogo che avevano avuto il giorno in cui si erano scambiati il primo bacio, approfittando dell’intimità della notte. 
“Dipende cosa hai da dire” Irene si mordicchiò il labbro inferiore.
Irene sentì lo sguardo di Lorenzo su di sé per qualche secondo, poi sospirò e tornò a guardare distrattamente la gente che camminava sui marciapiedi. Il passo spedito di chi sperava di rientrare a casa in tempo per la cena, dalle proprie famiglie o forse da soli, proprio come lo era lui. 
“Credo che sia meglio chiuderla qui” disse diretto, senza giri di parole. 
Irene si voltò di scatto verso di lui, sorpresa dalla piega di quegli eventi. Sentiva una strana sensazione al livello del petto. Un senso di nostalgia, misto a tristezza, che portò i suoi occhi a inumidirsi di lacrime contro il suo controllo. Tirò su col naso e annuì.
“E’ per la scenata di ieri?” gli chiese dubbiosa. 
“Non è per la scenata di ieri, Irene. E’ perché non sono io la persona che vuoi” disse come se fosse una cosa assodata. Non avrebbe voluto prendere quella decisione ed era certo che le cose sarebbero andate diversamente tra di loro se non ci fosse stato quel ragazzo nella sua vita. Lorenzo non era talmente romantico da affermare di avere davanti la persona giusta. Dopotutto, trovava una sciocchezza l’idea che ci fosse una sola persona per ogni essere umano. Un'anima gemella. Piuttosto era convinto che ognuno fosse padrone della propria vita, e che fosse tutto l’insieme delle proprie scelte e delle rispettive conseguenze a portare verso una direzione o un’altra. Sapeva solo che, in un altro momento, gli sarebbe piaciuto cercare di far funzionare le cose. Quantomeno sarebbe valsa la pena provarci. 
Irene lo guardò per un attimo, poi distolse lo sguardo e fissò davanti a sé. Lorenzo aveva ragione, ma quanto odiava che l’avesse. Avrebbe tanto voluto ricominciare con lui, lasciarsi alle spalle Rocco e tutto quello che comportava e andare avanti, senza mai guardarsi indietro. Sarebbe stato tutto più facile.
“Non è vero” gli rispose. “Sei la persona che ho sempre voluto. Sai, da ragazzina sognavo di sposare un uomo esattamente come te. Non ero come tutte le ragazzine che sognavano le storie d’amore che si leggevano nei romanzi, non volevo essere la principessa ingenua che veniva portata in salvo dal principe di turno, io sognavo solo di andare via da quella casa che mi stava troppo stretta” gli spiegò continuando a fissare l’asfalto. “Volevo qualcuno che accettasse me e la mia infinita lista di difetti, qualcuno che forse un po’ mi somigliasse, così da non dover cambiare per compiacerlo, come invece voleva mio padre. E vivevo coi piedi ben piantati per terra, convinta che la vita non fosse fatta per due cuori e una capanna” continuò sfiorandogli la mano con le dita, ma senza mai voltarsi verso di lui. 
“Lorenzo, la verità è che tu sei esattamente la persona che ho sempre voluto. Ma non sei la persona di cui ho bisogno” disse infine, dandogli ragione. Aveva bisogno di essere messa alla prova, aveva bisogno di una persona che non si limitasse a comprenderla con accondiscendenza, ma che cercasse costantemente di migliorarla, facendole notare dove sbagliava. Aveva bisogno di qualcuno che le tenesse testa, ma che all’occorrenza fosse capace, con dolcezza e con fermezza, di smussare quegli angoli spigolosi del suo carattere che spesso la portavano a farsi terra bruciata. Aveva bisogno dell’unica persona che non aveva mai creduto potesse starle accanto. Aveva bisogno di Rocco.

Solo in quel momento si voltò verso di lui e lo vide annuire comprensivo. Insieme a Lorenzo, Irene si stava lasciando alle spalle tutto quello in cui per anni aveva sempre creduto. Si stava rimettendo in gioco e questo la spaventava. Lorenzo non era l’uomo sbagliato. Era la persona giusta, per la persona che era stata, non per quella che era diventata. Le piaceva immaginare che in un’altra realtà potessero essere felici insieme. Ma non ora. Non adesso che c’era un’altra persona a occupare il suo cuore e la sua mente.
“Buona fortuna, Irene” disse lui dopo qualche minuto di silenzio in cui le loro mani si erano unite, prima di allontanarsi definitivamente. 
“Anche a te” rispose lei, mettendosi in punta di piedi per lasciargli un bacio su una guancia. “Mi dispiace.”
