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Autore: moira78    09/07/2021    4 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terence uscì dall'edificio del carcere di Chicago con passi nervosi, la testa piena di frammenti di conversazione.

Gli sembrava di soffocare. Alla fine aveva avuto ragione, era accaduto qualcosa di grave.

Candy aveva perso la memoria e lui voleva solo andare a scovare Eliza in Florida per stringerle il collo fino a strozzarla, guardandola negli occhi mentre soffocava. Albert gli aveva detto che aveva coinvolto la polizia, ma non erano state trovate prove.

"In compenso, i Lagan hanno incastrato noi, ormai ne siamo certi", aveva echeggiato la voce di Archie dalla cella accanto.

Mentre si guardava attorno come se il paesaggio circostante potesse aiutarlo a prendere una decisione, capì che la situazione di Albert e Archie, seppure lo avesse scosso nel profondo, non lo avrebbe mai toccato come l'idea della sua Candy senza memoria.

Si è dimenticata di Albert. Ma anche di me, di noi... tutto il nostro passato è cancellato.

Il marciapiede terminava con un incrocio e lui attese che una carrozza passasse sulla strada per attraversare. Non sapeva dove stesse andando, ma camminare lo aiutava a pensare.

Poteva tornare alla villa e pretendere di vedere Candy. L'avrebbe aiutata lui, come aveva fatto quando voleva farle dimenticare Anthony, ma stavolta avrebbe dovuto faticare molto di più, sollecitandola a ricordare invece che a superare un ricordo spiacevole.

Immaginando lo scenario che lo aspettava, si vide mentre discuteva animatamente con George e con chissà quante altre persone mentre gli ribadivano che no, forzarla era controproducente.

Controproducente.

Albert era stato chiaro, a quanto pareva il medico le aveva affiancato Annie e uno psichiatra per indurla a ricordare senza traumi. Nonostante l'ostilità iniziale, però, sentì che Albert stava addolcendo molto la pillola: i suoi occhi segnati, l'eccessiva magrezza e la postura stanca, nonché la sua reazione a quel pugno che una volta avrebbe incassato senza problemi, gliela dissero lunga sulle sofferenze e sulle preoccupazioni che stava attraversando il suo amico.

Cosa succede a Candy quando cerca di ricordare? Perché non mi ha detto quanto sta male veramente?

Terence si passò una mano tra i capelli, frustrato, scostandosi prima di urtare una coppia che incedeva nella sua direzione.

La rabbia iniziale e la preoccupazione per Candy si alternarono con il timore che Albert non sarebbe uscito indenne da quella esperienza. Quindi i suoi pensieri si spostarono di nuovo su Candy. E su Karen.

Perché non riesco a togliermela dalla testa?!

Senza alcun preavviso, la mente lo riportò alla notte che avevano condiviso. Karen era l'opposto di Candy, fisicamente, e la somiglianza di carattere terminava con la determinazione che avevano in comune. Candy sapeva essere dolce e fragile, Karen crollava di rado ed era appassionata. Gli si era donata senza riserve, regalandogli la sua virtù senza cedere, entrandogli dentro l'anima mentre lui prendeva possesso del suo corpo.

Non era stata l'avventura di una notte. Lui l'avrebbe ricordata per sempre e lei sarebbe rimasta marchiata dal primo uomo che non sarebbe stato suo marito.

A meno che...

"A meno che, cosa?!", si rimproverò bloccandosi in mezzo alla strada. Lo stridio dei freni e un clacson strombazzante gli indicarono che stava rischiando la vita a forza di pensare.

Si tolse di mezzo con lunghe falcate, tornando sul marciapiede e udendo a malapena le maledizioni del guidatore.

