Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: Always_Potter    26/06/2021    2 recensioni
Quando Ryuk lascia cadere il suo quaderno sulla Terra, l’unica speranza dell'umanità è il primo detective al mondo... e una squadra non troppo scelta di Auror.
°*°*°*°
«No, aspetta, fammi capire. Tu hai passato gli ultimi vent’anni a fingere di non esistere, c’è gente seriamente convinta che tu sia un vampiro, e ho visto Robards sull'orlo delle lacrime perché ti sei rifiutato di apparire davanti al Wizengamot per quattordici volte. Ora lanci minacce in diretta televisiva, prendi il tè delle cinque con sei Auror e vuoi presentarti al primo sospettato? Il prossimo passo qual è? Invitare Kira a prendere parte alle indagini e diventare amici del cuore?!»
«Beh, all’incirca… sì, quello sarebbe il piano a lungo termine. Acuta come sempre».
La strega, allibita, accarezzò l’idea di piantare qualcosa di molto acuto nel cranio del detective. Tipo un coltello da cucina.
O una katana.
Avrebbe fatto un sacco di scena.
°*°*°*°
Un detective dal genio imbattuto.
Una Auror dalle abilità eccezionali.
Una quantità sterminata di bugie.
Il Mondo Magico ha di nuovo bisogno di essere salvato.
Genere: Fantasy, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao bellissim*,

Spero possiate perdonarmi l’assenza, e di trovarvi pronti per il capitolo di settimana prossima ;3 (giuro è già pronto non odiatemi)

Riassunto delle puntate precedenti: L e Sophie discutono perché L è un invadente e preoccupato maniaco del controllo, e perché Sophie piuttosto che chiedere una mano si taglierebbe entrambe le sue. La videosorveglianza di casa Yagami è lenta come un turno in un cinema vuoto (trust me on this), così L  “scagiona” le famiglie Yagami e Kitamura. Infine, a Londra Neville è impegnato (e stressato) in una missione top-secret, Draco origlia anche l’impossibile, Robards non la racconta giusta.

Buona lettura babies <3

 

Capitolo 11

Sulla difensiva

12 gennaio 2004

Neville Paciock non era un fan della birra, non lo era mai stato.

Non a sedici anni, quando a Natale suo zio lo aveva costretto a un lungo interrogatorio sulla sua (inesistente) ragazza e l’unica via di fuga era il boccale di birra che continuava a riempirsi. Quando aveva visto Neville correre in bagno con una mano sulla bocca e il viso pallido, sua nonna Augusta aveva iniziato a strillare come un’aquila e a rifilare scappellotti al figlio.

Non lo era nemmeno a diciannove anni, quando assieme a un gruppo scelto di ex-compagni di classe aveva festeggiato il fidanzamento di Luna Lovegood e Rolf Scamander. Luna aveva offerto a tutti quello che assicurava essere un rarissimo filtro di antica fattura norrena, trovato in un mercatino norvegese. Neville non sapeva nulla di filtri magici norreni, ma sapeva che quella roba sembrava proprio birra: si era svegliato con le tempie pulsanti e un saporaccio in bocca che era sicuro lo avrebbe fatto vomitare. Di nuovo.

Non lo era decisamente quando, a ventun anni, si era lasciato trascinare dall’entusiasmo di Sophie e Ron per aver risolto il suo primo caso: il pub che avevano scoperto giusto a un paio di isolati dal Ministero era ghermito di colleghi festosi, e Sophie aveva strillato a tutti di allinearsi al bancone per una gara a chi beveva più in fretta. Neville non aveva vomitato, però Harry aveva dovuto svegliarlo dopo che si era addormentato su un tavolino, per suggerirgli di tornare a casa. Possibilmente a piedi, aveva aggiunto. Il mago aveva annuito, e sarebbe andato tutto bene se non avesse incrociato Hannah Abbott sulla via del ritorno. Ecco, allora aveva vomitato.

