Anime & Manga > The Seven Deadly Sins / Nanatsu No Taizai
Ricorda la storia  |      
Autore: Wolly    19/07/2021    0 recensioni
[ALLARME SPOILER! - Gli eventi di questa fanfiction si svolgono temporalmente tra il capitolo n. 257 e il n. 258 del Manga (non guardo più l'Anime, ma so che - indicativamente - questi capitoli fanno parte della stagione 5). Ho scritto questa storia anni fa, quando sono stati pubblicati questi capitoli... quindi, questa fanfiction, non tiene conto degli eventi successivi al capitolo 258! E, da un certo punto di vista, potete considerarla come un AU.]
I Sette Peccati Capitali sono finalmente riuniti e la minaccia dei Dieci Comandamenti incombe su di loro.
Arthur è morto tra le braccia di Merlin, ma la salvezza di Britannia dipende da loro, e lei non può mostrarsi debole proprio ora... anche se ha perso la persona più importante della sua vita.
Riuscirà Escanor far breccia nel suo dolore?
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Escanor, Merlin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
NOTE DELL'AUTRICE:
 
Questa storia è il seguito dell'altra mia fanfiction "The Brighter Star" (ma possono anche essere lette separatamente).
 
A differenza di "The Brighter Star", questa fanfiction ha un rating più alto: è un cupcake sexy, guarnito di panna angst! ♥
Come sempre, ho fatto del mio meglio per descrivere i personaggi il più possibile CANON. (Forse ho indugiato un po' di più nell'oscurità interiore che vedo in Escanor...)
 
Sappiate che ho scritto questa fanfiction nel novembre 2018, in un momento molto speciale della mia vita.
Un periodo molto triste, in cui solo la scrittura poteva aiutarmi... in cui la scoperta di questo manga - "I sette peccati capitali" - mi ha aiutato molto, a distrarmi e ad evadere dalla mia vita.
 
Spero che questa mia oneshot vi piaccia, e per favore fatemi sapere cosa ne pensate… ♥
 
​-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
 
Che razza di male è questo?
[…] Il mio cuore avvampa
sino ad impazzire.
Un rivo di fuoco ribolle
in fondo alle viscere
e corre nascosto per le vene
come l’agile fiamma per l’alte travi.

(Seneca, “Fedra”)

---

Sono ossessionato dal bacio che non avresti mai dovuto darmi.
Il mio cuore batte, sperando che quel bacio non diventi una cicatrice.

(Antico poema d'amore Jedi)
 
 
 
ESCANOR POW

 
Ho fatto un casino.

Osservo il mio volto insaponato riflesso allo specchio, provando biasimo e pena per quest’uomo dagli occhi tristi.

Ho rovinato ogni cosa.

Le mani mi tremano dalla voglia repressa che ho di colpirmi. Sono costretto ad inspirare ed espirare a fondo e ripetutamente per calmarmi quanto basta a finire di radermi.
Mi taglio accidentalmente in più punti con il rasoio, ma non importa. Non sento niente. Nulla ormai ha più importanza.

Pervaso da un senso di disgusto del tutto inusuale per la mia forma diurna, distolgo lo sguardo dalla mia immagine riflessa ed inizio a vestirmi come un automa anche se, in questo momento, vorrei solo scomparire, anziché perder tempo a rendermi “presentabile”.

Non merito nulla.

Immediatamente mi cade lo sguardo sulla giacca della mia nuova divisa.
Un tuo dono. Forse l’ultimo.

La sfioro con dita reverenziali, lisciando il tessuto pregiato e gli inserti in pelliccia. Si tratta di un’opera di pregevolissima fattura, perfetta non solo dal punto di vista dell’estetica sartoriale, ma anche - e soprattutto - per gli incantesimi di cui è intrisa. Accarezzo malinconico le lingue di fuoco ricamate in fili d’oro e di rame sulle maniche, che alla luce del Sole sembrano prender vita e bruciare realmente.

È chiaro che questo modello è stato pensato e ideato esclusivamente per il sottoscritto. Il dorso della giacca è persino ornato da una fedele riproduzione del mio tatuaggio: il ruggente Leone della Superbia. Anche la cintura e gli stivali che completano la divisa sono adorni dell’effige gloriosa del Sole, in mio onore.

Mi chiedo se potrai mai perdonarmi…

Non posso lasciare che la cupa disperazione prenda il sopravvento. Non oggi, non alla vigilia della battaglia per la riconquista di Camelot. Farò quanto è in mio potere per estirpare il Male che l’infesta e consegnarti le chiavi della città.

…se solo servisse ad alleviare le tue pene.

Non ne posso più. Mi sento soffocare chiuso tra queste quattro mura e decido, per alleviare la morsa che mi attanaglia il petto, di uscire all’esterno per respirare un po’ d’aria fresca.
Raggiungo così, a passo di marcia, l’ombra di una giovane quercia nei pressi del “Boar Hat”, e sospiro, afflitto.

Tutto è cambiato tra di noi, nel giro di un giorno, nel giro di poche ore… poche ore sono bastate a distruggere un’amicizia di anni e mandare le mie speranze in frantumi.

Solo ieri l’erede al trono di Camelot, Arthur, è morto tra le tue braccia. Hai fatto di tutto per cercare di salvarlo e, quando ormai il colore aveva abbandonato quel giovane volto, ti sei chiusa nel tuo dolore, arroccandoti nelle tue stanze. Allora ti ho raggiunta al piano di sopra, spinto dal desiderio di esserti di conforto, ed ho udito il suono inconfondibile della tua voce dall’interno della camera:

«Arthur, non dovevi mostrarmi un mondo che non avevo mai visto prima?» ti ho sentita chiedere con una tale malinconica dolcezza da spezzarmi il cuore.
«Dov’è la tua anima adesso? È ancora di fronte ai miei occhi?» hai poi continuato in quelle tue tristi riflessioni a voce alta.

Il bisogno di starti vicino era soverchiante, ma sapevo che la situazione richiedeva un’attenzione estrema ed il “tatto” non è mai stato una delle migliori qualità del mio Alter Ego diurno. Così sono rimasto bloccato con la mano a mezz’aria prima di bussare alla tua porta, ripetendo come un mantra le parole di condoglianze che mi ero ripromesso di dirti.

Sapevo di essere stato sgradevole negli ultimi giorni, a causa della mia sconfinata gelosia.

Sapevo di essere stato oltremodo crudele, nel mio osteggiarti… nel mio sminuire la gravità della situazione, quando invece avrei dovuto solo supportarti nella ricerca di Arthur.

Ignara della mia presenza fuori dalla tua stanza hai proseguito nel tuo soliloquio: «E’ ancora nel tuo corpo? O…» a questo punto ho percepito il tremito nella tua voce «…o la tua anima ed il tuo sangue sono forse già stati assorbiti all’interno della Spada Sacra, al fianco di quelle degli innumerevoli Eroi che vennero prima di te? Excalibur ha già iniziato a decidere chi sarà il prossimo tanto meritevole di brandirla?» hai concluso, ogni parola intrisa di dolore infinito.

Adesso o mai più. Ho pensato in quel momento.
Dovevo bussare subito, dovevo mettere da parte i miei sentimenti e farti sapere che in questo tragico momento ti sarei stato accanto, che avresti potuto fare affidamento su di me… ma ho vacillato: la mia mano ha esitato un secondo di troppo, con il pugno levato e tremante, senza trovare la forza di bussare.

È impossibile mentire a se stessi, ed io sapevo bene che dietro le mie parole di cordoglio si celava comunque un velo d’ipocrisia. Non ero realmente interessato alla morte del ragazzo perché… perché semplicemente, nella mia forma diurna, il mio mondo ha solo due dimensioni: te e me.

Dovevo prendere il coraggio a due mani e dirti quello che provavo, farti sapere che qualsiasi cosa sarebbe successa sarei stato sempre al tuo fianco. Poi, d’improvviso, in modo del tutto inaspettato, ho udito un’altra voce dall’interno: non eri sola, Elizabeth mi aveva preceduto!

«Arthur era una persona davvero insostituibile per te, vero?» ti ha chiesto la principessa ed io ho sentito il mio cuore incrinarsi a quell’affermazione.
«Proprio come Meliodas per me…» ha concluso piano Elizabeth, piantando uno stiletto nel mio petto fino all’elsa.

Ti prego di’ qualcosa… non può essere vero! Ho pensato, sentendo la terra franarmi sotto i piedi.

Ma tu hai taciuto ed io mi sono allontanato… sconfitto.

«Come poter competere con l’“insostituibile”?» ho ringhiato tragicamente ironico.

Non c’è alcun posto per me al tuo fianco… Ho realizzato e, pur avendolo sempre saputo, non è che facesse per questo meno male.
Neanche la mia Superbia poteva proteggermi in quel momento.

E sono tornato al piano di sotto, ciondolando fino ad uno degli alti sgabelli di legno, per abbandonarmi ricurvo sul bancone.

La sala comune del “Boar Hat” era avvolta in un grave silenzio, carico di tensione. Era evidente che anche tutti gli altri nostri compagni fossero rimasti scossi dalla morte del principe di Camelot, avvenuta poco prima in quella stessa stanza, sotto i nostri occhi impotenti.

Nessuno sembrava essere in vena di chiacchiere e la mia tetra aura era riuscita a tenere a distanza persino Hawk che - dopo essere rimasto alcuni secondi a fissarmi come sul punto di dire qualcosa - aveva sospirato affranto, allontanandosi con uno scalpiccio di zoccoli.

Del tutto disinteressato al resto del mondo ho puntellato i gomiti sul bancone, per poi premere la fronte sulle mani, restando a fissare a lungo il piano ligneo del banco con occhi vacui, senza realmente vederlo.
E, con un riso amaro, ho pensato che in quella postura – ironia della sorte – ricordavo te quando, solo poche sere prima, sotto il mio sguardo preoccupato, eri rimasta seduta in quello stesso posto rigirando un bicchiere tra le mani per ore, con un’aria di cupo sconforto sul viso, chiaramente preoccupata per il tuo pupillo.

Come volevasi dimostrare, anche a dispetto del mio dolore, eri comunque al primo posto nei miei pensieri ed io non potevo fare a meno di preoccuparmi per te. Sperai che almeno Elizabeth sapesse trovare le parole giuste per lenire il tuo cuore affranto…

Ma in quel momento sono stato strappato alle mie cupe elucubrazioni dall’inconfondibile rumore del tuo incedere, accentuato dai tacchi degli stivali.
Mi sono girato di scatto in direzione delle scale e ti ho vista mentre discendevi con le movenze imperiosamente eleganti che ti contraddistinguono.

L’orlo della tua veste fluttuava morbidamente alle tue spalle - come le ali di un corvo - ed il tuo bel volto era adorno di un’espressione di volitiva determinazione.
Che visione. Ho pensato, mentre raggiungevi il piano terra, con Elizabeth al seguito e la Sfera Magica che fluttuava al tuo fianco.

I tuoi occhi hanno cercato subito i miei, attraverso la stanza: «Dobbiamo andare.» hai detto, semplicemente, incamminandoti verso la porta.

Non era un ordine, ma un dato di fatto.

Inutile dirlo, sapevi già che ti avrei seguita, come è sempre stato. Hai sempre potuto fare affidamento su di me.

