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Autore: MrStank    08/07/2021    0 recensioni
[Crossover 9-1-1/9-1-1 Lone Star] - [20.175 parole]
[Evan "Buck" Buckley/TK Strand, Carlos Reyes/TK Strand, Evan "Buck" Buckley/Eddie Diaz, Evan "Buck" Buckley & TK Strand, Eddie Diaz & Carlos Reyes]
-
La vita è fatta di scelte, o almeno è quello che continuiamo ostinatamente a ripeterci.
Ma cosa succederebbe se il proprio mondo venisse capovolto in pochi istanti? O meglio, in poche parole?
.
«Cosa è successo?»
Qualcuno gli stava chiedendo qualcosa, anche se non riusciva a capire esattamente di cosa si trattasse.
Qualcuno aveva cominciato a scuoterlo per le spalle.
Mise a fuoco colui che gli stava parlando con il volto accartocciato dal dolore.
Batté le palpebre.
Oh, lui non si è rassegnato, pensò.
«TK!»
Il suo nome, insieme alle vigorose scosse che stava ricevendo, lo fecero tornare violentemente alla realtà.
«Cosa cazzo è successo?!» ripeté l'uomo fuori di sé.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri
Note: AU, Cross-over, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera,
Ecco a voi il secondo capitolo, buona lettura

Il SUV coprì rapidamente la distanza che li separava da Pinos Altos.
Durante tutto il tragitto Owen si limitò ad osservare il figlio che sembrava essere caduto in uno stato catatonico. 
Come biasimarlo, pensò.
Quello che TK aveva appena vissuto era una delle cose più dolorose a cui avrebbe potuto pensare, soprattutto conoscendo l’anima sensibile del figlio.

Non si sapevano le ragioni, ma ad alcune persone durante i primi vent’anni di vita vedevano apparire all'interno di uno dei propri polsi delle parole.
Si trattava di persone per cui l’universo, Dio, o chi per lui predisponeva un’anima gemella.
Per certi era una benedizione, per altri una maledizione.
Dal suo punto di vista, quella di TK apparteneva definitivamente alla seconda categoria.
Le parole apparivano sul polso destro o sul sinistro a seconda che si riferissero alle prime che la persona avrebbe sentito dire dalla sua anima gemella o alle sue ultime, pronunciate prima di morire.
Owen sapeva quanto suo figlio fosse innamorato di Carlos e non riusciva nemmeno ad immaginare quanto potesse essere devastante venire a sapere in quel modo che l’uomo con cui stai e che sei sicuro di amare non sia quello con cui si presume dovresti condividere la vita.

Spostò lo sguardo su TK che continuava a fissare la scritta che aveva sul polso.
Owen era più che certo di sapere quali domande stessero passando per la sua testa, sempre che la sua mente non si fosse bloccata nel tentativo di processare quello che era successo.
Cercò di non pensare ad una tale evenienza.
Non era sicuro di come avrebbe potuto fare per aiutarlo: non era uno psicologo e parlare di sentimenti non era il suo forte ma avrebbe dovuto inventarsi qualcosa.

Sperò che TK riuscisse a riprendere un minimo di contatto con la realtà prima che scendessero dal SUV. Era sicuro che sarebbero stati assaliti da domande e richieste di spiegazioni e lui, come capitano che aveva gestito l’operazione di salvataggio, avrebbe dovuto andare immediatamente a riferire quanto successo ai supervisori.
Questo avrebbe voluto dire lasciare TK senza protezione, indifeso di fronte alla furia di chi, sconquassato dal dolore, non avrebbe fatto caso al suo.

Sperò anche che Carlos fosse impegnato altrove e che non potesse venire a cercare di confortarlo.
Per TK sarebbe stato troppo.
Ad Owen piaceva l’agente di polizia, era un ragazzo in gamba, deciso e coraggioso, ma soprattutto amava profondamente suo figlio.
Quando aveva visto TK impegnarsi in quella relazione aveva gioito. Carlos sembrava ed era probabilmente l’uomo migliore con cui il suo bambino sarebbe potuto finire.
Come poteva non essere così?

