Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: All_I_Need    28/06/2021    4 recensioni
John ha un incidente nel laboratorio della struttura militare di Baskerville. Mentre aspettano che gli scienziati trovino una soluzione, lui e Sherlock devono riesaminare la natura della loro amicizia mentre si destreggiano nella vita quotidiana e nel Lavoro, il tutto cercando di rispondere alle domande veramente importanti: va bene accarezzare il tuo coinquilino se al momento è un cane? E come chiedi esattamente le coccole a un autoproclamato sociopatico?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sally Donovan, Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Capitolo 13 

Sulla via di casa fecero una deviazione per lo Yard.

Lestrade non aveva risposto al secondo sms di Sherlock riguardo alla polvere, quindi voleva fermarsi e domandare per cosa gli ci fosse voluto così tanto tempo.

John saltò fuori dal taxi con una disinvoltura che suggeriva che era sempre stato un cane e non aveva mai avuto problemi a entrare e uscire dalle auto, e tanto meno in tempi così recenti come una settimana prima.

La velocità con cui si era adeguato alle circostanze era impressionante: Sherlock si chiedeva quanto fosse dovuto all'addestramento dell'esercito di John e quanto alla sua generale abilità di adattarsi in fretta a nuove situazioni. Dopotutto, si era tranquillamente ambientato anche nella loro esistenza condivisa, inserendosi nella vita di Sherlock così facilmente come se ne avesse sempre fatto parte. Ormai, lui non poteva più immaginare niente di diverso.

Era un dato di fatto, dovette riconoscere Sherlock con ironia, che a lui ci stesse volendo molto più tempo per abituarsi al fatto che John fosse un cane. Lo chiamava abbastanza facilmente per nome e prendersi cura di un cane era qualcosa con cui era cresciuto, quindi lì non c'era nulla di nuovo.

A volte, però, si trovava ancora in difficoltà, sorprendendosi a sentire la mancanza di John nei momenti più strani, come quando si ritrovava sdraiato sul divano con John che lo usava come cuscino.

A volte, dimenticava semplicemente che Johnny il cane era anche John l'umano, con tutti i sensi e l'aspetto di un cane, ma la capacità intellettuale e la personalità dell’essere umano. Ecco perché Sherlock non aveva pensato che importasse lasciarsi andare un po’ quella mattina, quando avevano incontrato i soldati nel parco.

Il dominio della mente sulla materia andava benissimo, ma a volte nemmeno lui poteva rinnegare il suo mezzo di trasporto. Considerando lo stato in cui si era svegliato quella mattina, e la vistosa assenza di John, il suo corpo aveva chiaramente deciso che era in ritardo. Forse avrebbe dovuto aspettarselo, visti tutti i segnali di pericolo prima che accettasse il caso Baskerville. C'era un limite al tempo in cui il suo trasporto avrebbe accettato di essere ignorato.

Era imperdonabile, ma gli era del tutto sfuggito di mente che John non solo fosse lì accanto a lui, ma anche perfettamente in grado di cogliere le più piccole fluttuazioni ormonali nel suo organismo grazie a un naso che faceva vergognare qualsiasi essere umano. Di tutti i modi per farsi accidentalmente outing da solo... Sherlock scosse la testa.

No, John aveva sospettato, senza dubbio. Dopotutto, aveva fatto tutto tranne gridarglielo in faccia in più di un'occasione, ma era chiaro che John non si era aspettato quella particolare specifica. Soldati. Non poteva proprio trattenersi. C'era qualcosa negli uomini in uniforme e una certa voce ferma che premeva tutti i suoi pulsanti. Era una benedizione che John non avesse mai avuto occasione di indossare la sua vecchia uniforme perché onestamente Sherlock temeva che avrebbe perso ogni autocontrollo alla vista.

Se non altro, John era sembrato divertito dalla rivelazione, comunque, quindi Sherlock sperava che la cosa non avesse fatto alcun danno duraturo alla loro amicizia. Dopotutto, era una preferenza puramente accademica e non qualcosa che avrebbe mai messo in pratica. Almeno questo era quello che gli piaceva pensare, ma non poteva garantire di attenersi con fermezza a quella decisione se John avesse mai deciso di mettere alla prova i suoi limiti.

"Forse resisterei per cinque secondi senza saltargli addosso, ma solo se avessi l’elettroencefalogramma piatto per lo shock," pensò con sarcasmo, lanciando a John un’occhiata imbarazzata.