L’unica volta in cui mi sono opposto ad una tua decisione, l’unica volta in cui non ho voluto prestarti orecchio per organizzare il raid alla volta di Camelot… sappiamo benissimo quali siano stati i disastrosi esiti della mia presa di posizione.

Dopo aver attraversato la porta della taverna, uscendo all’aria aperta, hai richiamato subito l’attenzione dei nostri compagni, esclamando in tono fermo e deciso: «King! Diane! Restate di guardia alla “Boar Hat”: che nessun si avvicini al mio laboratorio o ad Excalibur. Abbiamo una guerra da pianificare!» hai concluso, con la grinta che ti contraddistingue, dando dimostrazione di una forza d’animo fuori dal comune, considerato il terribile lutto che ti aveva colpita.

«Ricevuto!» hanno risposto prontamente ed all’unisono l’Orso dell’Accidia ed il Serpente dell’Invidia.
Gli occhi di quest’ultima hanno indugiato a lungo sul tuo volto, prima che la gigantessa levasse una mano, in segno di saluto: «Siate prudenti…» ha aggiunto Diane, premurosa come sempre.

«Forza!» hai dunque esortato rivolta ad Elizabeth e me, aprendoci il passo alla volta del castello di Lyonesse: «Non mi permetterò di perdere nessun’altra persona a me cara!»

Ed allora il mio cuore si è stretto in una morsa al pensiero che, fra tutti, potessi imputarti qualche responsabilità per la morte prematura di Arthur, quando invece tu sei stata l’unica a rischiare la tua stessa vita per cercare di salvarlo.

L’unica cosa che ora potevo fare per te era aiutarti ad ottenere vendetta.

Giunti a palazzo reale, al cospetto dei nostri alleati, hai condotto la riunione in modo impeccabile, palesando così le tue indiscusse doti di stratega.

Insieme ai vertici di stato ed a tre dei Quattro Arcangeli del Clan delle Dee abbiamo definito la nostra strategia offensiva e la suddivisione delle truppe che, il giorno seguente, avrebbero dovuto essere pronte e schierate all’attacco, in una lotta contro il tempo. Il termine mortale della maledizione di Elizabeth era ormai prossimo, mancavano solo due giorni prima che la sciagura si abbattesse su di lei. Avremmo liberato Camelot, recuperato il Capitano Meliodas e distrutto, una volta per tutte, la minaccia dei Comandamenti rimasti.

All’imbrunire siamo rientrati al nostro quartier generale e ti sei ritirata subito nelle tue stanze.

Non ti abbiamo più vista, neanche a cena.

È scesa la notte con quello che comporta: al turbamento emotivo si è sommata anche la debilitazione fisica del mio corpo che, quando scompare il Sole, è di per sé già abbastanza gracile; se consideriamo poi che sono da poco sopravvissuto ad uno scontro mortale con il Capitano Meliodas... non c’è da stupirsi che non mi sia ancora ripreso del tutto.

Ho fatto fatica a prender sonno perché continuavo a pensare a te, immaginandoti sola e affranta nella tua stanza, o in malinconica veglia accanto alla salma di Arthur nel tuo laboratorio, rigirandomi nel letto come un’anima in pena, spesso scosso da colpi convulsi di tosse.

Ho dormito in modo agitato e discontinuo e, come se non bastasse, quando al mattino i primi raggi del Sole nascente hanno inondato la mia stanza, mi sono svegliato di soprassalto perché nella crescita smodata del mio corpo e della mia forza, ho finito con lo sfondare accidentalmente la spalliera ai piedi del mio letto.

La struttura è collassata malamente su se stessa ed io sono rimasto a fissare il soffitto ad occhi sbarrati, con il materasso franato a terra. Non riuscivo neanche ad arrabbiarmi… sono rimasto a scrutare l’iperuranio con sguardo spento, cercando solo la forza di alzarmi per “salutare il nuovo giorno”.

La mia vita fa schifo. Ho pensato, mettendomi stancamente a sedere, ed i miei occhi si sono alla fine posati su degli indumenti, ordinatamente ripiegati sulla mia scrivania.

Sono balzato in piedi, con la fluida agilità del mio corpo diurno, raggiungendo in due ampie falcate quegli abiti. E mi è bastata un’occhiata più da vicino per comprendere: la mia nuova divisa.

La migliore in assoluto! Ho pensato compiaciuto, rigirando tra le mani quella giacca pazzesca e tutti gli accessori in coordinato ed adorni dei miei simboli vitali: il Sole e il Leone della Superbia.

Li avrei indossati con orgoglio.

Come in passato hai sempre avuto il vezzo di fornirci di abiti magici pensati appositamente per le nostre esigenze in battaglia, primo fra tutti il fattore rigenerativo della stoffa.

Un sorriso malinconico si è aperto sulle mie labbra perché, a dispetto di tutto, ancora una volta con quel piccolo, immenso gesto dimostravi di tenere a me… come compagno d’armi, o forse - addirittura - come amico e, perché no, come confidente.

Con questa rinnovata determinazione ho deciso che il fatto che tu non mi volessi allo stesso modo in cui io ti voglio, non mi avrebbe impedito di starti accanto e di esserti di conforto comunque.

Venti anni fa ho deciso di seguirti ed oggi, come allora, decido di restare al tuo fianco.
La mia vita è consacrata a te.

Sono sceso di sotto con un pizzico di ottimismo in più rispetto al mio umore del risveglio - complice forse anche il Sole crescente delle prime ore del giorno - ed ho fatto colazione con gli altri, aspettandoti, ma la tua sedia è rimasta desolatamente vuota ed il tuo posto apparecchiato.

Ho quindi deciso di portarti qualcosa nelle tue stanze… era il minimo che potessi fare per te! Ed Elizabeth, premurosa come sempre, mi ha dato una mano a sistemare le pietanze su di un vassoio.

Poco dopo ho bussato alla tua porta, certo che tu fossi già sveglia.

«…sì? Chi è?» hai detto.

«Sono Escanor, sto entrando.» ho risposto aprendo subito la porta. Forse non uno dei miei gesti più cavallereschi ma, data la “fortuna” avuta le ultime due volte in cui avevo raggiunto quella stessa soglia per “tentare” di raggiungerti e darti una mano… ritengo che il mio impeto fosse più che giustificato!

«Ti ho portato qualcosa da mangiare.» ho aggiunto, muovendomi con disinvoltura in quello spazio noto, andando a depositare il vassoio su di un tavolo sotto la finestra.
«E volevo ringraziarti anche per la divisa, è semplicemente superba… non vedo l’ora d’indossarla!» ho proseguito, caricando volutamente sul mio entusiasmo e sulla leggerezza delle mie parole, per poi incrociare le braccia in petto ed appoggiarmi contro la parete, in una posa statuaria.

Tu non hai detto niente, anche se di solito amavi molto i complimenti sulle tue creazioni sartoriali…

Ti ho osservata, mentre stavi seduta sul letto sfatto, ed ho deglutito nel notare che indossavi solo uno dei tuoi body, faticando a mantenere lo sguardo fisso in territori “neutrali”: il profondo scollo a cuore metteva in spettacolare risalto il tuo décolleté, le tue gambe affusolate si offrivano liberamente alla vista e parevano lunghe chilometri, il colore blu notte del costume creava un sublime risaldo con la tua pelle d’alabastro, infondendo riflessi notturni anche ai tuoi capelli corvini.

Stavo per aggiungere qualche altra amenità, nel disperato tentativo di instaurare una qualche conversazione per restare un po’ più a lungo in tua compagnia e non rimanere semplicemente zitto a divorarti con gli occhi… ma tu tacevi, con il capo chinato in avanti, senza guardarmi.

Ed è allora che ho notato una serie di altri particolari: le spalle ricurve, come chi portasse un peso troppo gravoso… lo sguardo malinconico, perso in contemplazione del vuoto, in direzione della finestra… l’espressione afflitta sul tuo viso dall’incarnato lunare…

«Merlin… come stai?» ti ho chiesto preoccupato, ma la mia domanda si è persa nel silenzio.
«Merlin?» ho tentato ancora e tu hai sollevato stancamente il capo: «Va tutto bene.» hai risposto.
«Va tutto bene.» hai ripetuto una seconda volta, come cercando di convincere anche te stessa, ma la tua voce ha tremato.

«Non hai bisogno di mentire con me!» ti ho detto di getto ed è allora che hai sollevato gli occhi al mio viso e sono rimasto trafitto dalla luminosa, tormentata profondità del tuo sguardo. Mi hai osservato a lungo, senza dire niente, con un’espressione di tale rimpianto che ho sentito il mio cuore serrarsi in una morsa.

Le tue labbra hanno assunto allora una piega amara: «Se solo tu sapessi...!» hai risposto alla fine, affranta, mentre i tuoi occhi si facevano di secondo in secondo più lucidi.

«Perché non provi a parlarmene…?» ho osato chiedere, cercando di tenere aperto questo spiraglio tra di noi: «Sono qui per te, non voglio altro che aiutarti!» ho aggiunto, sperando di far breccia nel tuo riserbo.

«Vorrei… che fosse così semplice…» hai mormorato con voce rotta, mentre il tuo corpo veniva scosso da un tremito improvviso e l’enormità di quello che stava succedendo mi ha travolto.

«Stai piangendo…?!» per quanto potesse suonare sciocca, questa domanda è sfuggita alle mie labbra, in una chiara esternazione del mio profondo sgomento. Mi sono precipitato al tuo capezzale, ho puntato un ginocchio a terra per avvicinarmi a te, e ti ho guardata negli occhi.

Tu hai levato una mano a sfiorarti la guancia e, con un tale tremulo sorriso da farmi stringere il cuore, hai asciugato via quella singola lacrima: «Già, sembra che ultimamente mi capiti un po’ troppo spesso… è successo anche ieri notte, con Elizabeth. Dovete scusarmi tutti quanti, sto diventando orribilmente emotiva. Una vera piagnona.» hai replicato nel tentativo di alleggerire la tensione… con ben scarsi risultati.

Un’altra lacrima traditrice è sfuggita dall’intreccio delle ciglia, andando a morire sulle tue labbra e tu hai voltato il capo di scatto dalla parte opposta, per nascondermi questa tua improvvisa fragilità: «Dammi un minuto Escanor. Ti raggiungo di sotto. Abbiamo solo poche ore prima dell’adunata fuori dalle mura.» hai detto innalzando le tue difese e cercando di allontanarmi per tagliarmi fuori, ancora una volta, dalla tua vita.

Al diavolo l’adunata! Come se mi fosse possibile lasciarti qui – così - in questo stato: da sola, a piangere… per lui. Ho pensato e non ho potuto più trattenermi… la mia mano è scattata d’impulso, fuori controllo, come animata di vita propria.
Ti ho preso il mento fra le dita, obbligandoti a girarti, perché ti mostrassi a me – senza imbarazzo – così com’eri: con le guance arrossate e gli occhi umidi di pianto.

Bellissima. Ho realizzato, con il cuore straziato da questo mio sentimento d'amore non corrisposto.

Come sempre anelavo di poter conoscere ogni aspetto del tuo essere, non volevo che ti vergognassi in alcun modo di quella tua momentanea “debolezza”, perché ti rendeva anzi ai miei occhi più umana e perfetta.