A Chicago c'era Candy, il suo antico amore ormai perduto per il quale non poteva fare un accidenti di nulla. C'era Albert, che stava affrontando un processo durante il quale avrebbe testimoniato volentieri semmai lo avessero chiamato. Perché non lo odiava, anche se era suo rivale. E, a ben vedere, adesso non erano neanche più rivali. Dannazione, era in pena per lui e persino per quello stupido damerino di Archibald!

Sto ufficialmente impazzendo.

Il rumore delle scarpe sul terreno gli fece capire che era entrato in un parco senza accorgersene. Immerso nel verde, circondato da alberi sui quali Candy non si sarebbe più arrampicata per chissà quanto tempo, Terence capì che non aveva niente da fare lì.

Era semplicemente impotente, inutile, persino di troppo.

Doveva tornare al suo stupido film mentre, in un altro luogo ancora, una donna che aveva amato per una sola notte continuava a tornargli in testa sempre più spesso.
Con un grosso sospiro, Terence s'incamminò in albergo, dove avrebbe preso i bagagli per andarsene. Avrebbe mantenuto i contatti con quel George, che era stato così gentile, e si sarebbe tenuto a distanza.

Il suo posto, dopotutto, non era quello.
 
- § -
 
Neil stava rimirando la sua auto nuova, accarezzandone le linee arrotondate, la carrozzeria lucida color rosso mattone e il volante in pelle come se stesse toccando un'amante. Se le cose fossero continuate ad andare così bene, un giorno avrebbe potuto persino aprire un autosalone. Anzi, che diamine, avrebbe fondato un'intera catena automobilistica a suo nome!

Sotto lo stupore generale della sua famiglia, i giornali avevano palesato la prossima rovina degli Ardlay, segnandone il nome in un modo che difficilmente sarebbe stato riscattato. Suo zio e suo cugino sarebbero rimasti in carcere e, anche se per puro miracolo ne fossero usciti, la credibilità che avevano un tempo sarebbe stata annientata.
Candy era senza memoria e, quando la prozia Elroy fosse a sua volta caduta in rovina, non sarebbe rimasto nulla degli antichi bagliori.

E, infine, William Albert sarebbe rimasto solo e sconfitto, diventando un vagabondo senza dote a tutti gli effetti. Avrebbe pagato caro il suo affronto mentre Neil vinceva tutta la posta in gioco. Magari sarebbe tornato indietro per far innamorare finalmente Candy di sé: nelle sue condizioni non si sarebbe certo ricordata cosa le aveva fatto patire in passato.

E, se non l'avesse amato, l'avrebbe manipolata, obbligata, finché non fosse diventata finalmente sua moglie. Le sue labbra, i suoi capelli, il suo corpo, tutto gli sarebbe appartenuto senza limiti.

Un sorriso lascivo s'incurvò sul viso diventando un ghigno famelico.

I passi frettolosi e i richiami di quella gallina di sua sorella interruppero i pensieri gradevoli e, quando la vide, agitata e con i capelli spettinati, capì che era successo qualcosa di molto grave. Strinse la mascella e chiuse la mano, ancora sulla carrozzeria, a pugno: "Cosa diavolo succede?", ringhiò cercando di non urlare.

"L'hanno... ucciso, vogliono... altri soldi", ansimò lei col viso sudato e rosso per la corsa.

Neal espirò tutto il fiato che aveva in gola e cominciò a sentire una pressione intollerabile alla testa, mentre le tempie presero a pulsargli al ritmo del suo cuore impazzito.
Avevano ucciso lo zio William? Chi? Come? Soldi? Ma loro non avevano assunto degli assassini!

Senza alcuna delicatezza, afferrò Eliza per le spalle e quasi la gettò in macchina, guardando con ansia le finestre della villa che davano sulla strada. Se li avessero visti, o addirittura sentiti, sarebbe stata la loro fine. Prima ancora di ascoltarla, doveva allontanarsi il più possibile da lì.

Incontrò gli occhi enormi e spaventati di Eliza e pregò che non avesse lanciato l'allarme mentre era ancora in casa: "Mi ha chiamato quell'uomo, Neal! La cameriera pensava...".

