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Autore: Dark Lady 88    02/07/2021    0 recensioni
Epoca d’oro dei pirati, Caraibi: Henry Avery, lo spietato capitano della Fancy issa bandiera rossa, il che significa una cosa sola: lotta senza quartiere. L’attacco alla Ganj-i-Sawai, la più grande nave del Gran Mogol, gli frutta un tesoro inestimabile. Ma le insidie sono molte, e l’equipaggio della Fancy ha necessità di nascondere il bottino, per tornare in un secondo momento a recuperarlo.
La misteriosa Isola dello Scheletro è il posto scelto per farlo: quello che Avery e il suo equipaggio non si aspettano però, è che sull’isola si troveranno a combattere con le proprie paure e le proprie debolezze. C’è qualcosa o qualcuno che impedisce loro di salpare? Qual è l’atroce delitto che vi si è consumato e che ha portato alla distruzione di un’intera flotta spagnola?
La storia presenta dei riferimenti alla serie tv Black Sails e al romanzo L'isola del tesoro. Ho deciso comunque di inserirla nella sezione Originali perché i personaggi sono figure storiche o inventate da me.
Genere: Azione, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non c’era nulla di mutato nell’isola: il sole continuava a sollevare vapori dalla palude e incendiava coi suoi raggi le rupi lontane;
ma davanti a me era stato consumato un atroce delitto, senza che io potessi far nulla per impedirlo”.


Robert Louis Stevenson, “L’Isola del Tesoro”
 

 
Prologo
 
 
 
Non tirava un filo di vento quel giorno; l’aria ristagnava ferma: sembrava in attesa anch’essa, come quegli uomini che trattenevano il fiato, gli occhi fissi sull’orizzonte. Le vele bianche solcavano il mare, stagliandosi contro l’azzurro sbiadito del cielo. Le accompagnava una foschia leggera, che immergeva le grandi navi in un’atmosfera quasi divina. E fu proprio agli dei che subito corsero le menti degli uomini e delle donne che li videro arrivare. Non sapevano quanto si sbagliavano.

Il capo del villaggio li aveva accolti con grandi onori; i bambini correvano nudi, annunciando l’arrivo degli stranieri: non stavano più nella pelle. I vecchi ricordavano gli antichi racconti, e li riproponevano ai giovani con parole lente e sommesse. I guerrieri si battevano il petto, impazienti di dimostrare il proprio valore agli dei che finalmente erano scesi a benedire il loro popolo.

Quando scesero dalle navi gli indigeni li videro in tutto il loro splendore: avevano la pelle chiara, che riluceva come evanescente nella luce del mattino. Indossavano strane vesti, che li coprivano quasi interamente: niente a che vedere con gli abiti ricavati dalle pelli animali che indossava la gente del posto. Le donne si coprirono i seni nudi, improvvisamente a disagio. Solo una di loro mantenne lo sguardo fermo, e si erse con orgoglio dinnanzi ai nuovi venuti senza accennare ad alcuna paura.

L’uomo che sembrava a capo della spedizione si fece avanti. Guardò la donna dalla pelle chiarissima che si ergeva fiera; i suoi piccoli occhi verdi scintillarono.

L’uomo sorrise, la bocca un taglio sottile e folti baffi che si incurvarono all’insù. Disse qualcosa in una strana lingua che gli indigeni non potevano capire.

Gli uomini parlavano tra loro. Alcuni avevano i capelli di un colore così chiaro che le popolazioni del luogo non avevano mai visto. Si muovevano con spavalderia, come se fossero loro i padroni dell’isola dove erano appena sbarcati.

“E non è forse così?”, si chiese Malik, il baicco, “Non sono stati forse loro a creare il cielo, il bosco, il mare ed ogni cosa che i nostri occhi hanno il privilegio di incontrare su questa terra?”

Non sapeva che presto si sarebbe ricreduto.
 
***
 
L’oro scintillava come i capelli degli uomini. Era strano come qualcosa che per alcuni non avesse alcun valore, per altri fosse il pretesto per uccidere. Ben presto Malik aveva capito che non c’era nulla di buono in quelle creature che erano giunte a bordo delle loro grandi imbarcazioni.

Provenivano da un luogo chiamato Espaňa; ridevano dei loro dei, delle loro nudità. Adesso tutto ciò che per gli indigeni aveva rappresento una certezza, si stava lentamente sgretolando. Vennero ridotti in schiavitù. Non provarono neanche a ribellarsi, convinti di fare la volontà dei loro dei. Dei che consolidavano il loro potere con il sangue. Per la prima volta gli indigeni conobbero la frusta, il dolore, epidemie.

Di uomini ce ne erano già pochi, decimati dalla sanguinosa battaglia che si era appena conclusa con una tribù rivale per mantenere il controllo dell’isola. L’isola che fino a quel giorno era stata la loro casa, per la quale valeva la pena combattere e morire. Questo aveva pensato Malik, quando gli spagnoli avevano cominciato a scavare, rivoltando la terra.

Adesso una grande ferita attraversava il fitto del bosco. Una grande ferita dalla quale non sgorgava sangue, ma una vena d’oro.