La tua fragilità alimentava il mio desiderio di proteggerti a tutti i costi contro il resto del mondo.

Stupita da quel mio gesto non hai reagito, mi hai solo scrutato di sottecchi, con le sopracciglia graziosamente corrucciate ed i tuoi occhi feriti che apparivano ancora più chiari e luminosi a causa delle lacrime.

Forse stavo osando troppo, ma non mi importava: ero pronto a pagare le conseguenze della mia Superbia.

«Non nascondermi le tue lacrime.» ti ho detto, lasciando scivolare le mie dita in una carezza e, sorprendentemente, tu non ti sei ritratta… anzi, ti sei fatta incontro al mio tocco, premendo la guancia umida di pianto contro il palmo della mia mano, accogliendo quella mia tenerezza.

«Qualsiasi cosa succeda io sarò sempre al tuo fianco e asciugherò le tue lacrime.» ho mormorato teneramente, per poi sollevare anche l’altra mano ad incorniciare l’ovale perfetto del tuo viso. Ho disegnato allora due archi gemelli sulle tue guance con i pollici - cancellando via così le tracce del pianto - e mi sono chinato a premere le labbra sulla tua fronte, sigillando quella promessa con un casto bacio.

A quel gesto ardito hai esalato un’esclamazione di sorpresa, per poi reclinare di scatto il capo all’indietro e guardarmi direttamente negli occhi, con una muta domanda nello sguardo.

Conscio con ogni fibra del mio essere della tua vicinanza, sono rimasto perfettamente immobile ed ho trattenuto il fiato con il cuore in gola, sotto l’attento esame delle tue iridi che mi scrutavano, liquide e brucianti come pozze gemelle d’oro fuso, temendo – anzi, sapendo - di aver osato troppo.

Tu apparivi sconvolta. Avvertivo la carezza del tuo respiro spezzato sul mio volto ed ho temuto che - a quella distanza ravvicinata - tu riuscissi persino a sentire il battito frenetico del mio cuore.

Nella muta contemplazione del tuo viso ancora racchiuso tra le mie mani, ho percepito qualcosa di caldo nei tuoi occhi ambrati e, di riflesso, per un folle istante, ho abbassato lo sguardo alle tue labbra. Le tue splendide labbra, che in quell’istante erano teneramente dischiuse, desiderabili, raggiungibili…

Dovevi aver compreso le mie intenzioni perché ti ho sentita tremare tra le mie dita – come una scossa elettrica tra di noi - ed io ho saputo di essere irrimediabilmente perduto.

«Escanor…» hai mormorato, nel più dolce dei richiami, al quale non ho potuto in alcun modo sottrarmi. E quel sussurro si è infranto sulle mie labbra che, in un anelito, hanno sigillato le tue nel più tenero dei baci. Ho chiuso gli occhi, assaporando questo momento valso l’attesa di una vita intera, perdendomi nel tuo profumo e nella morbidezza della tua bocca.

Un istante di eterna perfezione… infrantosi contro la dura realtà: ero certo che mi avresti respinto.

Ti ho sentita sussultare e, ridestandomi da quel dolce torpore, mi sono ritratto di scatto, incredulo per le mie stesse azioni sconsiderate, conscio che ci sarebbero state delle conseguenze.
Chiesi a me stesso, con biasimo, come avessi potuto approfittare di quel tuo unico momento di fragilità…

«Perdonami, non so che cosa mi sia pres-…!»

Non ho potuto finire la frase perché - anziché respingermi come avevo temuto - mi hai attirato a te, cingendomi le spalle con dolce prepotenza, mentre le tue dita risalivano febbrili, intrecciandosi tra i miei capelli, come teneri viticci d’edera. E, inaspettatamente, ti sei abbandonata contro di me, baciandomi a tua volta con una passione che non avrei mai osato immaginare neanche nei miei sogni più segreti.

Ho accolto il tuo tenero, glorioso assalto con una resa incondizionata, lasciando che approfondissi il bacio a tuo piacimento e, quando finalmente ho percepito la carezza della tua lingua vellutata contro la mia, ho creduto di impazzire.

Ti ho sempre paragonata alla luce del Sole – irraggiungibile - ma, in quell’istante, eri come un fiume di lava incandescente ed inarrestabile, dal quale non desideravo altro che lasciarmi consumare.

Ti sei stretta a me, con forza, cingendo il mio collo fra le tue esili braccia, mentre mi attiravi sul tuo letto, premendo il tuo corpo sinuoso contro il mio. Ho risposto con ardore al tuo abbraccio, nell’impeto della passione, desiderando schermarti dal mondo intero e custodirti tra le mie braccia come il più prezioso dei tesori.

In un fluido movimento, quasi fossimo una sola mente e un solo corpo, mi sono lasciato andare all’indietro sulle coperte, sdraiandomi sul tuo letto. Tu mi hai seguito e - di slancio – sei salita a cavalcioni sopra di me, senza staccare un solo istante la tua bocca esigente dalla mia.

Arso! Vinto! Conquistato! Ero tuo con ogni fibra del mio essere.

Alla sensazione improvvisa della tua morbidezza sopra di me e delle tue gambe nude, strette attorno al mio costato, mi è sfuggito un ringhio d’eccitazione selvaggia.

Sull’onda della passione, d’impeto ho affondato le dita nei tuoi capelli, obbligandoti ad inarcarti mentre mi sollevavo per prendere possesso della tua gola, ridisegnando con baci febbrili il tatuaggio del Cinghiale – come avevo desiderato di fare in un milione di occasioni – strappandoti un gemito di sorpresa e piacere.

Il più soave dei suoni.

Ho sorriso vittorioso contro la dolce curva della tua spalla, per le reazioni meravigliose del tuo corpo, inspirando liberamente il tuo profumo, senza averne mai abbastanza.

Mia. Solo mia. Ho pensato vittorioso, ebbro di te, tornando alle tue labbra per un languido, umido bacio, tenendoti stretta.

Poco dopo hai piantato risolutamente le mani sul mio petto, per staccarmi da te e spingermi di nuovo giù, supino, puntellando i palmi sui miei pettorali di marmo, con urgenza.

Senza comprendere da principio le ragioni di quell’interruzione improvvisa ho guardato in su, alla Dea sopra di me che, con occhi incandescenti, mi stava osservando senza proferire verbo. L’Unica al mondo che possa domare la mia Superbia, l’Unica che possa scrutarmi liberamente dall’alto, l’Unica che io stesso pongo al di sopra di me.

Ormai domo, ti consegno con gioia le chiavi delle mie catene.
Ho pensato e ti ho osservata mentre lasciavi vagare liberamente lo sguardo compiaciuto su di me, lungamente assorta, con le labbra tumide e ansanti. Mi sono chiesto cosa stessi pensando - ma senza osare interromperti - beandomi a mia volta, in quel momento, della rara visione del tuo volto sconvolto e graziosamente arrossato.

Ed allora finalmente ho capito che anche tu, come me, riuscivi… a vedermi. Che anche tu forse desideravi scoprirmi, come io anelavo di conoscere ogni sfumatura del tuo sguardo e del tuo sorriso.

E ti piace quello che vedi. Ho realizzato, in estasi, leggendo finalmente con chiarezza la passione nei tuoi occhi, percependo la pressione possessiva delle tue dita contro il mio petto. Sentirmi voluto e desiderato da te era una sensazione inebriante e totalizzante di onnipotenza.

«Aspetta…» ti ho detto, prendendo le tue mani nelle mie per portarmele alle labbra, ed ho depositato un piccolo bacio sulle nocche, prima di allontanarle dal mio corpo.

Allora - posseduto da tutta la sfacciata sicurezza del Sole - ho afferrato i lembi della mia maglietta, sollevandomi quanto bastava per sfilarmela di dosso, e restare così a torso nudo.
Ho lanciato l’inutile indumento in un punto imprecisato della stanza, tornando a sdraiarmi con un sospiro compiaciuto, levando le braccia sopra il capo per stirarmi sotto di te e mettermi in mostra con studiata lentezza – come un grosso felino – facendo contrarre in simultanea ogni prepotente muscolo del mio corpo.

Come speravo tu hai seguito ogni mio singolo movimento con occhi rapaci, mordendoti il labbro inferiore come di fronte a qualcosa di appetibile.

Con un sorriso di trionfo ho afferrato le tue mani e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, le ho condotte nuovamente al centro del mio petto affinchè potessi riprendere a toccarmi, venendo percorso da una subitanea ondata di prepotente eccitazione nel sentirle ora a diretto contatto della mia pelle nuda.

Che incauto: nel sedurti… ero a mia volta stato sedotto.

Tu devi aver intuito qualcosa perché hai ricambiato il mio sguardo e, questa volta, sei stata tu a sorridermi con un pizzico di malizia. Hai socchiuso le palpebre, senza distogliere per un solo istante i tuoi occhi dai miei, ed hai iniziato una dolce tortura, accarezzandomi con calcolata lentezza e con le tue soavi dita - delicate come ali di farfalla - ma capaci di lasciare solchi roventi lungo i miei addominali contratti.

Anelando disperatamente ad un maggiore contatto fisico, ma volendo comunque portare avanti questo piacevole gioco di provocazioni, ho cercato di farmi venire una qualche idea brillante… ma era assai difficile pensare in modo “lucido e coerente” con le tue adorabili dita che mi distraevano, disegnando figure astratte sulla mia pelle, e mentre tutto il sangue del mio corpo stava prepotentemente defluendo ai “piani bassi”.

Poi ho avuto un’illuminazione: «Hai paura che possa rompermi?! Un po’ più di energia per favore!» [1] ho esclamato, sornione.

Nell'udirmi tu ti sei bloccata di colpo e, purtroppo, non sono riuscito a restare serio come avrei voluto di fronte alla tua espressione interdetta.

«Beh, chi ti ricordo?» ti ho chiesto allora, con aria scanzonata.

«Mh?!» hai replicato perplessa, aggrottando la fronte… poi un lampo d’improvvisa comprensione ti ha attraversato lo sguardo, e sei scoppiata a ridere nel riconoscere la citazione di una tua certa battuta, proferita non molti giorni prima, durante un certo massaggio in una certa vasca da bagno.

Abbiamo riso complici nella spontaneità del momento, e tu hai proteso le mani come ali di gabbiano - risalendo con studiata disinvoltura dallo stomaco fino alle mie spalle – per adagiarti nuovamente sopra di me, fermandoti ad una spanna dal mio viso: «Oltre che “cavaliere”, “poeta”, “taverniere” e “massaggiatore”… oggi abbiamo qui anche “Escanor il faceto”? Ho sempre pensato che fossi un uomo pieno di risorse!» mi hai detto con voce suadente, incrociando le braccia sul mio petto.

«Venga messo agli atti: il lavoro che preferisco è però quello del massaggiatore.» ti ho risposto, scherzosamente, con il cuore traboccante di gioia per questo momento di rara spensieratezza.

Sono questi gli effetti dell’Amore? Questa è la felicità? Ho pensato, ebbro di esultanza.  

E anche tu sembravi così felice. Sinceramente felice. Finalmente serena. Come se la disperazione di poco prima fosse ormai solo un lontano ricordo. Eri lì, con me.
Io ero la causa del rinnovato sorriso sulle tue labbra. Come potevo proprio io fra tutti, il sommo peccato della Superbia, non gongolare al colmo dell’euforia? Mi sentivo onnipotente.

