Capitolo
2
John (A)
La carrozza sballottò
per quasi mezz’ora il corpo di un apatico John Watson, prima che il dottore
raggiungesse la propria destinazione.
La casa che lo
aspettava, non aveva nulla in comune con il 221B di Baker Street. Era una
palazzina di quattro piani, senza ascensore, con sei appartamenti per piano. La
porta d’ingresso era di vetro smerigliato, ma si intravedevano diverse crepe.
‘Sherlock le avrebbe notate subito e dedotto che cosa le avesse provocate
prima ancora che io avessi avuto il tempo di sbloccare la serratura,’ sorrise.
Il sorriso durò appena
un secondo.
‘Non pensare a Sherlock. Lui non c’è più. Non sentirai mai più la
sua voce, non vedrai mai più i suoi occhi. Prima smetterai di pensare a lui,
prima ricomincerai a vivere,’ ringhiò fra sé e sé.
Era più facile da
pensare che da fare.
Qualsiasi cosa lo
portava a pensare a Sherlock. Anche la più innocente. Anche la più impensabile.
Sherlock era
un’ossessione.
Sbatté la porta
d’ingresso e iniziò a salire le ripide scale interne. Per fortuna il suo
appartamento era al primo piano. La gamba aveva ricominciato a fargli male e zoppicava.
Salire quelle scale non era comodo.
Il dolore fisico, però,
andava bene. Era giusto. Benvenuto.
Lo distoglieva dal
dolore che gli stringeva il cuore in una morsa ferrea. Lo distoglieva dal
dolore per la perdita di Sherlock.
Aprì la porta
dell’appartamento. Una piccola sala squallida e grigia lo accolse con
freddezza. John la ignorò.
Buttò la scatola dei
libri sul tavolo che la sala condivideva con l’angolo cottura del cucinotto e
si diresse all’armadietto più vicino.
La bottiglia di pessimo
whiskey era lì, che lo attendeva.
John non prese nemmeno
il bicchiere. Aveva bisogno di stordirsi. Di dimenticare. Di smettere di
pensare.
Aprì il tappo e si mise
la bottiglia al collo, mentre caracollava verso il divano.
****
John (B)
John fissò i libri,
sparsi sulla banchina della metropolitana.
Li guardava, ma non
li vedeva, perché gli occhi erano ottenebrati dalle lacrime.
Nessuno osò
avvicinarsi o chiedere se avesse bisogno di aiuto.
Con rabbia, John calciò
il primo libro, come se fosse stato un pallone. Poi ne colpì un secondo e un
terzo. Avrebbe continuato all’infinito, se una voce non avesse raggiunto la sua
coscienza.
“John? John stai
bene?”
Il dottore si
immobilizzò e si girò verso la voce, i pugni chiusi e stretti lungo i fianchi.
Era pronto a insultare e a picchiare chiunque gli avesse parlato. Come potevano
chiedergli se stesse bene, quando la sua vita era finita? Come potevano anche
solo pensare che lui stesse bene, quando aveva fallito nell’impresa più
importante? Lui non aveva salvato Sherlock Holmes. Era pronto a urlare contro
chiunque gli avesse rivolto la parola, quando si scontrò con un paio di occhi
chiari e una massa di capelli ricci e neri.
John fissò
l’apparizione, incredulo. Si passò una mano sugli occhi e riportò lo sguardo
sul volto della persona che gli aveva parlato: “Sher…”
“John, ti ricordi
di me? Sono Matthew Randall. Eravamo insieme nell’unità medica, in
Afghanistan.”
John annuì.
‘Certo che non è Sherlock, stupido. Sherlock è morto. Si è
lanciato dal cornicione del Bart’s e non tornerà mai più da te.’
“Certo che mi
ricordo di te, Matt. Come stai?”
“Bene. Grazie.
Posso aiutarti?” Indicò con una mano i libri sparsi.
John arrossì in modo
violento, sentendosi un perfetto idiota. Aveva appena preso a calci dei poveri
libri, che non gli avevano chiaramente fatto nulla, su una banchina della
metropolitana. Affollata di gente.
Doveva essere
sembrato un pazzo.
‘Si può impazzire per il dolore?’
