Serie TV > Don Matteo
Segui la storia  |       
Autore: Doux_Ange    08/07/2021    0 recensioni
E se qualcuno iniziasse a soffrire di insonnia? Quale miglior modo per ovviare al problema, se non attraverso le favole della buonanotte? Naturalmente rivisitate, con Anna e Marco per protagonisti!
[La raccolta si inserisce nel contesto di DM12 - 2.0, perché troviamo i nostri personaggi Vocina, Grillo e Lottie, ma può essere letta comunque, perché le 'storie' saranno ambientate tra DM11 e DM12, quindi i due anni off-screen]
Buona lettura!
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
UNA PROVA D’AMORE
 Storia di un grande amooooree…

Perché Grillo canta con una bandiera in mano?

Che domande, Lottie! Perché è scemo!

Ehi! Ma perché ogni occasione per te è buona per insultarmi?

 E perché stasera in TV c’è l’ennesima – stupida - partita di calcio, che lui e tuo padre non vedono l’ora di guardare.

Solo perché non sei una fan, questo non vuol dire che chi segue il calcio sia stupido. Inoltre, anche alla tua Anna non dispiace questo sport, da qualche anno a questa parte. O sbaglio?

Quanto detesto dovergli dire che ha ragione!

Ah - ah! Sembra ieri che prendeva in giro Marco dicendo che esistono uomini in grado di rinunciare al calcio e ora lei stessa non vede l’ora di vedere le partite con quello stesso uomo impossibile che trovò in mutande nel suo ufficio.

Quel completo da calcetto nerazzurro era orribile!

Ehi ehi ehi, piano! Quella divisa non era nerazzurra! Era azzurra e blu. Ma ti pare che se fosse stata di quel terribile accostamento di colori che ricorda l’Inter, lo lasciavo andare in giro come se niente fosse?!

Ma non sono vestiti di nerazzurro pure quelli che guarderete stasera in TV? Che non sono l’Inter, almeno credo… Quanti ce ne sono dello stesso colore, oh?!

Aspettate un attimo: io non so ancora bene distinguere i colori, ma la bandiera che ha in mano Grillo è diversa da quella maglietta in fondo al letto di mamma e papà….

E infatti è diversa, Lottie. Non sbagli affatto. È rossoblu, quella maglia. Vedi, papà tifa Genoa - una squadra molto scarsa a mio avviso - ma purtroppo quando lui era piccolo, lo ero anch’io, e tuo nonno aveva più potere persuasivo di me su tuo padre. In altre parole, si è inflitto da solo, senza consultare la sua coscienza, quella terribile condizione di vita chiamata “essere tifoso genoano”, un limbo fatto di eterna speranza di non retrocedere in serie B. Se avesse dato retta alla sua coscienza, oggi tiferebbe la squadra più forte e titolata di Italia, ma lui niente! Testone…

Quindi secondo te deve tifare la squadra nerazzurra, come l’avete chiamata più… l'Inter?

Non dire certe bestem-

Grillo!

Ehm, bestialità. Ecco: non dire certe bestialità, Lottie! Quella squadra può a malapena lucidare le scarpe a quella più forte e titolata d’Italia, ossia la Juventus.

Ma lo ha vinto l’Inter lo scudetto, quest’anno.

Sì, Vocina, lo hanno vinto loro. Stan facendo un gran casino per un trofeo dopo nove anni di domino bianconero che nemmeno al carnevale di Rio. Ma non distrarmi dal punto della mia spiegazione a Lottie. Stavo dicendo che la maglietta in fondo al letto non è nerazzurra né bianconera, bensì del Genoa, perché Marco la vuole indossare questa sera guardando la partita. Tiferà per l’Atalanta - nerazzurra pure lei - allenata da Gasperini, che lui adora “perché è l’unico allenatore decente che abbiamo mai avuto a Genova”. - Se lo chiedete a me è solo un piagnone, ma poi passo per cattivo e finisco col litigare con Marco…

Quindi tu tiferai Juve e papà Atalanta? Ma come è possibile?

Semplice: uno, non tiferei per l’Atalanta e il suo allenatore nemmeno fosse l’ultima squadra rimasta al mondo! E due, nel mio corpo scorre sangue bianconero, dalla punta delle antenne fino a quella delle zampe posteriori, perché a differenza di tuo padre non mi son lasciato comprare con un pigiama da tuo nonno! E comunque, ti svelo un segreto: in fondo, anche se non lo vuole ammettere, un po’, a tuo padre, la Juve gli interessa... Negli anni me lo sono lavorato per bene!

Quindi è colpa tua se per il compleanno di Anna - il primo trascorso insieme nel 2018 - , mi sono dovuta sorbire la finale di Coppa Italia invece che una bellissima serata di pizza e film come Anna ha sempre fatto?!

In realtà, non è completamente “colpa” mia, io ho solo colto la palla al balzo per andare allo stadio. Anna ha fatto il resto. E poi devi ammettere che a quella sera e quella settimana, risale uno dei più bei ricordi della loro storia d’amore.

Quanto odio dovergli dare di nuovo ragione! Ma che è, stasera?! E non mi far tornare in mente certe cose, ché Lottie è piccolina e non ha bisogno di certi dettagli.

Ora che ci penso, sarebbe una bella storia da raccontare a Lottie!

SIIIII, UNA NUOVA FIABA! Prendo il ciuccio e mi metto comoda…

Io posso andare via mentre la racconti? Già mi devo sorbire la partita in TV tra due ore, ci manca solo la fiaba dove si parla di calcio!

Ma la fiaba non parla di calcio, quello è solo uno dei tanti elementi.

E di cosa parla, allora, Grillo?