E tu eri splendida, semplicemente splendida.

Ho sollevato una mano a carezzare il tuo volto - tanto caro al mio cuore - cercando di imprimere ogni istante nella mia mente; la ruvidità delle mie dita di guerriero in netto contrasto con la morbidezza della tua guancia.

«Non so cosa avrei dato per baciarti quel giorno.» ho rivelato, con un sospiro, lasciandoti del tutto disorientata.

L’istante successivo i tuoi occhi hanno brillato di una luce particolare.

«Come? Così?» mi hai chiesto di rimando, con la tua voce più calda e suadente, per poi colmare la distanza tra di noi e depositare un piccolo bacio sulla mia guancia. «Oppure così…?» hai ripetuto, sporgendoti a baciare morbidamente l’angolo della mia bocca. «Magari così…?» hai chiesto ancora, sfiorando la conchiglia sensibile del mio orecchio con le labbra, prima di discendere in una scia di baci roventi lungo il mio collo.

Oh sì, così. Ho pensato, godendo delle innocenti torture della mia dolce aguzzina, per poi stringerti a me, incentivandoti a continuare.

Era difficile esprimere a parole quello che stavo provando in quel momento – anche perché, probabilmente, non mi avresti creduto - ma era come sentirsi… completi, per la prima volta nella mia esistenza.

Come se fossi stato creato per tenerti tra le mie braccia e non avessi fatto altro per tutta la vita...

Eppure, a dispetto della mia felicità assoluta, percepivo come un’eco malinconica e distante. Una strana sensazione di déjà-vu, una nota di fondo.

Compresi che le poesie di cui avevo sempre vissuto non erano che un pallido riflesso dei desideri più profondi del cuore umano.

«Vieni qui.» ti ho detto allora con rinnovato ardore, affondando le dita nei tuoi capelli per guidarti a me, preda del bisogno bruciante della tua bocca e di respirare il tuo respiro.
Ti ho baciata a lungo, in un impeto crescente, riversando nei miei baci tutti quegli anni di desiderio represso, chiedendo e donando al contempo, facendo l’amore con le tue labbra; perché perdessimo entrambi ogni percezione della realtà al di fuori di noi e del calore dei nostri corpi.

In quella spirale perfetta per me esisteva solo il suono dei tuoi sospiri, il profumo della tua pelle, la perfezione dei tuoi baci, le tue mani nei miei capelli e l’eccitante, sinuoso movimento dei tuoi fianchi, mentre mi tenevi ancora stretto fra le tue cosce. 

«Escanor…» hai ansimato sulle mie labbra ad un certo punto, per poi continuare a baciarmi, mentre la tua mano risaliva lungo il mio braccio. Allora mi hai afferrato per il polso e, in un impeto improvviso, hai guidato la mia mano al tuo seno, premendo quell’impertinente morbidezza tra le mie dita.

La mia piccola sfacciata. Ho pensato, annebbiato dall’eccitazione.

Non ho certo avuto bisogno di ulteriori incentivi per accarezzarti, anzi, ho raddoppiato con gioia i miei sforzi per compiacerti, portando subito anche l’altra mia mano al tuo petto.
Con fervente dedizione ho rimodellato tra le mie mani quei dolci promontori, su cui tanto a lungo avevo fantasticato, godendo della sensazione dei tuoi capezzoli già inturgiditi – per me - attraverso la stoffa impalpabile del body; lasciandomi andare alla deriva in questo mare turbinante, mentre l’eco dei tuoi sospiri spezzati riverberava nel mio corpo, facendo sussultare la mia virilità pulsante di desiderio.

Preda del mio stesso delirio, hai baciato, morso, leccato le mie labbra in un impeto di sensuale abbandono, mentre le tue dita – persa ogni intenzione giocosa e ormai fuori controllo –  tracciavano solchi con le unghie nella mia carne, eccitandomi all’inverosimile.

Ebbro di te e dei raggi del Sole mattutino, desiderando parimenti di restare impresso sulla tua pelle, ho afferrato lo scollo del tuo body per denudarti, ma quell’infame - a dispetto dei miei sforzi - ha opposto una strenua resistenza, senza cedere di un millimetro. Ho tentato ancora… e ancora… ma, dopo vari e vani tentativi, ho iniziato a spazientirmi.

«Che diavoleria è mai questa?!» ho sbottato, reclinando il capo di lato per fulminare con sguardo truce l’indumento in questione.

E tu sei scoppiata a ridere allegramente per la mia invettiva - come se non aspettassi altro – puntellando poi le mani sul mio torace per sollevarti e guardarmi in volto.
Io sono arrossito nel rendermi conto che dovevi esserti accorta da tempo dei miei “armeggi” e che mi avevi lasciato appositamente fare, per studiare le mie reazioni… e che, forse, io potevo aver esagerato… giusto un pochino.

«Seriamente, Escanor…» mi hai rimbeccato, levando un sopracciglio in modo suggestivo: «…credi davvero che potrei andare in battaglia con queste mise, se bastasse così poco per rimuoverle?» hai concluso con bonaria ironia.

Effettivamente… ho pensato.

«Beh, potrei sempre provare a strappartelo – letteralmente – di dosso.» ti ho risposto in tono pacato, quasi ragionevole, accarezzandoti distrattamente i fianchi, per poi misurare la circonferenza del tuo punto vita sottile, riuscendo a cingerlo completamente tra le mie mani.

Tu hai schiuso le labbra, interdetta, per un momento dalla mia sfrontatezza.

«Primo: è un indumento magico che ho ideato per-so-nal-men-te.» hai sillabato, gonfiando il petto in un fare saccente, attirando immancabilmente il mio sguardo sul tuo splendido décolleté.
«Quindi non puoi semplicemente "strapparmelo di dosso"! E secondo: non oseresti mai! Sappi che è uno dei miei costumi preferiti… e se tu lo rovinassi, dopo dovrei ucciderti!» hai concluso, serafica.

Io ho riso di gusto, facendoti sobbalzare sul mio diaframma: «Proprio per questo sarebbe interessante vedere esattamente quanto ci metto a disintegrarlo…» ho risposto sornione, per poi chiudere ancora una volta le mani a coppa sui tuoi seni, con aria meditabonda: «A scopo “puramente scientifico”, s’intende.» 

«Ma certo! A scopo “puramente scientifico”, ovviamente. Lungi da me il mettere in dubbio la tua indiscussa professionalità!» hai replicato, enfatizzando ironicamente su quelle parole. Quindi hai sollevato il sopracciglio come sai fare solo tu, con l’aria di chi la sa molto lunga, e – come se niente fosse – hai buttato lì un enfatico: «Oppure…» 

«Oppure…?» ho ripetuto a mia volta, continuando ad accarezzarti.

«Oppure… potresti semplicemente chiedermi di toglierlo...» hai sussurrato con voce suadente, tornando ad adagiarti felina sul mio torace, mentre io accompagnavo i tuoi movimenti, lasciando scorrere le dita dietro la tua schiena.
«Però dovresti chiedermelo in modo molto, molto carino, s’intende… sempre che tu ci riesca…!» hai concluso, scherzosa.

«Dubiti forse di me?» ho chiesto, per poi continuare con voce grave: «Sappi che so essere molto, molto carino quando voglio... e con chi pare a me.» ho concluso, intrecciando le dita nell’incavo della tua schiena, osservandoti di rimando, a mia volta giocoso.

Adoravo questa inconsueta naturalezza tra di noi…

«Mhm, interessante…» hai commentato accarezzandomi distrattamente: «…e chi sarebbero i “fortunati” inclusi in questa cerchia ristretta di simpaticoni, ai quali elargisci le tue sconfinate gentilezze…?»

Ho aperto la bocca pronto a snocciolare i nomi di tutti i nostri compagni ma, prima che io potessi iniziare, mi hai zittito premendo un dito sulle mie labbra: «Ah, ovviamente “non vale” se si tratta di gentilezze che hai compiuto di notte… o quando indossi gli occhiali magici…!»

«Mpf!» ho mugugnato, roteando gli occhi per essermi fatto incastrare così facilmente. Ovviamente… dovendo tenere in considerazione solo le preferenze del mio Ego diurno la mia lista “di simpatie” si era ridotta ad un singolo nome. Il tuo.

«Beh… con Hawk sono sempre, estremamente, cortese.» ho affermato, cercando di suonare convincente. Tu hai levato il sopracciglio ironica, mentre ho continuato a spiegarti: «E poi c’è anche una certa Maga, estremamente attraente, con dei complicati body, che sto sempre attento a compiacere…»

Tu hai socchiuso le palpebre sorniona, effettivamente compiaciuta… ed io sono andato avanti con nonchalanche: «…ma la verità è che sono terrorizzato da lei: quando non le va bene qualcosa mi scaglia addosso dardi magici e mi manda al tappeto!» [2]

A quella battuta hai spalancato gli occhi, con incredulo stupore, ed ho visto le tue labbra tremare con un’espressione a metà tra sdegno e riso trattenuto: «Oh, poverino. Che perfida quella Strega…!» hai detto, per poi sporgerti a strofinare teneramente la bocca contro la mia, sussurrandomi sulle labbra: «Ma non temere: adesso ci sono io a prendermi cura di te

«Allora sono l’uomo più fortunato del mondo!» ho risposto, abbandonando ogni traccia di burla, specchiandomi nei tuoi occhi. Nell’udirmi hai sorriso dolcemente, ed io ti ho accarezzato il viso, come per accertarmi che tu fossi vera.

«Tu sei la sola e l’unica di cui mi importi realmente qualcosa. Non esiste nessun altro.» ho continuato e… com’era facile in quel momento aprirti il mio cuore, senza riserve! Certo, il Leone della Superbia mi faceva suonare assolutistico, ma non importava, perché stavo dicendo solo ed esclusivamente la mia Verità.

Speravo di renderti ancora più felice con quelle mie parole, ma i tuoi occhi mi sono apparsi improvvisamente distanti e le tue sopracciglia hanno assunto una piega preoccupata: «…ed i nostri compagni?» mi hai chiesto e mi è parso di percepire una punta di rammarico nella tua voce.

Compresi i tuoi dubbi: il mio Alter Ego considera amici gli altri Peccati, ma di giorno tutto appare così insignificante, sbiadito e lontano da essere quasi ininfluente.

Non ho risposto. Ho scelto di non rispondere, ma tu hai capito comunque. Di giorno non ho legami con nessuno al di fuori di te. Nessuno degli altri è alla mia altezza, nessuno degli altri è realmente così importante... è di te e te sola che m’importa.

Hai sospirato, carezzandomi il viso, in un riflesso inconscio del mio gesto di poco prima: «Escanor, come puoi essere così indifferente? Siamo alle porte di una nuova Guerra Santa e, per quanto anch’io confidi nelle mie e nelle tue capacità, il pericolo che ci attende è reale… non sappiamo cosa aspettarci da questo nemico! Molti dei nostri potrebbero non vedere la prossima alba…»

«Sarò all’altezza delle tue aspettative: non temo alcun nemico, demone o mortale che sia. Dovresti saperlo. Ogni guerra ha le sue vittime, ma faremo in modo di chiudere i giochi nel minor tempo possibile.» ho replicato, cinico e conciso.

