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Autore: Nescio17    03/07/2021    0 recensioni
1 settembre 1939, Hitler invade la Polonia e la seconda guerra mondiale ha inizio.
Molti giovani italiani vengono richiamati alle armi per difendere il proprio paese e portargli lustro.
Moira Marzotti e Andrea Nolano si troveranno coinvolti in questo avvenimento più grande di loro e i destini di tutti saranno legati da un filo rosso.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Storico
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23 dicembre 1940

La neve cadeva delicata come petali di margherita: tutto sembrava coperto da una coperta leggera, ma impenetrabile, come un tessuto troppo spesso per essere attraversato. Guardare fuori dalla finestra era diventato il mio hobby preferito: da quando la casa era diventata così silenziosa quel rettangolo di vetro mi sembrava l'unico divertimento. 

Avevo mantenuto comunque i miei lavoretti anche se molte donne avevano preferito arrangiarsi con le faccende sartoriali e il giornale riusciva a lavorare solo grazie alle molte mogli che avevano deciso di prendere il posto dei mariti. 

Le notizie erano sempre rade, anche se le lettere cercavano di essere le più lunghe possibili. Erano passati tre mesi, ma erano sembrati un'eternità, il tempo non scorreva mai, anzi sembrava rallentare tutte le volte che si guardava l'orologio. Eppure i giorni erano trascorsi, mattine e notti che si alternavano continuamente, fredde, vuote e senza senso. Mi sembrava che i miei ricordi si frantumassero ogni secondo che passava, il ricordo di Andrea sbiadiva spesso, ma la sua foto sul fronte mi ricordava come fosse. 

Nell'ultima lettera arrivata due giorni prima era riuscito ad allegare una sua foto: una sigaretta in bocca e il fucile nella mano destra. Un sorriso stanco gli solcava il volto ancora bello che la guerra non era riuscito ad intaccare: era insieme ad un compagno di plotone, anche lui stanco e più emaciato di Andrea. Tre mesi e sembrava fosse un'altra persona: glielo si leggeva in faccia. 

Guardai ancora quella foto mentre aspettavo l'ora adatta per partire e dirigermi dalla signora Elvira: anche lei aveva dovuto dire addio al figlio.

Alessandro Paleari aveva più o meno l'età mia e di Andrea, era un bravo ragazzo, volenteroso, generoso: era promesso sposo alla piccola della famiglia Carrara, una bambina che aveva appena compiuto i quindici anni. Alessandro non andava fiero di questo accordo, si sentiva sempre a disagio all'idea: i suoi occhi erano solo per Vittoria. Le correva dietro da un po', da quando lei aveva dato prova che non solo era una ragazza raffinata, ma sapeva anche mettere a posto coloro che la disturbavano. C'era anche scappato un bacio tra i due, durante il ballo di primavera che il paese organizzava tutti gli anni: poco lontano dalle danze, i due si erano messi in disparte e si erano scambiato un singolo bacio. Ma Vittoria non poteva diventare sua moglie, gli accordi erano rigidi, senza tante possibilità di essere sciolti e lui lo sapeva, ma sognare non gli costava nulla: tranne al suo cuore innamorato. 

16:30. Guardai l'orologio e mi avviai dalla signora che abitava in centro al paese: il freddo fuori era pungente, mi fece lacrimare immediatamente gli occhi che ovviamente non ero riuscita a coprire. Tutto il resto del mio corpo era saldamente arrotolato in tutti i vestiti pesanti che ero riuscita a trovare. Camminare nella neve così fresca non era facile, ma con un po' di fatica riuscii poi a raggiungere la metà: la città era percorsa solo da qualche persona silenziosa che imbacuccata cercava di andare il più veloce possibile per evitare di incrociare gente losca. Nessuno era più sicuro, nemmeno nella propria casa, tra le pareti calde e accoglienti: era come se un'ombra avesse ricoperto tutto e tutti, inquietudine in tutto ciò che si faceva. 