Dei gesti d’amore che si è disposti a fare perché “é bellissimo cambiare, insieme”.

La capacità di quella frase di calzare a pennello in mille occasioni mi lascia sempre sorpresa. Allora, la raccontiamo questa storia o no?!

Ma non dovevi andare via?

Lottie mi ha legato alla sbarra del lettino mentre discutevamo…

AHAHAHA! Grande Lottie!

Se potessi muovermi, verrei a picchiarti, così impari a ridere! Ma siccome non posso andarmene, tanto vale che racconti la storia. Prima inizi, prima finisci.

E va bene, allora iniziamo a raccontare. Spero solo di non addormentarmi dopo la storia, altrimenti mi perdo la finale!

Volesse il cielo! Così ce la risparmiamo tutti…

Come hai detto, Vocina? Ero andato a prendere gli occhiali per darmi un tono mentre racconto…

Niente, niente. Non c’è manco gusto a prenderti in giro, fai già tutto da solo… ma guardati!

Ahahahah, sembri il grillo di Pinocchio, con quegli occhiali!

Non capisco cosa ci sia da ridere. Nel dubbio iniziamo a raccontare, va…

C’era una volta… No, stavolta la fiaba non inizia con c’era una volta. Perché vedi, caro lettore, non tutte le fiabe iniziano per forza così. Ci sono storie che possono essere raccontate anche senza gli scontati elementi narrativi a cui fin da piccoli ci hanno abituati. E questa non è nemmeno la scontata favola che abbiamo sempre letto nelle più famose raccolte. Come sempre, però, ha una morale: il vero amore non sta nei gesti eclatanti, ma nei gesti inaspettati e più semplici, quelli insomma che più scaldano il cuore. Senza ulteriori indugi, ti porto quindi ora con noi, a quella mattina di inizio maggio di qualche anno fa, in cui la “magia” del vero amore ha cominciato a spandersi come polvere dorata nella piccola cittadina di Spoleto.
Era una mattinata piuttosto calda, per essere solo maggio, quella in cui Anna - la “principessa” di questo racconto -  aveva deciso di recarsi al lavoro a piedi, approfittando del silenzio che avvolge le stradine di Spoleto di prima mattina per stare da sola e riflettere sui mesi caotici appena trascorsi. Da qualche tempo, infatti, nella sua dimensione quotidiana era tornato spazio per l’amore. Per una ragazza razionale come il Capitano Olivieri, quell’evento era stato motivo di grande scompiglio, perché mai prima di allora aveva potuto sperimentare davvero quel “tipo” di vita. Per anni, aveva lavorato duro con lo scopo di diventare un buon carabiniere e aveva trascurato l’amore per l’unico fidanzato mai avuto, Giovanni. Probabilmente per quello, ma non solo – dopotutto lui aveva fatto precipitare tutto con la sua idea di farsi prete, poi invece accantonata – da quel momento aveva iniziato a pensare che sua madre potesse avere ragione, che la sua divisa, tanto agognata, potesse essere un deterrente per gli uomini. E invece proprio quando la sua vita sembrava stesse crollando a pezzi, aveva capito che il problema non era mai stata lei, ma il fatto che il suo cavaliere fosse quello sbagliato. Alla mirabolante scoperta era giunta dopo una serie di strani eventi tutti ruotanti attorno alla figura del suo collega di lavoro, Marco Nardi. L’uomo più distante dall’idea di principe che avesse potuto immaginarsi nella vita. Eppure, con tutte le sue imperfezioni – ed esperienze di vita pregresse – era stato quell’uomo impossibile, pigro, testardo alle volte, a farle capire che non è l’abito che fa il monaco e che lei con la sua armatura era comunque una principessa, ma non una qualunque: la sua principessa. Quella che il principe nelle fiabe va ricercando di reame in reame, per destarla da un sonno incantato o per capire se il suo piede può calzare la scarpetta di cristallo.

Giorno dopo giorno, lavoro dopo lavoro, lezione di cucina dopo lezione di cucina, Anna aveva imparato che dietro alla giacca e la cravatta di facciata e il bambinone non troppo nascosto, Marco Nardi nella sua imperfezione era l’uomo perfetto per lei. E in una calda notte di agosto, in un Natale particolare ma comunque magico, la loro storia d’amore era finalmente iniziata. Da quella sera, la vita di Anna non era stata più la stessa, la sua casa non era mai più stata vuota come non lo era stata quella di Marco. Non c’era attimo che i due non fossero insieme, come se quel momento, quella loro storia, fossero stati bramati per tutta la vita, per potersi lasciar scappare anche un solo secondo e non viverlo appieno. Attenzione, questo non vuol dire che i due andassero sempre d’amore e d’accordo, tutt’altro. Erano come cane e gatto, ma lo erano sempre stati fin dal giorno in cui si erano conosciuti. Due persone profondamente diverse, caratterialmente e professionalmente, ma che nel loro essere tanto differenti in realtà poi si completavano, e quasi somigliavano. Avevano sofferto tanto, entrambi, nel corso della vita. Quella loro storia era come un premio dopo tanto dolore gratuito. Sapere di poter contare sull’altra persona, senza dover nemmeno chiedere aiuto quando se ne ha bisogno. Questo è vero amore. O così almeno glielo spiegava Cecchini ogni qualvolta che, vedendoli insieme, si compiaceva che il suo piano per avvicinarli fosse andato a buon fine. Ridevano Marco ed Anna a quel suo prendersi i meriti, perché in realtà il suo contributo per molto tempo aveva fatto più danni che altro. Però quando i loro occhi si incrociavano, non potevano che essere d’accordo con lui. Mai avevano provato tanta felicità nella vita.