“Non devi” le sorrise lui, stringendola a sé, facendole infine una veloce carezza sulla guancia. Poi entrò dentro la sua auto, mise in moto e partì, senza mai guardarsi indietro. Lorenzo non era il tipo da rimuginare sul passato. La sua mente lo portava sempre avanti a nuove passioni, nuove idee, nuove opportunità. Lui e Irene non erano destinati a percorrere la stessa strada insieme, ma solo un piccolo, brevissimo tratto. E, in fondo, andava bene così. 
 

Mentre vagava pensieroso per il quartiere, in attesa che Irene finisse il proprio turno e avesse modo di parlarle, Rocco aveva comprato una rosa su una bancarella. Non sapeva ancora cosa dirle esattamente, né quale sarebbe stata la reazione di lei. Ma intendeva provarci. 
Osservò pensieroso i soffici petali di quella rosa gialla che teneva tra le dita, con lo stomaco sottosopra nonostante non avesse praticamente mangiato nulla da quella mattina. Si sentiva tremare le gambe mentre avanzava piano verso l’uscita laterale del Paradiso, con il cuore che gli martellava in petto e il respiro che gli si mozzava in gola in preda a un attacco di nervi. 
Non sapeva cosa sarebbe successo di lì a poco, ed era proprio la paura di un possibile rifiuto a fargli tremare la terra sotto ai piedi. Cosa avrebbe fatto se lei gli avesse detto di no? Se lui le avesse aperto il proprio cuore e lei avesse deciso di non accettarlo? Non poteva fargliene una colpa. Si era spinto troppo in là. Eppure non sopportava l’idea di un ennesimo rifiuto. 
Poi d’un tratto i suoi piedi smisero di proseguire e la salivazione si arrestò di colpo. Irene era lì insieme a quel Lorenzo. Appoggiati alla macchina di lui, si tenevano per mano e parlavano. Rocco era troppo distante per sentire cosa si stessero dicendo. Fissò la macchina e poi quella singola e misera rosa che non era nemmeno rossa, come in genere si regalava, e si sentì a disagio. Rimase qualche istante a osservarli, e si irrigidì vedendo lei che gli stampava un bacio sulla guancia e lui che la abbracciava. Che cosa gli era passato per la testa? Irene era andata avanti. Forse non si vergognava, ma questo non voleva dire che provasse qualcosa per lui. Dopotutto non gli aveva mai spiegato il motivo per cui avesse deciso di farsi da parte. Rocco istintivamente indietreggiò di qualche passo, lo sguardo imbronciato e gli occhi persi nel vuoto. 
“Rocco, aspetta” sentì la voce di Irene giungergli alle orecchie proprio mentre si era voltato per andare via e l’auto di Lorenzo gli passava accanto. Lui tornò a guardarla, senza muoversi. Una distanza che sembrava invalicabile. Era andato lì con l’intenzione di dirle che voleva stare con lei, e invece l’aveva trovata tra le braccia di un altro. Lo sapeva. In cuor suo lo sapeva di non poter pretendere nulla, ma ci aveva creduto. Per un attimo aveva creduto che fosse ancora possibile, che esistesse una possibilità per loro due.
“Picchì? Per farmi dire che è lui che vuoi? Per farmi dire che non ho capito niente e ho sbagliato tutto? Per farmi dire che siamo troppo diversi? Questo me l’hai già detto” sbottò immediatamente, esasperato e fuori controllo. Aveva covato, nascosto e seppellito tutti quei sentimenti così tanto a lungo, che ormai non riusciva più a controllarli.
Dopo la conversazione con Lorenzo, Irene aveva deciso di essere sincera. Voleva fargli sapere che, nonostante lui avesse fatto un’altra scelta, lei provava ancora qualcosa per lui. Forse non sarebbe cambiato nulla, proprio come aveva detto a Tina, ma sapeva di doverlo fare per se stessa. Eppure, vedendolo inveire contro di lei, tutti i buoni propositi di Irene vennero meno. Come poteva prendersela con lei, quando era lui quello che stava per sposare un’altra? 
“Per dirti che sei uno stupido” esclamò, aggrottando la fronte e andandogli contro con rabbia. “Uno stupido che non ha mai capito niente, che mi ha giudicata e insultata” esplose lei colmando qualsiasi distanza. “E non importa se stai per sposare Maria, se alla fine hai scelto lei. Hai sminuito quello che c’è stato tra di noi, hai sminuito me e…” si fermò. Avrebbe voluto fargli sapere quanto le avevano fatto male le sue parole, quanto l’avessero ferita i suoi dubbi. Non la conosceva quanto aveva sempre creduto, o non avrebbe mai pensato che stesse rinunciando a lui perché non poteva darle quello che lui credeva desiderasse. Rocco non poteva sapere i reali motivi che si celavano dietro la sua scelta, ma Irene era stata abbastanza ingenua da sperare che le desse il beneficio del dubbio o quantomeno non la giudicasse così aspramente, come invece aveva fatto. Tuttavia, in quel momento non aveva il coraggio di ammetterlo e di mostrarsi tanto vulnerabile davanti a lui, o gli avrebbe dato gli strumenti per continuare a ferirla.
