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Autore: Enchalott    05/07/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ribelli
 
Ishwin riempì d’olio aromatico le lampade sacre, da cui avrebbe tratto la divinazione. In gioco c’erano le sorti della guerra, il destino del regno, la pioggia che mancava da troppo tempo.
Il liquido sui toni dell’ocra conteneva delle pagliuzze dorate che sprigionavano un effluvio inebriante e la combustione attirava la benevolenza di Belker. Il dio parlava la lingua degli Immortali, lei aveva l’alto ufficio di privarla del velo dell’inaccessibilità.
Il terzo sole si era tinto di scarlatto, l’incipiente tramonto colorava di bagliori sanguigni l’oculo occidentale: era il momento che prediligeva, la quiete avvolgeva la capitale e il crepuscolo strappava al mondo la sua rovente nitidezza. Persino Mardan veniva accarezzata dalla brezza settentrionale che ne mitigava le asperità.
Attizzò i contenitori, confondendosi tra le gradazioni cremisi che ferivano le pareti. Quando era nata, duecentoventicinque anni prima, le vestali di Valarde avevano rilevato in lei il potere delle fiamme, un dono raro. Per la sua famiglia era stato naturale indirizzarla al tempio, invece non ne aveva mai dato prova.
Quelle donne avevano commesso un errore, forse abbagliate dalla speranza. Nelle sue vene non scorreva neanche una goccia di virtù divinatoria: aveva tenuto per sé il difetto, che l’avrebbe allontanata dai privilegi di vestale e nessuno aveva dubitato di lei. Tranne Rhenn, ma il suo ruolo di pithya gli tornava utile.
Come la relazione proibita avvantaggia me.
 
Il giorno dell’iniziazione, ove i nodi e le bugie sarebbero venuti al pettine, Ishwin ci aveva provato davvero, colta da un’atavica paura: si era concentrata, aveva inalato gli effluvi dolciastri dei bracieri e si era lasciata lambire dalle vampe che ruggivano nei caldani di bronzo, in attesa di un segno.
L’Ojikumaar aveva colto al volo la farsa: si era sistemato con annoiata noncuranza gli abiti cerimoniali, pronto a cacciarla con ignominia come avvenuto con le candidate incapaci che l’avevano preceduta. Nel suo caso le conseguenze sarebbero state fatali, poiché aveva mentito.
Non si era data per persa. Non sarebbe tornata ai quartieri bassi, nella miseria, a massacrarsi di fatica servendo un clan per non crepare di fame. Non aveva la stoffa della guerriera, quella era la sua unica occasione.
Aveva reagito sfilando i veli trasparenti, slacciando i nastri degli gli indumenti rituali. Si era stesa sull’ara, lasciva, invitante.
«Sarete un re glorioso, nessuno ardirà sfidarvi, la vostra discendenza siederà sul trono per millenni» aveva decretato mentre lui la scrutava con crescente interesse «Se il vostro nobile sangue si unirà a quello della prima sacerdotessa di Belker.»
Rhenn era rimasto in silenzio, terrificante nel suo distacco. Aveva aperto il pugno e gli artigli lattei erano balenati nella penombra. Ishwin aveva pensato che l’avrebbe uccisa all’istante per la blasfemia e per l’invito impudico che lo avrebbe trasformato in adultero. Invece negli occhi viola era transitato un lampo, come se avesse trovato quanto stava cercando.
«Sarebbe un sacrilegio» aveva constatato incolore.
«Certo, disobbedire al dio della Battaglia sarebbe un’empietà» aveva rigirato lei.
Rhenn aveva fatto scorrere lo sguardo sulla sua pelle nuda. Si era mosso fulmineo e le era saltato addosso. Era stata l’unica volta in cui non le aveva strappato i vestiti onde evitare domande incresciose, ma l’impeto era stato quello che avrebbe imparato a conoscere.
«È sufficiente comunicare la prima parte del vaticinio» aveva sussurrato mentre la prendeva con forza «Belker è un dio reticente.»
«Da oggi diverrà più loquace, altezza.»
Lui aveva prodotto un sogghigno. Le aveva posto la mano sulla bocca per impedirle di gridare. Era riuscito a procurarle dolore, lo aveva fatto apposta per chiarire a quali esiti sarebbe andata incontro se avesse mirato a ingannarlo. Ma tradirlo non era nelle sue intenzioni, avrebbe mantenuto il riserbo e ottenuto ciò che bramava.