Gli sarebbe piaciuto molto comprendere le motivazioni per cui sembrava ci fosse, o meglio ci fosse stata, un’anima che avrebbe potuto accompagnarsi meglio a quella di TK.
E soprattutto perché a suo figlio fosse dovuta capitare una cosa del genere.
Avrebbe potuto morire senza sapere chi avrebbe pronunciato quelle parole, avrebbe potuto morire pensando che sarebbe stato Carlos che le avrebbe pronunciate se gli fosse sopravvissuto, avrebbe potuto continuare a vivere senza dubbi.

-

L’ennesimo singhiozzo uscì dalle labbra di TK.
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo

Scosse la testa e alzò gli occhi liquidi dalle sue mani.
Poteva percepire la preoccupazione del padre anche senza guardarlo.

Buck-

La sua mente si rifiutava di processare quanto era successo, o quantomeno di processarlo completamente.

Sentì l’agente di polizia a fianco al guidatore contattare Pinos Altos affermando che li avevano trovati e che fra una decina di minuti sarebbero rientrati.
Sentì suo padre mettergli una mano sulla spalla e riuscì a posizionare gli occhi nei suoi.

«TK», lo chiamò il padre, «TK, sai cosa succederà appena scenderemo».

TK annuì, incapace di articolare una risposta di senso compiuto.

«Io dovrò andare a riferire al supervisore. Credo che Hen verrà con me, sarai da solo con gli altri», continuò Owen.

«TK!» esclamò scuotendolo.

Questo è il capitano Strand, pensò TK prima di rispondere con voce gracchiante: «Ne sono consapevole capitano».

Non ci fu tempo per altri scambi di parole.
Owen scese per primo dal SUV e vide Marjan e Paul venirgli rapidamente incontro con sguardi in parte preoccupati e in parte sollevati. Hen ed Eddie li seguivano poco distanti.
Quando anche TK scese dalla vettura, il tempo sembrò congelarsi.

TK vide una serie complessa di emozioni passare sui visi di tutti, in particolare su quelli dei membri della 118: preoccupazione, sollievo, dubbio, incredulità, dolore e rassegnazione.
Affascinante, pensò.
Si sentiva come se stesse assistendo a tutto ciò dall’esterno. Era una sensazione strana, come se il suo corpo si muovesse con l’autopilota e la sua mente avesse inibito tutti i recettori di dolore.

Inclinò leggermente la testa da un lato.
Gli sembrò di vedere suo padre allontanarsi insieme a Hen, Marjan coprirsi la bocca con una mano e Paul chiudere gli occhi.
Gli sembrò di essere risucchiato di nuovo dentro la sua mente: tutto era bianco, come ovatta. Non giungeva nessun suono, niente esisteva lì dentro, non provava niente lì dentro.
È bello, pensò, potrei rimanere qui per sempre.

«Cosa è successo?»

Qualcuno gli stava chiedendo qualcosa, anche se non riusciva a capire esattamente di cosa si trattasse.

Qualcuno aveva cominciato a scuoterlo per le spalle.

Mise a fuoco colui che gli stava parlando con il volto accartocciato dal dolore.
Batté le palpebre.
Oh, lui non si è rassegnato, pensò.

«TK!» 

Il suo nome, insieme alle vigorose scosse che stava ricevendo, lo fecero tornare violentemente alla realtà.

«Cosa cazzo è successo?!» ripeté l’uomo fuori di sé.

Eddie, pensò TK riconoscendolo.

«Intossicazione da monossido di carbonio, livello sopra il 40%», rispose automaticamente. «Probabile commozione cerebrale. Le cose sono peggiorate poco prima che arrivassero i soccorsi. È stato preso dal panico e ha accelerato l’innalzamento del livello di Co2, ha perso momentaneamente la vista e...»