Tu hai scosso leggermente il capo, riprendendo a parlarmi in tono – quasi - paziente: «I nostri compagni si fidano e si affidano a noi, non abbiamo margine di errore. Ci sono persone che tengono a noi e verso cui abbiamo delle responsabilità… persone che amiamo e che dobbiamo proteggere…»

Ed a quel punto ho capito: ti stavi allontanando da me, i tuoi occhi tornavano ad essere malinconici e distanti ed ho avuto la certezza assoluta che stessi pensando ancora… a lui.

Anche in un momento come questo… Arthur era una presenza titanica tra di noi.

Questo pensiero ha riattizzato le braci di quel sentimento oscuro che, ormai da giorni, mi consuma le viscere: il Fuoco della Gelosia mi ha scosso in un’improvvisa, prepotente, nuova vampata e – di riflesso – ti ho stretta più forte, nella paura irrazionale che tu potessi allontanarti da me, promettendoti solennemente: «Riconquisterò Camelot per te!»

Purtroppo non erano le parole che volevi che ti dicessi in quel momento.

Allora ti sei scostata con risolutezza dal mio abbraccio: «Non è per me sola che devi combattere! Se io non ci fossi, se mi accadesse qualcosa… porteresti a termine da solo questo gravoso compito? Faresti comunque la cosa giusta?» mi hai chiesto, guardandomi imperiosa dritto negli occhi.

Io mi sono sentito gelare il sangue nelle vene a quella tua domanda, all’idea folle che ti potesse succedere – realmente – qualcosa; ma non ho vacillato un solo istante nel ricambiare il tuo sguardo mentre, con voce grave, ti rispondevo: «Se tu morissi vivrei solo per ottenere vendetta…»
…e ti seguirei nella morte.

Hai sospirato, esasperata: «Non esisto solo io, Escanor! Dobbiamo riportare indietro Meliodas e salvare Elizabeth… lo so che anche tu tieni ai nostri compagni, anche se adesso non riesci a percepirlo…» hai concluso in un tono concitato, ma io non riuscivo a prestare orecchio al tuo consiglio…
Se anche ci fosse stato un fondo di verità nelle tue parole, di giorno l’unico sentimento che condividevo con il mio Alter Ego notturno era l’amore sconfinato verso di te.

L’unica costante tra queste mie due nature antitetiche.

Forse il mio silenzio ti ha delusa perché hai mormorato, come riflettendo ad alta voce, in assorta contemplazione del mio volto: «Notte e giorno, qual è il tuo vero io, mi chiedo?» [3]

Sapevo di aver già udito queste tue parole, una mattina di molti, molti anni fa, ad Edimburgo, dopo la nostra vittoria contro il Clan dei Vampiri… ed allora non mi era stato concesso di risponderti come avrei voluto… più volte mi ero chiesto quale dei due “me” tu realmente prediligessi e, anche in quel momento, il dubbio mi attanagliava.

Ho quindi afferrato la tua candida mano, attirandola alle mie labbra per baciarne devotamente il palmo, mentre ti rivelavo i sentimenti che scaturivano direttamente dal mio cuore: «Che sia giorno o che sia notte, non sono certo il Sole e la Luna a cambiare quello che provo. Io sarò quello che tu vuoi che io sia. Se è il mio “esser giorno” che desideri mi alimenterò di notte della tua luce, che è per me più splendente di quella del Sole stesso. O se piuttosto è il mio “esser notte” che preferisci, non toglierò mai più quegli occhiali di cui mi hai fatto dono. Io posso tutto e per te farei ogni cosa.» ho concluso con tutta la mia Superba, poetica sicurezza.

A quella mia dichiarazione incondizionata hai velato il tuo sguardo dietro l’intreccio delle ciglia, inspirando a fondo.

Per un istante ho temuto di aver detto troppo, di averti sconvolta con l’enormità dei miei sentimenti, poi - in un lampo - i tuoi occhi stupefacenti mi hanno trafitto, lasciandomi senza fiato: «Ho bisogno di entrambi: io voglio… tutto.» hai ammesso, in un sussurro, dando voce all’insaziabile Peccato di Gola racchiuso dentro di te.

Io voglio Te. È stato come sentire queste tue parole riverberare nella mia mente, mentre mi perdevo nella luminosa profondità del tuo sguardo.

Il mio cuore ha mancato un battito a quella tua confessione: non potevo crederci. Era come essere persi in un sogno, come ascendere in Paradiso.

Sono stato travolto da un’esultanza assoluta, soverchiante; ti ho attirata a me ancora una volta, baciandoti profusamente la bocca, le guance, il collo…

Hai tremato di piacere tra le mie braccia e sospirato al tocco delle mie labbra e delle mie mani febbrili mentre, con delirante adorazione, alimentavo il fuoco della tua passione nel calore inumano sprigionato dal mio corpo, divenendo puro istinto nel progredire del mattino.

La Fera della Gelosia, ammansita dalle tue parole, veniva sopraffatta dall’impeto del mio Ego e di quel senso di onnipotenza, conferendomi una sicurezza smisurata e mai provata prima in tua presenza.

Seppur Arthur avesse mai rappresentato per te qualcosa in passato, ora ero io ad essere stretto tra le tue braccia… ero io che avevo asciugato le tue lacrime e riportato il sorriso sulle tue labbra… ero io il tuo rifugio e conforto… io che oggi ti avrei protetta in battaglia e che sarei stato l’arma vincente contro il tuo nemico.

Io, solo IO!

Galvanizzato dai miei stessi pensieri ti ho baciato la gola e le spalle nude, discendendo avidamente nel solco fra i tuoi seni, mentre li accarezzavo, ed il tuo corpo si abbandonava completamente al tocco delle mie mani.

«Aspetta...» hai mormorato, per poi sollevarti leggermente e, quando le tue dita hanno sfiorato lo scollo del body, il tessuto ha emanato un tenue brillio prima di distaccarsi docilmente dalla tua pelle. Ho seguito con occhi bramosi il percorso delle tue mani mentre abbassavi la stoffa sino alla vita, scoprendo alla vista quello che fino ad allora avevo conosciuto solo al tatto.

Hai sfoggiato la tua nudità con orgoglio, senza alcun pudore, con la sicurezza sfacciata che tanto mi provoca ed io ho avuto la certezza che l’esistenza di Dio sia impressa nella perfezione della tua carne.

Mi sono riempito gli occhi del tuo pallido splendore, in reverente contemplazione della muliebre perfezione del tuo seno nudo.

«Baciami!» hai detto - in un ordine ed una supplica al contempo, proferiti con labbra turgide e teneramente dischiuse - dando voce al bisogno bruciante che io stesso avevo risvegliato in te, con la tacita promessa espressa nei miei occhi adoranti.

D’impeto ti ho attirata contro di me e ti ho baciata, sì… ma sul seno, inspirando a fondo il caldo profumo della tua pelle. Li ho afferrati entrambi con le mani, avvicinandoli tra loro - così morbidi, pieni e setosi – per affondare il volto in quella provocante voluttà, eccitato all’inverosimile.

Tu hai ansimato, sussultando, ed hai avvolto di slancio le braccia attorno alle mie spalle, mentre affondavi con tenera prepotenza le tue dita tra i miei capelli, per guidarmi dove più desideravi.
Travolto da quella tua deliziosa frenesia, ho accolto subito tra le labbra una di quelle tenere punte rosate, e tu ti sei inarcata in modo sublime contro di me offrendoti tutta… facendoti vogliosamente incontro a quelle mie attenzioni e gemendo con abbandono quando ho iniziato a succhiare con trasporto, pizzicando l’altro capezzolo con le dita per non farlo sentire troppo solo.

«Escanor…!» il mio nome sulle tue labbra, rotto dai tuoi singhiozzi di piacere, giungeva alle mie orecchie come il canto di una sirena, alimentando il fuoco della mia passione.

Ho continuato a torturarti così, nel più dolce dei modi, percependo la tua tensione crescere finchè - ad un certo punto – preda della frenesia e del desiderio di avere nuovamente il controllo, non mi hai strattonato per i capelli così da staccarmi da te e avventarti con impeto sulla mia bocca, per schiacciare sensualmente i tuoi seni nudi contro il mio petto…

Preda dell’eccitazione ho sentito le tue gambe tremare deliziosamente, strette attorno al mio corpo, mentre continuavi a strusciarti sopra di me in modo forse inconscio, ma inequivocabile, alla ricerca del tuo piacere.

Ti ho afferrata per la vita, continuando a baciarti, ed ho iniziato ad accompagnare il dolce ondeggiare dei tuoi fianchi con le mie mani, per schiacciarti maggiormente contro di me, aiutandoti nella ricerca spasmodica di quella piacevole pressione, che sapevo ti avrebbe fatta impazzire.

Desideravo farti godere in ogni modo possibile con ogni fibra ed ogni parte del mio corpo. Questo ormai era l’unico pensiero coerente nella mia testa…

«Sì, muoviti così…» ho mormorato rocamente, sulle tue labbra, incitandoti a continuare. Traendo il mio stesso piacere dal tuo.

«Mhm sì…» hai sospirato in risposta, ridisegnando la pelle sensibile del mio collo con labbra vogliose, facendomi fremere. Le tue mani hanno coperto le mie, in una breve carezza, andando poi a chiudersi attorno ai miei polsi per guidarmi più in basso, là dove mi volevi.

«Toccami…!» hai ansimato nel mio orecchio, per poi tornare ancora una volta a baciarmi con foga, stringendoti a me come se volessi fonderti al calore del mio corpo.
In uno spasmo di godimento ho affondato le dita nella morbidezza delle tue natiche, strizzandole possessivamente, beandomi della loro serica consistenza e di come sembrassero create apposta per riempirmi le mani.
E non ho resistito oltre… ho percorso la sgambatura del tuo body, sino a raggiungere la tua intimità, e nel percepire in quel punto la stoffa umida contro le dita, realizzando quanto tu fossi eccitata a causa mia… ho rischiato quasi di perdere il controllo a mia volta, come un ragazzino alle prime armi.

Se non ti avessi accarezzata subito sarei impazzito.

Mi stavi facendo perdendo la ragione.

Volevo che pensassi a me e me solo, desideravo vederti contorcere preda della passione, volevo sorprenderti come amante, per imprimermi a fuoco nella tua pelle.

Io. Solo IO e nessun altro.

Volevo che dimenticassi qualsiasi altro prima di me, volevo essere il tuo tutto.

Allora ho valicato l’orlo del body alla ricerca del tuo calore e, di riflesso, tu ti sei bloccata, affondando il volto scottante contro il mio collo, mentre ruotavi meravigliosamente i fianchi all’indietro, per offrirti con abbandono alle mie carezze.

Le risposte perfette che mi dava il tuo corpo continuavano a folgorarmi, lasciandomi senza fiato, mentre l’adorazione verso di te - mia sola, mia Unica, mio amore – ridefiniva i limiti dell’Assoluto.

Ho tracciato con dita amorose le tumide labbra della tua femminilità, schiudendone i petali con attenzione, prima di scivolare delicato con l’indice nel tuo calore avvolgente.

Che sensazione sublime.

Le calde pareti della tua intimità si sono contratte deliziosamente a quell’intrusione, senza opporre alcuna resistenza, ed io ho avvertito la mia virilità pulsare di rimando – in modo quasi doloroso - dalla voglia che avevo di farti mia.

