Vespro dei beati sposi (prima parte)
Saranno fiumi e
cascate di perle
Saranno fiori sbocciati da cogliere fino alle stelle
Per noi che abbiamo tempo passiamo troppo tempo
Ad aspettare l'attimo che accende
Max Gazzé, A cuore
scalzo
Un racconto sugli incontri
inaspettati
A Joseph i cimiteri italiani non erano mai piaciuti.
Anche in una bella giornata come quella, gli ammassi tristi di marmi e angeli
contriti per gli umani peccati non lo disponevano per il migliore degli stati
d’animo. Ma il vecchio non intendeva mostrarsi intristito, non di fronte alla
figlia e all’amico che stava andando a trovare.
Strano ma vero, quell’oggi a Napoli si respirava aria di festa. Dalle campane
delle chiese al chiacchiericcio allegrotto delle donne dinanzi al cancello del
cimitero Nuovissimo, era intuibile che qualcosa di lieto fosse appena accaduto,
ma né i coniugi Joestar né tantomeno l’autista che aveva deciso di aspettare la
coppia in abitacolo avevano idea del perché. A giudicare dagli sprazzi di
conversazione uditi distrattamente dalle comari, si parlottava del matrimonio
di un pezzo grosso di Napoli, roba da giornaletto di gossip, in parole povere. L’unica
a non porsi la questione era la figlia adottiva, che aveva infilato l’ingresso
di via Santa Maria Del Pianto a saltelli subito contagiata dall’atmosfera.
«Shizuka» le fece Joseph cantilenando «ricordati dove stiamo andando»
«Sì, babbo!» la ragazzina rallentò il passo e si portò gli occhiali da sole a
forma di cuore sulla testa per mostrargli il visetto impertinente «”E niente
invisibilità, mi raccomando!”¹»
«Non farmi il verso eh! Guarda che se fai la monella resti senza gelato!»
«Sì babbo» ripeté la figlia, stavolta in tono più mesto, affiancandosi a Suzie
Q.
«Tanto lo so che se non te lo compra il babbo ci pensa la mamma, vero?» le fece
lei accarezzandole il mento «Ah, bimba mia! Quanto invidio la tua giovinezza»
«Ehi, guarda che sono già grande!» sbottò Shizuka, i capelli neri che
ondeggiavano dietro la schiena esile «E poi dove stiamo andando? Per chi sono
quei girasoli?»
«Oh, questi!» Joseph sistemò meglio il mazzo di fiori che teneva incastrato
nell’incavo del braccio sinistro «Questi sono per una persona speciale che mi
ha salvato la vita quando io e la mamma eravamo giovanotti, e oggi andiamo a
chiedergli come se la passa in paradiso».
Shizuka rimase in silenzio. Piegò il collo di lato e assottigliò gli occhi a
mandorla in un’espressione indecifrabile. Era probabile che avesse preso le
parole del vecchio come le esternazioni di un nostalgico, ma era giusto così. Una
undicenne aveva il diritto non comprendere certe cose.
I tre avanzarono quindi senza profferire altro nel paesaggio monotono di
lapidi, fiori appassiti e date di nascita e di dipartita, fino a quando si
fermarono dinanzi a una delle cappelle famigliari più pittoresche del cimitero.
«Anche da morto resti comunque un vanesio» furono le prime parole di Joseph
alla vista della costruzione.
Più che a una cappella somigliava al tempietto di un dio greco: sopra lo
stilobate si ergeva una fila di colonne con capitelli in stile dorico che proteggeva
la cella dentro la quale riposavano i defunti. La croce di Cristo raffigurata al
centro della porticina di vetro colorato si imponeva con la sua fragilità sulla
tracotanza delle scanalature. In alto, l’altorilievo rivestito in oro della
Sacra famiglia occupava quasi per intero lo spazio del timpano e rifletteva i
raggi del sole pomeridiano, mentre il fregio riportava, sempre in oro e con
caratteri eleganti, la scritta “Famiglia Zeppeli”.
«Però a me quella Sacra famiglia continua a piacere, è così bella» commentò
Suzie ammirando il capolavoro posto a protezione della cappella «Chissà, magari
lassù si è fatto una famiglia tutta sua»
«Già, chissà…» borbottò Joseph
«Shizuka, amore di papà, mi aiuti con i fiori?»
aggiunse rivolto alla ragazzina.
«Shizuka?».
Shizuka non ascoltava. Era rimasta indietro rispetto ai due coniugi, lo sguardo
fisso verso il dedalo di lapidi che avevano percorso. Aveva rinforcato gli
occhiali da sole e si era issata sulle punte delle scarpe per guardare meglio
le persone che erano arrivate dopo di loro. Anche Suzie, dopo la contemplazione
dell’altorilievo, aveva lasciato perdere i fiori e si era posizionata alle
spalle della figlia.