«Dio TK, ti ho chiesto cosa è successo, non la diagnosi di un soccorritore!» lo interruppe Eddie. «Come puoi parlarne così freddamente! Era tuo amico!»

Questo sembrò scatenare una qualche reazione in TK.

«È l’unico modo in cui riesco a rapportarmi con quello che è successo», rispose stringendo i denti.

Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo.

Il dolore lampeggiò sul suo volto ma si rifiutò di lasciarlo uscire ed abbattersi su coloro che aveva attorno.
Cercò di incamerare aria, ma non fu utile come sperava.
Con voce tremante cominciò a raccontare del bambino, del bungalow, delle fiamme, del vento, del sangue, dell’aria soffocante, del peso di Buck, della sue difficoltà a respirare…

«Ha… ha detto qualcosa?» chiese il pompiere di Los Angeles interrompendolo nuovamente. 
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo.

Quello fu troppo.
TK chiuse gli occhi ed ignorò la domanda.
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo.
 
⋄◉⋄

Eddie guardò sconvolto TK andare via. Letteralmente fuggire.
Non si capacitava della reazione. Non dovrei essere io a soffrire più di tutti? Si chiese.
Della discutibile giustizia della domanda si sarebbe preoccupato in seguito.
Guardò Paul e Marjan alla ricerca di una spiegazione per l’assurdo comportamento di TK e rimase immobile quando la ragazza gli si avvicinò per abbracciarlo.
Percepì le sue braccia intorno a sé ma non ebbe la forza di ricambiare.

Si staccò in fretta. Non era da quelle braccia che sentiva il bisogno di essere stretto.
Si guardò intorno smarrito, alla ricerca di un volto che sicuramente non avrebbe trovato.
Sentì l’irrefrenabile bisogno di allontanarsi, ma sapeva di non poter sparire allo stesso modo in cui aveva fatto TK. 
Doveva parlare con Hen, prendere le cose di Buck dal camion e sistemarle (sicuramente avrebbe trovato un disastro come al solito), prepararsi a comunicare la notizia ai colleghi, alla famiglia, doveva… 

«Eddie», lo richiamò dolcemente Hen, «torniamo in città».

Questi annuì e seguì la propria collega che si stava avviando verso il punto in cui i pompieri locali avevano predisposto una serie di mezzi che continuava a fare la spola tra Pinos Altos e Silver City.
Notò che anche Paul e Marjan erano con loro mentre non c’era traccia del Capitano Strand.
Sarà alla ricerca della lepre, pensò malignamente, ma se ne pentì subito.
Sapeva che TK e Buck erano legati, erano amici e riusciva a capire in un certo modo come aveva dovuto sentirsi il paramedico di Austin a vederlo…
Non riesci nemmeno a pensarlo, si disse.

I colori della natura cominciarono a ravvivarsi man mano che si allontanavano dal centro di gestione delle operazioni.
Appoggiò la testa al vetro del mezzo che li stava trasportando, apprezzando il fatto che nessuno si fosse messo a fissarlo.


Arrivati alla caserma 2 di Silver City, Eddie si fiondò nelle docce non guardando in volto nessuno.
Una volta sotto il getto di acqua calda si permise di lasciar andare la mente, tenuta imbrigliata fino a quel momento.
Buck.
I ricordi della loro amicizia gli scorsero rapidamente davanti agli occhi: il loro primo incontro, le discussioni, il loro cominciare a gravitarsi intorno fino a diventare quasi inseparabili.
Erano momenti troppo veloci per poter essere afferrati uno per uno, ma riusciva a percepire la familiare presenza dell’amico in ognuno di essi.
Li lasciò fluire liberamente mentre si asciugava e lentamente si rivestiva.
Non aveva intenzione di passare un solo minuto di più all’interno di quel posto.