 
E poi era attraente, i loro incontri erano un piacere reciproco, un modo per scatenare l’adrenalina, sfidare il rischio e gli dei non avevano voce in capitolo.
Si osservò le unghie dipinte di vermiglio: se qualcuno avesse scoperto che erano velenose, l’avrebbero condannata alla pena capitale. L’erede al trono avrebbe fatto ricadere la colpa su un innocente e ne sarebbe uscito pulito.
L’ambizione l’aveva spinta oltre: nell’ultimo incontro gli aveva indirettamente chiesto di ripudiare la moglie. I Khai non ammettevano un atto tanto barbaro, neppure uno come Rhenn pareva disposto a praticarlo, sebbene scagionato da un ipotetico verdetto del dio. Forse i tempi non erano maturi, certo non avrebbe rinunciato a diventare regina, avrebbe scovato l’appiglio su cui fare leva.
Una stonatura dall’alto la riportò alla realtà. Indagò l’oscurità del soffitto, ma non scorse nulla: probabilmente era stato il raspare di uno dei volatili che nidificavano sul tetto. Continuò le sue mansioni senza darvi peso.
Una mano le abbrancò la spalla, facendola sussultare. Proruppe in un’esclamazione di sorpresa, ma non si spaventò, memore dello scherzo di Rhenn.
«Ssh…»
L’uomo che la trascinò all’ombra delle colonne di marmo violaceo era meno alto e più robusto del principe. Gli abiti sfumati di rubino lo mimetizzavano tra le gradazioni del tempio. Allentò il turbante e le ciocche ruggine sbucarono dalle pieghe elaborate.
«Kamatar! Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Non sembri impaurita, di solito giocate a nascondino?» gli occhi blu orlati di bistro scintillavano allegri.
«Non dire sciocchezze! Che fai qui? Se qualcuno ti scoprisse…»
«Sono passato a salutare la mia sorellina.»
«Calandoti dal soffitto!? Sei un irresponsabile!»
«Sfrutto ogni opportunità per mantenermi in forma» ribatté Kamatar smargiasso.
Ishwin rinunciò al contradditorio. Non esisteva nessuno più coriaceo e ostinato di suo fratello, per quel temperamento si era guadagnato una condanna a morte.
«Sei in cima alla lista degli invisi a sua maestà Kaniša, ne sei consapevole?!»
«Non è importante. Sei riuscita a intendere come la pensa il principe Rhenn?»
«Esattamente come suo padre.»
«Lo affermi per prova diretta?»
Lei alzò le spalle, infastidita dall’insistenza.
«Non posso domandargli con allegra incoscienza se, una volta salito al trono, ha in programma di abolire la schiavitù. Non sono la sua confidente, ci incontriamo alle cerimonie e scambiamo poche parole. Deduco che la situazione resterà immutata.»
«Le ipotesi non mi aiutano. Si è aperto uno spiraglio inatteso, nell’attraversarlo vorrei poggiare sul terreno solido. Ho bisogno di sapere se l’Ojikumaar può essere portato dalla nostra parte e tu sei l’unica in grado comprenderlo.»
«E cosa dovrei fare? Simulare una richiesta specifica del sommo Belker?»
Un sorriso fanciullesco tornò a schiudere le labbra del giovane.
«Perché no? Mi piace!»
Lei alzò gli occhi al cielo pensando che Rhenn non ci avrebbe creduto, non solo per la sua appurata inattitudine alle profezie. Non si sarebbe giocata il suo favore per lo sciocco idealismo di Kamatar.
«Per te è tutto semplice! Il principe della corona non è uno sprovveduto, se insistessi scatenerei la sua diffidenza. Impiegherebbe poco a capire che sei mio fratello anche se ora ti chiami Elefter e vivi nella sabbia come un predone.»
Lo sguardo di lui si indurì.
«Gli agi ti hanno annebbiato i ricordi? Polvere è da dove veniamo, non ce ne siamo mai vergognati. La nostra era gente libera, quante volte abbiamo vissuto e condiviso la sofferenza dei prigionieri e degli shitai? Il peso delle loro catene è divenuto nostro, il sangue versato intride la terra che calpestiamo. Sono un Khai, ma non identifico la supremazia nella sopraffazione. La vera forza risiede nella compassione, nell’emancipazione, nell’uguaglianza e non sono l’unico a pensarlo. La corona non gode del favore unanime dei sudditi e, se l’erede al trono è perspicace come dici, ne è conscio. Ti chiedo di saggiare le sue reazioni, non di comprometterti. I nostri genitori hanno compiuto enormi sacrifici per portarti dove sei, confidando nel tuo potere. È la divina Valarde ad averlo concesso, non Belker. Ricordalo.»