«Joseph, guardala!».
Con la fronte corrugata per l’irritazione, Joseph si voltò nella stessa
direzione e per poco non fece cadere i fiori sull’asfalto.
Una sposina, seguita da quelli che dovevano essere il neomarito e tre amici
della coppia che portavano in dono dei mazzi di rose bianche come l’abito della
festeggiata, incedeva con passo leggero reggendo in mano un bouquet di zagare.
Nonostante il luogo serbasse poco spazio per la gioia, il sorriso raggiante della
figura era a malapena celato con grazia dalla mano impalmata, e così
dissimulando invitava gli altri membri del gruppetto a seguirla. Guardando un
po’ i vivi dietro di lei e un po’ i morti ai suoi piedi, era evidente stesse
cercando qualcuno a lei caro tra i secondi, e infatti, una volta individuata
una installazione di loculi non molto distante dalla cappella Zeppeli, si era
fermata a contemplare le lastre di marmo in attesa che gli altri la
raggiungessero. Nel mentre aveva liberato l’involucro di seta che teneva unito
il suo mazzo per ricavarne tre più piccoli, che porse di seguito al congiunto
tendendogli le braccia candide.
Alla vista dei tre mazzolini, lo sposo si portò una mano al viso e chinò il
capo per non mostrarsi alla moglie.
«Abbraccio di gruppo sullo sposo!» esclamò l’invitato vestito di verde scuro,
probabilmente il testimone, che gli si buttò a capofitto e lo avvinghiò con le
braccia.
«Oh, tesoro, sarà andato a trovare delle persone a lui tanto affezionate per
mettersi a piangere il giorno del suo matrimonio» Suzie si asciugò un accenno
di lacrima dal ciglio, intenerita dalla scena di lui che veniva sobbissato di
abbracci dalla sposa e dagli amici che lo accompagnavano.
«Uà, non lo soffocatemi che sennò Leone si incazza e mi rimanda indietro
a calci!» si udì sdrammatizzare dall’oggetto di quel moto di affetto genuino, ottenendo
come risultato uno scoppio di risa generale.
«Mamma» sussurrò Shizuka a Suzie «ma quella con la cicatrice sulla faccia e le
trecce porta una tartaruga al guinzaglio! La voglio vedere da vicino!».
Non le venne nemmeno concesso il tempo di trattenerla: la ragazzina si era
lanciata in una corsa per raggiungere gli sposi e i loro accompagnatori, che in
quel momento erano occupati a decorare le tombe dei cari con le zagare e le
rose bianche.
Con ancora i girasoli in mano, Joseph trasse un respiro profondo. E subito dopo
ridacchiò.
«Quella peste mi farà impazzire prima o poi, non ho mai incontrato persona più
sfacciata di lei».
Suzie sollevò un sopracciglio.
«Abbiamo gli specchi in casa» gli rimbeccò leggermente stizzita «dovresti
usarli più spesso»
«No, grazie, so già di essere bellissimo» fu la risposta di Joseph, che si
voltò per infilare la chiave nella serratura della porticina in vetro
«piuttosto, visto che la peste è andata a farsi conoscere dalla sposa perché
non mi reggi un attimo il bastone? Devo sistemare i girasoli nei vasi».
Suzie obbedì, non senza aver bofonchiato alcune imprecazioni in veneto stretto,
e, bastone da passeggio stretto in mano, assistette alla vista di Shizuka
accovacciata accanto alla sposa, che non sembrava per nulla infastidita da
quella incursione improvvisa, per aiutarla con le rose. Una volta terminato con
il compito si alzarono per andare incontro ai due anziani alle prese coi più
sgargianti fiori gialli, seguite con lo sguardo dai tre uomini e dalla donna
che aveva loro ceduto l’animale.
«Buonasera!» esordì sorridente la sconosciuta, nella voce una forte flessione
dell’estremo Sud Italia «vostra figlia mi ha raccontato che siete venuti
dall’America per andare a trovare il vostro amico: e così lui riposa in questa
cappella, vero? È davvero bellissima».
Adesso che guardava da vicino quegli occhi verdi esaltati dal trucco leggero e
dall’acconciatura elaborata dai riflessi ramati², Joseph dovette ammettere a
sé stesso che era veramente una graziosa tortorella e che il marito aveva buon
gusto in fatto di donne, ma ebbe il buon senso di tenersi dentro tali pensieri:
non voleva beccarsi una bastonata sugli stinchi da Suzie.
«Oh, sì, è molto bella!» esclamò di rimando il vecchio «Una tomba pittoresca
per una famiglia pittoresca col cuore grande».
Joseph guardò prima la sposa, poi Shizuka e infine la tartaruga, e poi riprese
a parlare:
«Anche voi siete qui per i vostri amici?».