Finalmente giunsi nella casa della signora che venne ad aprire personalmente: un tempo sarebbe venuto il maggiordomo, ma anche i più abbienti avevano dovuto fare economia. Il tepore della casa mi invase le ossa, donandomi un senso di sollievo immediato: mi svolsi dai miei vestimenti mentre Elvira mi osservava felice, la mia compagnia era per lei motivo di "svago". 

"Oggi fa molto freddo non trovate signorina?" Mi guardò con il suo sorriso leggero. 

"Concordo con lei Elvira, ma è anche normale, l'inverno quest'anno non si è fatto attendere." Lei annuì sempre mantenendo quell'aria serena, come se niente potesse scalfirla. 

"Avete avuto notizie dei vostri fratelli?" Disse con una sincera preoccupazione nella voce. Stetti un attimo in silenzio: parlare dei cari al fronte stava diventando sempre più difficile. 

"L'ultima lettera risale a due settimane fa, il fronte austriaco è molto duro." Dissi senza particolare intonazione, meno ci pensavo e meglio era: preferivo ancora ricordarli gioiosi e felici, non immersi fino alle caviglie nella neve ghiacciata. La signora Elvira decise di non chiedere di Andrea: in città tutti sapevano del nostro legame, così come sapevano che tra noi due non era successo niente. Era sempre stato un comportamento anomalo: la mia famiglia non mi aveva mai vietato di vederlo e la sua non lo aveva mai costretto a chiedermi la mano. Entrambi avevamo già un età avanzata per il matrimonio e infatti erano girate anche delle male lingue: ma le nostre famiglie ne sapevano molto di più. 

Ci accomodammo nel salotto lì dove il grande camino sembrava una bestia dormiente: solo un piccolo zampillare di fiamme indicava un segno di vita della brace. Le pareti ricoperte di pesanti tendaggi sembravano soffocarmi, riempire completamente il mio spazio vitale: l'avevo già frequentata quella casa, ma in quel periodo mi infastidiva. Dovetti distogliere gli occhi.

La signora mi porse la cesta con i vestiti da rammendare e poi si sedette di fronte a me con una tazza di te fra le mani. Per un po' rimanemmo in silenzio ascoltando il leggero frusciare del vento fuori dalla finestra, poi la signora Elvira decise di accendere la radio: una soffice musica si diffuse per tutta la stanza riempiendo quel silenzio carico di aspettative e di parole non dette. Era un lindy hop non troppo movimentato, ma che dava quel ritmo giusto per affrontare l'ennesima serata solitaria. L'ago scorreva veloce nel tessuto e ogni rammendo ne usciva fuori a regola d'arte. 

"Ad Alessandro piacciono molto questi balli statunitensi, li trova così innovativi." Disse riaprendo il sorriso spentosi poco prima. Sorrisi e annui di rimando.

"Sono molto gioiosi soprattutto, impossibile riuscire a stare fermi." Dissi iniziando a muovere un piedi a ritmo di quelle note che non potevano non trascinarti sulla pista: mi ricordarono quel ballo che si era svolto in piazza quell'estate stessa. Mi sembrò un momento talmente lontano che quasi feci fatica a ricordarlo: ma c'era un particolare che la mia mente ricordò perfettamente. 

Io e Andrea c'eravamo allontanati in quanto avevo deciso di tornare a casa prima per sistemare degli appunti che mi sarebbero serviti per un esame e lui si era premunito di accompagnarmi. La serata era placida, ferma nella sua aria umida: le stelle invece brillavano come diamanti in un cielo immenso. Camminavamo silenziosi, a poca distanza l'uno dall'altro. 

"Bello questo vestito Moira, perfetto per andare al mercato delle bestie." Mi disse senza tanti fronzoli, il sorriso beffardo sul volto. Gli tirai un pugno contrariata da quel suo commento.