"Stai zitta!", sputò con i denti serrati, correndo al volante e mettendo in moto quella meraviglia che ora era diventata un semplice mezzo per non farsi scoprire seduta stante. Neal rilasciò la frizione troppo velocemente e il motore si spense. "Dannazione!", imprecò sbattendo una mano sul volante e riprovando.

Le ruote stridettero in protesta alla partenza veloce e lui sperò di non schiantarsi da qualche parte, accecato dal sudore, dall'adrenalina e dal terrore. Eliza emise un urlo quando, alla fine, inchiodò in una via di campagna pressoché deserta.

Si voltò allora verso di lei, che tremava e piagnucolava e di nuovo la prese per le spalle, scuotendola: "Chi hanno ucciso, lo zio? CHI?!", gridò con urgenza.

"N... no, lui è in c... carc....", riuscì ad articolare, inceppandosi.

Fuori di sé e determinato a farla parlare, Neal le mollò uno schiaffo, facendola urlare ancora. Con sua sorpresa, lei non si infuriò ma cominciò a piangere più forte, palesemente sotto shock. Questo lo rese ancora più cieco d'ira.

"CHI?!". La voce, alta e baritonale, non sembrava più nemmeno la sua. Il cuore gli martellava ancora più forte nelle tempie, facendogli temere che il capo sarebbe esploso.
Erano complici di un assassinio. Erano loro, adesso, quelli rovinati.

Eliza ansimava come se stesse per avere un attacco di cuore e le labbra le tremavano al pari del resto del corpo: "Il p... proprietario... d... della... di... distilleri...a". Ogni parola era un singulto e per un secondo Neal si preoccupò seriamente per la sorella. Non l'aveva mai vista in quelle condizioni. Non seppe nemmeno come stesse mantenendo la freddezza, anche se una spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco gli stava facendo venir voglia di vomitare.

"P... perché lo hanno fatto?", chiese combattendo contro un conato e grato per essere ancora seduto sul sedile. Le gambe gli erano diventate insensibili. Forse, a breve, sarebbe stato vittima dello stesso incidente che aveva avuto nella villa di Lakewood, dopo la lite con lo zio.

"Hai i pantaloni bagnati, ragazzo".

Eliza si portò una mano al petto e Neil pensò che sarebbe morta sul colpo prima di potergli parlare. Allora l'unico colpevole sarebbe stato lui. Voleva dirle di calmarsi, di respirare, ma stava lottando per inghiottire un sapore acido che gli bruciava la gola.

"Il... nostro contatto ha detto che era pericoloso... che all'udienza si è visto che mentiva. Temeva che... potesse confessare. Allora... lo hanno u... ucciso, ma hanno fatto in modo che... sembrasse un... incidente, gli hanno iniettato... non ricordo...Vogliono essere pagati... per questo o... diranno tutto!".

Con uno scatto improvviso, Neal si gettò fuori dalla macchina ed emise un verso strozzato e gutturale, rilasciando un fiotto bruciante che imbrattò la ruota anteriore della sua bella auto nuova. Sentiva i gemiti di sua sorella che piangeva alle sue spalle e vomitò di nuovo, inginocchiato a terra, con le mani affondate nell'erba umida e nel fango.
Quando il mostro che gli stava strizzando le viscere allentò la presa, Neal tentò di controllare la respirazione e si aggrappò allo sportello per tirarsi in piedi. Ricadde sul sedile, gettò la testa all'indietro e chiuse gli occhi davanti ai punti neri che gli danzavano davanti come mosche velenose pronte a cavargli le orbite.

Deglutì più volte, poi affrontò di nuovo Eliza, che sembrava sul punto di svenire, accasciata contro il sedile del passeggero. Valutò se schiaffeggiarla di nuovo ma ebbe pietà. "Credevo che avessimo a che fare con dei semplici trafficanti di alcoolici".