Eddie non provava tristezza, era arrabbiato. Furioso.
Non era certo di poter distinguere tutti i destinatari precisi per la sua rabbia, ma era sicuro che uno di loro non poteva che essere Buck.
Buck che se n’era andato, che l’aveva lasciato solo dopo…

Dopo che aveva incasinato tutto, ecco cosa.
Chiuse gli occhi, succube ancora una volta dei ricordi. 

-

Erano appena rientrati in caserma dopo una chiamata che definire assurda sarebbe stato un eufemismo. 
Erano andati a recuperare un uomo che, convinto di essere nuovo messia, aveva voluto lanciarsi dalle impalcature di un palazzo in costruzione, sicuro che gli angeli lo avrebbero salvato. 
Non andò proprio come aveva pianificato  
L'uomo, prima di lanciarsi, era rimasto impigliato in una corda che c'era su una delle suddette impalcature ed era rimasto a penzolare a testa in giù finché non erano andati a recuperarlo. 

«E quando ci ha ringraziato per avergli dato la possibilità di dimostrare in modo appropriato l'intervento divino?» gli aveva ricordato Buck facendolo nuovamente scoppiare a ridere. 

Lui aveva alzato gli occhi al cielo.

Una volta negli spogliatoi avevano cominciato a stuzzicarsi come al solito e, tra una cosa e l’altra, erano rimasti soli. La caserma si era ormai svuotata mentre si dirigevano verso l’esterno.
Buck si era fermato, chinandosi per controllare che ci fosse tutto nel borsone.
Lui lo aveva preso in giro e poi… Poi Buck doveva aver detto o fatto qualcosa che non ricordava assolutamente ed erano finiti a baciarsi contro uno dei camion di servizio, con Buck che gli cingeva i fianchi con le gambe e lui che lo premeva contro la superficie. 

Era stato bello, era stato il coronamento di qualcosa che sentiva da tempo ma che non aveva capito di desiderare fino a quando non era successo. 
Peccato che poi avesse incasinato tutto. Aveva avuto paura di sé stesso, di quello che ammettere di provare qualcosa di più per l'amico avrebbe potuto comportare. 

Così si era staccato bruscamente, sforzandosi di respirare di nuovo correttamente. 
Si erano guardati di sottecchi, Buck aveva provato dire qualcosa, ma lui lo aveva zittito ed ognuno era tornato a casa propria. 
Il giorno dopo Buck si era comportato come se nulla fosse successo. 
Aveva fatto del suo meglio per fare altrettanto, ma gli era reso difficile dalla sua mente che gli riproponeva la scena e il modo in cui si sarebbe potuta concludere ogni qual volta chiudesse gli occhi o vedesse uno dei camion di servizio. 
Di conseguenza aveva cominciato a trattare Buck con freddezza e l'altro se n'era accorto. 
E avevano litigato.
Dopo una settimana Buck lo aveva avvicinato e gli aveva imposto un chiarimento una volta tornati dal New Mexico. 


-

Chiarimento che non avrebbero più potuto avere. 
Infondo, la rabbia che provava non era che rivolta verso sé stesso. 


Spinse lo sguardo oltre le cime degli alberi del parco in cui era giunto vagabondando per la città.
Se si concentrava poteva percepire qualche bagliore dell’incendio in lontananza, anche se non avrebbe saputo dire quale fosse la direzione in cui si trovava il luogo in cui tutto era precipitato.
Buck era stato solo. Non è vero, gli sussurrò una voce nella sua mente, c’era TK con lui. 
Buck era era stato senza di lui. Non sarebbe andata diversamente, si sentì ancora sussurrare.
D’accordo, forse non sarebbe andata diversamente per Buck, ma per sé stesso sicuramente sì.
Avrebbe potuto scusarsi, confortarlo, ascoltare le sue ultime parole, quelle che TK gli aveva negato, rifiutandosi di dirgliele.