La donna si sistemò un boccolo dietro l’orecchio e sorrise mesta. Il primo
sorriso malinconico che le vedevano fare.
«Sì, amici di mio marito per lo più, ma me li porto lo stesso nel cuore da
quando se ne sono andati» si voltò a guardare le persone che erano rimaste a
parlottare tranquillamente nei pressi dei loculi «mi hanno letteralmente
salvato la vita»
«Oh mia cara, dovevano essere dei bravi ragazzi, che Dio li abbia in gloria!»
Suzie aveva gli occhi lucidi «Sono sicura che da lassù stanno festeggiando con
voi il lieto evento, vi auguro tanti, ma tanti anni felici da vivere assieme!
Siete bellissimi!»
«Vi ringrazio» la sposa chinò il bel capo leggermente imbarazzata «era un voto
che ho fatto tanti anni fa, se mi fossi sposata li avrei onorati con i fiori
d’arancio e per niente al mondo avrei mancato la promessa. Ma vi prego, non vi
voglio annoiare con le mie cose» si affrettò ad aggiungere «Posso donarvi una
delle nostre rose? Per il vostro amico, s’intende»
«Al mio amico piacevano un sacco le belle ragazze, quindi la tua rosa sarà
molto apprezzata da quel mascalzone» nell’allungare il braccio per accettare il
regalo inaspettato, a Joseph scappò un sorrisetto malizioso «ma ehi, non dire
niente a tuo marito! Non voglio grane»
«Allora resterà un segreto» la sposa fece l’occhiolino.
La mano rugosa del vecchio sfiorò quella di seta della giovane e un brivido leggero
ma ben percettibile pervase le schiene di quelle due persone che non si erano
mai incontrate prima: per un attimo fu come se avessero avuto la sensazione di
condividere qualcosa di più grande di un semplice incontro fortuito, qualcosa
di talmente grande e sfuggente al tempo stesso che non seppero dargli un nome.
Si scambiarono uno sguardo sorpreso carico di eccitazione e così come la
sensazione era arrivata si spense immediatamente dopo la fine del contatto.
«Grazie» disse Joseph con voce piatta, distogliendo subito lo sguardo dalla
donatrice per sistemare la rosa in mezzo ai girasoli «è stato un bel gesto»
«Si figuri» mormorò lei tenendo stretta la tartaruga.
«Papà» si intromise Shizuka «quando torniamo a New York mi compri una tartaruga
uguale? Guarda quanto è carina questa!»
«Oh, giusto» totalmente riscossosi, Joseph rivolse l’attenzione a quella
mascotte bizzarra col carapace quasi del tutto nascosto da un piccolo cuscino
bianco, che probabilmente aveva funto da portafedi prima della cerimonia «hai
già tre cani, un gatto, cinque cacatua e un pesce tropicale, perché non
aggiungere un altro pezzo al tuo zoo?»
«Io voto per la tartaruga in casa» disse Suzie avvicinandosi all’animale per
accarezzargli una zampa «ciao paggetto simpatico! Sei curioso, sai? Da quando
ti sei avvicinato guardi solo quella volpe di mio marito, lo trovi simpatico?»
Il rettile le tese la zampa anche se teneva il collo allungato per osservare
Joseph, il quale ricambiò la sua occhiata vacua con perplessità.
«Che ti devo dire» concluse l’interpellato stringendosi nelle spalle incurvate
«gli animali mi piacciono e io piaccio agli animali, non è una novità» tese di
nuovo la mano per imitare il gesto di Suzie, e stavolta la tartaruga socchiuse
persino gli occhi con soddisfazione.
«Visto? Già mi vuole bene» prima di lasciare andare la tartaruga la pungolò
affettuosamente sul naso con l’indice destro «come mai proprio una tartaruga?»
«A lui piacciono le persone, non volevamo lasciarlo a casa» rispose la donna grattandole
a sua volta il collo «e poi non potevamo trovare paggio migliore di lui»
«Papà, quando mi sposerò vorrò anche io la mia tartaruga paggio» annunciò
solennemente Shizuka, seria in volto.
«Certo, certo, e gli altri animali ti cuciranno il vestito addosso come
Cenerentola… Ma oh» aggiunse Joseph rivolta alla sposa «tra non molto si farà
sera, non vogliamo che gli invitati vi aspettino per colpa nostra»
«Figuratevi, è stato un piacere conoscervi» l’interpellata incurvò di nuovo le
labbra scoprendo le file di denti regolari «mi ricorderò di voi e degli
Zeppeli… Allora, andiamo al ricevimento, vero?» domandò alla tartaruga, che
aprì e chiuse lentamente la bocca.