"Certo che tu sai proprio come corteggiare una signora!" Dissi offesa: quel vestito era uno dei miei preferiti in quanto me l'ero cucita tutto da sola, uno stile quasi americano. Gonna svasata che arrivava poco sotto le ginocchia e busto più stretto e sciancrato di quello tradizionale: la fantasia a fiori completava il tutto. 

"Ah adesso ti ritieni pure una signora?" Disse in maniera ironica: per noi era naturale scherzare.

"Tu ti dovresti ritenere un uomo morto invece!" Come se ci fossimo letti nella mente, lui aveva già iniziato a correre per evitare di prendere altre botte che sarebbero sicuramente andate a segno. Corremmo a perdifiato finché Andrea non si buttò in un campo per far perdere le sue tracce: cosa che non servì a nulla dato che ero riuscita a stargli dietro. Nel momento in cui decisi di seguirlo in mezzo al grano maturo inciampai rovinandogli addosso. 

"Santi numi, non ti facevo così pesante." Disse ridacchiando e tossendo dato che praticamente gli ero caduta completamente addosso. Gli tirai un altro pugno che andò a segno: rise ancora come se gli avessi fatto il solletico. Da quella prospettiva era anche più bello, riuscivo a distinguere i suoi tratti del viso grazie alla luce della luna: il naso sottile, ma importante, gli zigomi perfetti e quelle labbra che avrebbero fatto impazzire qualsiasi ragazza.

Adesso eravamo in silenzio entrambi e l'unica cosa che riuscivo a fare era percorrere le linee del suo viso con le dita, tastare ogni centimetro della sua pelle per imprimerla nella memoria. Capii subito che la situazione stava andando in una direzione che non mi conveniva prendere: cercai di sollevarmi, ma le sue mani mi trattennero facendomi tornare al posto di prima. 

"Moira non c'è fretta." Disse tranquillo, con un tono che sfiorava la sensualità, ma che non voleva mai sembrare volgare. Il suo petto si alzava ritmicamente, sembrava in pace con se stesso, io sopra e lui sotto, immobili, ma ricettivi di qualsiasi minima variazione dell'aria. Continuai a fissarlo, forse sembrando un po' stralunata, ma a lui non dispiaceva.

"Lo so che sono bellissimo, ma non c'è bisogno di mangiarmi con gli occhi." Disse soddisfatto di avermi colta in flagrante: arrossii e sicuramente riuscì a percepirlo dal momento che abbassai anche gli occhi. Sentii la sua mani percorrermi la guancia e la punta delle sue dita sfiorarmi i capelli: chiusi gli occhi e mi abbandonai al suo tocco morbido. Lentamente portò il mio viso a una distanza irrisoria dal suo: quando riaprii gli occhi vidi i suoi che anche al bagliore della luna sembravano risplendere come pozze di acqua viva. 

"Stasera sei splendida." Sentii il suo respiro infrangersi sulle mie labbra: in quel momento tutto il mio corpo perse il controllo e il mio cervello si spense solo per godersi il momento. Fece sfiorare le nostre labbra come foglie che si appoggiano delicate sul terreno: erano così fresche e invitanti, come un frutto succoso che d'estate riesce a dissetarti dall'arsura. Sollevò leggermente il volto per farle collidere meglio e sentii il mio cuore pronto ad esplodere da quante emozioni si stavano accavallando nella mia mente. In un attimo si tirò su a sedere costringendomi a cingergli la vita con le gambe: la mano dietro la nuca divenne più salda e il braccio sinistro mi circondò la vita come per evitare che scappassi da un momento all'altro. Il bacio divenne più approfondito, le sue labbra divennero più bramose, ma anche esitanti per paura di fare la mossa sbagliata. Ci staccammo per riprendere fiato, come se con quel contatto avessimo respirato l'uno l'aria dell'altro fuori dai polmoni. Gli cinsi il collo con le braccia lasciando che le nostre fronti rimanessero in contatto, le sue mani appoggiate delicatamente sulla vita, senza scendere troppo in basso: pensai che quel momento sarebbe durato all'infinito.