"Lo pensavo anche io, Neal!", disse con tono isterico, riprendendo colore all'improvviso. "Quando ho parlato con Molly non... non mi ha detto...". Il volto le divenne di nuovo pallido.

"Ma tu gliel'hai chiesto?!", ringhiò Neal posando di nuovo le mani sulle spalle della sorella senza alcuna gentilezza. Proprio come aveva fatto lo zio William a Lakewood.
Solo che lui cominciò a scuoterla piantandole le dita nella carne.

"Mi... mi fai male!", ora la sua voce era di nuovo stridula e spaventata.

"Glielo hai chiesto o no?!", urlò fuori di sé, maledicendosi per non aver provveduto di persona a quella parte del piano. Se quelle persone erano disposte a uccidere c'era solo un motivo.

E, se fosse stato vero, tanto valeva suicidarsi subito.

Rabbrividì a quell'eventualità e l'istinto di sopravvivenza ebbe la meglio, poi Eliza fugò anche l'ultimo dubbio. "No", ammise con il tono sbiadito di chi non ha più voce.

"Aahhhhh, dannazione! Merda! Stramerda!", gridò, fuori controllo, prendendo a pugni il volante, il cruscotto, lo sportello e desiderando prendere a pugni lei. Sputò parolacce e persino bestemmie fin quando ricominciò a vedere nero, allora si prese la testa fra le mani, respirando pesantemente come se stesse cavalcando una prostituta in uno dei bordelli di Miami.

Con la coda dell'occhio vide Eliza fissarlo con sguardo vacuo, le mani premute sulla bocca come quando Candy era caduta da cavallo. Alla fine, era riuscita ad uccidere davvero qualcuno, anche se in modo indiretto.

"Sono sicuramente della mafia", dichiarò con voce roca ma più ferma di quanto si aspettasse.

Interruppe il grido di Eliza con un altro ceffone, maledicendosi perché il segno sarebbe stato visibile e avrebbe dovuto coprirlo. "La colpa è tua, sorellina cara", le spiegò con voce tremante per la rabbia repressa, alzando un dito ammonitore: "Se ti fossi preoccupata di approfondire le cose con la tua amichetta, forse ci saresti arrivata persino tu, con questo cervellino bacato!", concluse piantandole quel dito sulla testa.

"Basta, mi fai male!", pianse lei rannicchiandosi.

Per un attimo, Neal si rivide ragazzino, vicino alla sorellina minore spaventata per un temporale. La sua mano, quella notte, si era allungata per farle una carezza e per indurla a dormire nel suo letto assieme all'orsacchiotto che stringeva al petto.

Quel ricordo di un'innocenza ormai perduta per sempre lo colpì come una pugnalata e Neal finalmente capì.

Capì perché le persone intorno a lui cercassero la rettitudine e l'amore. Capì perché Candy era così forte e generosa e perché, una notte, avesse difeso un essere spregevole come lui da un branco di delinquenti. Capì che amarla era l'unica cosa che l'avesse mai reso umano.

Ma, soprattutto, capì di essere perso per sempre.

Davanti agli occhi spalancati e pieni di lacrime di Eliza, Neal fu sommerso dall'onda potente del rimorso e si afferrò i capelli in un gesto disperato, singhiozzando in maniera penosa e cominciando a piangere come un bambino.

"Neal?", ora la voce di Eliza sembrava di nuovo quella di una bambina impaurita e, senza pensarci su, la strinse in un abbraccio che chiedeva conforto, perdono, pietà.

Dio, perdonami perché ho peccato. Non c'è redenzione per me.

Singhiozzò tra i suoi capelli sentendola irrigidirsi, desiderando solo di poter tornare indietro nel tempo e negli anni, quando erano ancora due ragazzini innocenti e potevano sistemare le cose.