Ho inspirato a fondo, facendo appello al mio autocontrollo, perché volevo che questo momento durasse ancora, perché volevo concentrarmi solo ed esclusivamente su di te… dopo anni di dilaniante attesa, la realtà stava superando ogni mia fantasia.

Ho ritratto leggermente la mano, per poi penetrarti a fondo, ancora e ancora, accarezzandoti con lenta intensità, fino a farti gemere. Allora ti sei sollevata, beandomi così della vista del tuo volto arrossato e stravolto, prima che tornassi a reclamare le mie labbra. Hai ricominciato a baciarmi profondamente, in modo languido e sensuale, muovendoti sopra di me con desiderio ed io ho colto il tuo invito, assecondando il ritmo dei tuoi fianchi con le mie carezze.

«Ti piace?» ho sussurrato roco sulle tue labbra.

«Sì…» hai esalato in risposta, disseminando il mio volto di baci, per poi prendere possesso ancora una volta della mia gola, torturando la pelle sensibile con le labbra e con i denti, spezzandomi il fiato.

«Sei tutta bagnata…» ti ho detto in un sospiro, reclinando la testa di lato per farmi incontro alle tue attenzioni, sfregando la guancia contro il tuo capo; e nell’udirmi ti sei contratta meravigliosamente, in risposta a quella tenera oscenità, esalando un gemito bollente nell’incavo del mio collo.

Stava piacendo ad entrambi ed io ho proseguito in quel mio dolce turpiloquio, sondando il tuo umido calore con crescente trasporto: «Voglio farti godere…»
…come non hai mai goduto prima. Ha concluso mentalmente la voce della mia Superbia: quel pericoloso Leone dentro di me che, ormai scevro della morsa della Gelosia, faceva le fusa solleticato da questo pensiero.

«Sì, parlami così… continua…» hai ansimato nel mio orecchio con voce vellutata, inarcandoti felina nella ricerca del tuo piacere.

Io mi sono sporto subito verso di te, per saziare ancora una volta il desiderio bruciante dei tuoi baci, ed ho chiuso gli occhi per percepirti con tutti gli altri sensi, in attento ascolto delle risposte del tuo corpo che, generoso, accoglieva quelle mie attenzioni in una sinfonia di continui sospiri e caldi brividi.

Perdendomi in te, per un istante, ho avvertito ancora una nota di malinconica reminiscenza, una lontana eco di conoscenza... ma la mia mente ottenebrata non ha prestato ascolto… mi sentivo un Dio al pensiero che stessi provando piacere a causa mia, grazie al mio corpo ed alla mia voce.
Tanto bastava.

«Cosa vuoi, mh? Dimmelo, Merlin…» ho mormorato rocamente sulle tue labbra, ebbro di te e di quel sentimento di assoluto potere da cui ero invaso.

In quel momento ho potuto cogliere solo uno squarcio dei tuoi splendidi occhi dorati, intorbiditi dalla passione, prima che - in risposta alla mia domanda - tu scivolassi improvvisamente all’ingiù, per montare a cavalcioni del mio inguine in modo inequivocabile. Una subitanea scarica d’eccitazione è scaturita dal centro del mio corpo, spezzandomi il fiato in gola in un gemito gutturale, a cui ha fatto eco il più morbido dei tuoi sospiri appagati.

«Ti voglio dentro di me. Adesso.» hai ammesso con voce suadente, incredibilmente erotica, ed hai ruotato i fianchi in quella nuova posizione, in un languido affondo, iniziando a strusciarti sfacciatamente contro la mia durezza da sopra i pantaloni, facendomi ribollire il sangue nelle vene.

Chissà a quanti lo avrai già detto…

Quel pensiero fugace mi ha attraversato la mente, come il bagliore di una cometa, e - in modo altrettanto fugace - si è spento in un battito, inghiottito dalla mia eccitazione… la Gelosia tornava a sgranchirsi le membra, ridestandosi, per poi rigirarsi fastidiosamente nel mio petto, stuzzicata da quel tuo essere così disinibita...

«…e tu cosa vuoi, Escanor?» hai sussurrato, per poi chiudere gli occhi con abbandono quando ho ripreso a carezzarti il seno con una mano, penetrandoti con l’altra, in accordo con l’ipnotico incessante ritmo dei tuoi fianchi… perché a dispetto della mia Gelosia, ammirarti in questo stato era semplicemente meraviglioso.

«Ti voglio. Voglio sentirti tutta.» ho ansimato, sulle tue splendide labbra, tutte arrossate dai miei baci.

Voglio che tu sia solo mia. Ho pensato egoisticamente, mentre le mie dita - all’idea che altri ti avessero mai sfiorata come stavo facendo io adesso - si facevano di secondo in secondo più possessive. Razionalmente sapevo che non poteva essere altrimenti, perché la tua esistenza si era estesa per centinaia di anni, da ben prima della mia nascita… ma sotto l’influsso del Sole non sono mai stato noto per essere un tipo particolarmente “ragionevole”.

Il problema è che, seppur a fatica, potevo arrivare a “concepire” che tu avessi conosciuto altri uomini prima di me… se si trattava di entità remote e distanti… ma la mia mente elucubrante, proprio in quel momento, faceva in modo di conferire un volto assai noto e familiare al tuo precedente amante… e l’assalto inesorabile della Gelosia abbatteva così le difese della mia ragione.

«Voglio entrarti nella pelle, nel cuore, nella mente…» ho continuato, dando voce al delirio di quella mia feroce passione, perché ora che l’argine era rotto, ora che avevo avuto un assaggio di te… i sentimenti del mio amore traboccavano quasi con furia.  

«Sì… sì… sì…» assentivi in sospiri spezzati eccitata dalle mie parole, nel più dolce dei mantra – del tutto ignara del mio tormento interiore – offrendoti a me, in modo incondizionato, mentre il tuo corpo di donna pareva sciogliersi come cera bollente e plasmarsi tra le mie braccia, in fiducioso abbandono. Mi sono inarcato sotto di te, contrapponendo la mia solida virilità alla tua muliebre morbidezza, facendomi incontro alle tue spinte con la durezza dei miei lombi, sentendoti liquida, pronta e bruciante tra le mie dita, mentre continuavo a penetrarti instancabile per portarti al culmine.

Consumata dal mio stesso fuoco ti sei avvinghiata a me come se fossi la tua sola àncora di salvezza, soffocando i tuoi gemiti nella mia bocca, nella più dolce delle preghiere, ormai prossima all’orgasmo. Allora, in un impeto di bramosia improvvisa, le tue mani si sono avventate infine sui miei calzoni e, con pochi strattoni decisi, ti sei aperta la strada fra i miei vestiti.

Hai afferrato la mia nuda virilità con febbrile determinazione e, esalando un sospiro di godurioso compiacimento, hai iniziato subito ad accarezzarmi con foga pari alla mia, spezzandomi il fiato in gola.
A quell’intimo contatto mi sono inarcato di botto, scosso da uno spasmo di godimento tale da far sobbalzare entrambi, per poi restare in ansante contemplazione delle tue candide dita che, strette attorno alla mia durezza, mi stavano portando alla pazzia.

Una delle visioni più eccitanti della mia vita… ho pensato e anche tu - libera da ogni inibizione - avevi il capo reclinato e gli occhi fissi, gialli e stupefacenti come quelli di un predatore, puntati nella stessa direzione: «Non fermarti…!» hai detto, continuando a darmi piacere ed a divorarmi con lo sguardo.

Come resistere ad una tale richiesta?

Ho ripreso a muovermi dentro di te, accordando il ritmo della mia mano a quello delle tue carezze, nel simulare l’amplesso che entrambi agognavamo… e, non resistendo oltre alla tentazione, ho aggiunto un secondo dito, facendoti arcuare flessuosa con un singhiozzo per quella nuova intrusione, sentendomi al contempo inghiottire nell’avvolgente calore della tua femminilità.

«Escanor!» hai ansimato, mentre una delle tue mani correva a stringersi smaniosa tra i miei capelli, in un tacito invito; ma già io mi ero proteso in avanti per venirti incontro, avventandomi con bramosia sulle tue labbra, per divorarti e lasciarmi divorare come tu desideravi.

Godevi così anche con Arthur? Che tipo di amore era il vostro? Quel ragazzino sapeva come venerare la donna in te?! Non credo proprio…! Ho pensato con un senso di sprezzante trionfo, ebbro dei raggi del Sole, mentre il cuore sembrava volesse scoppiarmi nel petto, perso nelle nebbie di quell’insana follia, scandita dai continui, caldi tremiti del tuo corpo.

La Superbia che mi consumava, istigata dall’irrefrenabile Gelosia, mi aveva reso incautamente crudele… e la mia mente vagava ormai fuori da ogni controllo.

Sono i miei baci che tu desideri adesso, non quelli di Arthur! Sono le mie mani a farti gemere e sussultare! È la durezza del mio corpo a farti smaniare come una splendida puledra in calore…
«…vuoi un uomo, non un ragazzino…!» ho ringhiato, con ferocia…

…ed il tempo si è congelato, in quell’istante.

Siamo stati inghiottiti entrambi da un improvviso, opprimente silenzio, mentre un brivido freddo mi ha percorso la schiena nella tragica consapevolezza della mia follia… della spaventosa realizzazione di essermi espresso – davvero - ad alta voce.

Poi… è stato come se il tempo riprendesse a correre, ma al doppio della velocità.

Un momento prima eri stretta teneramente a me, un attimo dopo scattavi via dal mio abbraccio, come una preda spaventata. Investito dal gelo della tua assenza mi sono sollevato a sedere, ma tu ti sei ritratta dal mio corpo, addossandoti al muro, in ginocchio sul materasso, mentre il tuo petto si alzava ed abbassava furiosamente in quello stato d’agitazione.

Tu hai schiuso le labbra che hanno tremato, senza però riuscire ad emettere alcun suono. Allora hai inspirato a fondo prima di poter articolare un flebile: «…cosa…?!»

«Aspetta!» ti ho detto con ansia, allungando le dita per stringerti ancora, ma tu ti sei ritratta maggiormente contro la parete, coprendoti persino i seni con un braccio e la mia mano è ricaduta priva di energie.

«Che cosa hai appena detto, Escanor?» hai scandito, con maggiore sicurezza, ed i tuoi occhi apparivano immensi sul tuo volto smarrito, adombrato dalla piega affranta delle sopracciglia.

«Io non intendevo… non pensavo…» ho blaterato, non sapendo davvero cosa dire in mia difesa perché anch’io ero altrettanto sconvolto per quella mia gaffe clamorosa e, alla fine, ho concluso con un misero: «Mi spiace.»

Allora ti sei portata una mano alla fronte, chiudendo stancamente le palpebre, come se non potessi sopportare oltre la mia vista: «A chi ti stavi riferendo…? Quale… “ragazzino”?» mi hai chiesto, afflitta.  

Non potevi che conoscere già la mia risposta… ma sembrava che faticassi a metabolizzare la cosa.

«Il pensiero di te ed Arthur mi tortura da giorni… perdonami Merlin, io… io non volevo rovinare tutto… credimi! Non so cosa mi sia preso...» ti ho detto, suonando patetico persino alle mie stesse orecchie, odiandomi per questo, mentre stringevo i pugni in preda allo sgomento.

