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Autore: Dark Lady 88    07/07/2021    0 recensioni
Epoca d’oro dei pirati, Caraibi: Henry Avery, lo spietato capitano della Fancy issa bandiera rossa, il che significa una cosa sola: lotta senza quartiere. L’attacco alla Ganj-i-Sawai, la più grande nave del Gran Mogol, gli frutta un tesoro inestimabile. Ma le insidie sono molte, e l’equipaggio della Fancy ha necessità di nascondere il bottino, per tornare in un secondo momento a recuperarlo.
La misteriosa Isola dello Scheletro è il posto scelto per farlo: quello che Avery e il suo equipaggio non si aspettano però, è che sull’isola si troveranno a combattere con le proprie paure e le proprie debolezze. C’è qualcosa o qualcuno che impedisce loro di salpare? Qual è l’atroce delitto che vi si è consumato e che ha portato alla distruzione di un’intera flotta spagnola?
La storia presenta dei riferimenti alla serie tv Black Sails e al romanzo L'isola del tesoro. Ho deciso comunque di inserirla nella sezione Originali perché i personaggi sono figure storiche o inventate da me.
Genere: Azione, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’equipaggio era inquieto. Circolavano strane voci sull’Isola dello Scheletro, ed era risaputo che chi andava per mare era estremamente superstizioso. Avery spiegò alla ciurma che era necessario nascondere il bottino: l’imperatore Mogol aveva preso come un’offesa personale la distruzione della nave sulla quale viaggiava il tesoro: la nave sulla quale viaggiava sua figlia, che una volta giunta a destinazione, sarebbe dovuta andare in sposa ad un ricco principe indiano.

Quest’ultimo particolare però, il nostro buon capitano non può certo raccontarlo agli uomini, rifletté Vaughan.

“Ho sentito dire che l’isola è infestata”.

Un brusio si levò tra i pirati. Raggruppati sul ponte della Fancy, si scambiavano occhiate preoccupate, bisbigliando tra di loro.

“Che vergogna”, proruppe il capitano Avery, “Uomini grandi e grossi… e vi chiamano pirati? Voi dovreste essere il terrore dei sette mari. Crudeli dispensatori di morte e disperazione. Dovreste essere l’incubo che tiene svegli i buoni cittadini inglesi di notte. E invece cosa vedo?”

Avery assunse un’espressione disgustata: “Signorine che rabbrividiscono al pensiero di affrontare cosa…? Degli spiriti? Che assurdità…”

“Non è solo questo, capitano”, intervenne Michael Darren, “Tutti noi contavamo di ottenere la nostra parte del tesoro in tempi più brevi…”
Michael aveva il viso di un angelo, occhi azzurri e capelli biondi che portava lunghi fino alle spalle. Le donne facevano carte false per lui, e lui le ricambiava tutte. A dispetto del suo aspetto da cherubino, Darren era un diavolo della peggior specie: si autodefiniva un libertino, e si raccontava fosse fuggito dall’Inghilterra a causa di una brutta situazione con una donna sposata. Il capitano Avery non aveva voluto approfondire, perché francamente i pettegolezzi non gli erano mai interessati. Comunque Darren era amante della bella vita; spietato in battaglia, uccideva senza pensarci due volte. Era uno degli uomini di cui Avery si fidava, sul quale poteva sempre contare perché non aveva paura di niente; tuttavia, il capitano sapeva che per tenere Darren buono, aveva bisogno di dargli un incentivo.

Senza denaro, in Darren l’interesse per l’avventura cominciava a svanire.

“Con la situazione politica che si è venuta a creare, Darren, lo capisci anche tu che ciò che proponi sarebbe troppo rischioso”, intervenne Vaughan.

Vecchio, saggio George, pensò il capitano Avery.

L’unico della sua ciurma che ragionava con la testa, e non sulla base di bassi istinti.

Michael non replicò; il suo volto si contrasse in un broncio pensieroso, un’espressione per la quale le donne andavano pazze.