La felicità però ha un costo, questo ce lo insegna la vita. Non è una conquista facile, e non lo è nemmeno riuscire a prendersene cura. Spesso si affrontano grandi sfide e inaspettati ostacoli. Altre volte invece si crede di averla perduta per delle minuzie. Come quando si litiga per le cose più stupide. Marco e Anna lo facevano spesso. Quando accadeva, capitava che non si parlassero per ore o un giorno intero. Era stato il loro cupido a mettere a posto le cose più volte, a far capire loro che ogni istante accanto alla persona che si ama va apprezzato, anche quando si litiga. Perché litigare fa parte del grande gioco dell’amore, e fare pace dopo è apprendere qualcosa di nuovo dai propri errori.
Nel corso di quei mesi assieme, Anna e Marco avevano imparato a conoscersi di più, a capirsi di più. Sapevano quando era il momento di provare ad aprire di più il varco nel muro dell’altro, quando era preferibile tacere, quando era meglio assecondare o semplicemente concedere spazio. Perché in fondo sapevano che cambiare insieme era possibile, rispetto al loro passato e rispettando il loro passato, ma andava fatto con cautela e gradualmente, come altrettanto lentamente era sbocciato il loro amore.
Capirai bene, caro lettore, quanto quei mesi potessero essere stati difficili per Anna, quanti sentimenti si fossero annidati in lei e avessero litigato anche con la parte più razionale di sé. Non è facile abbandonarsi all’istinto se non lo si ha mai fatto. Come altrettanto difficile è fare il contrario, come era successo a Marco, e affidarsi più spesso alla razionalità e non agire di impulso, di pancia. E talvolta, ci si ricasca.

Com’era successo la sera prima di quella mattina di maggio che si citava all’inizio. Anna e Marco erano a casa di lui, intenti come spesso accadeva a cucinare insieme. Le lezioni di cucina ormai superate, perché l’allieva aveva iniziato a prendere il sopravvento sul maestro. Tutto sembrava procedere come sempre finché il nostro principe non aveva commesso il passo falso che aveva fatto crollare la serenità di quel momento. Mentre era infatti intenta ad apparecchiare la tavola, Anna non aveva potuto fare a meno di notare che sul mobile in soggiorno erano posizionati in bella vista due biglietti. Quando si avvicinò per sbirciare per cosa fossero, non le ci volle molto a capire che erano due biglietti per una partita di calcio, dopotutto il suo fidanzato era un fan sfegatato di quello sport. Guardava qualsiasi partita gli capitasse sottomano, fosse stata anche un amichevole tra la Longobarda di Oronzo Caná e il Giappone di Holly e Benji – e sì, Anna sapeva bene che non fosse possibile fondere il cartone animato e il film di Lino Banfi, ma la strana iperbole rende bene l’idea di quanto Marco amasse il calcio. In ogni caso, non erano un problema in sé e per sé, quei biglietti. Perché Anna aveva imparato ad apprezzare il calcio,  anche se non ne capiva ancora molto delle regole e per lei fosse comunque solo un modo di passare più tempo con lui, facendo qualcosa che piacesse a lui, che era sempre pronto a fare cosa piaceva a lei. Ricordava bene anche che gli aveva promesso di andare prima o poi con lui allo stadio, e probabilmente quei biglietti erano proprio per loro due. Quando però li aveva presi in mano per scrutarli meglio, Marco con fare entusiasta l’aveva raggiunta. Doveva essere una sorpresa, ma in realtà di sorpreso - ma in negativo - c’era solo il volto di Anna. Quel suo “Questi cosa sono?” era certamente solo un pretesto per iniziare la conversazione, Marco ne era conscio. Sapeva benissimo che ne aveva appena letto il contenuto, solo non capiva perché si fosse rabbuiata. La conversazione inizialmente dai toni pacati si era poi improvvisamente infiammata, come se qualcuno avesse buttato della benzina su un fuoco acceso. L’escalation fu talmente tanto rapida e gli eventi si consumarono con tanta rapidità, che un momento Anna era accanto a lui e quello dopo si stava chiudendo la porta alle spalle, lasciandolo da solo e con la cena – dimenticata sui fornelli accesi – bruciata.
Marco passò la serata con i biglietti in mano, intento a capire come quei due pezzi di carta avessero potuto causare quella lite che nemmeno sapeva più come fosse iniziata veramente. Rilesse i dati che riportavano mille volte: i nomi delle due squadre, quello dello stadio, i loro nominativi, i posti a sedere, la data del giorno in cui la partita si sarebbe svolta. Ma niente. Non capiva perché quell’espressione prima triste e poi arrabbiata sul volto della sua fidanzata. E poi tutto il resto. Si addormentò con i biglietti in mano, senza aver risolto nulla. Solo la mattina seguente, quando il suo cellulare squillò, mise insieme i pezzi del puzzle. La voce furibonda che lo stava insultando dall’altra parte aveva ragione: era un idiota.
Quella mattina, nelle strade deserte di Spoleto – come già anticipato – c’erano solo Anna e i suoi pensieri. C’erano anche i postumi della notte in bianco causata dalla lite con Marco. Come aveva potuto dimenticarsene? Come aveva potuto fare quella scelta, consapevolmente? Lo amava, molto. Ma certe volte faceva fatica a comprenderlo. Era tremendamente distratto. Faceva spesso casini. Era disordinato. Ma non pensava potesse dimenticarsi di una cosa del genere. Sì, lei non era una che festeggiava spesso i grandi eventi nel corso dell’anno, ma una data su tutte sì.
E anche lui... proprio lui se ne era dimenticato.
“Anche”, perché pareva se ne fossero dimenticati tutti. Sua sorella, sua madre, Cecchini. Nessuno nominava niente in proposito. E da sola con quei pensieri che le ronzavano in testa, era quasi giunta alla sua destinazione.