«Non farmi la predica!»
«Allora basta esitazioni! I nostri sono allo stremo.»
Ishwin annuì per inerzia. Lui le scostò un ciuffo dalla fronte e le accarezzò la guancia come quando erano ragazzini. Poi sparì nel buio con la stessa velocità con cui era apparso.
 
Rhenn appoggiò il mento al palmo della mano e la squadrò inquisitorio: la posa serafica non era indice di pazienza, tantomeno di arrendevolezza.
Il fumo che s’innalzava dal braciere rendeva il suo sguardo magnetico. La sciarpa di seta nera che gli avvolgeva i capelli contrastava con la luminosità cupa dello sguardo, l’abito cerimoniale gli conferiva un aspetto solenne. Se qualcuno avesse nutrito dubbi sulla sua naturale predisposizione a guidare i Khai, vederlo nei panni dell’officiante del dio della Battaglia avrebbe tranciato ogni controversia.
«Ebbene?»
«Te lo sei sognato!»
Ishwin negò per la seconda volta, imprecando contro l’inavvedutezza di Kamatar e contro l’acume del suo amante. Lo spiacevole incontro era stato evitato per un soffio, ma qualcosa aveva messo il principe sul chi vive e convincerlo del contrario si stava rivelando un’impresa.
«Non sarai geloso?»
«Previdente. Mi fido del mio sesto senso.»
«E dell’olfatto no?»
Rhenn giocherellò con un orecchino. L’espressione adamantina era sintomo che aveva perso l’attitudine al gioco.
«Non sfidare la mia pazienza, Ishwin. Qui dentro turbinano tanti profumi da fare invidia a un serraglio di lusso! Infastidirebbero anche Belker!»
«Oggi è il giorno della cerimonia, non penserai a una tattica! Sarebbe improvvido da parte mia nascondere qualcuno con la guardia reale schierata là fuori.»
«Oppure perfetto.»
La sacerdotessa girò intorno all’ara e gli si accomodò in grembo con leziosità.
«Senti l’odore di un altro uomo?»
«No. Ma non è probante.»
«Mh, trovo eccitante quando assumi quell’aria sospettosa.»
L’Ojikumaar la scostò con poca cortesia e si mise in piedi. Intese che non si sarebbe rassegnato e cercò di guadagnare secondi preziosi, nel caso in cui Kamatar si fosse trovato in zona.
«Significa che la divinazione non ci sarà? Deluderai Khai?»
«Avverrà. Estrarrai il vaticinio, nient’altro. Non sono dell’umore adatto.»
Ishwin evitò di domandarsi se il negarsi risiedesse nella lite in corso o nell’unione fisica che doveva alla moglie.
«Cosa dovrei annunciare?» borbottò accigliata.
«Che la caduta di Minkar è prossima ma legata alla presenza di Mahati.»
«Altro?»
«Fa’ che l’unione con la principessa salki risulti di buon auspicio.»
La pithya sorrise maligna.
«Quale affetto fraterno. Hai così paura che Mahati ti sottragga la corona che…»
Rhenn non sembrò altrettanto divertito. L’afferrò per il collo e la trascinò a sé: le unghie affilate sfiorarono la giugulare.
«Desidero che mio fratello si rivesta di gloria e che le nozze siano vantaggiose. Scorgi una discordanza nelle mie parole?»
«N-no» deglutì lei.
Scansò di rinfacciargli che la richiesta non implicava che il Kharnot tornasse vivo e che la letizia del matrimonio misto fosse a suo beneficio.
«Non hai motivo di essere nervoso, sai che ti sono fedele. Accade perché non ti va di sfogare le energie in eccesso. Baciami, non costringermi all’astinenza totale.»
Lui le cacciò la lingua in bocca, piegandola in un contatto privo di passione.
«Procedi» ordinò.
 
Ishwin si inginocchiò ai piedi del braciere: la corrente d’aria che proveniva dai passaggi del tempio spingeva il fuoco nella sua direzione, conferendole un colorito rossastro.