Da quella volta, Neville si era ripromesso di mantenere le debita distanza da quella stramaledetta bevanda.

Per questo quando le chiese una bionda media, Hannah sbarrò gli occhi e lasciò perdere il drink che stava preparando. Le bottiglie colorate rimasero sospese a mezz’aria, ancora intente a preparare un cocktail dai toni violetti mentre una nube di zucchero filato si sfilava da una scatola di plastica e correva a ornare l’orlo del bicchiere da Martini.

In fondo al bancone del Tre Manici di Scopa, Neville era seduto al solito sgabello dove aspettava che Hannah finisse il turno, e lei si sporse per prendere le mani del ragazzo tra le sue. «Neville, stai… va tutto bene?».

Il mago le offrì un sorriso tirato, scorrendo i pollici sul dorso delle mani fredde e paffute in modo rassicurante. «Non ti preoccupare, sono solo un po’ stanco»

Lei aggrottò le sopracciglia bionde. «Beh, ma… birra

Neville replicò con una risata spenta, sfilando una mano dalle sue per sfregarsi la nuca. «Beccato… sono, ecco, un po’ stressato per il lavoro».

Hannah, pensierosa, si scostò lentamente dal bancone per spillare la birra che le aveva chiesto l’Auror: avrebbe potuto insistere, probabilmente anche a rischio di gettare Neville in una crisi ancora più nera, ma non lo ritenne necessario. Se c’era una cosa che aveva imparato lavorando lì, pensò mentre lasciava la birra al ragazzo, era che i clienti al bancone parlavano sempre con i baristi.

Specialmente dopo il primo giro.

Fu infatti una decina di minuti più tardi, mentre strofinava con decisione uno straccio sul legno graffiato del bancone, che Hannah sentì Neville chiamarla con voce tentennante. La bionda accennò un sorrisetto vittorioso.

«Sì, Nev?» gli chiese dolcemente, guardandolo da sopra una spalla.

Lui la fissò per qualche secondo, arrossendo appena, poi iniziò a farfugliare furiosamente: «Ecco, vedi, ehm… so che… sono un po’… è strano ultimamente, vedi, il- cioè, non potrei… però, insomma, voglio essere sincero con te e… ecco, io, io vorrei…»

Il volto del giovane divenne rapidamente paonazzo mentre affogava nelle sue stesse parole, e Hannah, intenerita, decise di andargli in contro prima che finisse in apnea. «Neville?» lo interruppe, un largo sorriso in volto e una mano sul fianco. «Lo so che non puoi parlarmi del lavoro»

«Lo sai?!» sbottò il mago, sobbalzando sul posto e facendo traboccare la sua ancora intatta seconda birra. «Oh, acc-»

«Tergeo» lo anticipò la ragazza, con un allegro colpo di bacchetta.

Neville alzò gli occhi su di lei, mentre strizzava nervosamente la cravatta zuppa di birra.

«Insomma, non… non sei arrabbiata?»

«Perché dovrei? Stai lavorando sodo, e qualsiasi cosa sia deve essere importante… sono tanto fiera di te» replicò la strega, non senza che le si imporporassero le guance.

In quel momento, qualcuno si schiarì seccamente la voce dall’altro capo del bancone. Due paia di occhi si spalancarono di botto. «Scusi, il mio collega ha ordinato un… ah, Paciock! Abbott! Che piacere trovarvi qui» li salutò una strega dall’aria autorevole, vestita di smeraldo dalle vesti lunghe e austere alla punta del cappello, la cui larga tesa cadeva quasi fino all’alto colletto abbottonato.

«P-Professoressa McGranitt!»

«Preside!»

La donna sorrise, ma non si perse in chiacchiere di circostanza: Minerva McGranitt non era proprio una donna da chiacchiere di circostanza. «Sono venuta a prendere l’ordinazione del professor Vitius, una qualche sciocchezza con dello zucchero filato…» spiegò con tono di riprovazione, accennando al piccolo mago che li salutava da un tavolo in fondo al locale.