Stava lentamente scendendo le scale della piazza, quelle che conducevano al Duomo e alla caserma, dopo aver allungato la sua passeggiata per poter stare da sola qualche attimo in più, conscia che giunta in caserma il Maresciallo le avrebbe fatto mille domande vista la sua faccia strapazzata dalla notte insonne, quando il suo telefono iniziò a squillare. Sperava fosse Marco. Di solito, lui dopo le liti ci provava subito: chiamava e richiamava, e lei puntualmente non rispondeva, finché poi all’evidenza che solo una volta faccia a faccia, lei avrebbe accettato di parlare e chiarirsi, si arrendeva. Invece quella mattina non ci aveva provato affatto, Marco. Non si era fatto vivo. Preso il telefono in mano, che incessantemente continuava a suonare, cercò di mettere su la miglior facciata possibile per evitare di preoccupare l’interlocutore, o meglio interlocutrice.  Dall’altra parte però la voce non era impastata dal sonno, come in genere accadeva a quell’ora, bensì era molto agitata, infuriata. “É proprio un idiota!”. Non si aspettava iniziasse così la telefonata con sua sorella Chiara. Anzi in realtà nemmeno aveva capito chi fosse il soggetto dell’affermazione, era pronta a giurare fosse uno dei tanti caproni che si erano succeduti al leggendario Sasà, la sua relazione più longeva, escludendo il breve pezzo di vita con Marco. Invece l’idiota in questione era proprio il suo Marco. Non sapeva bene come Chiara fosse venuta a conoscenza della lite, escludeva fosse stato Marco a chiamarla perché di solito quello era il passo successivo nei tentativi di fare pace, qualora fosse fallito il tête-à-tête, prima citato. In realtà, Anna non ebbe il tempo di chiederlo, perché dopo la trafila di insulti al suo fidanzato, Chiara era passata a parlarle del pomo della discordia in sé. Qualcuno se ne è ricordato, pensò la Vocina nella sua testa, l’unica che si ricordava – per ovvie ragioni – dell’importanza di quella data. Un sorriso si fece strada sulle labbra di Anna, mentre la sorella al telefono le elencava tutti i modi con cui avrebbero potuto celebrare quel giorno insieme, nel caso l’idiota nel frattempo non avesse risolto il rebus e capito il problema.
Le due sorelle rimasero d’accordo di vedersi quella sera. Chiara era infatti in procinto di andare da lei qualche giorno, per trascorrere del tempo insieme dopo quasi un mese che non si vedevano. Anna, riposto il telefono nella tasca della sua giacca, riprese la discesa della scalinata, non senza dimenticare che quell’effimero momento di “gioia” stava per concludersi, poiché presto in caserma sarebbe arrivato Marco e i ricordi della sera precedente sarebbero riemersi più vividi che mai.
Chiara ha ragione. Sei un idiota. Come hai potuto dimenticartene?! Facile fare la morale dopo, pensò Marco all’affermazione del Grillo nella sua testa. Se lui se ne ricordava, perché non è intervenuto ieri sera, a tirarlo fuori da quella lite? Avrebbero potuto risolvere subito, e invece…

…Crac crac…

Potresti smettere di sgranocchiare pop corn, Vocina, mentre racconto la favola?

Oh scusami, Grillo, ma vedere come Marco ti insulta è uno spettacolo che andava accompagnato dai pop corn, ahahah!

Per un momento mi ero illuso a quel “Oh, scusami” che non mi avresti deriso. Vabbè, continuiamo…