«Il pensiero di me… e… A-Arthur…?» hai ripetuto, incredula… quasi, sconvolta.

E quel nome - proferito dalle tue tenere labbra, a quel modo - mi ha straziato il cuore.

Le parole sono sgorgate allora come un fiume in piena, senza che potessi in alcun modo trattenerle: «So che non ho alcun diritto di essere geloso, ma il pensiero che tu possa amarlo ancora… che tu possa pensare a lui, quando sei con me, mi distrugge… non riesco a sopportarlo!»

Nell’udirmi la tua mano è scesa a coprire le tue labbra, soffocando un’esclamazione di sorpresa: «Cosa?!» hai boccheggiato, mentre spalancavi gli occhi per fissarmi, stravolta ed incredula.

«Pensavi davvero che non lo sapessi?» ti ho chiesto, amareggiato, passandomi nervosamente una mano tra i capelli, con dita tremanti: «Sei quasi morta a causa sua, Merlin! …e, purtroppo, ieri ti ho sentita mentre parlavi di Arthur e dei tuoi sentimenti con Elizabeth. So bene quello che provi! So quanto lo hai amato!» ho concluso, alla fine.

Il ritratto di un uomo patetico… altro che “Leone della Superbia”!

Innanzi a te – dono o maledizione che sia – il mio orgoglio non esiste.

«Sai quello che provo…?» hai ripetuto, atona.

Io ho levato gli occhi disperati al tuo volto e non mi sei mai apparsa così lontana come in quel momento: mi osservavi con le labbra ancora turgide ed arrossate dai miei baci, in surreale contrasto con il pallore mortale del tuo volto, mentre ogni calore tra di noi pareva essersi definitivamente estinto.

Un silenzio insopportabile è calato nella stanza.

Avrei preferito mille volte di più un tuo scoppio d’ira, piuttosto che vederti così… abbattuta, delusa… sconfitta… e tutto a causa mia.

«Credimi, non volevo ferirti…» ho mormorato, ogni sillaba pregna della più cupa disperazione, nell’amara consapevolezza di quanto tu tenessi ad Arthur.

Nell’udirmi i tuoi occhi sono stati attraversati da una tale struggente malinconia che avrei voluto sparire nel nulla, per essere stato io – proprio io - la causa infausta del tuo dolore, per averti gettata nuovamente in questo stato d’infelicità sconfinata.

«Penso che… dovresti andare… adesso.» hai sussurrato piano, congedandomi. Quindi hai schioccato le dita, scomparendo alla mia vista per teletrasportarti accanto alla finestra, così da darmi definitivamente le spalle, con il volto rivolto all’esterno, le braccia incrociate a proteggerti dal mondo ed il corpo ora avvolto in una vestaglia leggera.

Era evidente che non sopportassi più la mia vista…

Mi sono alzato faticosamente in piedi, cercando di ricompormi. Ho allacciato i pantaloni ed ho cercato la mia maglietta con lo sguardo, ma senza successo.
Ho lasciato perdere, incamminandomi lentamente verso la porta, con il petto schiacciato in una morsa: «Ho rovinato tutto. Mi dispiace.» ti ho detto infine, bloccandomi con la mano sulla maniglia, prima di abbassarla ed uscire.

Ho richiuso subito l’uscio alle mie spalle e nel sentire le gambe cedere, sono rimasto così, con la schiena appoggiata alcuni lunghi istanti contro la superficie lignea e gli occhi persi nel vuoto, nel tentativo di trovare la forza per muovermi… e mi sono invece sentito morire perché, in quella posizione, ho potuto udire perfettamente lo scoppio improvviso dei tuoi singhiozzi dall’interno, gelarmi il sangue nelle vene e straziarmi il cuore... conscio che ormai avevo perso ogni diritto di poter asciugare le tue lacrime…

Piangente ti ho trovata… e piangente ti ho lasciata. Penso per l’ennesima volta, rivivendo nella mia mente la scena di poco prima - ancora e ancora - in un infinito vortice di rammarico e dispiacere.

Sono l’unico artefice del mio personalissimo Inferno in terra… realizzo, con un lugubre riso amaro sulle labbra. E torno definitivamente al presente quando d’improvviso percepisco qualcosa di umido e viscoso contro i polpastrelli e sollevo le mani, trovandole chiazzate di sangue. Non mi sono neanche accorto di aver stretto i pugni con tanta e tale forza da essermi ferito i palmi da solo.

Maledizione! Devo cercare di calmarmi, di svuotare la mente… tra poco partiremo alla volta di Camelot e non posso rischiare di commettere altri errori in tua presenza!

Sento la pressione crescere di secondo in secondo con l’approssimarsi dell’ora stabilita per l’adunata. Devo restare lucido e concentrato perché, a dispetto di tutto, so che fai ancora affidamento sulla mia forza smisurata per vincere questa battaglia.

Ti ho già deluso come Uomo, devo riscattarmi ai tuoi occhi almeno come Cavaliere…! Penso, risoluto.

«Ahem!»
D’improvviso qualcuno nelle vicinanze si schiarisce rumorosamente la voce, distogliendomi dalle mie elucubrazioni. Mi guardo intorno, con sguardo torvo, chiedendomi chi abbia osato irrompere così bruscamente nella mia amara solitudine.
«Diane! Te lo prometto! Questa volta, a qualunque costo, io ti proteggerò!»

Riconosco immediatamente la voce giovanile di King e mi sporgo oltre il tronco della quercia contro cui sono rimasto appoggiato fino a pochi istanti fa, cercando gli altri Peccati con lo sguardo.

Per prima noto Diane – come potrebbe essere altrimenti, date le dimensioni della pulzella in questione? – e, di fronte a lei, si libra il Re delle Fate.

Sono loro due soli.

Entrambi indossano delle nuove divise, opera certamente tua, ma nessuna delle due – realizzo - è neanche lontanamente paragonabile a quella che hai fatto per me.
King appare diverso dal solito, e non solo per gli abiti nuovi che indossa… sfoggia un’espressione seria, decisa, quasi… adulta, in netto contrasto con le sue sembianze puerili. Anche il suo tono è pervaso da un’inflessione particolare: «E poi salveremo il Capitano ed Elizabeth… insieme!»

Sollevo un sopracciglio a quello sfoggio di inaspettata spavalderia, incrociando le braccia in petto.

Se c’è qualcuno che porterà a termine questa difficile missione… sono IO. Nessuno potrà frapporsi fra me ed il mio obbiettivo: è l’unica speranza che ho di tornare nelle tue grazie...! Penso, piccato.

Diane arrossisce a quelle dichiarazioni appassionate ed inizia a giocherellare con i propri capelli, fissando King con ciglia sfarfallanti e occhioni carichi di aspettativa, che lo invitano tacitamente a proseguire nel suo accorato discorso.

Peccato che a questo punto la voce del Re delle Fate inizi miseramente a tremare: «…Q-Quindi…» ricomincia a dire, torturandosi le mani, avvampando fino alla punta delle orecchie: «…quando tutto questo s-sarà finito… ehm… Diane v-vorresti… spo… sposar…»

Spalanco gli occhi nel realizzare cosa sta succedendo.

Che cosa? Non vorrà mica…?! I miei pensieri vengono interrotti dalla voce della gigantessa che, dando sfoggio a propria volta di un’eloquenza fuori dal comune, tartaglia di rimando: «“Sposar”…? Uh? Co-cosa?!»

Inorridisco innanzi a questa scena… stucchevole.

Sento il sangue ribollirmi nelle vene perché, nonostante quelli di fronte a me siano i miei presunti “amici”… l’invidia per questo loro momento di tenerezza mi assale, rendendomi crudele.

King appare in seria difficoltà, anche perché l’imbarazzo dell’innamorata non lo sta poi molto aiutando: «Err… dài! Hai capito, Diane! Vorresti spo… sposarm-… aah!» uggiola il Re delle Fate al colmo dell’esasperazione, nascondendo miseramente il volto tra le mani.

Ne ho abbastanza di questi mocciosi! Penso, raggiungendoli in poche ampie falcate, ed esordisco in un fragoroso colpo di tosse - neanche troppo simulata - palesando così la mia presenza.

Due paia di identici occhi stralunati si fissano in simultanea sul sottoscritto.

«Tsk! Siamo qui, in procinto di iniziare una guerra contro il Clan dei Demoni, e voi due piccioncini perdete tempo ad amoreggiare? Assolutamente imperdonabile!» li redarguisco malamente, scrutandoli con un’espressione di biasimo, dall’alto della mia Superbia.

Infierire sugli altri in questo momento è una ben magra consolazione al mio stato d’animo, ma almeno serve a scaricare un po’ la mia tensione.

Sono il più grande degli ipocriti perché, se potessi, in questo momento darei qualsiasi cosa pur di stringerti ancora tra le mie braccia… ma, dato che questa possibilità mi è ormai preclusa, dato che io non posso essere felice… io che solo mi pongo al di sopra di tutti i Clan… perché mai gli altri dovrebbero esserlo?! Per di più, in mia presenza!

Diane è la prima a riaversi dalla sorpresa: «Escanor… non sapevo tu fossi qui!» afferma, a mo’ di giustificazione.

«Io ero qui sin dall’inizio… siete voi che avete invaso il mio spazio!» rispondo, sprezzante.

«N-no… sono abbastanza sicuro che c’eravamo prima noi qui!» ribatte King, che sta alzando fin troppo la cresta per i miei gusti… solo ed esclusivamente per far colpo su Diane.

L’Amore rende davvero incauti…! Penso, ma prima di poter rimettere questo sbarbatello al suo posto come merita, percepisco un improvviso spostamento d’aria alle mie spalle.

«Perché sei così acido, Escanor?» mi domandi in tono soave, facendomi girare di scatto, con il cuore in gola: «Questa voce..! Merli-…!»
E mi gelo sul posto, inorridito, nel realizzare di essere stato malamente giocato perché innanzi a me c’è… Gowther!

L’imbecille si esibisce in una delle sue tipiche pose effemminate, a mo’ di saluto, avendo l’ardire di farmi persino l’occhiolino: «Tecnica segreta: “Mimica Vocale”!» esclama, in un’imitazione perfetta della tua voce melodiosa, per poi proseguire: «Mi sono potenziato per il mio fantastico ritorno in scena!» conclude il Peccato della Lussuria, scherzosamente affabile, tra le esclamazioni di sorpresa dei Peccati d’Invidia e d’Accidia.

Insopportabile! Imperdonabile! Intollerabile!
Non sono certo dell’umore giusto per queste fesserie… e mi allontano a passo di marcia, deciso a non ascoltare oltre le farneticazioni di quella bambola idiota o dei due maldestri fidanzatini.

Ho un bisogno disperato di tranquillità, il petto mi duole in modo insopportabile – non solo in senso “figurato” - e, quando sono ormai lontano dagli altri Peccati, nascosto alla vista dagli alberi, riprendo a tossire in modo convulso, fino a ritrovarmi scosso ed ansante… e questa volta, quando ritraggo la mano dalla bocca… non posso che aggrottare la fronte, perplesso e vagamente preoccupato, nel notare il fiotto di sangue scaturito dalle mie labbra, che mi bagna il palmo.