«Oh, certo!» si ricordò Hannah di botto, scattando come una molla per recuperare il drink che aveva abbandonato prima. «Scusi l’attesa, mi è completamente passato di mente!»

La McGranitt liquidò le scuse con un cenno della mano, poi gli occhi felini si posarono pensierosamente su Neville, ancora fermo a guardarla con la cravatta che gli penzolava da una mano. «Sai, Paciock, è una fortuna averti incontrato proprio qui. Mi risparmi un po’ di pergamena».

L’Auror la guardò con la stessa confusione con cui, anni prima, cercava di seguire le lezioni di Trasfigurazione della strega. Lei parve rendersene conto, perché scosse impercettibilmente il capo. «Con permesso, signorina Abbott, le rubo il signor Paciock per qualche minuto»

«Oh, certo» replicò la ragazza, scrollando le spalle.

Ridacchiò all’espressione tradita di Neville, mentre la Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts lo trascinava al tavolino in fondo al locale. Alle loro spalle, un bicchiere orlato di zucchero filato volteggiava allegramente tra i cappelli a punta degli avventori.

 

«Quindi, Paciock, sento che te la cavi bene al Ministero»

«Uh, ehm, s-sì, credo» farfugliò nervosamente Neville, mentre il suo ex-Professore di Incantesimi gli faceva spazio sulla panca di legno ad angolo.

«Coraggio, coraggio, Paciock! Tua nonna non fa che decantare le tue lodi!» trillò allegramente il Professor Vitius, prendendo il suo coloratissimo drink dalle mani della McGranitt.

«P-parla con mia nonna?!» sputacchiò l’Auror, atterrito.

Vitius sventolò una mano. «L’ho incrociata un paio di volte a Diagon Alley»

«Oh… non era da Fortebraccio, vero?» chiese sospettoso il ragazzo, sfregandosi la nuca.

«Oh sì, c’era metà prezzo!»

«Nonna non dovrebbe mangiare gelato…»

Prima che il vecchio professore potesse replicare, annuendo comprensivo nel suo bicchiere, la McGranitt sospirò seccamente. «Filius, se non ti dispiace vorrei discutere con Paciock della cattedra»

«Cattedra?»

«Oh, la cattedra!» confermò allegramente Vitius, dandogli qualche colpetto sul gomito con fare incoraggiante. Francamente, Neville non aveva mai visto il minuto e raggrinzito professore così pimpante, ma i drink di Hannah facevano quell’effetto.

La Preside, da contro, sembrava avere il contegno autorevole e composto di sempre: gli occhi attenti e il leggero sorrisetto di chi ne sapeva più di chiunque altro nella stanza, Minerva McGranitt era ancora in grado di far sudare per l’ansia il suo ex-studente.

Tuttavia, la parola cattedra spiazzò Neville abbastanza da smettere di farlo sentire sotto esame.

«Andrò dritta al sodo, Paciock: vorrei che venissi a insegnare Erbologia a Hogwarts.»

A Neville schizzarono gli occhi dalle orbite. «C-cos- Erbologia?! Io non- la Professoressa Sprite insegna Erbologia!»

«Sì, Paciock, questo lo so» fu la replica della McGranitt.

«La Professoressa Sprite va in pensione!» spiegò invece Vitius, offrendo alla collega un brandello di zucchero filato.

«No, Vitius, grazie.»

«In pensione?!»

A quel punto, Neville era convinto di non aver fatto altro che farfugliare e ripetere ciò che gli veniva detto per tutta la sera, e il crescente pulsare alle tempie regalatogli dalla birra non aiutava. Tuttavia, l’Auror era troppo inquieto per curarsene, al prospetto che la Professoressa Sprite, l’insegnante che più di tutti l’aveva sostenuto e che insegnava quella che era stata la sua materia preferita, stesse per abbandonare Hogwarts.