... E invece quella mattina l’arcano lo aveva risolto Chiara, che gli aveva telefonato  per chiedergli aiuto nell’organizzazione della festa a sorpresa per il compleanno di Anna. IL COMPLEANNO! Come aveva potuto dimenticare l’unico evento dell’anno che la concernesse in prima persona, che la sua fidanzata festeggiava?
Visto? Un idiota. Avevano ragione tutti, da Anna ad arrabbiarsi a Chiara che gli dava del cretino, stupido, impossibile... e al Grillo nella sua testa che rincarava la dose, sebbene non fosse nella posizione più adatta per parlare. Niente, mi insultano tutti…
Doveva rimediare. Lo sapeva bene. Come sempre, del resto. Perché tutte le volte era colpa sua. Anche quando non lo era. Perché per Anna si sarebbe preso qualsiasi colpa, anche quelle non sue. Sì, l’amava così tanto... Tanto da dedicarle la sua stessa vita, se fosse stato necessario, come il più nobile dei principi azzurri. Solo poco più di un anno prima, lei era entrata nella sua vita a gamba tesa, come il più pericoloso degli interventi fallosi che si possono vedere in un campo da calcio. Lui aveva cercato di tenerla a distanza, ammonendola, ma non era servito a molto. In poco tempo gli aveva rivoluzionato la vita, ma non come Federica, la sua ex, senza chiedere permesso. No, come il più abile regista di centrocampo, di quelli che sanno esattamente dove la palla deve andare e con un colpo da maestro la piazzano sul piede del centravanti che deve solo tirare verso la rete. La rete, metaforicamente parlando, era quella della porta del suo più temibile avversario: le sue paure. Quelle che lui, nell’inusuale posizione di attaccante, doveva scacciare a suon di goal, per poter finalmente vincere e andare avanti, tornare a vivere. La partita con esse, l’aveva vinta, la notte del magico Natale di Cosimo. Ma il campionato – gli appassionati di calcio lo sanno – dura molto di più di una singola partita, e all’epoca, era solo all’inizio.
Sempre gli appassionati di calcio sapranno che i luoghi comuni su questo sport sono tanto banali e scontati, quanto più spesso veri. La palla è rotonda, vero. E se la ha il tuo avversario, puoi o soccombere e subire il suo gioco, o rubargliela e riportare il proseguo della partita nelle tue mani, o meglio nei tuoi piedi. Per quanto sia forte l’avversario, non è detto però tu debba per forza soccombere, perché come già detto, il pallone è rotondo e tutto può succedere. Ed è per questo che la notte in cui Marco e Anna avevano intrapreso quel loro campionato insieme, come una squadra, sapevano già che le partite da affrontare sarebbero state ostiche, anche le più banali. E che qualcuna la si avrebbe persa. Marco ne aveva appena persa una, ma era pronto a rialzarsi e vincere quella successiva.
Per farlo, doveva rinunciare, ancora una volta, per il secondo anno consecutivo, al momento che più attendeva: la finale di Coppa Italia. Non tifava nessuna delle squadre che puntualmente arrivavano a giocarla, questo andava detto. Se tifi Genoa, dopotutto, non puoi sperare in più di tanto, avrebbe detto Grillo. Ma era l’unica partita che riusciva a potersi godere dal vivo durante l’anno. I tifosi lo sanno: l’ebrezza che si prova a vedere una partita in televisione non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che si prova a vederla allo stadio. L’adrenalina di essere insieme ad altre migliaia di persone è impareggiabile, anche quando tra le squadre in campo non c’è quella del cuore. Gli impegni di lavoro non gli permettevano di spostarsi spesso. La sua squadra del cuore giocava in casa troppo lontano da Spoleto e Genova non era facilmente raggiungibile per lui. Quando giocava in trasferta, in zone più vicine, spesso il lavoro o le regole restrittive su chi può essere ammesso o meno in curva gli impedivano di andarci. La Coppa Italia, con i suoi prezzi più bassi - sempre genovese eh, non dimentichiamolo – lo spingeva invece ad accaparrarsi i biglietti in tribuna, più facilmente acquistabili di quelli in curva e per l’occasione più accessibili alle tasche del genovese in questione. Era uno dei pochi lussi che Marco si concedeva nell’arco dell’anno, perlomeno prima che Federica non glielo impedisse. Successivamente, la tanto agognata partita se l’era persa per l’auto guasta di Cecchini prima e, a breve, lo avrebbe rifatto per amore della sua Anna. Perché non c’era dubbio alcuno con chi tra le due squadre in gioco dovesse schierarsi: Anna avrebbe battuto tutti a mani basse. Era il Cristiano Ronaldo – o Messi, scelga il lettore chi preferisce – della situazione.