“La verità sai qual è, Irè? Che c’hai ragione” disse lui, spiazzandola. “C’hai ragione perché è vero, sugnu stupido” aggiunse. “Sugnu stupido perché ho fatto quello che volevano gli altri e non quello che volevo io” ammise con aria mesta. Il suo volto si addolcì. La rabbia e la delusione lentamente si trasformarono in imbarazzo e senso di colpa. “Irè, a me mi dispiace davvero per quello che ti ho detto. Non sei mai stata un allenamento” continuò Rocco con sguardo supplicante, trovando finalmente il coraggio di dirle tutto quello che sentiva, nonostante la paura di non essere ricambiato. Non gli importava di rendersi ridicolo, si sarebbe persino messo in ginocchio, se fosse servito. “Pensavo che ti vergognavi di me e mi sono sentito sbagliato. E poi ho sbagliato per davvero, ferendo a una persona che non c’entrava” si giustificò, provando una profonda vergogna per il proprio comportamento. 
“Ma non è vero che ho scelto a Maria, io ho scelto a te” le rivelò, guardandola in silenzio per qualche istante, come per trovare il coraggio di continuare. “Perché anche se tu sei esigente, orgogliosa, prepotente, c’hai la lingua lunga e siamo diversi, a volte sono le persone più lontane da noi quelle che ci rubano il cuore” concluse tutto d’un fiato, usando la frase che aveva sentito dire ad Armando e che tanto bene si applicava anche a loro due. Irene era quanto di più lontano potesse esistere dall’ideale di donna che gli avevano inculcato sin da ragazzino. Era disordinata, non gli dava mai retta ed era una pessima cuoca. Prima di arrivare a Milano, Rocco non avrebbe mai creduto possibile innamorarsi di una donna come lei. Lui che un tempo credeva che le donne dovessero esclusivamente rimanere in casa con i figli e obbedire ai mariti, adesso aveva perso la testa per la ragazza più intraprendente e sfacciata che avesse mai conosciuto. Irene era diversa da tutte le altre. E tuttavia era la sola che volesse al proprio fianco. 
Dopo quella dichiarazione, Rocco abbassò gli occhi, incapace di reggere il suo sguardo. Le aveva aperto il suo cuore, aveva scelto lei, nonostante tutto, nonostante gli errori. Non era pronto a sentirsi dire di no, ma i lineamenti del suo viso si contrassero, come in attesa di un colpo da dover attutire. 
Irene rimase di sasso, sgranando gli occhi per la sorpresa. Non aveva mai creduto che Rocco avesse il coraggio di andare contro alla sua famiglia e lasciare Maria. Una volta presa quella decisione, Irene si era messa il cuore in pace. Era tutto finito, per sempre. Doveva farsene una ragione. Quanto si era sbagliata. Era lei quella che aveva avuto paura sin dal principio, non lui. Rocco aveva dimostrato di essere il più forte e temerario tra i due. Lui l’aveva fatto davvero, aveva fatto il più grande salto nel vuoto, senza rete di sicurezza, mentre lei aveva continuato a nascondersi dietro alla paura, dandole il potere di controllarla. L’unica cosa che poteva fare adesso era lasciarsi andare, prendergli la mano e saltare insieme a lui.
“Anch’io voglio stare con te” rispose lei di getto, sospirando per lasciare andare via quell’enorme peso che portava sul petto. Per la prima volta dopo settimane si sentì leggera, viva, come se si fosse resa conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento e potesse finalmente respirare a pieni polmoni.
Rocco alzò immediatamente lo sguardo per fissarla incredulo. “E allora con…”
“E’ finita. Anzi, non è mai veramente iniziata” gli rispose lei. “Perché anche se sei la persona più distante da me, e mi fai arrabbiare, mi contraddici e non perdi mai occasione di fare l’elenco di tutti i miei difetti, anch’io voglio te” gli disse decidendo di spogliarsi di ogni maschera, mostrandosi per quella che era realmente. 