Mi resi conto solo dopo alcuni secondi che forse non era la situazione migliore in cui rimanere: se anche una sola anima fosse passata e ci avesse visto in quella posizione saremmo stati additati da tutto il paese. Le vecchie abitudini non muoiono mai. Mi rialzai controvoglia e Andrea mi seguì a ruota continuando a sorridere come uno scemo, cingendomi la vita con il braccio e dandomi un bacio sulla tempia. 

Tutto cambiava e anche noi non eravamo più solo bambini spensierati.

I miei pensieri vennero interrotti da una voce maschile, dura.

"A tutto il popolo italiano, le truppe sul fronte francese sono riuscite ad avanzare con una mossa da maestri e adesso si dirigono spediti verso Parigi." 

Ci fu un attimo di pausa: nel frattempo ci eravamo messe in ascolto con le orecchie ben aperte, pronte a cogliere il minimo segnale. Non riuscii comunque a rilassarmi dopo la notizia: le vittorie non significavano niente, volevo solo che tutti tornassero a casa il prima possibile. Elvira invece sembrava più rilassata, quasi confortata dalla notizia che il suo Alessandro stesse facendo le cose per bene. La comunicazione riprese, la voce metallica tornò a risuonare tra le pareti. 

"I tempi della permanenza dei nostri soldati hanno subito delle variazioni, pertanto nessuno di loro potrà tornare nelle dimore. Buona serata al popolo!" Per poco la signora non svenne dalla sedia: noi tutte l'avevamo sperato, ma le aspettative si erano dimostrate troppo alte. Avevamo pregato troppo intensamente perché questo desiderio si avverasse: eravamo state punite per la nostra eccessiva speranza. 

Niente ritorno, niente guerra lampo. 

Me l'ero sentito nelle vene fin da subito: una comunicazione troppo precipitosa, troppo singolare per il ventitré dicembre: prima una bella notizia subito dopo il boccone amaro, funzionavano sempre così gli annunci. La signora Elvira iniziò a blaterare di cose che sembrano disconnesse fra di loro. 

"Sicuramente si tratterà di poche settimane, giusto il tempo di saltare qualche festività..." Diceva sommessamente la donna, incantata ad osservarsi le mani. Cercai di distrarre la signora mentre la musica ricominciava a risuonare nella stanza, ma dentro di me ribolliva qualcosa, i pensieri correvano veloci nella mia mente come fulmini: stavo architettando qualcosa di cui non sapevo ancora niente.

Il ritorno a casa sembrò un po' spettrale: il silenzio era calato ancora più pressante dopo la notizia alla radio che sicuramente avevano sentito quasi tutti e quei pochi che non possedevano la radio l'avevano saputo dal vicino. La neve nel frattempo continuava a scendere, sempre più fitta, sempre più densa: adesso sembrava pesare sopra ogni cosa come un mantello di ghisa. 

Affrettai il passo.

"Oh Moira, finalmente, avrai già saputo della situazione." Disse mia madre in preda alle lacrime non appena rientrai in casa. L'abbracciai forte, evitando che anche le mie lacrime si unissero alle sue: in quei mesi avevo cercato di dimostrarmi forte, consapevole, ma fiduciosa che ce l'avrebbero fatta tutti. Mio padre era seduto sul divano che leggeva: mi sedetti accanto a lui e lo abbracciai consapevole che il dolore era ben spartito in tutta la famiglia. 

"Dobbiamo essere fiduciosi Rosa, i nostri bambini ormai sono uomini. Se noi siamo forti loro lo saranno ancora di più." Disse sciogliendosi dalle mie braccia. Rimasi lì, accanto a lui, eppure quella strana sensazione che era nata in me quel pomeriggio, dalla signora Elvira, non voleva andarsene: più che una sensazione era un presagio, qualcosa che sicuramente avrei combinato. Ma non riuscivo a decifrare cosa. 

   
 
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