Fumetti/Cartoni americani > She-Ra e le principesse guerriere
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Autore: unakitsuneapesca    07/07/2021    0 recensioni
La giovane Catra trascrive i suoi pensieri d'amore sul suo rotolo di papiro, mentre osserva la sua amata Adora giocare con le altre fanciulle del tiaso.
Ispirata dalla poetessa greca, Saffo, e dalle sue appassionate iperboli.
È un piccolo racconto collocato nel periodo dell'antica Grecia.
(Presente anche su Wattpad)
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Catra
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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E vento è mio grido
 
La primavera, quieta e prosperosa, aveva ricominciato a espandere i suoi deliziosi odori esaltanti e i suoi colori variegati sui regni di Etheria, scacciando via quello che era stato un lungo e un pigro inverno. Il ciclo di ogni anno.
L'aria fresca era inebriata dalla giovinezza di alcune fanciulle, le quali giocherellavano tra loro, correndo e rincorrendosi sul morbido e vasto prato verde, dinanzi al tempio della dèa Afrodite.
Erano belle, ridenti e gentili. Accoglievano sulla propria pelle il calore dei raggi solari, si lasciavano solleticare simpaticamente le piante dei piedi dall'erba fine e si lasciavano adulare il corpo dal vento lieto, che le inseguiva costante, incantato dalla loro leggerezza.
Quelle giovani donne avevano corpi unici, con forme diverse e semplicemente bellissime; avevano sorrisi radiosi che avrebbero ostruito addirittura la brillantezza del sole stesso! Ognuna di loro aveva un'accecante luminosità e lo pensavano tutti. O, almeno, era come credevano tutti.
Una fanciulla, avvolta dalla sua lunga tunica bianca e fine, dotata di strascico e spacco laterale, sedeva sul freddo crepidoma di marmo, con la schiena posata grossolanamente contro una colonna ionica del tempio, occupando metà dello spazio del portico. Le sue vesti fini aderivano e facevano risaltare le sue forme agili e sensuali, eleganti e ardenti.
Il suo nome, a dir poco singolare, era Catra. I lunghi capelli bruni, in origine disordinati e mossi, erano legati in un raffinato chignon, mentre delle lunghe ciocche ondulate, dolci, le ricadevano sulla mandibola, delicatamente definita; i suoi occhi, felini e penetranti, erano eterocromatici: uno turchese e l'altro verdigno; mentre sulle gote c'era un abbondante spruzzo di simpatiche lentiggini.
La sua pelle bronzea si nascondeva dai raggi radianti, sotto quel porticato, le gambe erano piegate e increspavano la sottana della sua tunica, mentre una tavoletta di legno e un rotolo aperto di papiro erano adagiati sulle sue cosce; affianco a sé, c'era una conchiglia adibita a contenere l'inchiostro di seppia, mentre tra le mani teneva una penna di canna.
Si era svestita dei suoi gioielli e dei suoi sandali, poiché li riteneva inutili e fastidiosi. Odiava dover indossare tutta quella superflua ricchezza, adattati a creare un’immagine di lei errata e di renderla ancor più superficiale agli occhi degli altri.
Per Catra, tutte quelle fanciulle erano belle e affascinanti, sì, ma nessuna riusciva ad attirare la sua attenzione o le concedeva l'ispirazione come faceva una sola di loro tra quelle: Adora. La sua musa Adora. La sua amata Adora.
Abbandonate insieme, adottate insieme, cresciute insieme, educate insieme, anche se non allo stesso modo... Erano sempre state insieme. Un insieme speciale, sì, ma non l'insieme che voleva Catra.
Adora era amata da chiunque e questo faceva sì che Catra provasse un indomabile e catastrofico fuoco serpentino sotto la pelle, il quale raggiungeva la mente e l’accecava con una rabbia incontrollata, come se questa fosse sabbia soffiata negli occhi.
La voleva per sé, voleva che le loro pelli si toccassero e si desiderassero. Voleva che stessero insieme. Voleva che stessero insieme, lontane dal loro destino di donne.

 
Mio grido è vento e vento è mio grido;
rabbia ostile, come guerra, scuote l'anima mia e m'affanna,
impetuosa, come indomabile tempesta, mentre il cielo tuo costellato
si volta e mi abbandona.
Aria lieta ti avvolge, aria scontenta a me circonda.
Oh, dolce l'amaro sconforto che m'accompagna e
accresce in me amore, che odio vorrei fosse.
Sento mio corpo precipitare, con occhi bagnati, mentre la mano tua stringo.
 