La McGranitt annuì in modo sbrigativo. «Esatto, e ti pregherei di non farne parola con nessuno: la Professoressa preferisce portare a termine l’anno scolastico senza troppi drammi»

«Capisco ma… va-insomma, sta bene?» chiese, apprensivo.

«Oh, sì! Pomona vuole realizzare il suo sogno e andare a studiare le piante magiche in Amazzonia» lo informò divertito Vitius, allungandogli dello zucchero filato.

Neville accettò con un sorriso. Dopo aver deglutito la nuvoletta violacea, si sentì vagamente rilassato per la prima volta in quella serata sull’orlo della crisi di nervi. «Amazzonia, eh? Sembra davvero interessante!»

«Pomona non sta più nella pelle, a quanto pare progetta questa ricerca da decenni»

«Sa, ora che mi ci fa pensare, ricordo che la Professoressa ci avesse parlato di alcune specie di felci che si dica crescano solo-»

«Signori» sbottò nuovamente la McGranitt, che li osservava a braccia conserte, «per quanto sia… deliziata di poter chiacchierare amabilmente, potremmo finire il discorso?»

Entrambi i maghi ammutolirono, annuendo precipitosamente. La Preside scoccò loro un’ultima occhiata di avvertimento, prima di proseguire. «Bene… Paciock, sono più che conscia della tua posizione al Ministero e non voglio farti alcuna pressione, ma vorrei comunque che pensassi alla mia proposta».

La brevemente ritrovata serenità di Neville sparì in un lampo, quando il mago capì finalmente che non si trattava di uno scherzo. Non che si aspettasse scherzi da parte della McGranitt, però... «Insomma, s-sono onorato, non mi fraintenda ma… io?» chiese incerto.

«Certo che sì, Paciock: hai sempre amato la materia, hai accumulato un’esperienza lavorativa non indifferente negli ultimi anni, e Pomona sarebbe semplicemente entusiasta se tu accettassi» replicò convinta la strega.

«Io non so… non so assolutamente cosa dire» disse Neville con voce mesta, ed era vero: non si sarebbe mai aspettato di ricevere un’offerta del genere, non aveva mai nemmeno preso in considerazione l’idea di poter insegnare Erbologia a Hogwarts! Anche solo pensare di prendere un incarico del genere era… era quasi folle, specialmente quando…

Neville deglutì, sentendosi improvvisamente in colpa.

Kira stava mietendo vittime come se nulla fosse, alcuni tra i suoi migliori amici erano impegnati in quell’indagine, e Robards gli aveva affibbiato una missione di vitale importanza: non poteva seriamente pensare di… di andarsene.

«Paciock?» Il ragazzo levò gli occhi sulla McGranitt, che gli sorrideva dolcemente. «Non voglio una risposta ora, desidero solo che tu abbia tempo in abbondanza per prendere in esame quest’ipotesi. Se poi ne vorrai parlare più approfonditamente, le porte di Hogwarts sono sempre aperte».

Il ragazzo sorrise leggermente a quelle parole, rilasciando un sospiro profondo. «Io… grazie, Professoressa.»

La strega, come da copione, si schernì prontamente. «Sciocchezze, Paciock».

 

***

Se durante i primi dell’anno Sophie si era comportata in modo strano, schivo, totalmente atipico per la sua esuberante persona, sembrava che il problema fosse sparito dopo la chiacchierata con il Sovrintendente Yagami: quel chiarimento pareva aver spazzato via ogni problema, e la dinamica della squadra si era rapidamente fatta più sincera e affiatata.

Il Sovrintendente aveva assistito ai rapidi progressi con un sorriso.

L aveva preso atto del cambiamento senza fiatare, senza farsi cogliere a fissare la strega, senza dare adito alle insinuazioni di Watari o ai suoi stessi, ricorrenti, inutili pensieri.

Perché ci pensava.