Il suo amico era del tutto inconsapevole dei suoi pensieri, con le orecchie dritte e la lingua che ciondolava e la testa che girava da un lato all'altro per assorbire il più possibile. Sherlock si chiese che aspetto avesse, come odorasse e suonasse il mondo per lui. Poteva solo sperare che John sarebbe stato in grado di descrivere la propria esperienza una volta tornato nel corpo umano.

Mentre si avvicinavano alle porte di vetro, Sherlock scorse il loro riflesso e cercò di vederli dalla prospettiva di un estraneo. Un uomo alto e ben vestito con una faccia bizzarra e un cane attento con una pelliccia lucente, orecchie dritte e ogni sembianza della perfetta felicità. Il guinzaglio penzolava tra di loro, allentato. C'era molto spazio, ma il cane non tirava la cinghia né doveva essere trascinato, tenendo alla perfezione il passo con il proprietario e rimanendo a distanza ravvicinata, in segno di fiducia.

Sherlock sbatté le palpebre. Sembravano la rappresentazione stessa di una perfetta unità di cane e padrone.

Aprì la porta e l'immagine scomparve dalla vista quando entrarono nell'edificio e si diressero verso gli ascensori.

A quel punto, quasi nessuno batté ciglio quando lui si presentò con un cane. Chiaramente si era sparsa la voce. In effetti, alcune persone sembravano più felici del solito di vederlo. Sherlock sospettava che avesse poco a che fare con lui personalmente, anche se sembrava esserci una sorta di irresistibile magnetismo verso le persone con cani. Essendo lui stesso un amante dei cani, si era spesso trovato a desiderare di allungare la mano e accarezzarne uno, e altrettanto spesso aveva visto altre persone fare proprio questo e avviare una conversazione con il proprietario.

Sembrava che la normale regola di non parlare con estranei in pubblico venisse automaticamente sospesa quando quell'estraneo aveva un cane. Si chiedeva se fosse questo il motivo per cui la gente al parco gli parlava così spesso.

Si scosse il pensiero di dosso; non era davvero rilevante in questo momento. Forse in seguito ci sarebbe stata l'opportunità di esaminare ulteriormente questo fenomeno, ma in quel momento aveva un duplice omicidio da risolvere e un ispettore investigativo da tormentare per avere ulteriori dati.

Ignorò le teste che si voltarono nella loro direzione mentre lui e John uscivano dall'ascensore e si dirigevano verso l'ufficio di Lestrade; Perkins se ne stava accigliato alla sua scrivania, chiaramente ancora seccato che John non avesse preso ordini da lui. Sherlock prese in considerazione l’idea di fare a John un altro regalo per quel motivo.

Spalancando la porta dell'ufficio di Lestrade, si prese un momento per godersi la vista del DI che sussultava per la sorpresa, una ciambella a metà tra la bocca e la scatola di cartone sulla sua scrivania.

"Ciambelle, Lestrade? Davvero? Non è un po’ troppo un cliché?"

"Ti rendo noto che posso mangiare quello che voglio. E di certo tu non hai voce in capitolo," borbottò Lestrade, poi aggiunse "Ciao John, come va?" quando John, scodinzolando, gli si avvicinò.

Sherlock gli sganciò il guinzaglio e guardò con una fitta di ciò che poteva essere descritta come tenerezza mentre John salutava Lestrade fissando in modo molto intenzionale la sua ciambella.

"Uh...” disse Lestrade.

"Oh, dagliela e basta," sospirò Sherlock. "Se gli viene mal di pancia, sarà colpa sua per essere stato così ingordo."

John gli lanciò un'occhiataccia che non ebbe assolutamente alcun effetto su di lui.

Lestrade rise. "Eccoti qua, John. Quel pazzo ti farebbe seguire una dieta rigorosa se non fosse per noi che ti diamo qualche leccornia. Penso che si dimentichi che dovrebbe scusarsi con te per averti messo in questa situazione, in primo luogo."

Sherlock decise d’ignorare quel commento. "Ho bisogno di accedere all'appartamento di Benjamin Forsythe,” disse al suono di John che sgranocchiava felicemente la ciambella.

"Hai visto le fotografie," protestò Lestrade. "Non posso lasciarti scorrazzare lì dentro, volente o nolente."

"Hai cambiato idea dall'ultima volta che ne abbiamo parlato. Le fotografie non bastano," scattò Sherlock. "Di certo non quelle che ha scattato Anderson. Non si può nemmeno vedere l'intera cucina, figuriamoci le vie di accesso e d’uscita che l'assassino potrebbe aver preso. Ho bisogno di vederla di persona. Vuoi che questo caso venga risolto oppure no?"