Notti prima, osservando il cielo nero animato soltanto da un immenso sprizzo di stelle luccicanti, quali non abbandonavano mai la grande luna, in qualsiasi fase essa si trovasse, Catra ebbe un lampo di ispirazione. Questa la colpì come una freccia astratta scagliata contro la sua ragione. Così, acciuffò un rotolo tra le mani, assicurandosi di non far rumore e a non attirare attenzioni sgradite, poi accese una candela e scrisse.
Quante volte Catra si era allontanata dal tiaso e aveva cominciato a gridare, ma a gridare così forte da non sentire più la gola, mentre strappava via l'erba dal suolo con le proprie mani?
A nessuno importava quanto ella soffrisse o gridasse, ma importava se Catra si dimostrava debole e patetica. A nessuno importava delle sue lacrime o del suo grido di dolore, rabbia, o frustrazione, se non al vento, che tramutava quel grido in vento stesso.
Una rabbia incontrollata, paragonabile allo scempio della guerra, l'affaticava senza sosta e appesantiva il suo respiro, ogni volta che Adora distoglieva il suo sguardo appagato da lei. Non aveva niente, se non quegli azzurri felici che le sorridevano. Non aveva niente, se non Adora.
Catra anelava più di ogni altra cosa il loro amore, ma Adora non la voleva come la voleva lei e ciò faceva arrabbiare terribilmente Catra, non con Adora, ma con se stessa. Era sempre stata Catra il problema, glielo avevano ripetuto spesso e Catra aveva continuato a crederci fortemente, anche se Adora le ribadiva che non era vero niente. Perché era così sbagliata?
Adora era sempre stata accerchiata da enormi sorrisi e risate mielate, da persone che poteva definire amiche, mentre Catra non aveva nessuno. Nessuno eccetto Adora. Catra era sempre stata circondata da sussurri e da risate di scherno da parte delle altre donne che vivevano in quel tiaso, mentre Adora era l'unica che la guardava e sdegno non provava. Adora era diversa.
Catra avrebbe tanto voluto odiare Adora, così avrebbe avuto il cuore talmente leggero da lasciarla andare una volta per tutte, lontana da lei ed evitarle per tutto il resto della vita una seccatura come lei... ma più ci provava e più l'amore che provava cresceva in lei, sempre di più. Era, oramai, uno straziante sentimento impossibile da sottomettere.
Non poteva, non riusciva a odiarla. Non poteva, non riusciva e non voleva lasciarla andare. Lei amava Adora perché la faceva sentire bene e non la faceva sentire sola, o una feccia, o una nuvola nera nel bel mezzo di un cielo sereno.
Lei amava Adora perché era sempre stata coraggiosa, gentile e leale nei suoi confronti, perché continuava a restare nonostante i tanti pessimi difetti di Catra. Lei amava Adora perché era lì con lei, sempre, e non si scoraggiava se Catra provava ad allontanarla... Lei amava Adora perché era la sua famiglia. Lei amava Adora perché era rimasta.
Catra, dunque, era come la luna e, in qualsiasi fase essa si trovasse, era comunque circondata dalla radiosità della costellazione: Adora. Emozioni troppo forti facevano spesso sentire il suo corpo precipitare in un oblio tetro e gelido e Adora la teneva sospesa... e se invece di tirarla su al caldo, la lasciasse cadere all'improvviso in quel gelo?

 
Acqua è ciò che scivola sulla candida pelle tua,
mentre tristezza è ciò che sull'anima mia s'abbatte.
Terra è ciò che calpesti ridendo e correndo, che trema a tua bellezza,
mentre, piangendo, da sola calpesto il cuore mio.
Mio amore è ciò che più ti brama,
fuoco è ciò che perseguita e annebbia mia mente.
La voce tua, come di un tuono il rimbombo, seguito da fulmine, nella testa mia echeggia,
mentre, piangendo ancora, la voce mia al vento come aria si dissolve.
 