Gettò tra le fiamme una manciata di foglie raggomitolate. L’esalazione impregnò la cella riservata all’officiante del dio, che ne avrebbe accolto l’essenza immortale, e alla pithya che ne avrebbe interpretato la voce.
Eretto a destra dell’ara, Rhenn osservò la voluta grigiastra. La resina lo inebriava senza fargli perdere il controllo. C’erano state circostanze in cui gli era sembrato di percepire una presenza extraumana, nelle quali la mente aveva generato una visione nebulosa: un’ombra coronata, simile a un cerchio perfetto. Una sensazione analoga a quando il dormiveglia produce immagini ipnagogiche. Aveva attribuito il fenomeno alla sostanza, il cui unico effetto collaterale era il desiderio di disintossicarsi. Trarre piacere fisico da Ishwin era un modo per depurarsi e per dimostrare che nulla era in grado di dominarlo.
L’energico scambio di vedute era stato un sistema altrettanto efficace per scaricarsi: l’irritabilità che l’amante gli aveva attribuito era antecedente. Aggrottò la fronte, ripensando alle parole di Rasalaje.
È la prima volta che sei tanto passionale, Rhenn. Ho sentito il tuo sangue oltre al tuo corpo. Non era mai successo.
La calorosa constatazione non gli era andata giù. L’amplesso era innegabilmente piacevole, ma quanto a provare qualcosa… tsk! Aveva risposto che forse non era così immune alla lontananza, cioè aveva mentito di sana pianta: lo aveva fatto per tacitare se stesso, non per blandire la moglie.
Si era accorto della differenza durante l’amplesso, non era riuscito a trattenersi e il merito non era di Rasalaje. Qualcosa lo aveva scatenato, traducendosi in un impulso che aveva oltrepassato quello carnale e aveva coinvolto altri aspetti personali. Una minaccia rilevante per un Khai, da annientare prima lo intaccasse. Una questione di auto conservazione.
Nel riesaminare il trascorso si era ritrovato a tentoni. La razionalità che costituiva un vanto personale, e l’intuito, che considerava un ottimo consigliere, non lo avevano aiutato. Invero c’era stato uno sprazzo d’inorridita consapevolezza, tanto assurdo che…
«Rhenn?»
L’insolito richiamo di Ishwin interruppe l’assenza mentale e suonò come un allarme.
«Hai procurato un nuovo incenso?»
Negò sorpreso. Prestò attenzione alla nebbia che galleggiava a mezz’aria: l’odore penetrante e l’effetto erano quelli di sempre, ma il volto della sacerdotessa esprimeva una tensione mai verificatasi. La fronte era imperlata di sudore, le labbra tremavano, le mani stese sulle fiamme erano rigide. Gli occhi socchiusi sembravano assenti, il grigio appariva schiarito, innaturale. Per quanto abile, non era in grado di spingere a tanto l’interpretazione. Suo malgrado fu colto da un brivido.
Decise di intervenire, ma le fiamme ruggirono elevandosi come una barriera.
Ishwin spalancò gli occhi e fu palese che la trance era reale.
«Giungerà l’eclissi, una in tre, tre in una. L’oscuro volto del Sole Trigemino porrà la corona in capo al divino Belker, sovrano di tutte le Battaglie. Egli sarà imperatore dell’universo, ogni essere vivente obbedirà alla sua legge. Non esisterà misericordia, i Superiori non interverranno, i due mondi resteranno divisi in eterno. La fiera stirpe dei daama ha ignorato il richiamo, non ha realizzato quanto pattuito agli albori del tempo e non esiste scampo. Il signore dei Khai è l’unica speranza… invochiamo con umile preghiera il signore dei Khai, il prescelto… egli prenderà coscienza per manifestarsi… il signore… dei…»
Ishwin si accasciò sotto lo sguardo esterrefatto del principe: solo l’impercettibile sollevarsi del seno segnalava che era viva.
Rhenn strinse i pugni per attestare di non essere preda di un’allucinazione. Realizzò di avere le mani gelate, il respiro era accelerato e grondava di sudore. Rifiutò di chiamarla paura in base al principio per cui un Khai non teme nulla, ma il dogma non gli risultò così inconfutabile. Fu costretto a reggersi al piano dell’altare. Le fiamme sacre erano tornate allo stato naturale e ardevano indifferenti. Afferrò la brocca e le estinse, ma dovette attendere prima che le gambe tornassero a reggerlo.