Quella, ovviamente, fu la chiave. Lestrade voleva davvero che fosse risolto.


*****

Nel giro di mezz’ora John si trovò ad annusare la porta dell'appartamento della vittima mentre Sherlock tirava indietro con cura il sigillo della polizia e inseriva la chiave. Lestrade era in piedi accanto a loro nel corridoio, a disagio come se stessero accedendo illegalmente alla scena del crimine invece che in compagnia dell'investigatore capo, che era lui stesso.

John sentì il clic della serratura e alzò la testa in attesa, aspettando che Sherlock aprisse la porta.

"Aspetta finché non mi sono guardato bene intorno, poi puoi annusare tutto quello che vuoi," gli disse Sherlock. "Prova a vedere se riesci a trovare lo stesso odore che hai notato a casa dei suoi genitori."

John annuì e gli diede un colpetto alla gamba in quello che sperava fosse un modo rassicurante.

"È così strano,” disse Lestrade alle sue spalle.

"Che cosa?”

"Tu, che parli a un cane come se capisse ogni parola."

"È John, naturale che capisce,” disse Sherlock, con un tono confuso e infastidito.

John scodinzolò verso di lui.

"Sì," concordò Lestrade. "Lo so. Ma è strano lo stesso. Non così strano come il fatto che John sia un cane, ovvio, ma ci va dannatamente vicino."

John girò la testa per alzare gli occhi al cielo e notò che Sherlock stava facendo lo stesso. Sbuffò una risata.

Lestrade sospirò. "Bene. Non badate a me. Solo... fate la vostra cosa. Il Signore sa che non c'è nessuno che potrebbe fermare voi due."

Invece di rispondere, Sherlock entrò nell'appartamento e si diresse immediatamente in cucina.

"Resta nel corridoio o alla porta, se devi, ma non entrare nell'appartamento,” disse al DI da sopra la spalla. "Non vogliamo che il tuo odore contamini la scena del crimine. John dev’essere in grado di annusare davvero qualcosa qui."

"Oh, ma tu non odori di niente, vero?"

"Ormai è abituato al mio profumo, dovrei pensare," puntualizzò Sherlock con una certa logica. "Dopotutto, condividiamo un appartamento che è intriso di entrambi i nostri profumi e abbiamo trascorso molto tempo a stretto contatto fisico dalla sua trasformazione. Mi sorprenderebbe se non potesse filtrarmi, a questo punto.”

John emise un basso latrato di conferma e annuì con la testa. Il profumo di Sherlock era un confortante dettaglio di fondo, parte integrante della sua serenità mentale, ma non qualcosa che travolgeva realmente i suoi sensi al punto da soffocare tutto il resto. Conosceva intimamente il suo odore e quindi era solo questione di separare il profumo di Sherlock da tutti gli odori estranei che l'appartamento aveva da offrire.

Quello che stava cercando, o meglio, respirando, qui era molto evidente.

Aspettò che Sherlock gli facesse un cenno di conferma, poi iniziò a farsi strada attraverso l'appartamento, con il naso premuto a terra mentre seguiva varie scie di profumo attraverso le stanze per vedere dove portava ciascuna di esse.

C'erano sangue, polvere e sostanze chimiche - prodotti per la pulizia e luminol, la roba usata dalla polizia per rendere visibili le macchie di sangue alla luce nera - e vari generi alimentari, un pacchetto mezzo vuoto di patatine dimenticate sotto il divano e un formaggio nel frigorifero che si era ormai evoluto in un suo piccolo ecosistema.

Vestiti nell'armadio che odoravano di detersivo per il bucato e gas di scarico degli autobus londinesi, di marciapiedi bagnati e fumo di sigaretta stantio.

Trovò un calzino spaiato sotto il letto, accanto a un pacchetto di preservativi aperto e un cimitero di fazzoletti a cui John diede un'occhiata e da cui rimase ben alla larga.

E a dominare su tutto questo c'era il profumo secco e pulito di qualcosa che non riusciva a definire del tutto e di cui aveva trovato tracce nell'appartamento della signora Forsythe, che conduceva alla stanza della vittima.

Qui, il profumo era molto più forte, non solo in un modo che suggeriva una scia più fresca, ma in un modo profondo e integrale che diceva che qualunque cosa l’avesse causato era stato nell’appartamento per periodi di tempo lunghi e frequenti.