“Il Governatore ci ha fatto la grazia di ospitarci a Nassau, ma adesso che le dichiarazioni del Gran Mogol ci hanno condannato tutti, restare qui è diventato troppo rischioso. Il Governo di New Providence non può certo permettersi di sfidare l’Impero Indiano. È strano che la Corona non abbia ancora rilasciato dichiarazioni: comunque penso che dovremmo concordare tutti sul fatto che non ci conviene rimanere qui ad aspettare ripercussioni che di certo non saranno a noi favorevoli”, continuò Vaughan, “Vi assicuro che nascondere il tesoro, al momento, è l’unica cosa sensata da fare. E sapete che io parlo unicamente nell’interesse di tutti. Ve l’ho ampiamente dimostrato più e più volte”.

Era vero. George Vaughan era esattamente l’uomo di cui sia la ciurma che il capitano Avery avevano bisogno: una mente lucida e analitica. Sapeva quando era il momento di mettersi in gioco e rischiare, ma sapeva affrontare anche le situazioni più delicate con la pacatezza del suo sangue freddo. Avery non sapeva se fosse stata l’età a conferirgli quelle capacità così utili su una nave dove gli uomini erano governati dagli istinti più rozzi, o se il quartiermastro della Fancy avesse sempre avuto lo stesso temperamento. Fatto stava che in molte occasioni Vaughan era riuscito a spiegare alla ciurma ciò che era meglio fare con parole che il capitano, fin troppo sbrigativo, non aveva voglia di cercare.

“Tra quanto tempo torneremo a prendere il tesoro?”, chiese Darren.

Gli uomini non erano entusiasti della situazione, ma sembravano essersi un po’ rassegnati.

“Tra un anno”, rispose lapidario il capitano, “Nel frattempo, dobbiamo andarcene da Nassau. Io e il signor Vaughan studieremo la situazione e decideremo dove sarebbe meglio ripararsi…”

“Un anno”, sbuffarono gli uomini.

Era più di quanto avessero sperato. Ma era necessario, rifletté il capitano. Gli venne in mente Thomas Tew, e l’utopia di cui gli aveva parlato pochi giorni prima di morire. Gli aveva descritto così bene Libertalia, la colonia che sognava di fondare, che ad Avery sembrava quasi di esserci stato lui stesso.

Thomas gli aveva spiegato che anche se fosse morto, il suo sogno non sarebbe finito: aveva preso accordi con altri due compari, un certo Oliver Mission, un ex ufficiale francese, ed un certo Angelo Caraccioli, un prete italo domenicano. Descritta così, non sembrava una gran società, rifletté Avery. Anzi, sembrava l’alleanza più stramba della quale avesse mai sentito parlare. Però Thomas ne era così entusiasta che Avery non aveva osato contraddirlo.

“Per Dio e la libertà”, mormorò Avery, ricordando il motto che Thomas e gli altri due avevano scelto come il mantra della loro colonia.

Così si preparò a salpare.


 
***
 

L’isola di New Providence pullulava di pirati e tagliagole che non vedevano l’ora di avvicinarsi ai membri dell’equipaggio della Fancy. Di questo Michael Darren era consapevole: forse l’idea del capitano non era tanto sbagliata, se persino quel vecchio barbagianni di Vaughan era d’accordo.

Quello che proprio non gli andava giù, era una convinzione che pian piano si era fatta strada nella sua mente: se non avessero rapito la ragazza, avrebbe fatto qualche differenza? Il Gran Mogol aveva chiesto il rilascio immediato della sua bella figlia, ma il capitano Avery non aveva preso l’idea neanche in considerazione. A quel punto, chiedere un riscatto all’imperatore indiano sarebbe stato un suicidio: ma cosa aveva intenzione di fare allora Avery con quella donna? Il capitano era un uomo spietato, che non mostrava mai pietà per nessuno, ma con la principessa era estremamente premuroso.

Michael non riusciva a capacitarsene: qualche giorno prima di salpare per l’Isola dello Scheletro, era stato invitato dal capitano ad acquistare abiti occidentali per la ragazza.

“E che non sia roba da puttana”, aveva specificato Vaughan.