Sentì il bisogno impellente di distruggere qualcosa, ma prima che potesse compiere un'azione di cui si sarebbe quasi sicuramente pentito, sentì squillare il telefono: era Christopher.
Prima di rispondere, ringraziò l'universo o chi per lui di avergli donato un tale angelo.

«Hey», sussurrò dolcemente, «non dovresti essere a letto a quest'ora?»

«Papà, quando torni?» chiese il bambino.

«Presto, il tempo di domare le fiamme e torniamo a casa», rispose, rendendosi conto di aver usato il plurale solo quando Christopher gli chiese se Buck sarebbe tornato in tempo per la serata cinema. 

Eddie gli rispose, cercando di tenere sotto controllo tremolio della voce, che forse non ci sarebbe riuscito.

«Perché? Non è venuto neanche settimana scorsa», si lamentò leggermente Christopher. 

Per colpa mia, pensò Eddie. 
Non poteva sostenere quella conversazione per telefono, non sarebbe stato giusto nei confronti di Christopher.

Decise di optare per una mezza verità: «Penso che Buck si fermerà in New Mexico un po' di più rispetto a me», disse. 

«Se ne andrà?» chiese il bambino. 

«Non lo so», trovò la forza di rispondergli Eddie. 

Se n'è già andato, gli sussurrò la sua mente. 

«Una volta Buck mi ha detto che le persone se ne vanno, ma a volte tornano e più ci mancano, più saremo felici di vederle di nuovo», commentò Christopher.

Una lacrima rotolò sul viso di Eddie.
Buck aveva costruito un rapporto splendido con suo figlio, anche lui avrebbe sofferto in modo non indifferente. 

«È tardi, vai a dormire», gli disse. «Ti voglio bene».

«Anche io, buonanotte papà», rispose il bambino.

«Notte», gli fece eco Eddie terminando la chiamata. 

Chiuse gli occhi. Nessuno avrebbe avuto l’esclusiva del dolore causato dalla perdita di Buck.
 
⋄◉⋄

Il sole stava ormai calando quando TK venne raggiunto da suo padre.
Era letteralmente fuggito da Eddie; non era stato un comportamento giusto nei suoi confronti, ma riusciva a malapena a contenere il proprio dolore, figuriamoci se sarebbe riuscito a gestire anche quello altrui.
Aveva vagato per le strade di Pinos Altos senza meta, fino a che non aveva smesso di sentire le sirene dei camion e delle ambulanze.
Si era seduto per terra e aveva chiuso gli occhi. E si era messo ad aspettare.
Cosa esattamente stesse aspettando non era qualcosa su cui aveva la forza di concentrarsi.

«Papà, non so cosa fare», sussurrò quando percepì una persona avvicinarsi e poi sedersi vicino a lui. 
Suo padre lo aveva già salvato una volta, non aveva dubbi che avrebbe tentato di farlo anche questa. Si sentì tirare contro di lui in un mezzo abbraccio.

«Rientriamo a Silver City», gli disse Owen. «Devi levarti di dosso questo odore e cercare di mangiare qualcosa. Poi parleremo di tutto».

TK annuì, fidandosi ciecamente del genitore.  

-

La doccia aveva decisamente aiutato, così come avevano fatto i vestiti puliti: gli sembrava di essere tornato almeno parzialmente lucido.
Inevitabilmente gli occhi gli si erano posati sulla scritta sul polso, ma aveva cercato di non soffermarcisi. Aveva provato a coprirla come faceva solitamente, ma gli era risultato quasi doloroso farlo. 
Ci aveva rinunciato e aveva raggiunto il padre sulla terrazza della caserma, luogo che sembrava essere abbastanza isolato da poter parlare senza essere disturbati. Probabilmente erano tutti troppo stanchi per uscire a guardare le stelle.

«Avevi ragione», disse, tentando e fallendo un piccolo sorriso.