Era ormai sera quando Anna stava lasciando la caserma diretta a casa. Chiara aveva rimandato il suo arrivo per un contrattempo. E in parte Anna ne era felice. La giornata infatti era stata più stressante del previsto, tra un nuovo caso da risolvere e Cecchini preoccupato per lei e Marco. Quest’ultimo non aveva accennato per l’intera giornata a quanto successo tra loro la sera prima. In caserma, come del resto si erano accordati fin da subito in quella loro storia, i loro problemi extra lavorativi non potevano entrare. Perlomeno non esplicitamente. Perché per quanto potessero impegnarsi ad essere professionali e distaccati, nell’aria aleggiava sempre la tensione, quando qualcosa tra loro non era perfettamente a posto. E tutti i sottoposti di Anna, non solo Cecchini, erano in grado di accorgersi di quei momenti, ovviamente. Anna sperava però che Marco, sempre piuttosto celere nel risolvere il rebus e capire dove aveva sbagliato, avesse capito il motivo della sua tristezza e rabbia la sera prima. Invece, sembrava che per lui questa volta la soluzione ancora non fosse arrivata. Aveva messo il piede in fuorigioco, il goal gli era stato annullato e lui nemmeno se ne era accorto. O forse lei aveva sbagliato il momento dell’assist e per quello l’azione non era andata a buon fine.
Mentre tornava a casa ripensando alla giornata e alle ore della sera precedente, Anna iniziò a domandarsi perché fra tutti i momenti dell’anno, proprio in quello Marco avesse deciso di tramutare la loro promessa di andare insieme allo stadio in realtà. A pensarci bene, da quando conosceva Marco, lui non ci era praticamente mai andato allo stadio. Con Chiara era saltato tutto per “colpa” dell’auto di Cecchini e negli anni addietro, da quanto raccontatole dal suo fidanzato, con Federica il calcio era bandito in televisione, figurarsi allo stadio.
Era ormai giunta al portone di casa, quando aprendolo, seduto in cima alla rampa di scale che portavano al pianerottolo di casa sua, lo trovò seduto accanto a Patatino, in attesa che lei rientrasse. Quando si dice che il cane assomiglia al padrone, la faccia che entrambi le rivolsero, potrebbe essere usata come esempio: sguardo vuoto e triste, e testa abbassata. L’umore di uno rispecchiava quello dell’altro. Alla vista di quello spettacolo, per un momento Anna stette per lasciar cadere la maschera e l’armatura, pronta a perdonare quanto accaduto. Ma la ragione intervenne come sempre sull’istinto e, trattenendosi, chiese cosa ci facessero lì. Fu in quel momento che quasi ridestandosi, Marco notò che era arrivata. Era talmente immerso nei suoi pensieri, nel tentativo di formulare un discorso di senso compiuto da dirle, che non se ne era accorto. Al contrario di Patatino, che nulla aveva fatto ad Anna, e che le corse incontro per farle le feste ricevendo in cambio la stessa dose di affetto, Marco si mise in piedi, sul pianerottolo, in attesa che lei salisse per poter finalmente parlare di quello che era accaduto. Come sempre accade in momenti come quello, l’intero discorso che Marco si era preparato in testa andò perduto nell’esatto istante in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Anna. La potenza delle iridi verdi di quella ragazza era in grado di fargli perdere la capacità di fare qualsiasi cosa, anche respirare. E vederle quello sguardo velato di tristezza era uno spettacolo che mai avrebbe voluto vedere. Soprattutto se la causa delle lacrime taciute era lui. Fu solo grazie all’intervento del Grillo nella sua testa che Marco si ricordò che non poteva vivere per sempre lì in piedi ad ammirarla, sebbene non gli sarebbe dispiaciuto. Visto che abbiamo dimenticato completamente cosa avevamo preparato, io inizierei la conversazione in maniera easy: scusa. “Scusa” disse infatti Marco contemporaneamente alla voce della coscienza che gli ronzava in testa. In risposta ricevette un “Perché?”. Una sola parola in grado di aprire un mondo di pensieri e sentimenti. Una parola che celava in sé una domanda più articolata: hai capito dove hai sbagliato, lo so, ma come hai potuto dimenticare? Non aveva una vera risposta al perché se ne fosse dimenticato. Nella sua testa l’obiettivo era solo quello di condividere una sera con lei, lontani da Spoleto, dalla loro famiglia, da qualsiasi cosa che potesse disturbarli. Non aveva previsto che sarebbe coinciso col suo compleanno. Non lo aveva fatto apposta. Voleva regalare a se stesso e a lei una via di fuga alla vita normale e reale. Una sera in cui avrebbero potuto conoscersi meglio, soprattutto lei a lui. Voleva portarla nel suo mondo. Quello che aveva celato a molti e a se stesso per anni ormai. Detta così era conscio suonasse un po’ egoista come motivazione, ma nei fatti non voleva esserlo. Lo stesso volto di lei che andava ammorbidendosi man mano che lui cercava inutilmente e caoticamente di spiegarsi, era prova che stava capendo, nonostante tutto. E quando ormai era sul punto di interromperlo per dirgli che aveva capito che le motivazioni erano buone, ma era la sera del suo compleanno quella partita, Marco la stava già battendo sul tempo e lasciando senza parole. “Ma ora tutto questo non ha importanza, perché io sono un’idiota. Ero completamente elettrizzato e forse anche un po’ spaventato all’idea di aprirti una parte del ‘mio mondo’, dopo che tu hai fatto ben di più nei miei confronti, da non accorgermi che la data della partita era la stessa del tuo compleanno. E sarei, anzi sono, un pessimo fidanzato se ti costringessi a venire con me o peggio ad andarci e non stare con te per il tuo compleanno. E ho deciso di rivendere i biglietti.”

Anna non poteva credere alle parole. O meglio sì, ma era scioccata comunque. L’uomo che aveva davanti pareva un lontano parente di quello che aveva conosciuto un anno e mezzo prima. Quell’uomo talmente ferito dalle azioni della sua ex, da apparire incapace di provare alcun emozione e preferire il calcio a tutto, anche alle persone più care. Quell’uomo, come molti tifosi, aveva iniziato a programmare la sua vita in relazione alle partite. Era un uomo che voleva riappropriarsi delle proprie azioni, della propria vita, dopo che qualcuno aveva cercato di imbrigliarlo in un rigido schema, che nel calcio solitamente priva il gioco di fantasia.
In quel momento, invece, di fronte a lei c’era un uomo diverso. Un uomo che aveva imparato che ci sono persone che sanno rinunciare a una partita di calcio, perch ne vale la pena. Che non programmava la vita in virtù di quello sport, ma in virtù della persona che amava. Persona quest’ultima, che veniva posta ora sul piedistallo, che aveva la precedenza su tutto. Ed era strano, per Anna, essere quella persona. Mancavano pochi giorni al suo compleanno, ma Marco le stava facendo il dono più bello. Non il più costoso, un regalo materiale che ben presto magari si dimentica pure in un angolo dell’armadio. No. Le stava donando se stesso, il suo tempo. E non è un regalo scontato, caro lettore. Quante volte ci priviamo inutilmente del nostro tempo per gli altri, ricevendo in cambio da questi, nulla? Quante volte invece egoisticamente, non ce ne priviamo per chi lo meriterebbe? Marco in quel momento aveva capito che l’importante in tutta quella storia non era come o dove avrebbero speso il loro tempo insieme. L’importante era essere insieme. E quella lite, nata da un futile motivo, li stava privando di quella gioia. Li stava tenendo separati. E come succede nelle partite di calcio, a un certo punto, per risolverla, può essere necessario fare le sostituzioni, cambiare quei due o tre elementi che, stanchi, non possono più garantirti di fare l’azione decisiva e vincere la partita, e inserire invece quelli che possono permettere al fuoriclasse di fare goal. E Marco aveva deciso di attingere, come un allenatore, a quei cambi: via la la finale di Coppa, che lo avrebbe fatto perdere, dentro il fuoriclasse, anzi LA fuoriclasse. Quella che aveva cambiato la sua vita, senza che nemmeno se ne accorgesse, aiutandolo a superare le sue paure. Colei che ora rappresentava la sua più grande paura: perderla.