Ora era troppo tardi.
- § -
 
George crollò sulla poltrona del suo studio con un sospiro pesante. Aveva bisogno di un attimo per ricaricare le energie o si sarebbe ammalato anche lui.

Nonostante la mole di collaboratori discreti che aveva, erano sempre troppo pochi per seguire la catena di eventi che si stavano verificando come piaghe, uno dietro l'altro.

Billy Gonzalez era morto e non avrebbe più testimoniato contro nessuno. Quindi non potevano sperare di convertire la sua vera versione a loro favore. Nonostante quella morte urlasse a gran voce che qualcosa non quadrava, le cause erano state dichiarate naturali: l'uomo, messo alle strette e rischiando a sua volta la prigione, si era semplicemente suicidato in un vicolo con una dose letale di droga.

Nessuno lo aveva visto. Nessuno sapeva perché si fosse presentato a Chicago per presenziare al processo senza la sua famiglia, che ora era distrutta e con un peso maggiore che gravava sulle spalle.

George tirò fuori un fazzoletto dal taschino della giacca e si deterse il sudore. Come minimo, lì c'era in ballo la mafia o qualche altra organizzazione che non si accontentava di smerciare alcool, ma pretendeva di prendere il controllo della malavita con meri atti di terrorismo. Mercenari che accrescevano il loro potere eseguendo con freddezza ed estrema efficacia ogni missione, in attesa di poter controllare il territorio.

Davvero i Lagan erano dietro ad affari così torbidi? Come potevano aver preso contatti con gente disposta ad uccidere? George cominciava a nutrire seri dubbi, nonostante le parole della signora Elroy: se davvero era così non sarebbe stato difficile smascherarli, grazie ai contatti che aveva nel Paese, ma cominciava a temere che Neal ed Eliza avessero solo mosso delle pedine pensando di avere il controllo e ora si ritrovassero con qualcosa di più grande di loro.

Era invischiata anche Sarah? Oppure persino Raymond? No, lui non aveva motivi per voler rovinare gli Ardlay.

"Ma, in nome del Cielo, quei due hanno sempre avuto tutto dalla vita e dalla famiglia, perché avrebbero commesso un'azione così deplorevole?", chiese alla stanza vuota, piegando la schiena fino a coprirsi il volto con le mani.

Durante gli anni, George Villers aveva dovuto affrontare molte difficoltà per dimostrare che era veramente degno della fiducia che il padre di William gli aveva dato un giorno. Ma, a parte eventi dolorosi come la morte di Rosemary e del giovane Anthony, il resto avrebbero dovuto essere meri compiti da eseguire per conto del patriarca che considerava come un figlio, o un fratello minore. Invece aveva dovuto occuparsi degli affari per conto suo e più di una volta era stato terribilmente preoccupato, mentre viaggiava da solo per il mondo: il momento peggiore era stato il periodo in cui, smemorato, aveva fatto perdere le sue tracce tanto che lo avevano dato persino per morto.
La cosa più azzardata che gli era capitata di fare era stata dover rapire la signorina Candy quando i Lagan, sempre loro, avevano deciso che doveva andare a vivere in Messico. E quello era stato uno degli ordini migliori che avesse avuto il piacere di eseguire: alla fine, lei aveva portato la luce in casa Ardlay e nel cuore solitario di William.
Con lei, dopo tante peripezie, era iniziato un periodo d'oro e con lei stava volgendo tragicamente al termine. Da quando era arrivato quel maledetto telegramma dove comunicavano per sbaglio la sua morte, era iniziato un declino vertiginoso e il destino si era accanito su tutti loro.

Un gemito pietoso gli sfuggì dalle labbra e lacrime bollenti gli ferirono le palpebre ancora chiuse dietro le mani.

Stava per crollare anche lui.

Un leggero bussare lo costrinse a ricomporsi in tutta fretta, respirare di nuovo a fondo e mantenere ferma la voce, cosa che gli riuscì a malapena: "Avanti".