Prima di partire, Michael aveva visto il capitano Avery togliersi il cappello e bussare alla porta della donna; lei aveva aperto e si era affacciata sulla soglia. Esitante, il capitano le aveva detto qualcosa a voce così bassa che Michael non era riuscito a sentirlo. Comunque, il ragazzo riconosceva nel capitano Avery tutti i sintomi dell’innamoramento. Era davvero assurdo che il capitano costringesse tutta la ciurma a rischiare la vita per tenersi una donna; ma forse c’erano altri motivi, motivi che Michael Darren non riusciva proprio a comprendere, per i quali la principessa non era ancora stata rilasciata.

Se il capitano preferisce rinunciare al tesoro che alla donna, deve vederci un guadagno che io evidentemente non vedo, rifletté Michael. Perché non rispedire la principessa in India, sperando così di tenersi buono il padre? Certo, l’affronto per l’abbattimento del mercantile non si poteva certo riparare così, ma continuare a tenersi la figlia in ostaggio non era certo il primo passo per risolvere il problema.

A Michael piacevano le donne: tanti anni prima, quando era solo un ragazzo che cercava di farsi strada nell’alta società, ne aveva sedotte molte. Molti suoi compagni, che non avevano conosciuto altro che le puttane, non capivano come facesse: avere un aspetto gradevole di certo aiutava, ma non era solo questo. Michael considerava le donne come esseri estremamente semplici. E fragili. Nella loro fragilità stava la chiave: avevano bisogno di complimenti, così come un fiore aveva bisogno dell’acqua.

Il giorno in cui era fuggito da Londra, era stato perché lo scandalo della sua relazione con la contessa Brandburry era venuto alla luce; era una donna di mezza età, sessualmente disinibita come tutte le sue coetanee (Michael lo sapeva per esperienza). Quando il marito li aveva scoperti insieme, era accaduto il finimondo: Michael era stato costretto a fuggire praticamente nudo dalla grande magione dei Brandburry. Per evitare la vendetta dell’uomo, e quindi la forca, aveva preso il largo. Di tanto in tanto ripensava con nostalgia alle lenzuola di seta profumata della contessa, ai grandi tappeti, al calore del caminetto, alle piume dei suoi abiti, ai gioielli… a tutte quelle comodità alle quali aveva detto addio. Ma anche nel Nuovo Mondo Michael aveva trovato piaceri ed interessi per i quali vivere. Certo, la piega che stavano prendendo gli eventi non gli piaceva affatto.

La nebbia in quella zona era fitta, e si innalzava in dense volute; l’umidità penetrava nelle ossa come un coltello: Michael capì perché circolassero quelle voci sull’Isola dello Scheletro: lì tutto era cupo e spettrale; perfino il sole cocente dei Caraibi sembrava stentare a riscaldare quelle acque infide.

La vedetta aveva avvistato la nave spagnola a poche miglia di distanza.

“Manteniamo la bandiera spagnola”, aveva ordinato il capitano.

Dal vessillo sventolavano i colori della Spagna, per ingannare l’equipaggio che avrebbe dovuto guidare la Fancy all’isola misteriosa. Le due navi si erano avvicinate, fronteggiandosi minacciosamente.

Gli spagnoli avevano chiesto di identificarsi: il capitano Avery aveva dato ordine di rispondere di essere in rotto verso l’Avana, con un carico di tessuti. A sua volta, in uno spagnolo perfetto, aveva rigirato la domanda: la Ventura, questo il nome della nave non molto grande che si trovavano davanti, commerciava liquori. I due capitani si erano salutati con un cenno ed ognuno aveva ripreso la propria rotta, con gli spagnoli in testa che si allontanavano abbastanza velocemente.

“Li perderemo”, aveva avvertito il signor Collins, il nostromo.

“No, niente affatto”, aveva ribattuto il capitano.

La Ventura navigava con le vele spiegate, mentre la Fancy la seguiva a velocità ridotta. 