Pensava al loro diverbio, a cosa tenesse sveglia la ragazza, al modo in cui lo evitava con fare risentito. Pensava a tutti quei piccoli dettagli che nessun altro notava, al modo in cui il suo volto si fosse fatto impercettibilmente più smunto, al suo piluccare inutilmente pranzi e cene quando l’aveva vista attaccare ogni piatto con appetito fin dal suo arrivo.

Il detective si diceva nervosamente di concentrarsi solo su Kira, sugli sviluppi che erano la priorità assoluta, su quanto e come si potesse avvicinare al sospettato che più aveva catturato la sua attenzione.

Se lo diceva e poi a notte fonda, quando era solo e poteva fingere con sé stesso di non star perdendo tempo, tirava fuori il fascicolo su Sophie. Ripercorreva la sua vita, ciò che sapeva già: le scarne informazioni su dove abitasse, chi frequentasse, le deviazioni dal suo lavoro o dalle case dei suoi amici, il curriculum considerevole, la carriera scolastica buona, sì, ma dopotutto poco interessante per ciò che voleva sapere.

E ce lo perdeva, quel tempo, si inerpicava tra un dettaglio e l’altro, cercando le connessioni che quel fascicolo non offriva, ipotizzando le risposte che l’Auror non gli voleva dare, continuando a dirsi che quella era parte integrante dell’indagine sul caso Kira.

Lavoro, puro e semplice.

Coerenza, perché lui non era certo uno che potesse dirsi scostante, né nelle abitudini, né nelle intenzioni.

La sua abitudine, era indagare.

La sua intenzione, era sapere.

Puro e semplice.

In ogni caso, quale che fosse la scusa, non aveva perso di vista la ragazza.

Perciò, con la coda dell’occhio, aveva visto Sophie storcere la bocca, mentre il resto della squadra discuteva inutilmente su nuove piste.

L’aveva vista tenere lo sguardo fisso su di lui, anche mentre la ignorava per riflettere accuratamente sul da farsi, isolandosi nella sua stessa testa. La ignorava perché non aveva bisogno di guardarla per capire che non aveva preso sul serio quell’interruzione della sorveglianza di casa Yagami, né tantomeno le sue parole. Per questo non si stupì granché quando, dopo che gli agenti giapponesi si furono congedati, lei non diede segno di volersi barricare in camera.

«Ryuzaki?»

Lui rispose con un mugugno poco coinvolto, senza alzare gli occhi su di lei mentre proseguiva con il suo filo di pensieri.

La sentì sospirare, un leggero sibilo di irritazione per la sua mancanza di attenzione. «Fai avvicinare me a Light Yagami».

Gli occhi di L saettarono su di lei, repentini, e nel modo in cui Sophie inarcò appena le sopracciglia vide un guizzo di vittoria. Oh, sei brava, non è vero?

La studiò accuratamente, bevendo ogni dettaglio: la fronte aggrottata, gli occhi aperti e decisi, privi della solita allegria che le colorava le guance o le curvava la bocca verso l’alto; la bocca insolitamente pallida, premuta fra i denti in un vezzo di nervosismo che aveva notato più volte.

Le spalle rigide e le maniche attorcigliate attorno alle dita, Sophie aveva forse preso un atteggiamento più spontaneo con gli altri agenti, ma per contrappeso era diventata fredda con lui, e visibilmente arrabbiata.

No, non arrabbiata, si corresse mentalmente il ragazzo, mentre posava una tazza di tè piena sul tavolino. Sulla difensiva.

Glissò su quella… inquietudine, su quel senso di dispiacere. Contrarietà, preferiva definirla.

 Si sfregò un piede sull’altro, concentrandosi su quanto gli avesse appena detto la rossa.

«Perché dovrei farti avvicinare a Light Yagami?»

Lei nascose malamente la stizza che le contrasse il volto, ma perlomeno non alzò gli occhi al cielo.

«Perché quella del cinque percento è una balla» sancì seccamente.

«Lo è?» chiese con voce interessata il detective, il pollice premuto a un angolo della bocca.