Owen guardò il figlio annuendo leggermente, non sapendo esattamente da che parte cominciare, soprattutto perché non conosceva lo stato in cui versava.
Se TK era un vigile del fuoco ed un paramedico in grado di affrontare con prontezza ogni situazione in cui si trovava, gestendola al meglio, quando si trattava della sua vita privata, il ragazzo si trovava decisamente in difficoltà.
Scosse il capo per cercare di levarsi dalla testa l’immagine di lui che giaceva sul pavimento in overdose.

«Papà?» lo richiamò TK, intuendo i suoi pensieri. 

«Scusa», rispose questi leggermente imbarazzato. Ci si aspettava che cercasse di aiutare il figlio, non che si perdesse nei meandri della sua mente. 

TK sospirò e si appoggiò stancamente al parapetto della terrazza, prendendosi la testa fra le mani.
Sapeva che suo padre voleva parlare, sviscerare quanto successo per impedire alla sua testa di lasciarsi trascinare dalla disperazione, ma non ci riusciva.
Ogni qual volta la sua mente registrava qualcosa che lo riportava a quanto successo non molte ore prima, TK cercava istintivamente di concentrarsi su altro, soffocando il resto.
Non era una sano, ne era cosciente, ma il pensiero di rivivere le fiamme, l’aridità dell’aria, il sangue… 
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo 

… il modo con cui Buck aveva letteralmente stravolto tutto.
Si alzò lentamente la manica della felpa che aveva indossato e quelle parole che conosceva da una vita sembravano ora completamente diverse. Prese un respiro profondo, sforzandosi di penetrare il bianco che aveva avvolto la sua mente.

«Sono diverse», sussurrò.

Owen alzò gli occhi sul figlio, sforzandosi di capire qualcosa che gli sarebbe sempre rimasto estraneo. «Diverse?» 

«Non sono più una scritta, ma un’incisione… E fanno male», continuò TK.

Le sentiva come marchiate a fuoco nella sua pelle: calde, dolorose, pungenti.
Allo stesso modo aveva impressi nella mente gli occhi azzurri dell’amico mentre, preso dal panico, gli afferrava la mano.
Rabbrividì.
Il fantasma di quella presa non lo aveva abbandonato nemmeno per un secondo da quando…
La sua mente ancora una volta si adoperò per non permettere alla scena di palesarsi nella sua memoria, soffocandola in basso.
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo. 

Come avrebbe potuto rispettare quanto chiestogli se non riusciva nemmeno ad occuparsi di sé stesso? Era indubbio che Buck si fosse riferito ad Eddie e a suo figlio. Ma loro lo avrebbero accettato? Avrebbero permesso al lui, che non era riuscito a salvarlo, di star loro vicino?
Non era nemmeno stato in grado di dire ad Eddie che l’ultimo pensiero di Buck era stato rivolto alla sua famiglia, a lui e a Christopher.

Il pensiero di Eddie lo fece incupire ulteriormente. 

«TK?» lo richiamò il padre, spaventato di vederlo affogare nei suoi pensieri, cosciente che in quel caso non avrebbe potuto fare niente per mantenerlo a galla.

Non ottenne risposta. Per qualche minuto nell’aria vibrò solo il silenzio.
Poi il ragazzo espirò, cercando di rilassare le spalle e la muscolatura che aveva automaticamente contratto, come se si fosse preparato fisicamente ad incassare un colpo.

«Non… non è facile», disse. «Tutte le mie certezze, o meglio, quasi tutte le mie certezze sono crollate nel giro di attimi. Papà, Buck ha detto esattamente quelle parole».

Owen annuì, consapevole che non era una banalità quella uscita dalle labbra del figlio.
Probabilmente era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce, cosciente di quanto significasse.