Quello che ormai pareva essere un interminabile, eppure piacevole, silenzio tra loro, venne interrotto da Marco, quando Anna non rispose al suo confuso discorso. “Ti amo. Io so solo questo. E me ne rendo conto ogni volta che incrocio il tuo sguardo. Ero venuto qua per spiegarmi, con un discorso progettato in testa. Ma come quella sera di qualche mese fa, in cui mi sono presentato mezzo ubriaco, ogni discorso progettato è andato a farsi benedire. È vero, amo il calcio, lo sai. Amo il fatto che tu mi assecondi in questa passione, nonostante non ci capisci nulla. Amo che tu per prima mi abbia proposto un giorno di voler venire con me allo stadio. E quel giorno arriverà, ma non è questo sabato. Ora l’unica cosa che voglio è che tu perdoni quell’idiota che sono. Perché sto da cani.” Un piccolo guaito di Patatino aiutò Marco a dare enfasi alle sue parole e ha scatenare sul volto della sua fidanzata un sorriso, cui fece seguito – ça va sans dire – un bacio lungo e appassionato.
Nei giorni che seguirono, le cose tra Marco e Anna ripresero a funzionare come sempre. Piccoli battibecchi, abbracci, baci e tanti attimi di vita da non dimenticare. Nel mentre, una strana fata fashionista tramava alle spalle sia dell’uno che dell’altra. Marco avrebbe dovuto tenere impegnata Anna mentre lei si sarebbe occupata dell’organizzazione della festa. Quello che però il nostro principe non sapeva, era che alla fine della festa, ci sarebbe stato un regalo anche per lui.
Troppo preso infatti a tenere impegnata Anna, Marco non si rese conto che alla fine la festa era stata organizzata per il venerdì sera e non per il sabato, giorno del compleanno di Anna. Fu solo al termine della festa, organizzata in ogni dettaglio da Chiara perché le candeline venissero spente allo scoccare della mezzanotte – perché non si festeggia mai prima del giorno esatto -, che capì che mentre lui aiutava Chiara, Chiara stava anche aiutando Anna a fargli una sorpresa. Nella busta che la sua fidanzata gli mise tra le mani quella sera, sotto i suoi occhi indagatori e confusi, c’erano i due biglietti per la finale che Marco aveva chiesto a Cecchini di rivendere, accompagnati da un biglietto su cui riconobbe immediatamente la calligrafia di Anna “Pronto per la finale? ;)”. Quando sollevò lo sguardo dal contenuto, il sorriso di Anna, compiaciuta di essere riuscita nella sorpresa, era lì ad accoglierlo. Come nel più classico dei cliché, la gioia di entrambi non tardò a manifestarsi, tra le risate e i sorrisi dei presenti.

Era sabato mattina presto quando si misero in viaggio verso Roma, in sella alla moto. Durante il lungo viaggio, Anna aveva avuto modo di ripensare alla sera precedente. Alla festa perfetta che era stata organizzata, semplice, come piaceva a lei. Cena con amici e famiglia, questa volta rigorosamente preparata da Marco, il suo film preferito nel dopocena, comodamente visto in braccio al suo fidanzato sul loro pouf (‘visto’ era un parolone, perché gli altri ospiti chiacchieravano mentre loro due programmavano la fuga per l’indomani), e infine la torta e il suo desiderio più grande spegnendo le candeline: che quello che stava vivendo non fosse un sogno, una fiaba di quelle che si leggono nei libri, ma la realtà, la sua fiaba. E se tutto quello non fosse già stato abbastanza perfetto per lei, il sorriso del suo Marco alla sorpresa dei biglietti era stata la ciliegina sulla torta.
La partita era programmata per la sera, la giornata era tutta per loro. Passeggiare per Roma è, come si dice spesso, viaggiare nel tempo e nella storia. Mano nella mano per le vie della Città Eterna, non era stato per loro due solo viaggiare nella storia di quella città e civiltà, in cui risiedono le radici di noi tutti, ma anche un viaggio nella vita e nel passato di Marco. Anna aveva scoperto molte cose di lui durante quel viaggio. Sul suo passato, sulla sua passione per il calcio, sulla sua famiglia – anche se su questo argomento non si era aperto molto, come a celare ferite profonde che  ancora evidentemente non era pronto ad aprire a lei.