Il signor Collins, dopo varie imprecazioni, aveva individuato la posizione perfetta. Quando la Ventura cominciò a virare, tutti tirarono un sospiro di sollievo: da quella posizione, aveva assicurato Collins, non li avrebbero visti.

Il timore di tutti, compreso il capitano Avery – anche se non lo avrebbe mai ammesso – era che l’isola dello Scheletro non fosse altro che un’invenzione, e che la Fancy si sarebbe trovata in rotta per l’Avana, andando così a finire direttamente nelle fauci del nemico.

Quando la prima bordata colpì la Ventura, la vedetta aveva ormai avvistato terra. Dell’Isola dello Scheletro, da quella distanza, non si vedeva altro che una striscia di sabbia coperta da un fitto bosco.

Gli spagnoli ci misero poco a reagire: risposero al fuoco quando i cannoni della Fancy stavano ancora ricaricando, come se qualcosa avesse messo la Ventura in allerta e si fosse preparata a quello che stava accadendo. Dopo un breve scontro a fuoco comunque, la Fancy ebbe la meglio, ed il capitano diede l’ordine di abbordare.

Gli uomini ebbero un sussulto: avevano creduto che il capitano avesse l’intenzione di affondare la nave senza colpo ferire: d'altronde avevano già un ricchissimo tesoro a bordo, e non era certo un carico di merci spagnole che avrebbe fatto la differenza per la Fancy.

In effetti Avery aveva preso in considerazione l’idea di affondare la Ventura ed abbandonare il carico in mare, ma poi aveva cambiato idea, spinto da una strana inquietudine.

L’idea comunque si rivelò felice: gli uomini della Fancy attaccarono il piccolo mercantile spagnolo, falciando ogni uomo che gli si parasse davanti, con la stessa ferocia con la quale avevano affrontato ogni combattimento passato.

“Scendete nella stiva”, ordinò il capitano, “Saccheggiate ogni bene che trovate”.

Con un grido di giubilo, Michael Darren guidò un buon numero di uomini sotto coperta. Pochi minuti dopo, la ciurma stava festeggiando con il rum spagnolo. Vaughan imprecò tra i denti: non era il caso di cominciare ad ubriacarsi proprio adesso che servivano uomini per ormeggiare la nave e svuotarla del suo ingente contenuto sull’isola. Non capiva perché il capitano si fosse impuntato per abbordare la Ventura, ma sapeva che Avery non dava mai un ordine a caso.

L’animo dell’equipaggio si era risollevato grazie a quel breve combattimento andato a buon fine. Tuttavia, Vaughan sapeva che rincuorare gli uomini non poteva essere l’unica motivazione di Avery. Lui, che non aveva mai dato importanza all’essere amato dai propri uomini, e che fondava la sua autorità sulla capacità di essere più che altro temuto.

Dal canto suo, Avery si era accostato a quello che doveva essere il capitano della Ventura. Lo spagnolo aveva la pelle bruciacchiata dal sole ed i capelli, che un tempo dovevano essere stati neri, erano percorsi da numerosi, sottili fili bianchi. Dalla bocca gli colava un rivolo di sangue. Era stato colpito a morte da una grossa scheggia di legno che doveva esserglisi conficcata nella gola a causa del fuoco dei cannoni della Fancy. Miracolosamente era ancora vivo, si sorprese Vaughan.

Il capitano Avery si inginocchiò: aveva un’espressione seria ed indecifrabile. Vaughan non aveva mai visto il capitano avere pietà per qualcuno, quindi non riusciva proprio a capire cosa diavolo stesse facendo.

“Grazie per averci condotti all’Isla del Esqueleto. Era esattamente il luogo che stavamo cercando”, mormorò Avery.

Nonostante le parole apparentemente vittoriose, il tono della sua voce nascondeva una certa apprensione.

Lo spagnolo tossì, perdendo sangue dalla bocca.

“Avete commesso un errore a venire qui… non sapete cosa vi aspetta”, biascicò.

“Cosa vuoi dire?”, gli chiese Avery dopo qualche secondo di esitazione.

Ma lo spagnolo non rispose: gli occhi vitrei fissavano già il vuoto della morte.
  
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