Quando la porta si aprì e vide gli occhi spalancati e spaventati della cameriera che gli annunciava una telefonata dal carcere, George capì che le cose sarebbero peggiorate non appena avesse alzato la cornetta.
 
- § -
 
L'ora d'aria per lui era quasi una tortura.

Ogni volta che usciva fuori si sentiva come un uccello intrappolato in una gabbia di cemento. Poteva vedere le cime degli alberi, i tetti di alcune case e sentire il profumo del vento e della natura.

Tutto a portata di mano, ma irraggiungibile. Come Candy, come la felicità stessa.

Allungò la sua, di mano, socchiudendo gli occhi, appena conscio delle risate e delle parolacce degli uomini intorno a sé, e la portò al centro del sole, schermandosi con le dita appena aperte per lasciarlo filtrare: bastava chiuderle per non vederlo più.

"Albert, cosa ci facciamo qui?", chiese la voce triste di Archie, poco distante da lui.

"Aspettiamo la prossima udienza del processo. George si sta occupando di parlare con gli avvocati", rispose asciutto lasciando ricadere il braccio.

"Ma perché metterci dentro?! Non potevano lasciarci, che ne so, ai domiciliari?", ribadì, spazientito, superandolo e avvicinandosi al muro di cinta. Dietro di loro, gli altri detenuti scherzavano facendo battute oscene sulle donne, sui rampolli o sulle guardie. Oppure giocavano a palla lanciando imprecazioni.

"È come vivere costantemente nella strada. Colpevole o no, chi sta qui diventa come loro e perde ogni dignità assieme alle speranze. Forse dovrebbero prevedere dei piani di recupero perlomeno per chi commette crimini minori", commentò, cercando di eludere la risposta di Archie e di trovare una logica nel degrado che lo circondava.

Archie si girò con le mani in tasca e lo sguardo spaventato: anche lui aveva perso peso e nel completo a righe del carcere sembrava un bambino spaurito, invece che il brillante uomo d'affari che stava diventando quando lavoravano fianco a fianco. "Diventeremo come loro?", domandò con voce rotta.

Albert rimase per un attimo fermo a guardarlo e, nella sua mente, passarono come un treno in corsa le immagini degli ultimi anni della sua vita. Come era passato dallo stare in cima a una meravigliosa collina con la donna che amava, confessandole che era il suo adorato principe, a ritrovarsi in un carcere con abiti luridi e ridotto quasi alla fame?
Per anni aveva dovuto nascondersi e aveva anche rischiato grosso, come quando era stato sorpreso nella capanna nei boschi di Lakewood e gli avevano quasi sparato addosso, ignorando chi fosse davvero.

Ma mai, mai aveva perso l'integrità e la speranza. O la libertà.

Quell'Albert, ora, era stato piegato da eventi che sembravano volerlo spezzare una volta per tutte. La sua vita stava andando alla deriva senza che lui avesse più il controllo.

"Non lo so", rispose alla fine, non sapendo davvero che altro dire.

Non sopportando oltre lo sguardo disperato di suo nipote, s'incamminò verso la zona interna dove, in quella giornata di sole, non c'era nessuno. Archie non lo seguì e lui aveva così tanto bisogno di starsene per un po' da solo che capì troppo tardi il suo errore.

Albert intuì il pericolo prima ancora che l'uomo con i denti marci gli si avvicinasse, soffiandogli il suo alito mefitico sulla guancia: "E così tu sei il rampollo che cerca di farci concorrenza, vero?".

"Non so di cosa stai parlando", ribatté lui senza perdere la calma. Quella calma che con Candy credeva perduta per sempre l'aveva ritrovata lì, all'inferno. Forse aveva ragione Archie quando diceva che si era arreso, che non gli importava più di vivere.

Se solo Candy si ricordasse di me...