“Sì, grazie. Sei
molto gentile.” Sorrise, incerto.
“Dove li devi
portare?” Domandò Matt, mentre recuperava i libri e li infilava nella scatola.
“Sto cambiando
abitazione. Questi sono gli ultimi libri che ho preso dalla mia vecchia… da…”
non riuscì ad andare avanti.
“Posso
accompagnarti, se vuoi. Così potremo fare due chiacchiere. È da tanto tempo che
non ci vediamo.”
Il sorriso di Matt
era caloroso e sincero. Quegli occhi azzurri, i ricci morbidi, le labbra piene,
gli ricordavano così tanto Sherlock, da fare male.
“Mi farebbe molto
piacere. Così posso offrirti qualcosa da bere, per ringraziarti del tuo aiuto.
Sempre che tu non abbia altro da fare.”
“Sono tutto tuo. –
ribatté in tono allegro Matt – Per qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno.”
****
John (A)
Non si era accorto di
essersi addormentato. Non capì che cosa lo avesse svegliato. Era intontito
dall’alcool e i suoi riflessi erano molto rallentati.
‘Patetico.’ Gli sussurrò, in tono sprezzante,
una voce che assomigliava pericolosamente a quella di Sherlock.
John poteva sentire il suo sguardo fisso su di lui, le labbra
piene strette in una linea sottile, il bel viso atteggiato a una espressione di
biasimo.
“TU SEI MORTO! LASCIAMI
IN PACE! A CHI VUOI CHE IMPORTI SE MI UBRIACO?” Urlò al fantasma dell’amico
morto.
Il rumore sordo si
ripeté. John tese i sensi, per capire di che cosa si trattasse. Il fantasma di
Sherlock svanì dalla stanza.
Un lamento arrivò dal
corridoio. Senza riflettere troppo, John spalancò la porta e si trovò davanti
il buco nero della canna di una pistola.
Ormai completamente
sveglio e con gli effetti della sbornia svaniti, John osservò l’uomo che lo
stava minacciando.
Di mezza età, basso e
tarchiato, teneva l’altro braccio rigido lungo il corpo. Del sangue fuoriusciva
copioso da una ferita che doveva trovarsi appena sotto la spalla.
Qualcosa si mosse nel
profondo dell’anima di John Watson. Quell’uomo era sicuramente un criminale. Il
medico avrebbe potuto metterlo fuori combattimento molto facilmente e
consegnarlo alla polizia.
‘A che pro?’
Sherlock e lui avevano
collaborato con la polizia. Avevano rischiato le loro vite per assicurare i
delinquenti alla giustizia. E che cosa ne avevano ottenuto in cambio? Diffidenza,
derisione, sospetto. E, alla prima difficoltà, Sherlock era stato screditato e
denigrato, accusato di essere un millantatore, un imbroglione, un esaltato.
‘Sherlock si è ucciso perché la polizia ha creduto alle menzogne di
Moriarty, invece che a una persona meravigliosa che li aveva aiutati per anni,
senza pretendere in cambio altro che considerazione e rispetto.’
Con la rabbia che
montava inesorabile dentro di lui, John sentì la propria voce dire: “Abbassa
quell’arma ed entra. Sono un medico. Non voglio sapere nulla di te. Ti curerò.
Non ti denuncerò alla polizia.”
L’uomo lo fissò
sospettoso e incredulo.
John gli voltò le
spalle e recuperò la borsa con dentro il materiale necessario alla medicazione.
Cominciò a fare un
elenco mentale di ciò di cui avrebbe avuto bisogno.
Quello era l’inizio
della sua nuova vita.
****
John (B)
Durante il viaggio
in metropolitana, John e Matt avevano parlato dei vecchi commilitoni.
Anche Matt aveva
lasciato l’esercito e lavorava presso una clinica privata in centro a Londra.
Era benestante e single.
John aveva sempre
saputo che Matt era gay. Il giovane collega non ne aveva mai fatto un mistero.
All’inizio lo aveva persino corteggiato. Con molto tatto, John gli aveva fatto
comprendere che era lusingato, ma non interessato. Questo non aveva impedito ai
due uomini di instaurare un rapporto di fiducia e di reciproca stima.