Adora era l'unica ragione per cui Catra era lì, in quel tiaso. Un giorno, però, si sarebbero dovute separare per sempre, perché sarebbero andate in moglie a qualche uomo dell'alta società, che non avrebbero mai amato davvero, o almeno Catra. Lei voleva scappare da quel destino con Adora, ma Adora sarebbe mai fuggita con lei?
Una volta, quando l'estate stava calando, Catra era scappata dal tiaso nel pieno di una tempesta, dopo una sgradevole predica da parte di una delle educatrici e si era lasciata avvolgere dalla pioggia, nonostante odiasse profondamente l'acqua. Ricordava ancora quelle pesanti gocce che si abbattevano come miriadi di fruste contro la sua pelle bronzea, che si fondevano con le lacrime.
Per anni, l'avevano fatta sentire uno sbaglio, una donna inutile e patetica, un manipolabile errore, uno scarto dell'alta società, l'indisciplinata, l'anello debole, la distrazione di Adora. E nonostante mostrasse un altro volto a quelle parole, quando era da sola e gridava, riusciva a lasciare andare tutto il dolore ammonticchiato nelle settimane o, addirittura, nei mesi.
Adora, coraggiosamente, era andata a cercarla durante quella violenta tempesta e, benché Catra avesse cercato di allontanarla, anche spingendola via nel fango, lei era rimasta sotto quella pioggia, assicurandole che non sarebbe andata via o che non l'avrebbe lasciata da sola, mantenendo così una vecchia promessa fatta anni prima.
Ricordava come l'acqua scivolasse dolcemente sulla pelle di Adora, come la sua tunica bagnata dalla pioggia fosse diventata aderente alle sue forme e come il suo sorriso concedeva a Catra un profondo senso di calore, sotto quel freddo cupo. Forse, Adora la voleva come la voleva Catra? No, Catra era la sua più cara amica... Adora non la voleva nella sua vita in quel modo. Come poteva una giovane donna come Adora amare quello scarto del tiaso?
Persino la terra tremava sopraffatta dinanzi alla bellezza di Adora, quando correva e rideva su quell'erba solleticante, mentre Catra si continuava a ripetere che non sarebbe mai stata sua, che prima o poi si sarebbero separate per colpa di un matrimonio combinato con un marito ricco... dava un taglio netto a ogni sua speranza, perché reiterava che non era degna di lei.
Non sarebbero mai scappate insieme. E, vi ripeto ancora, Catra la voleva sempre di più. Voleva che le loro labbra si tastassero e si anelassero ancora e ancora, che le loro pelli si accarezzassero e che poi sentissero il loro peso, che le loro mani scivolassero sfrenate sui loro corpi nudi, che l'amore le pervadesse fino al midollo e fino alla fine dei loro giorni... lontane dal loro destino, con una nuova vita insieme. Quello che aveva sempre desiderato Catra. Ma cosa voleva Adora?
Anche questo faceva arrabbiare terribilmente Catra, non sapere cosa Adora volesse davvero. Adora aveva un sogno? Adora voleva davvero che Catra rimanesse nella sua vita? L'amava da anni, la conosceva dalla nascita e non aveva mai capito o saputo cosa voleva davvero. Cosa voleva davvero?
E mentre Catra si ripeteva che lei non era abbastanza per lei, che non sapeva cosa Adora desiderasse davvero, ogni parola calorosa di Adora echeggiava nella sua testa, come un forte e improvviso tuono che squarciava il silenzio del cielo e della terra, seguito poi da un potente lampo.
In quello squarcio, Catra gridava ancora una volta al vento il suo dolore e la sua rabbia, perché non avrebbe mai ottenuto ciò che voleva. Non sarebbe mai stata felice. Mai.

 
Io non merito sorriso, sguardo o calore dalla tua parte,
però la paura da dentro mi divora, temendo che non potrò più riprovarli,
perché certa sono che via andrai per mia colpa.
Oh, come foglia in inverno tremo a tuo pensiero e di perderti temo, anche se giusto sarebbe lasciarti andare.
 
Aveva scritto quei versi, quella notte di pensiero, scoppiando poi in un lungo e doloroso pianto, seguito poi da silenziosi singhiozzi. Perché le altre potevano essere felici e lei no? Perché era un problema per tutti, persino per se stessa? Perché nessuno riusciva ad amarla? Perché non poteva essere amata, o almeno avere la certezza di esserlo davvero?
 