“Anche se non ha senso, anche se questa cosa va contro ogni logica perché, diciamocelo, chi è che avrebbe mai scommesso su di noi?” aggiunse sorridendo. Nessuno aveva mai creduto che Irene potesse fare sul serio con un tontolone come Rocco. Per tutti quello era stato sempre e solo un gioco. Peccato che quel gioco per Irene fosse diventato fin troppo reale. “La verità è che è di te che ho bisogno” ammise con una facilità e una dolcezza che in genere non le appartenevano, mordicchiandosi il labbro per quella confessione che la rendeva vulnerabile. Irene Cipriani non aveva mai avuto bisogno di nessuno in tutta la sua vita. Aveva sempre avanzato a testa alta, senza lasciare che niente la scalfisse, non dando mai a nessuno la possibilità di ferirla. E ci aveva provato a reprimere quei sentimenti, ci aveva provato davvero a usare la logica che avrebbe portato chiunque a scoraggiare quell’unione tanto azzardata e imprudente. Ma la verità era che si era solo presa in giro. Perché adesso sapeva che per essere felice aveva bisogno di avere lui al suo fianco. 
“Quindi non ti vergogni di me?” domandò lui col tono di un bambino in cerca di conferme. Irene gli sorrise dolcemente. 
“No” ammise comprensiva. “Rocco, sei cresciuto così tanto in questi due anni. Hai sempre avuto voglia di migliorarti. Perché avrei dovuto vergognarmi di te?” Ricordava bene il ragazzo che aveva conosciuto quando aveva messo piede a Milano. Così sperduto, confuso da quel mondo tanto diverso da quello a cui era stato abituato fino a quel momento. Chiuso nel bigottismo di ideali a cui era stato forzato a credere. Da quel giorno aveva sempre messo in discussione le proprie convinzioni, modificandole e adattandole alle nuove nozioni che imparava da solo tramite esperienza diretta o dagli insegnamenti del signor Ferraris e forse, in parte, anche dai suoi. Si era sempre messo in gioco, crescendo giorno dopo giorno. Al contrario, non poteva che essere fiera del suo percorso.
“Perché non potevo darti quello che volevi, perché sono solo un magazziniere” rispose lui mesto. 
“Sì, ma il magazziniere più carino di Milano” ribatté con affetto. “Quella è per me?” chiese poi, indicandogli con lo sguardo la rosa che le aveva portato. Era la terza volta che le regalava dei fiori con la precisa intenzione di strapparle un sorriso, proprio come aveva fatto diverse settimane prima. Irene non aveva bisogno di locali alla moda, cene di lusso e regali importanti. In quegli ultimi due anni si era resa conto che a darle gioia non erano le cose materiali. Era vederlo ballare il twist fuori tempo, saperlo concentrato in magazzino a tagliare dei pezzi di carta per crearle dei fiori unici per farla felice, prodigarsi a cucinarle della pasta scotta pur di non farla restare a stomaco vuoto, prestarle il suo maglione preferito affinché non avesse freddo, parlare con suo padre al posto suo perché non sopportava di saperla triste e in difficoltà. Erano quell’insieme di piccoli, ma importanti gesti, a farla sentire amata. Erano quelli che contavano veramente. 
Rocco abbassò lo sguardo sulle sue mani e avvicinò il fiore a lei, ricordandosi solo in quel momento della rosa. Annuì e per qualche istante rimasero semplicemente a guardarsi titubanti, come se faticassero entrambi a credere a quello che stava accadendo. Rocco sentiva di aver bisogno di un pizzicotto per assicurarsi di non stare sognando. Si sentiva cedere le gambe, ma allo stesso tempo provava il desiderio irrefrenabile di porre fine a quella distanza che per troppo tempo li aveva tenuti separati. 
Così, senza indugiare qualche altro secondo di troppo, l’afferrò dalla nuca e l’attirò a sé per baciarla. Quanto gli era mancato stringerla, il sapore dei suoi baci, l’odore del suo profumo. La baciò come se ne andasse della sua vita, come se lei fosse l’unico ossigeno che avesse bisogno di respirare. Avevano commesso tanti errori, che li avevano portati ad allontanarsi. Avevano permesso alla paura e ai pregiudizi di avere la meglio, rischiando di perdere qualcosa di veramente importante. Ma adesso, mentre la stringeva tra le braccia, Rocco sentiva di aver ritrovato la parte di sé che gli mancava e gli permetteva di essere una persona completa. Voleva smetterla di rimanere ancorato al passato, ai giudizi della gente, alle opinioni non richieste delle persone che gli volevano bene. Voleva finalmente imparare a decidere per se stesso, come lei gli aveva insegnato. Mentre gli altri lo volevano fermo, docile e immobile, lei era l’unica che aveva sempre voluto solo la sua felicità. Perché non era solo Irene ad avere bisogno di lui, anche Rocco aveva bisogno di lei per essere la versione migliore di se stesso.
In quel preciso istante, mentre le loro labbra si univano e le loro lingue danzavano all’unisono, componendo una coreografia tutta loro, Rocco iniziò a domandarsi come avesse mai potuto dubitare che lei fosse quella giusta per lui. Irene non era solo quella giusta, era anche l’unica possibile. 

  
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