Lo seguì per tutte le stanze, scoprì che era più rilevante nel bagno e si chiese se fosse davvero una sorta di cipria come Sherlock aveva accennato. Forse qualcosa che una donna usava come parte della propria routine quotidiana di trucco? Una cipria per il corpo dopo la doccia? Non riusciva ad esserne sicuro.

C'era anche un profumo femminile nell'appartamento, ma leggermente più debole dell'altro e meno evidente.

Gli ci volle un po’ per capire che questo era dovuto al fatto che i due profumi erano mescolati. Anche la femmina che era stata lì aveva un forte odore di quella polvere, ma ce n’erano tracce in posti in cui la donna non era stata, il che significava che non era lei la fonte del profumo, o almeno non l'unica fonte.

John seguì la pista per tutto l'appartamento, vagamente consapevole che Sherlock aveva terminato la propria ispezione e ora lo stava osservando con occhi curiosi.

Alla fine, trovò quello che stava cercando. Be ', non esattamente, ma all'improvviso gli scattò in testa dove aveva già odorato quel particolare profumo.

John balzò sul divano e affondò il naso tra i cuscini, fiutando patatine e birra e sudore e l’odore di Forsythe junior e finalmente, finalmente, trovò qualcosa che non era tanto intriso, quanto fortemente connesso al profumo pulito e asciutto. Non riusciva a raggiungerlo, era troppo in profondità sullo fondo del divano.

Per fortuna, le sue azioni non erano passate inosservate.

"Dai, lascia fare a me,” disse Sherlock e una mano guantata spinse delicatamente John da parte mentre il detective appoggiava il braccio sullo schienale del divano e iniziava a tastare in giro per la cosa che cercava.

Portò alla luce alcuni segnalini che sembravano appartenere a un gioco di Battleship a lungo dimenticato.

"Questi?"

John scosse la testa e cercò di infilare il naso tra i cuscini, ringhiando frustrato per la propria incapacità di ottenere ciò che voleva.

"Va bene, va bene, continuerò a cercare. Dammi un po’ di spazio."

Sherlock riprovò e John ascoltò le sue dita che sfioravano il tessuto e rovistavano nello spazio angusto. Notò il preciso istante in cui Sherlock trovò ciò che lui aveva annusato, perché si bloccò nel momento in cui le sue dita lo toccarono.

"Oh."

Tirò indietro la mano, trascinando con sé l'oggetto.

"Non è quello che hai fiutato, vero?” chiese e John scosse la testa, ma gli diede un colpetto alla mano.

"Ma è correlato a quello che hai fiutato," concluse Sherlock e John annuì con vigore.

"Molto interessante. Ben fatto, John."

"Che cos'è?” chiese Lestrade. Chiaramente la pazienza l’aveva abbandonato ed entrò nell'appartamento, curioso di vedere cos’avessero scoperto.

"Credo che John abbia trovato il motivo di almeno uno, se non di entrambi, gli omicidi," annunciò Sherlock.

"L’ha trovato?” chiese Lestrade, come se non sapesse se essere dubbioso o contento. "Ebbene?"

Senza parole, Sherlock aprì la mano.

E lì, sul palmo, giaceva un succhiotto.


*****


"Quindi, un bambino,” disse Lestrade una volta che si trovarono di nuovo nel suo ufficio, raggiunti questa volta dalla sergente Donovan.

"Infatti," confermò Sherlock. "Il suo appartamento aveva ancora un debole profumo di borotalco nell'aria. Mi ci è voluto un po’ per collocare l'odore poiché di solito non ho a che fare con i bambini."

"Grazie a Dio," mormorò Donovan.

Era a causa della sua presenza che Sherlock non osava menzionare chi avesse davvero annusato la polvere, ma era sicuro che perfino Lestrade fosse abbastanza intelligente da capirlo da solo.

" Forsythe junior manteneva l'appartamento molto pulito e faceva del suo meglio per nascondere tutte le prove dell'esistenza del bambino, il che, insieme al fatto che sua madre non ha menzionato nessun bambino, mi fa pensare che non voleva che nessuno lo sapesse.”

"Allora come fai a sapere che ce n'era uno, a parte l'odore?” chiese Donovan. "Il borotalco può essere usato per ogni sorta di altre cose, per non parlare degli adulti con pelle molto sensibile.”

Lestrade si schiarì la gola. "Ha trovato un succhiotto."