«Io… non so cosa fare», ammise. Dopodiché sembrò che la diga che manteneva isolata la mente di TK dalla realtà cominciò a creparsi e il ragazzo aprì ancora una volta il cuore al padre, l’unica persona che lo aveva davvero visto nei suoi momenti peggiori e che aveva comunque continuato a stare al suo fianco. 

Parlò ad ondate, rifugiandosi dopo un poche parole in silenzi che sapevano di riflessione e di realizzazione. Pian piano i silenzi si fecero più brevi e le frasi più lunghe. Da asettiche, si arricchirono di sorpresa, senso di colpa, dolore, rabbia, impotenza, paura.
Owen guardò il figlio quasi affascinato, rendendosi conto di quanto fosse cresciuto rispetto al ragazzino che aveva portato via da New York.

«… e non ho potuto fare niente», disse con rabbia, quasi ringhiando. «Non ho chiesto io di avere una dannata anima gemella. Mi affascinavano, , ma non ne avrei mai voluta una. Quando mi sono apparse quelle lettere nere mi sono fatto domande, immaginato scenari, ma poi non ci ho più dato troppo peso. Avrei potuto morire senza sentirle pronunciare, avrei potuto continuare a credere che non fossero così importanti. Eppure sentirle pronunciare è stato devastante. Avrei potuto continuare a pensare che...»

Il discorso venne interrotto bruscamente dalla suoneria di TK, il quale prese automaticamente in mano il telefono, gelando nel vedere il nome della persona che lo stava chiamando.

Carlos.

Non rispose, cosciente che in quel momento sarebbe stato incapace di sostenere una conversazione con il suo ragazzo.
Il senso di colpa nei suoi confronti era forse ancor maggiore di quello che sentiva per non essere riuscito a salvare Buck. Sapeva che il poliziotto avrebbe sofferto profondamente nel sapere quanto successo.
 
Sii presente per loro. TK, sto fottutamente morendo.

Il telefono smise di squillare e TK lesse ad alta voce, sotto lo sguardo vigile del padre, il messaggio che Carlos gli aveva lasciato: ‘Mi hanno assegnato il turno di notte, non posso raggiungerti. A domani. Love you, babe’.

TK sapeva di essere innamorato di lui. Ad essere onesti in quel momento non era sicuro di saperlo, non era sicuro di molto cose. Primo fra tutti come e se sarebbe stato in grado di dormire per tutte le notti a venire. Aveva tante cose di cui occuparsi e non sapeva dove cominciare per nessuna di esse.

«Sei stanco papà, non provare a negarlo. Vai pure dentro, io non credo riuscirei nemmeno a sdraiarmi», disse al padre. «Non mi butterò di sotto, promesso», continuò ironicamente. 

«Non dirlo nemmeno per scherzo», rispose Owen per poi avvicinarsi per abbracciarlo.
«Sicuro?» gli sussurrò.

«Sicuro. Ho bisogno di stare da solo», gli rispose TK.

«TK, non mollare. Tutti stanno soffrendo, ma tu non sei solo», disse Owen prima di rientrare all’interno della caserma. L’alba non doveva essere troppo lontana, non avrebbe disdegnato qualche ora di sonno, anche se dubitava sarebbe riuscito ad addormentarsi.

Grazie per aver letto!
Ho scritto il capitolo ascoltando:
My Immortal - Evanescence (Cover by CORVYX)
Everybody Hurts - R.E.M. (Cover by Melissa Janssen)
Magari sono solo io, ma sono brani che mi hanno aiutata a percepire meglio l'atmosfera di questa parte della storia.
Non li ho indicati all'inizio perché non seguono esattamente la trama e credo che ascoltarli durante la lettura possa essere distraente.

Ad ogni modo, sono stata felice di notare che il primo capitolo sia stato letto da molte più persone rispetto a quelle che immaginavo.
Ringrazio fin d'ora chi vorrà lasciarmi un'impressione o anche una critica, mi piacerebbe davvero leggere le vostre opinioni.

Detto questo, a settimana prossima!
   
 
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