«Beh, addio, e tanti auguri» fu il congedo di Suzie, mani strette al cuore e
occhi nuovamente lucidi.
«Grazie, e buona giornata, soprattutto a te Shizuka!» La sposa agitò un braccio
per salutare il terzetto, poi, mentre si allontanava dalla cappella, fece cenno
agli altri di allontanarsi dal cimitero.
Nell’avviarsi in direzione del cancello, le quattro persone che erano con lei
si voltarono all’unisono e salutarono anch’essi i Joestar: tra loro spiccava un
giovane uomo dai bei tratti orientali con una treccia bionda che cadeva lungo
la schiena foderata di damasco. Si fermò per alcuni secondi a osservare con
benevolenza la famiglia giunta dall’America per onorare la memoria dell’amico a
essa caro e poi si affrettò a raggiungere il resto del gruppo senza dire
niente.
«Beata la giovinezza» sospirò Suzie sognante «quanto sarebbe bello riviverla
anche solo per un giorno»
«Perlomeno non avrei dolore costante all’anca» Joseph si ridedicò al mazzo di
Caesar per fare in modo che la rosa spiccasse sui girasoli. Nel sistemarla
meglio fu allora che si accorse di un petalo giallo caduto nella corolla
immacolata; quando cercò di tirarlo fuori delicatamente udì distintamente uno
squittio di dolore provenire proprio da lì dentro.
«Ahi! Il sedere!».
Joseph allontanò da sé la rosa ed evocò istintivamente Hermit Purple: dalla
corolla levitò un omino piccolissimo delle dimensioni e del colore di un
proiettile, con la testa a forma di goccia e il numero uno impresso sulla
fronte.
«Mi hai pizzicato il sedere!» sbottò l’omino con una vocetta stridula.
Il vecchio sgranò gli occhi, e la stessa cosa fece l’omino.
«Tu mi vedi?».
Nessuna risposta. Le liane viola ancora attive e visibili solo al vecchio e
alla creaturina.
Ecco cos’era quella sensazione di prima…
«Papà, cosa- oh» avendo sentito per caso la voce dell’omino nella rosa, Shizuka
si era infilata nel cunicolo della cappella e adesso anche lei si era
ammutolita all’improvviso.
«Ehm» l’omino si torse le mani «io vado allora eh? Ciao! Aspettatemi!».
E senza dire altro sfrecciò via dalla cappella, raggiunse in volo il gruppetto
in festa e si nascose tra i boccoli neri dello sposo girato di spalle.
Joseph e Shizuka si scambiarono un’occhiata carica di sorpresa per quanto avevano
visto e subito dopo, convenendo che fosse la cosa giusta da fare, decisero
tacitamente di non farne parola con nessuno.
Shizuka scoccò un’occhiata indagatrice alla madre: a giudicare da come guardava
ancora gli sposini che diventavano sempre più piccoli alla vista, sembrava non
essersi resa conto di quell’attimo di confusione.
«Che peccato» la udirono sospirare «non le ho nemmeno chiesto come si chiama».
Fortunatamente non se n’era proprio accorta.
***
¹Per questioni di fruibilità, ho fatto in modo che Shizuka riuscisse a controllare il suo stand.²Ritenuti rosa da praticamente tutto il fandom, ho preferito ispirarmi ad alcune illustrazioni ufficiali di Araki (click 1; click 2) che ritraggono la "futura" sposa coi capelli rossi o ramati.
Musica in Jojo: A cuore scalzo è il secondo singolo di Quindi?,
il settimo album discografico di Max Gazzé uscito nel maggio
2010. La canzone, invece, viene rilasciata il 24 settembre dello stesso
anno. Restando in tema "headcanon e musica" è molto probabile
che Giorno e i suoi possano averla beccata ascoltando la radio.
Retroscena: Scrivere
questa one-shot è stato delirante, e non solo perché a
differenza degli altri racconti il non-narrato è potenzialmente
più interessante del narrato, ma perché fare interagire i
personaggi provenienti da ben quattro serie di Jojo mi stava facendo
impazzire. Oltretutto, l'impresa si è resa ancora più
ardua dal fatto che l'intera vicenda sia percepita dal solo punto di
vista dei Joestar, per cui ho dovuto fare lavoro di autocensura per
evitare di scrivere i nomi della sposa e dei suoi accompagnatori, e
soprattutto per far capire quanto io shippi i due sposi senza dire
esplicitamente che li shippo (lollete).
Altra curiosità: il titolo del doppio racconto (sì, ci
sarà una seconda parte), è un chiaro riferimento al Vespro della beata Vergine di Monteverdi, il brano preferito della best wine aunt.
Nella speranza che anche questa pubblicazione sia risultata gradita, vi
ringrazio per aver letto e vi do appuntamento al prossimo racconto.
xoxo