Quello era ormai un gioco che avevano fatto più volte, e la conferma fu il tono aspro con cui la strega sbottò: «Già, lo è».

Voleva tagliare corto, voleva evitare quel loro piccolo botta e risposta, quello che solitamente le faceva sfuggire un sorriso.

Sulla difensiva.

Sophie si lasciò cadere sul divano, avvicinando una tazza vuota e riempendola di acqua bollente con la bacchetta. «Puoi anche far credere loro che hai mollato l’osso su Light, ma sappiamo benissimo che non è così».

Appellò un filtro dalla cucina, lasciandolo cadere nella tazza.

L sapeva che quello era un vano tentativo di deflettere il suo sguardo, di evitare di guardarlo con aria di sfida, un modo per tenere occupate quelle mani nervose, mentre gli esponeva una teoria su cui non aveva alcuna base solida.

A parte il fatto, beh, di avere ragione.

Sì, sei decisamente brava, pensò. Fino a qualche tempo prima, il detective provava una sorta di vago sospetto, un lampo di irritazione nel constatare quanto Sophie fosse percettiva e abile nel vedere oltre le sue recite. D’altronde la colpa era sua, che ancora la sottovalutava.

Quel nervosismo, però, era mutato in un misto di ammirazione ed eccitazione per quella ragazza dall’acume fuori dall’ordinario. Era raro che incontrasse qualcuno che stesse al suo passo, che capisse le sue strategie, seguisse i suoi ragionamenti spontaneamente: era raro qualcuno che giocasse al suo stello livello.

Su quello, e solo su quello, poteva dare ragione a Watari.

«… So che vuoi avvicinarlo, e che per buona misura farai lo stesso con la figlia più grande di Kitamura, perché non puoi permetterti di essere parziale o di non verificare ogni possibilità… ma è Light quello su cui non sei convinto.» Sophie parlò fissando l’acqua, e anche il detective si ritrovò a osservare come si colorasse in ampie spirali, correnti rossastre nello sfondo bianco della porcellana.

«L’unico modo per provarlo, tolto il confronto diretto – che persino Matsuda ha capito essere controproducente – è indurlo a scoprirsi… scoprendoci a nostra volta, è l’unico modo» concluse la strega, rimuovendo il filtro, aggiungendo del latte freddo e accomodandosi contro lo schienale del divano.

Normalmente l’avrebbe vista rannicchiarsi sulla seduta come se fosse nel salotto di casa sua, e non nella suite cinque stelle di una città straniera, immersa fino al collo nel più grave caso investigativo del mondo.

In quel momento, però, Sophie stava composta, perché stava prendendo quel tè solo per tenere le mani occupate, per sembrare distaccata, per tagliare corto.

«Allora?»

L era vagamente compiaciuto di averla costretta ad alzare lo sguardo su di lui, anche se non vi trovò la familiare scintilla di intesa a cui si era abituato. Quel particolare gli fece scattare qualcosa, spinse la sua rapida mente a riconsiderare la tattica elusiva adottata fin dall’inizio con la ragazza, senza risposte dirette e senza troppe verità.

Prese una decisione in un battito di ciglia.

«Ho intenzione di sfruttare il test di ammissione».

L’affermazione prese Sophie in contropiede, ma la vide ricomporre in fretta un’espressione corrucciata. «Quello dell’Accademia di Tokyo?»

«Quello dell’Accademia di Tokyo… ovviamente, è solo un modo per accedere alla cerimonia di apertura».

«Ma… la cerimonia di apertura… qui le scuole non iniziano ad aprile?!» sbottò la strega, sinceramente confusa.

«Esattamente»

«È-è tantissimo tempo!»

«Due mesi e ventiquattro-»

«Ryuzaki!»