Spesso, si ripeteva che, per il bene di Adora, avrebbe dovuto lasciarla andare. Adora non meritava una seccatura, un anello debole, una distrazione nella sua vita... era quello che le ripetevano e si ripeteva da sola a ogni esalo, anche quando Adora posava la sua mano sulla sua.
Perché doveva continuare a ripetersi che Adora sarebbe stata meglio senza di lei? C'erano tanti perché che fluttuavano insistenti nella mente di Catra e come risposta otteneva sempre e soltanto negatività: "Sei troppo d'intralcio"; "Non meriti di stare qui"; "Sei qui per pietà"; "Sei salva solo per il tuo bel faccino"; "Adora non ti proteggerà per sempre"; "Sei indisciplinata"; "Sei sola, debole e patetica".
Adora continuava a dirle e a ripeterle che non era vero, o che loro avevano esagerato, come al solito. La rassicurava e la confortava sempre, anche quando Catra voleva allontanarla, in modo tale da non essere troppo per la sua cara Adora.
Ma, malgrado fosse rassicurata dalla sua amica, Catra continuava a crederci fortemente... che problemi aveva? Voleva solo essere amata, avere più sicurezza a far bene a non gettarsi in qualcosa di sbagliato, o in un'illusione, e non sembrare o essere debole agli occhi di nessuno... voleva essere, o sentirsi almeno alla pari di quelle giovani donne. Al pari di Adora. Ma non lo era... Catra era solo la più grande piaga di Etheria. O, almeno, era quello che le educatrici e le altre fanciulle ridicevano di continuo. E lei ci credeva e continuava a crederci.
Era spesso combattuta. Catra ribadiva spesso, nella sua testa, che non meritava niente da Adora, però temeva che non avrebbe più percepito quel calore che solo Adora era riuscita a darle, anche se sapeva che lasciarla andare sarebbe stata la scelta più giusta. Lei non aveva il coraggio o la forza di lasciarla andare, non sarebbe mai riuscita a sopportarlo.
Catra aveva riletto quello che aveva scritto, i suoi lucidi occhi eterocromatici scivolavano da un verso all'altro con leggerezza, mentre sentiva la gola e le narici bruciare. Prese un grosso sospiro, concentrandosi vigorosamente su esso, e diresse poi il suo sguardo verso quel gruppo di giovani donne ridenti. Adora era quella più veloce tra quelle ragazze e per Catra era anche quella più luminosa. Il cuore cominciò a batterle forte e un lieve sorriso affiorò sulle sue labbra. Era così bella, leggera, gentile, ridente... così Adora.
Catra si morse lentamente il labbro inferiore e riportò di nuovo i suoi occhi su quel manoscritto, immerse piano la punta della sua penna di canna nell'inchiostro e si assicurò che non fosse in eccesso. Posò la estremità, inumidita da quel nero viscoso, sul papiro e ricominciò a scrivere:

 
Cuore non ho per vederti andare via, ma cuore ho per vederti restare.
Lumini mia luce esterna ma ombra capricciosa interna rimane, spietata,
e assorbe mia vita, come radici di alberi con acqua.
Amari e grigi sono i colori intorno a me, se amore non ricambia.
 
La verità era che Catra non aveva la forza di vedere Adora andare via, o lasciarla andare. Era un pensiero completamente egoista per Catra, ma Adora era la sua unica e vera fonte di felicità e di calore, di amore e di desiderio. Non voleva altro che Adora al suo fianco, per tutta la vita. Perciò, non aveva la forza di vederla andare via, ma aveva la forza di vederla restare.
Adora le concedeva l'emozione di vivere una piena risata, gioia, felicità... amore. Ma anche se l’amore era un sentimento dolce, era anche un sentimento ombroso dentro Catra, che fronteggiava la sua paura più grande, assorbendo la sua anima come facevano le radici per nutrirsi.
E se Adora se ne andasse da un momento all'altro? Lo temeva più di ogni altra cosa. Eppure, come poteva temerlo? Adora era sempre lì con lei, anche quando provava ad allontanarla. Era stupido pensarlo... ma se fosse accaduto? Se un giorno avesse ascoltato quelle voci che continuavano a deridere Catra? Come avrebbe potuto giustificarla? Come avrebbe potuto biasimarla?
Per tutta la vita, Catra aveva visto le persone voltarle le spalle, o deriderla, perché non sembrava o non cercava di sembrare quello che non era, o compiacere le sue educatrici perché volevano che fosse.
Adora era la perfezione di quel tiaso, amata e acclamata da tutti. Tutti la volevano al suo fianco. Come sarebbe mai potuta diventare sua? L'unica donna? Non era quello che aveva previsto il destino, o gli dèi. I colori attorno a Catra non avevano armonia se Adora non l'amava.
Catra preferiva continuare a sottovalutarsi e a farsi sottovalutare, piangendo silenziosamente, piuttosto che gettarsi in un'idea a suo parere irrealizzabile.
E sapeva che ascoltare le voci ammassate di quelle donne era più che sbagliato, ma se non fossero state vere a quel punto sarebbe stata lontana dal tiaso. Magari lontana con Adora. O solo con Adora.
Di chi era la colpa? Di Adora che l'aveva fatta innamorare di lei, di quelle donne che l'avevano continuamente sottovalutata o di Catra che non riusciva e non voleva rischiare? Di chi era la colpa?