Maledizione!
Stabilì di archiviare l’episodio come un vaneggiamento dovuto all’incenso scadente. L’indomani si sarebbe messo a ridere.
Se la voce uscita dalla bocca di Ishwin fosse stata umana.
Se la parola eclissi non avesse richiamato dal subconscio l’immagine dell’ombra coronata di luce, un cerchio perfetto scorto tante volte con gli occhi della mente. Non poté scalzare la certezza di aver intuito qualcosa di spaventoso, reale e prossimo. Per la prima volta nell’esistenza non seppe come reagire.
La sacerdotessa emise un lamento. Era bianca in volto, le labbra erano secche, i capelli umidi. La sollevò dal pavimento. Lei socchiuse le palpebre e lo mise a fuoco, stordita. Gli appoggiò una mano sulla sua guancia, facendolo sussultare.
«C-cos ’è successo?»
«Non lo so.»
Per la prima volta da quando si conoscevano a Ishwin sembrò sincero, addirittura turbato. Preoccuparsi per il prossimo non era una sua caratteristica.
«Sei pallido come uno spirito.»
«Avevi ragione» tagliò corto lui «La resina o le foglie erano tossiche. Ti sei sentita male dopo averle inalate, qualcuno pagherà per questo scherzo.»
Lei osservò la pozza d’acqua e avvertì l’odore della cenere bagnata: Rhenn aveva estinto le fiamme in modo drastico e ciò avvalorava le affermazioni, ma non spiegava il comportamento inconsueto.
«Un complotto ai tuoi danni?»
«È quanto ho intenzione di appurare.»
«I Khai sono immuni ai veleni, è strano che tentino di ucciderci con tale mezzo.»
L’Ojikumaar ignorò l’appunto, riempì una coppa di akacha e la costrinse a bere. Il gesto sembrò un tentativo di metterla a tacere e non una gentilezza.
«Esistono sostanze che non conosciamo. Smascherare il colpevole è imperativo. Se si scoprisse un punto debole, sarebbe una tragedia collettiva. Non rivelare a nessuno quanto avvenuto. Prenderò le misure necessarie senza scatenare un’inutile effusione panico. È chiaro?»
Lei annuì, deviando i pensieri su una possibilità non considerata dall’amante. La escluse subito: non poteva essere stato Kamatar, soprattutto dopo che le aveva chiesto di convertirlo alla sua causa. Era un guerriero, non avrebbe escogitato un sistema tanto vile e non l’avrebbe messa in pericolo. Detestava la casa reale, ma era innocente. Lo era!
 
Ishwin non aveva sbagliato di una virgola. Era uscita dal tempio ritta al suo fianco, senza far trapelare alcun indizio sugli eventi intercorsi: aveva annunciato ai Khai la sconfitta di Minkar e i presagi favorevoli al matrimonio di Mahati.
Rhenn non aveva avuto tempo di verificare le reazioni di quest’ultimo, ma si era ripromesso di incontrarlo alla torre ovest a notte fonda.
La pithya si era ritirata negli appartamenti, tentando inutilmente di sedurlo. Il diniego era rimasto tale per la scia di sovrannaturale sospesa nell’aria. Al malumore si era sommata la risoluzione di non sfidare gli dei portandosi a letto una donna consacrata almeno per quel giorno.
Si recò alle voliere, liberò Delzhar e lo montò senza finimenti come quando non era in combattimento. Lo guidò sulla rocca di Mardan, fino al santuario di Belker. Lo fece atterrare sul piano più alto, il rapace sfiorò le tegole come se fosse privo di peso.
Gli occhi si adattarono al buio, la pupilla si dilatò per catturare ogni scintilla di luce, rendendo giorno la notte stellata.
Percorse i dislivelli tra gli embrici, ma non rinvenne nulla di insolito: foglie, sabbia e piume. Finché una linea chiara al margine della copertura non catturò la sua attenzione. Saggiò la screpolatura recente, non dovuta agli agenti atmosferici. Seguì il percorso e trovò filamenti di corda intrappolati tra i coppi. Sogghignò, complimentandosi con se stesso: qualcuno si era calato dal tetto. Ishwin gli aveva mentito.
   
 
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