L trattenne un sorrisetto, notando come l’espressione greve della rossa fosse scivolata in qualcosa di molto simile al suo solito broncio. «Il primo test, quello scritto, si terrà il diciassette» le illustrò, riprendendo la tazza abbandonata di poco prima. «Ce ne saranno altri due pratici, duello e pozioni».

«Quindi? Lascerai che sia io ad avvicinarmi?» chiese ostinatamente la ragazza.

Stavolta fu lui a guardare altrove, mentre rifletteva. «Qualche settimana fa, avevo detto che avremmo dovuto osservare una certa… prudenza»

«Sì, beh, niente che un pizzico di Polisucco o una buona trasfigurazione non possa risolvere» chiosò Sophie, e lui sapeva che quel broncio poteva solo che essersi accentuato.

«In ogni caso…»

«Chi allora? Aizawa? Mogi? Ti prego, non dirmi Matsuda» lo interruppe ancora l’Auror, impaziente, non riuscendo a trattenere un’ombra di ironia.

Il silenzio si dilatò lentamente nella stanza, fino ad assumere i connotati di una risposta. L fu lento ad alzare lo sguardo su di lei, perché si rendeva conto che non avrebbe reagito bene.

Infatti, Sophie socchiuse le palpebre e, gradualmente, si sporse dalla poltrona.

Quando parlò, la sua voce era ridotta a un sibilo minaccioso.

«No, aspetta, fammi capire. Tu hai passato gli ultimi vent’anni a fingere di non esistere, c’è gente seriamente convinta che tu sia un vampiro, e ho visto Robards sull'orlo delle lacrime perché ti sei rifiutato di apparire davanti al Wizengamot per quattordici volte. Ora lanci minacce in diretta televisiva, prendi il tè delle cinque con sei Auror e vuoi presentarti al primo sospettato?! Il prossimo passo qual è? Invitare Kira a prendere parte alle indagini e diventare amici del cuore?!»

La tirata, di volume sempre più alto, lasciò la rossa praticamente a un passo dall’alzarsi, probabilmente non con buone intenzioni. Il detective, ovviamente, lo considerò un ulteriore motivo per stuzzicarla: «Beh, all’incirca… sì, quello sarebbe il piano a lungo termine. Acuta come sempre».

Sophie era allibita, e un lampo omicida le attraversò gli occhi, ma non colse la sua provocazione.

«… Ryuzaki, non puoi in alcun modo affermare che sia più pericoloso esporre me rispetto a te, nemmeno tu mentiresti in maniera tanto spudorata» disse in tono misurato, anche se era evidente che stesse facendo di tutto per mantenere la calma, dando fondo a ogni grammo della serietà e della pazienza che possedeva… entrambe in scarsa quantità, purtroppo.

«Quindi, fai andare me» concluse infatti in un qualcosa di molto simile a un ringhio. Sophie lo guardava a braccia incrociate, il mento alzato e le spalle dritte, il ritratto della decisione.

L capì che era inutile proseguire coi suoi tentativi di farla cedere alle emozioni, e tornò a sorbire il tè ormai freddo.

Fece una smorfia, scocciato.

Dannazione.

Un dettaglio, però, lo incuriosiva.

«Perché credi che sia fermo su Light Yagami?»

Il cipiglio minaccioso di Sophie parve ammorbidirsi, mentre si stringeva nelle spalle. «Beh… perché anch’io ho una brutta sensazione su di lui»

«Io non ho sensazioni su Light Yagami» contestò immediatamente L.

«Hai capito cosa intendo!» lo rimbeccò lei, «coincidenze, istinto, esperienza, super-deduzioni-perché-io-sono-Ryuzaki-il-più-grande-detective-della-Terra, chiamalo come diamine ti pare, ma anche io credo ci sia qualcosa che non va».

«… Il più grande detective della Terra?» ripeté lentamente il mago, un sorrisetto provocatorio sulle labbra.