Circa un’ora prima della partita erano già dentro lo stadio. Avevano rispettato tutti i riti pre-partita del caso. Per cena, il panino presso uno dei chioschetti fuori lo stadio accompagnato da una birretta, ovviamente. Marco ne era rimasto estasiato: sapeva benissimo che la fidanzata non si creasse problemi, ma nemmeno lui stesso si aspettava sarebbe stato... così. Una volta dentro lo stadio, per Anna era stato come entrare a scuola: per godersi lo spettacolo voleva essere preparata. Aveva iniziato quindi a tartassare Marco di domande, mentre l’aria all’Olimpico aveva iniziato a scaldarsi. Come i calciatori infatti devono fare riscaldamento, anche le tifoserie iniziano ad accendersi. E la partita di quella sera non era una finale come tante. Le due squadre più titolate di Italia si contendevano la coppa: da una parte la Juventus, dall’altra il Milan. Per quanto novellina in materia, Anna era conscia che nessuna delle due squadre era quella del cuore di Marco. Per chi dobbiamo tifare, scusate? Si domandava la Vocina nella testa di Anna. E poiché non sapeva risponderle, dopo un po’ di esitazione porse la domanda a Marco. Quest’ultimo non se ne accorse subito, ma il Grillo nella sua testa invece sì, e approfittando della situazione non esitò un attimo a guidare le azioni di Marco, che senza rendersene conto affermò “Juventus”. Solo dopo aver notato Anna che annuiva e ciò che aveva detto, alzò gli occhi al cielo capendo le sue azioni, mentre Grillo sghignazzava nella sua testa. Tornò nuovamente alla realtà quando Anna gli chiese se c’era un motivo specifico per cui aveva scelto quella squadra e non l’altra, essendo lui tifoso di tutt’altro club. Marco approfittò del momento per raddrizzare il tiro e dire che aveva detto una delle due squadre a caso, ma che poteva anche solo godersi lo spettacolo, senza tifare nessuna delle due, come più probabilmente avrebbe fatto lui.
Quando l’arbitro fischiò l’inizio, Anna capì veramente perché Marco amava seguire quello sport, in particolare dal vivo: l’ondata emotiva che colpisce chi sta sugli spalti sarebbe in grado di coinvolgere chiunque. Ben presto i propositi di entrambi di non schierarsi con nessuna squadra andarono a farsi benedire. Al primo goal segnato, lo stadio tremò letteralmente sotto i piedi di Anna, mentre ormai Marco si era lasciato andare in gioia, nonostante per gran parte della partita sembrò contro la squadra che era passata in vantaggio. Chissà quale Grillo gli stava passando per la testa in quel momento. Lo so io, quale, disse la vocina nella sua testa. Poco dopo arrivò un altro goal, il raddoppio per la medesima squadra e poco dopo ancora il terzo goal, a cui Marco esultò – più o meno consapevolmente – tirando in piedi Anna e baciandola di slancio. La partita sembrava segnata e lei era ormai stata assorbita dall’entusiasmo di chi stava sugli spalti, tra coloro che esultavano e quelli invece indignati perché stavano perdendo. La partita terminò 4-0 per la Juventus. Decisero di restare anche per la cerimonia di premiazione, per poi lasciare lo stadio a tarda sera. Per l’occasione decisero di fermarsi a Roma e non rientrare quella notte, scegliendo un B&B sulla strada. Il dopo-partita fu anche meglio, complice forse anche l’adrenalina che ancora pervadeva entrambi. Anna non poté immaginare un compleanno migliore di quello. Tra le braccia del suo fidanzato per due giorni, il centro dell’attenzione di Marco, al di là e al di sopra di tutto.
Nella tarda mattinata del giorno successivo fecero ritorno a Spoleto. Cecchini li stava spiando dalla finestra, mentre i due si salutavano, con Marco diretto a casa perché aveva affidato al vicino Patatino e non voleva approfittarne troppo. Quando Anna raggiunse il pianerottolo, una voce alle sue spalle quasi le fece prendere un colpo “Siete una bella coppia, siete. L’avevo detto che le sarebbe piaciuto, il PM…” e poi la porta che si richiudeva. Non era necessario vedere il volto di chi aveva parlato. Importava che avesse ragione. Che non perdesse occasione di ripeterlo. E lei non poteva essere più felice di ammettere che aveva ragione.

Come ho più volte sottolineato, caro lettore, questa fiaba non è come tutte le altre e quindi non finirà con “e vissero per sempre felici e contenti”. Perché questa fiaba si ispira a una storiella africana che nulla ha a che vedere con le normale regole occidentali di narrazione. Tuttavia, non posso esimermi dal chiudere questo racconto con l’immancabile morale e chiosa.
Robert Louis Stevenson affermava che «Si può donare senza amare, ma non si può amare senza donare». La sera del suo compleanno, sugli spalti dello stadio accanto al suo Marco, Anna capì proprio questo. Che nel momento in cui doni il tuo tempo o doni te stesso all’altro, allora stai veramente amando. Perché lo fai conscio che quel dono avrà sempre in ritorno un altro dono: l’amore stesso. A volte per accorgersene, bisogna mettersi in gioco, affrontare le prove che la vita ci pone di fronte, come hanno fatto i nostri protagonisti.
E posso assicurarti – sì, a te che stai leggendo -  che quella prova d’amore ha dato i suoi frutti. Ma forse questo lo sapevi già…

Allora?

Prendi la bandiera, Grillo, andiamo a battere papà! Forza Juve!

Non esattamente la lezione che pensavo sarebbe passata, ma son soddisfazioni! Hahahahah Juve, storia di un grande amore….

***Due ore dopo***

GRILLO! ABBIAMO VINTO! Ehi, ma Vocina dov’è finita?

Intendete me, legata alla sbarra del letto?

Ops, ci siamo dimenticati di slegarla!

Almeno non ho dovuto seguire la partita… ma me la pagate lo stesso! E la vendetta parte subito, perché tu, Grillo, stanotte non chiuderai occhio nonostante la nuova fiaba! Ah-ah! Ma non finirà qua. Di questo potete stare certi.

Sai che novità! Minaccia più, minaccia meno. Notte sveglio più, notte sveglio meno... Ma stasera la Juve ha vinto, per cui posso anche passare la notte fuori. Ciao Lottie!

Ronf ronf….
 
 
 
[Nota per i lettori: La partita si tenne mercoledì 9 maggio 2018, non ho però specificato la data volutamente perché non era un sabato, ma per la finzione della storia mi era più comodo lo fosse. Il risultato e le squadre invece sono corrette, nel tentativo di mantenere una quanto più veritiera attinenza alla realtà cronologica.]
 
Eccoci tornate! Beh, stavolta una fiaba diversa per la quale non abbiamo fatto un sondaggio. Ma, essendo un mito di una tribù africana, difficilmente voi lettori l’avreste scelta, e l’occasione era troppo ghiotta per non approfittarne.
Ovviamente, tutti i dettagli e le argomentazioni sul calcio sono opera di Marti, perché la sottoscritta ne capisce meno di zero.
Tenetevi pronti, però, perché presto arriverà una sorpresa per voi!
 
Mari
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Don Matteo / Vai alla pagina dell'autore: Doux_Ange