Durante il tragitto
dalla stazione della metropolitana al nuovo appartamento, Matt aveva insistito
per portare il pacco pieno di libri. Aveva notato che John zoppicava e non
voleva che si sforzasse.
John gliene fu
molto grato. Era piacevole parlare con qualcuno che non avesse nulla a che fare
con il suo recente passato.
‘Con Sherlock.’
Con qualcuno che
non sapeva niente di indagini, pazzi dinamitardi e geni del crimine. Con
qualcuno con cui parlare di cose innocue come la guerra e la morte in
battaglia.
Arrivati al nuovo
appartamento, John aprì la porta e fece accomodare Matt nel suo spoglio e
squallido alloggio. Si vergognò un po’ della propria condizione, ma Matt
continuava a sorridere, come se John lo avesse accolto in una casa lussuosa e
ben arredata.
“Mi sono appena
trasferito, non ho molte cose. – John si sentì in dovere di giustificarsi –
Però posso offrirti un po’ di whiskey in un bicchiere pulito.” Terminò, andando
verso il mobile dell’angolo cucina, dove prese una bottiglia e due bicchieri.
Matt si tolse il
cappotto e si accomodò sul divano. John si sedette accanto a lui, versando una
dose generosa del forte liquore ambrato in entrambi i bicchieri.
“Agli amici
presenti e a coloro che ci hanno lasciato.” Mormorò, alzando un bicchiere.
“Agli amici
ritrovati.” Ricambiò Matt.
Entrambi
trangugiarono un sorso generoso di liquore.
“Chi ti ha ferito
così tanto, John?” Domandò Matt, con infinita dolcezza.
John fece un verso
a metà fra una risata e un singhiozzo: “Credo che tu sia l’unico in città a non
sapere nulla. Un mio amico si è ucciso. Non sono riuscito a salvarlo…” e una
valanga si riversò all’esterno. John raccontò tutto a Matt, come non aveva mai
fatto nemmeno con la sua terapista.
Del suo incontro
con Sherlock. Di quanto fosse intelligente ed eccezionale. Del modo in cui
avevano subito stretto un rapporto di profondo rispetto e fiducia reciproca. Di
quanto fosse diventato importante la loro amicizia. Di come Sherlock fosse
stato posto su un piedistallo altissimo, fatto di fragile cristallo, che era
stato distrutto, facendo precipitare il suo amico all’inferno.
“Così Londra e
l’umanità hanno perso la persona migliore che sia mai esistita a questo mondo.
Senza Sherlock, il mondo è più vuoto e più freddo.” Concluse.
Mentre parlava,
John aveva continuato a versarsi da bere, perché era più facile raccontare di
quell’essere meraviglioso, che lo aveva abbandonato, se qualcosa di forte gli
scioglieva il nodo che si ostinava a formarsi alla gola.
Si voltò verso Matt,
ma non vide lui.
Vide gli occhi
chiarissimi, i ricci corvini, gli zigomi affilati di Sherlock. E le sue labbra
piene, che gli sorridevano. Invitanti.
“Perché
comprendiamo quanto siano importanti le persone solo quando non ci sono più?
Perché temiamo così tanto di mostrare i nostri sentimenti, da perdere
l’occasione di essere felici?” Sussurrò.
John si avvicinò e
Sherlock non si sottrasse al bacio.
Anzi.
Spogliò John con
delicatezza, lo ricoprì di baci e di carezze. Lo preparò con dolcezza e lo penetrò,
riempiendolo con il proprio cazzo e muovendosi dentro di lui. Facendolo sentire
completo.
“SHERLOCK!” Urlò
John, all’apice del piacere.
Sentì lo sperma
dell’altro riempirlo. Braccia forti che lo avvolgevano, cullandolo come un
bambino, mentre piangeva e mormorava frasi sconnesse e senza senso.
Fino a cadere fra
le braccia di Morfeo.
Piccola nota dell’autrice
Così
le vite dei due John prendono strade completamente diverse.
Grazie
a chi stia leggendo il racconto e grazie a Himeko82 per la recensione al primo
capitolo.
Alla
prossima domenica.
Ciao
ciao.