 
Oh, amara, io attendo quel fatidico giorno, che mai dolce sopraggiungerà,
in cui le rosee labbra tue toccheranno e vorranno ancora voraci le mie,
e ancora le mie le tue, che poi nostri corpi si carezzassero sempre più
e sentissero peso l'un dell'altra, come la luce del sole su pelle.
 
«Mio grido è vento e vento è mio grido...» una voce amabile lesse il primo verso. Catra sobbalzò dallo spavento e voltò il rotolo di papiro immediatamente, mentre l'azione fu seguita dalla risata compiaciuta di quella voce.
Catra, presa alla sprovvista, aveva lanciato di scatto la penna e fatto cadere la conchiglia contenente l'inchiostro sui gradini del tempio.
«Adora!» soffiò Catra. Era arrossita violentemente in viso e i suoi occhi eterocromatici si voltarono alla sua sinistra, scontrandosi con il volto appagato e ridente della ragazza dai capelli biondi.
Adora aveva i capelli legati in un'elegante coda di cavallo, con un leggero gonfiore sulla testa, mentre delle ciocche arricciate le scendevano lungo i suoi lineamenti paffuti. I suoi occhi erano di un azzurro così puro, paragonabile al magnifico cielo primaverile che sovrastava le loro teste. Le labbra rosee erano arricciate in un sorriso instancabilmente amabile e la sua voce risuonava in una risata piacevolmente divertita.
«Ciao, Catra» continuò a ridere in quel modo così amabile, a quella buffa reazione. «Cosa stai scrivendo di così interessante da non accorgerti della mia presenza?»
«Niente di che. Guarda che cosa mi hai fatto fare!» tagliò corto, indicandole allarmata i gradini del tempio sporcate dall'inchiostro, che strisciava lento verso l'erba.
«Ti ho spaventata?» rise ancora, con fare compiaciuto, dopo aver osservato quel liquido scuro lungo il marmo. Catra arrossì di più, ancora una volta.
«Non mi hai... spaventata» osò contraddire, nonostante la chiara evidenzia.
«Allora, stai dicendo che non sono stata io a farti sporcare il tempio con l'inchiostro» ribatté, sorridendo ancora e facendo le spallucce in modo ironico e beffardo.
Catra sospirò profondamente e alzò piano i lati della bocca morbida, formando così un lieve sorriso divertito, accompagnato poi da un ridacchio: «Sei proprio un'idiota».
Adora fece scivolare la sua schiena lungo la stessa colonna a cui era appoggiata Catra, fino a quando non si rannicchiò, increspando la sottana della sua lunga tunica bianca. «C'è qualcosa che ti turba, Catra?»
Quella domanda fu così improvvisa, che tolse il fiato alla ragazza dallo sguardo felino.
«Be', hai appena sporcato le gradinate del tempio di Afrodite e avrò ben presto una lavata di capo dalle educatrici al posto tuo, come al solito. Non c'è niente che mi turba, Adora» rispose sarcasticamente, facendo ridacchiare ancora una volta la bionda a fianco a lei.
«Non avrai una lavata di capo al posto mio. Comunque, intendevo se c'è qualcosa che ti turba da questa mattina, anzi che ti turba da un bel po'. Ti vedo parecchio distante, persino da me. Riguarda questa cosa che stavi scrivendo? Perché non vieni a giocare con me e le altre? Sono sicura che vinceresti... stiamo giocando ad acchiapparella» si spiegò meglio Adora.
Catra strinse i pugni e i denti. Cosa avrebbe dovuto risponderle? Si sentiva così stupida a non poterle o volerle urlare tutto quello che provava, in faccia. Adora si sarebbe subito allontanata o avrebbe posato le sue labbra contro le sue? Non poteva saperlo, perché era già a conoscenza che Adora non l'amava come l'amava lei.
«Va tutto bene, stai tranquilla. Non ho molta voglia di giocare, adesso... torna a divertirti con le altre».
«Non è divertente senza di te! Sei la più veloce e la più furba a nasconderti!» esclamò come se ammirasse Catra, ma la ragazza dallo sguardo felino scosse di nuovo la testa e rise per via della buffa insistenza di Adora. «Almeno dimmi cosa stai scrivendo!»