Lei lo fulminò con un’occhiataccia e scattò in piedi, lisciando le pieghe della lunga gonna che portava quel giorno sotto al maglione d’ordinanza. Una parte della mente del detective registrò che quella era la prima volta che le vedeva indossare una gonna. Un’altra parte registrò il fatto di star registrando una cosa del genere.

«Bene, fammi sapere cosa ne pensi, ma non ho intenzione di aspettare oltre domani» sentenziò la strega, dandogli le spalle prima che potesse risponderle.

La guardò finché non scomparve dietro la porta della sua stanza, la gonna scura che le roteava attorno ad accentuare la stizza di ogni suo passo.

L, forse per la prima volta nella sua vita, si passò una mano sul volto con aria frustrata.

 

***

 

13 gennaio 2004

Il giorno successivo, Neville si svegliò con un leggero malessere, totalmente imputabile alla birra, e la testa beatamente fra le nuvole, totalmente imputabile alla McGranitt.

Con occhi fissi e un’espressione stranita, seguì distrattamente la sua routine mattutina, sebbene con risultati meno che ottimali: masticò meccanicamente toast bruciati, si lavò i denti senza dentifricio, abbottonò una veste da mago tutta storta, e avrebbe lasciato la bacchetta a casa se non avesse avuto un cartello appeso sul caminetto, che gli ricordava quotidianamente (e a gran voce):“Prendi la bacchetta, scimunito di un nipote! Sei un mago, o ti sei scordato anche questo?!”.

Sua nonna faceva sempre i regali più dolci.

In ogni caso, ci mise ben tre tentativi per arrivare al Ministero in Metropolvere, troppo sovrappensiero per azzeccare il nome della sua destinazione. Quando, al terzo tentativo, finì in un emporio chiamato Erbologia di Prima Classe, il ragazzo si sforzò di uscire dal mulinello di pensieri che era diventato la sua testa.

Peccato che si scoprì totalmente incapace di farlo: aveva trascorso la sera precedente a discutere di quella proposta con Hannah, cercando disperatamente consiglio in quella situazione assurda.

La proposta della McGranitt era stata totalmente inaspettata e, francamente, fin troppo ben coordinata con un momento della sua carriera che lo stava quasi facendo dubitare che quel mestiere facesse per lui. Si sentiva in imbarazzo solo a pensarlo, ma il caso Kira e la missione affidatagli da Robards si stavano dimostrando sempre più stressanti e Neville, francamente, si stava trovando troppo spesso a desiderare che tutta quella faccenda non fosse affar suo.

Non era Harry, che viveva di quel continuo cercare e frugare il mondo in cerca di risposte e verità; non era Ron, che affrontava con spavalderia ogni situazione che capitava loro; non era Draco, che si crogiolava nella sfida di superare ogni criminale che cercasse di sfuggirgli; sicuramente, non era Sophie, che faceva letteralmente del suo lavoro la sua vita.

Tutte quelle considerazioni lo lasciavano interdetto e, tra l’altro, con una grande acidità di stomaco.

Si sfregò la zona incriminata pensando che, dopotutto, forse in quel caso non valeva dire che pensarci non gli costasse niente…

«Paciock! Merlino, mi stai ascoltando, amico?!»

Neville sobbalzò, rendendosi conto in quel momento di aver già raggiunto i cancelli dell’Atrium e che Tod, probabilmente, stava cercando di attirare la sua attenzione da un bel pezzo. Il ragazzo si scusò e cercò di concentrarsi sulla Guardia, che aveva il volto arrossato per l’agitazione; inoltre, i piccoli occhi chiari saettavano attorno a loro in modo frenetico, come per assicurarsi che nessuno li sentisse.

«Er- scusa Tod, stavo… che cosa mi stavi dicendo?» farfugliò stancamente l’Auror, passandosi una mano sul volto. Si dovette bloccare a metà del gesto, però, quando Tod si ripeté, sussurrando a fil di voce e sporgendosi in avanti oltre il vecchio ripiano di legno.

«L’ho trovata, Paciock, ho trovato la spia!»

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: Always_Potter