"Attento, biondino, non scherzare. Il mio capo diventerà presto molto più influente di te: e se io riesco a togliergli dai piedi i pesci piccoli come te, la sua gratitudine potrebbe tornarmi comoda, capisci cosa intendo?".

Lo scatto metallico gli arrivò alle orecchie forte e chiaro, mentre sentiva la mano dell'uomo vicina alla gamba. Da quelle parti doveva trovarsi l'arteria femorale.

"Non ti conviene uccidere un Ardlay. Potresti scoprire che io sono innocente e che ti sei messo nei guai con le tue stesse mani". Non credeva avrebbe avuto tanta freddezza a un passo dalla morte. S'impedì di pensare di nuovo a Candy.

Il malvivente rise con la faccia ancora attaccata al suo orecchio, mandandogli zaffate nauseabonde che gli fecero venire i conati: li trattenne a stento, stringendo i denti: "Innocente tu? Un morto non diventa innocente neanche se lo è davvero".

Fu un attimo.

Albert abbassò la mano sul polso dell'uomo e si girò per dargli una ginocchiata all'addome. Quello cadde a terra di peso e lui gli fu sopra, pronto a disarmarlo.

Ce l'avrebbe fatta anche contro gli altri tre uomini che erano spuntati all'improvviso se non fosse stato indebolito da mesi di preoccupazioni, digiuno e insonnia.

Non pensavo che sarei morto per te, Candy. Non così perlomeno.

L'istinto di sopravvivenza non gli permise di arrendersi tanto facilmente. Avrebbe venduto cara la pelle. Aveva due uomini che gli tenevano le braccia e un terzo sulla schiena e si scosse con violenza, scalciando per farli cadere a terra.

Non aveva le forze di una volta, il fisico era tragicamente troppo indebolito. Non era più il ragazzo vagabondo che faceva a pugni per difendersi. O per difendere un amico.

Terry. Prenditi cura di Candy.

Gli arrivò un pugno sullo zigomo e sentì l'osso incrinarsi. Grugnì di dolore, impedendosi di urlare per mero orgoglio. Restituì il favore mirando al sopracciglio. Si voltò velocemente per assestare un calcio, ma aveva il fiato corto.

L'uomo a terra intanto si era alzato e rideva a crepapelle, col coltello stretto in mano: Albert lo tenne d'occhio mentre cercava di difendersi dagli altri come poteva.
Qualcuno lo prese per un braccio e lui contrasse i muscoli per non perdere l'equilibrio e caricare un destro, ma un dolore lancinante e acuto lo investi alla gamba destra, bloccando lo slancio. Albert inciampò sui propri piedi mentre guardava a sinistra e vedeva il primo malvivente con l'arma ancora in mano, che rideva più forte.

Sbatté le palpebre, mentre la vista gli si appannava e sentiva un liquido denso e caldo colargli lungo la coscia.

"Io non ti ho fatto niente, ho seguito il tuo consiglio!", lo beffeggiò mostrandogli la lama bianca e scintillante.

Mentre cadeva a terra, udì un rumore come di risucchio e il dolore gli ottenebrò il cervello, costringendolo a gridare. Ebbe appena il tempo di vedere uno dei tre aggressori brandire un secondo coltello, vermiglio e brillante, lordo del proprio sangue.

Ma no, non lo stava brandendo: lo stava riponendo in una sacca mentre faceva cenno agli altri di ritirarsi.

"V... gh...", che stava per dire? La vita gli scorreva via a fiotti, le tenebre lo stavano già avvolgendo. Il corpo cadde sdraiato da solo, senza che lui sentisse altro che un fuoco bruciargli la gamba e il fianco.

Dopotutto, avrei voluto vederti ancora una volta.

Liquido sulla gamba, liquido sulle guance, brividi.

Ho freddo. Rosemary? Posso avere una coperta in più?

"Ca... ndy...", udì dalla propria voce prima di arrendersi all'oblio.
   
 
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