«Come sei insistente oggi, Adora» Catra si sporse un po' in modo da osservare meglio la ragazza dai capelli biondi, la quale aveva la pallida e dolce faccia paffuta rivolta verso di lei. «Non è che sei caduta e hai avuto un danno al cervello?»
«Stai scrivendo una canzone?» continuò a chiederle la ragazza, troppo curiosa di sapere cosa ci fosse scritto su quel rotolo di papiro. Catra le poggiò la mano sulla faccia e le diede una lieve spintarella. «Sai che mi piace tanto come canti mentre suoni la lira!»
«Sì, hai decisamente un danno al cervello» rise ancora Catra.
Adora rise, amabile. Le prese una mano tra le sue, affettuose, molto morbide e ceree, facendo ulteriormente arrossire il viso di Catra. «Sai che ci sono sempre per te, vero?»
Quella frase risuonò a lungo nella mente dell'altra ragazza, come quell'instancabile sorriso che Adora continuava a rivolgerle. Un sorriso così dolce e caloroso, che sembrava accarezzarle delicatamente la pelle bronzea, assieme a quello sguardo sereno e cristallino.
Le pupille di Catra si restrinsero dallo stupore a quelle parole improvvise e il cuore accelerava impaziente quel battito innamorato. Aveva paura che lei un giorno se ne sarebbe andata via da lei, ma in quel momento era davanti a Catra, con quell'espressione che trasmetteva solo un immenso calore interno. Sorrise.
«Certo che lo so, Adora.»
Sentì il delicato tatto delle dita seriche della ragazza, mentre tracciavano e giocavano sul palmo della sua mano. Il cuore batteva sempre più forte e lo stomaco di Catra sembrò stringersi. Adora rivolgeva i suoi incantevoli occhi azzurri prima su quelle mani che si stavano toccando e poi sul viso definito dell'altra ragazza. «Potremmo anche non dirlo... che abbiamo sporcato il tempio di Afrodite».
«La sua ira si abbatterà su di noi! Oh, no! Tradimento!» fece teatralmente Catra, portandosi il dorso della mano libera sulla fronte mite, in una posa melodrammatica.
Adora sghignazzò, non smettendo di tracciare qualcosa sul palmo della ragazza, con quel tocco così amabile e dolce. Catra percepiva un altro fuoco scorrerle tra le vene, un fuoco più dolce e macchinoso che si alternava da quello che le annebbiava la testa e gli occhi, portandola a uno spietato stato di rabbia, un fuoco che chiamava Catra: amore.
«Ti piace l'idea, Catra?»
«Se mi piace? L'adoro!» rispose Catra, ridendo al gioco di parole.
Adora rimase molto compiaciuta dalla risposta dell'amica. «Sei sicura di non voler venire a giocare?»
Catra portò i suoi occhi eterocromatici sul foglio di papiro, ancora rovesciato, e poi sul viso paffuto di Adora, ondulato da quell'espressione dolce e allo stesso tempo insistente. «Ci penso».
La ragazza lasciò quella mano libera dalla sua presa serica e gentile. Adora si allungò a raccogliere la pena di canna che aveva lanciato Catra, dallo spavento, e gliela riporse. Il "grazie" della ragazza dagli occhi felini fu quasi impercettibile, dopo aver ripreso la penna, ma Adora riuscì a sentirlo, il che fece ingrandire ancora di più i lati della sua bocca.
Catra la vide allontanarsi e voltarsi, sentendo il suo cuore rattristarsi alla scena mentre i suoi occhi, uno turchino e l'altro verdigno, si soffermavano sulla mano che era stata solleticata dalle dita di Adora. Catra, dopo un profondo respiro, immerse un'altra volta la penna di canna in quell'inchiostro, che si stava espandendo sulle gradinate del tempio, rivoltò poi il rotolo di papiro e rilesse l'ultima strofa. Riprese poi a scrivere:
 
E mi chiedo se mai fonderemo nostro fiato o amor tuo sarà ricambiato,
o se questo mio conflitto cesserà mai di vivere e respirar mi lasci,
ma fino a quel giorno, fino ad allora...

mio grido è vento e vento è mio grido.
   
 
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