"Tra i cuscini del divano," aggiunse Sherlock. "Davvero, avrei dovuto dare immediatamente un'occhiata lì. Le persone possono essere pulite quanto vogliono, ma nessuno pulisce mai in mezzo ai cuscini del divano. Era solo questione di tempo prima che qualcosa che riguardava il bambino scivolasse laggiù e fosse dimenticato. Ogni buon genitore ha sempre più di un succhiotto con sé, quindi non si sarebbe accorto che uno di loro mancava o, se l'avesse fatto, non si sarebbe preso la briga di spendere molto tempo a cercarlo."

"Un po’ come gli elastici per capelli," rifletté Donovan. "Continuo a comprarne di nuovi perché quelli che ho continuano a scomparire.”

Sherlock si strinse nelle spalle. "Un confronto interessante, ma sì, questa è l’idea generale. Ci sono cose che scompaiono senza che nessuno se ne accorga o se ne preoccupi, quindi vengono semplicemente sostituite e si accumulano negli angoli dimenticati del proprio appartamento."

"Non voglio nemmeno sapere cosa potrebbe esserci tra i cuscini del tuo divano,” disse Lestrade.

John scelse quel momento per abbaiare e scodinzolare.

"Penso che non lo sappia nemmeno Johnny," aggiunse Lestrade, sogghignando.

Sherlock alzò gli occhi al cielo. "Non essere ridicolo, Lestrade. È un cane. Non può capirti e se lo facesse, sono sicuro che sarebbe piuttosto ansioso di prendere i biscotti che sono sicuro che potrebbero essere trovati lì."

"Biscotti?" fece eco Donovan mentre Lestrade faceva una smorfia.

Sherlock si strinse nelle spalle. "La signora Hudson continua a provare ricette di biscotti per cani e a imporgliele. Di questo passo, ingrasserà prima che i miei genitori arrivino per riportarlo a casa loro."

"Sì, quando sarà?” chiese Lestrade, incrociando le braccia e lanciando a Sherlock uno sguardo carico di significato.

"Non ne ho la minima idea. Come ti ho detto prima, sono in viaggio e in seguito faranno dei lavori di ristrutturazione per casa. Mi aspetto che chiamino e mi facciano sapere quando avranno un'idea più chiara di quando se lo riprenderanno. Non si può avere un cane in giro con tutti quegli estranei in casa, non gli piacciono molto gli intrusi a casa sua.”

"Ci scommetto," mormorò Lestrade e non era del tutto chiaro se parlasse di Johnny il cane o di John l'umano.

"Sembra perfettamente a suo agio con gli estranei," fece notare Donovan, chinandosi per grattare John dietro le orecchie, cosa che le fece guadagnare una coda furiosamente scodinzolante e una lingua ruvida che le leccava la mano. "Ehi!"

"Questo perché si trova in un posto estraneo," spiegò Sherlock con impazienza. "La casa dei miei genitori è il suo territorio, ovviamente non tollererebbe gli estranei lì come fa in un posto diverso. A questo punto, dovrei pensare che consideri anche Baker Street il suo territorio, ma poiché intratteniamo spesso i visitatori quando i clienti si presentano all'appartamento, lì è abituato agli estranei che vanno e vengono.”

John uggiolò e diede un colpetto con il naso alla mano di Donovan, nella chiara speranza di essere accarezzato ancora un po’.

Sherlock lo guardò con un confuso senso di tradimento, ammettendo almeno a se stesso che non gli piaceva la facile affettuosità che John il cane mostrava verso le altre persone.

Un attimo dopo, dovette lottare per nascondere il sorriso quando John abbandonò Sally a metà coccola per tornare al suo fianco e appoggiarglisi alle gambe, il naso premuto contro la sua coscia e la guancia che gli sfregava lungo il lato della sua gamba.

Sherlock si chinò per accarezzargli il collo. "Sì, andiamo a casa adesso. Hai bisogno di cibo e acqua e un po’ di riposo dopo tutto il duro lavoro che ti ho fatto fare oggi."

John lo guardò e sbatté le palpebre, poi rimase perfettamente immobile mentre Sherlock gli riallacciava il guinzaglio.

"Chiedi in giro tra i suoi amici e familiari se riesci a scoprire qualcosa riguardo a dei bambini,” disse Sherlock a Lestrade mentre si dirigeva alla porta. "Con particolare attenzione alle ex fidanzate, ovvio."

"Non sono davvero stupido!" gli gridò dietro Lestrade.

Sherlock non si prese la briga di rispondere.



 




NdT: Settimana di rivelazioni interessanti, sul caso e su se stessi, ma la prossima settimana ce ne saranno di un po' più personali... 🤣
   
 
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