Il cacique era morto. Le sue numerose spose lo avevano pianto, ma il suo popolo non aveva potuto onorarlo come gli sarebbe spettato. Era passato un anno da quando, quelli che in un primo momento Malik aveva creduto fossero dei, si erano insediati nella baia.

Lei era morta: la donna che aveva amato da sempre, che aveva desiderato prendere in moglie, che al contrario di tutti gli altri, non si era mai prostrata ai piedi degli invasori. Non aveva voluto piegarsi, non aveva accettato di coprire le sue nudità, aveva portato avanti l’orgoglio del suo popolo fino a quando non era stata uccisa. Malik non aveva avuto il tempo di piangerla.

“Che si tratti di Juracàn, venuto per punirci?”, aveva mormorato il cacique prima di chiudere gli occhi per sempre.

Se quegli uomini erano veramente degli dei, di certo non erano dei benevoli. Con il passare dei mesi, Malik si era convinto che non ci fosse nulla di divino in loro.

Certo, il suo popolo non era estraneo alla crudeltà. In battaglia quegli uomini sembravano animati da una furia cieca, che portava loro ad accanirsi sulle carni dei nemici fino a ridurle a brandelli. Ma il furore sacro della guerra non aveva niente a che fare con quello che stava accadendo sull’isola. Non aveva niente a che fare con quello che avevano portato gli spagnoli.

“Sono venuti per questo”, disse una notte Malik, mostrando la pietra che gli spagnoli chiamavano oro, all’ultimo anziano rimasto.
Nessuno aveva idea di come potesse essere ancora vivo. La pelle scura dell’uomo era solcata da infinite cicatrici, che si confondevano con le rughe sul suo volto. Era sempre stato un punto di riferimento per il suo villaggio. Gli aveva insegnato tutto quello che sapeva sugli dei, su come parlare con loro. Ma da quando gli uomini pallidi erano giunti sull’isola, a Malik gli dei non avevano più parlato. Fino ad allora, gli era bastato osservare intensamente il fuoco, la luna, il pelo dell’acqua, il vento che soffiava sull’erba, per scorgere il riflesso divino; udiva in questo modo, il sussurro di forze più grandi di lui, che lo guidavano nelle scelte, che gli suggerivano cosa fare. Lui, a sua volta, aveva consigliato il cacique e aveva predetto le sorti di ogni battaglia che avevano combattuto. Adesso invece, un silenzio abissale sembrava aver inghiottito la sua mente.

“Hanno bisogno di questo. Quale dio ha bisogno di una pietra? Un vero dio creerebbe ciò che vuole dal nulla. Questi uomini dalla pelle bianca invece usano strani oggetti per piegare noi e la natura al loro volere. Non sono dei. Non sono coloro che avevamo creduto quando sono arrivati. Il loro potere non è dentro di loro, ma proviene dal di fuori. La loro forza non è innata, ma costruita. Hanno trovato il modo di racchiudere il potere del tuono all’interno di quelli che chiamano fucili. In questo modo ci hanno sopraffatto. Ma si tratta di un artificio. Non c’è verità né alcuna giustizia nelle loro azioni”.

Il vecchio aveva annuito alle parole di Malik.

“Non darti pena per ciò che è successo. Gli dei mi hanno parlato, prima che tutto ciò accadesse. Sapevo del loro arrivo. Avevo sentito dei sussurri… ho visto i nostri nemici di sempre cadere sotto il fuoco delle loro armi, e avevo creduto fossero dei salvatori giunti per farci dono di un potere più grande. Adesso ho capito che questi stranieri non fanno distinzione tra i nostri popoli. Siamo tutti uguali, ai loro occhi. Distruggono i nostri templi, facendosi beffe dei nostri dei e delle nostre preghiere”.

Era passato un anno dal loro arrivo. Del popolo di Malik non era rimasto che uno sparuto gruppo di uomini ridotti alla fame. Ossa sporgenti e occhi sbarrati di paura.

“Ormai non c’è più speranza di salvezza per noi. Sai cosa devi fare”, gli aveva detto il vecchio.

Malik lo sapeva. Aveva cominciato a capirlo già da mesi, quando aveva visto il sangue imbrattare le cosce della donna che aveva amato; il suo viso privato della bellezza, ma lo spirito guerriero mai sopito.

Il dio venne da lui in sogno. Malik era rimasto solo: non c’era più nessuno del suo popolo a guardarlo, mentre inalava la polvere che lo avrebbe trasportato nel mondo degli spiriti. Anche il vecchio era morto. Sull’isola sarebbero presto stati introdotti altri schiavi, rapiti da popoli simili a quello che gli spagnoli avevano sterminato. Se non avesse fatto qualcosa, quella sofferenza si sarebbe ripetuta senza fine.

La morte scivolava silenziosa nella notte, impregnando l’aria del suo profumo acre. Coastrique, suo fratello, la accompagnava nel buio. Malik lo pregò di interrompere quel ciclo di sofferenza senza fine. Il sorriso beffardo del dio somigliava a quello del primo straniero che aveva messo piede sull’isola. Adesso Malik sapeva cosa significava: pregustava tutto l’orrore che di lì a poco si sarebbe scatenato su quella terra.
  
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