Non va bene. Penso, turbato. Nella mia forma diurna sono pressoché immune a qualsiasi malattia… Meliodas deve avermi infettato con qualcosa di innaturale, nel colpirmi con quella sua spada maledetta, perché questa tosse anomala continua a peggiorare in modo inesorabilmente costante...

Vengo distolto dalle mie cupe riflessioni nel percepire ancora una volta, con i miei sensi di guerriero, il familiare, improvviso spostamento d’aria di una materializzazione dietro di me, accompagnata dalla tua voce vellutata: «Escanor…»

Due volte in un giorno è davvero troppo!

«Mi hai davvero seccato, razza d’impudente!» ringhio furioso, girandomi di scatto per afferrare bruscamente Gowther, ben deciso a stritolarlo nella mia morsa d’acciaio.
Peccato che, anziché l’idiotissima bambola imitatrice, io mi ritrovi a stringere… l’originale! E sgrano gli occhi basito nel ritrovarmi al cospetto del solo ed unico Peccato di Gola.

Tu appari a tua volta interdetta per quella mia reazione smodata ma, nel giro di un istante, torni padrona della situazione: «Ti dispiacerebbe mettermi giù?» mi chiedi, in tono conciliante, con la Sfera Magica che fluttua pigramente al tuo fianco, ed io realizzo – con sommo orrore – che ti sto effettivamente tenendo sospesa in aria, a diverse spanne dal suolo.

Annuisco solo avvampando in volto, non fidandomi della mia voce in questo momento, e ti deposito delicatamente a terra, indugiando forse un istante di troppo prima di lasciarti andare, per poi spolverarti diligentemente gli spallacci con solerzia: «Ecco qua!» esclamo e vorrei sotterrarmi per l’imbarazzo.

È una ben magra consolazione, ma almeno i componenti dell’armatura che indossi sulle braccia, nella tua nuova tenuta da guerra, ti hanno protetta dalla mia presa brusca ed improvvisa…

Tu non commenti nulla in risposta. Una volta che sei di nuovo stabile sulle tue gambe raddrizzi subito le spalle, maestra di compostezza in ogni situazione, e - con pochi semplici gesti - lisci le pieghe dell’abito, dove si è appena stropicciato a causa della mia irruenza.

Potrebbe apparire un semplice vezzo, compiuto meccanicamente e con noncuranza, ma io so bene che stai solo prendendo tempo, per riordinare le idee… traendo forza dall’algido controllo della tua apparenza impeccabile.

Di riflesso io incrocio le braccia in attesa, abbassando il capo per guardarti il volto, così piccola ed immensa al contempo… perché a dispetto della mia apparente supremazia fisica, a dispetto della crescita smodata del mio corpo sotto l’influsso del Sol levante, sei tu ad avere il controllo delle mie azioni, Regina assoluta del mio cuore.

La tensione è tangibile fra noi… e come potrebbe essere altrimenti, dopo quello che è successo questa mattina?

Una volta ricomposta schiudi le labbra per dire qualcosa ma, nel momento in cui rivolgi lo sguardo al mio viso, ti blocchi interdetta fissandomi: «Che ti succede? Perchè sanguini?» mi chiedi, levando la tua candida mano, ma io ti afferro il polso di riflesso prima che tu possa sfiorarmi, bloccandolo a mezz’aria.

Con l’altro braccio mi sfrego la bocca ed il mento per ripulirmi da solo, chiazzando purtroppo la manica di rosso… ma non voglio assolutamente che tu mi tocchi.

Per quel che ne so, potrei anche essere contagioso…
Penso, e noto solo in quel momento che accidentalmente ho lasciato tracce di sangue anche sulla tua armatura, laddove ti ho afferrata poco prima per le braccia. I tuoi occhi seguono la direzione dei miei ed il tuo sguardo s’adombra sotto la piega inquieta delle sopracciglia.

Maledizione! Impreco, mentalmente, riuscendo però a non far trasparire alcunché all’esterno: «Sto bene, non preoccuparti.» ti dico infatti, in tono basso e rassicurante, lasciandoti andare il polso... seppur a malincuore.

«Certo, lo vedo.» rispondi, cupamente ironica, ma non mi lascio intimidire dalla tua schiettezza e, per una volta, sei tu a lasciar cadere l’argomento: «Vediamo di darci almeno una sistemata.» concludi, con un sospiro. 

Con quella stessa mano disegni subito un glifo arcano in aria e le nostre divise vengono attraversate da un bagliore improvviso. L’istante successivo, ogni traccia di sangue è magicamente dissolta nel nulla ed i nostri abiti appaiono come nuovi.

La solita perfezionista… quante volte, negli anni, ti ho già vista compiere questo incantesimo? Penso e mi sfugge un mezzo sorriso perché questo tuo semplice gesto racchiude in sé una certa “familiarità” tra di noi, ed allevia – seppur di poco – la mia tensione.

Persino le tue labbra paiono addolcirsi di rimando, mentre mi guardi: «Escanor, hai davvero un problema con i vestiti… quando non li stracci, li imbratti… quando non li imbratti, li bruci…» commenti, reclinando il capo di lato: «Inizio a pensare che tu non gradisca proprio i miei regali…!»

Non è la prima volta che scherzi sull’argomento con me… in questo modo…

In molte occasioni, negli anni, abbiamo divertito anche i nostri compagni d’arme con questo caratteristico siparietto: perché a causa della mia irruenza diurna non è raro che i miei abiti facciano una “brutta fine”… per poi sentirmi terribilmente in colpa al sopraggiungere della notte, quando ti dai la pena di riportarli magicamente al loro stato originale.

Percepisco in te il mio stesso desiderio di ricreare un legame, di ritrovare le nostre certezze… ma la malinconia è ancora presente nei tuoi occhi e, per quanto tu cerchi di dissimulare un tono leggero, è chiaro che non sei ancora serena come vorresti dare ad intendere.

Per questo prima che tu possa abbassare il braccio ti prendo la mano, perché – in questo momento - anelo disperatamente ad un contatto fisico tra di noi. Tu schiudi le labbra interdetta, ma non la ritrai, lasci che io la guidi sino al petto, all’altezza del mio cuore, perché tu possa percepirlo contro le dita.
Allora ti sento tremare nella mia stretta e, non riuscendo a sostenere il tuo sguardo imperscrutabile, abbasso gli occhi alla tua mano - così piccola e fragile nella mia - sentendomi stringere la gola da un sentimento di tenerezza traboccante.

«Credimi… mi dispiace tanto…» ti rispondo, ma è chiaro come il Sole che non mi sto più riferendo ai vestiti e tu puoi percepire il mio cuore battere furiosamente nel mio petto, come le ali impazzite di un uccello in gabbia.

«Lo so.» mormori poco dopo, ma nel dirmi questo suoni purtroppo come… rassegnata. È come se accettassi le mie scuse, senza però trarne alcun conforto.
«Cosa posso fare per ottenere il tuo perdono?» ti chiedo allora con trepidazione, cercando di tenere aperto questo esiguo spiraglio tra di noi, pronto a consegnarti la Luna e le Stelle se solo tu me le chiedessi… qualsiasi cosa pur di tornare alla calda luce del tuo sorriso…!

Tu resti in silenzio, per un lungo, interminabile istante… ed io non posso fare a meno di levare lo sguardo al tuo volto crucciato, pallido riflesso del tuo reale tormento interiore.

Mi fa male vederti così…

«Non c’è niente da perdonare.» sospiri alla fine, lasciandomi del tutto spiazzato e, prima che io possa metabolizzare le tue parole, continui: «Vorrei però che promettessi di fare alcune cose… per me.» concludi, ricambiando il mio sguardo. I tuoi occhi, mutevoli come le nubi nel cielo, sono tornati ora distanti ed imperscrutabili.

«Tutto quello che vuoi!» esclamo, di getto.

«Primo: qualsiasi cosa succeda… qualsiasi cosa mi succeda…»
Nell’udirti spalanco gli occhi, premendo maggiormente la tua mano contro il mio petto perché, ancora una volta, stai affrontando questo sgradevole argomento.

Faccio per interromperti con veemenza - per dirti che non ti accadrà nulla, per dirti che ti proteggerò ad ogni costo - ma i tuoi occhi volitivi mi fulminano sul posto, in un lampo d’ammonimento: «Fammi finire!» ordini, perentoria, in un tono che non ammette repliche e che raramente ti ho sentito usare: «Qualsiasi cosa mi succeda – giura, qui ed ora, Escanor - sul tuo onore e sulla mia vita stessa: giura di portare a termine il nostro compito, con o senza di me. La Britannia ha bisogno di te. I nostri compagni hanno bisogno di te. Voglio che Elizabeth sia salva ad ogni costo. Quello che è successo tra di noi non deve compromettere l’esito della missione. Io non mi lascerò distogliere e voglio che tu faccia altrettanto. Giura. Adesso.» nel dirmi questo i tuoi occhi dardeggianti non lasciano i miei un solo istante ed io non posso in alcun modo sottrarmi.

Mi ritrovo a trattenere il fiato per quanto sei bella in questo momento, e non posso che cedere al tuo volere: «Lo giuro, sul mio onore e su quanto ho di più caro.» pronuncio questo sacro voto con fermezza, anche se sono ben altri i giuramenti che il mio cuore vorrebbe poter proferire in tua presenza.

Come posso non pensare a quello che c’è stato tra di noi… a quello che ho perso e distrutto nel giro di un istante? Rifletto amaramente, ma non oso esprimermi.

Nell’udire le mie parole tu socchiudi le palpebre, con un sospiro rincuorato, come se ti avessi appena liberata da un grave fardello, per poi continuare: «Secondo: come ti ho detto la riuscita della nostra missione è fondamentale, ma non per questo voglio che tu ti lanci in azioni sconsiderate e pericolose in solitaria…»

«Mpf!» per la sorpresa mi sfugge uno sbuffo a metà tra lo stupito e l’ironico, mentre reclino il capo di lato con un mezzo sorriso - un po’ perplesso, molto superbo, tantissimo innamorato - perché il fatto che tu possa in qualche modo “preoccuparti per me”… mi galvanizza, con una sferzata di rinnovata speranza.

Non posso che gradire queste tue premure nei miei riguardi anche se, dal punto di vista pratico, le tue parole sono del tutto superflue: non ho mai perso uno scontro.
Tu spalanchi gli occhi - credo - interdetta dalla mia reazione.

Neanche per un istante penso che tu possa davvero dubitare della mia forza, decido di capire solo quello che voglio capire: «Merlin non devi preoccuparti… lo sai. Faremo breccia alla reggia di Camelot prima di mezzogiorno. Dopo penserò a tutto ionel giro di un minuto… e tu non dovrai neanche sporcarti le mani.» rispondo supponente, gonfiando tronfio il petto, perfettamente a mio agio in questo territorio che mi è assai più congeniale.

Mi azzardo persino a portare la tua mano delicata, ancora stretta nella mia, alle labbra in un bacio cavalleresco… peccato che, purtroppo, tu non paia gradire la mia rinnovata sicurezza e, in tutta risposta, ritiri il braccio di scatto. Dopodiché serri subito le dita per colpirmi al petto con un pugno irritato: «E’ esattamente a questo che mi riferisco!» sbotti, rimettendomi bruscamente “al mio posto”, ed aggiungi: «Di giorno prendi tutto troppo sottogamba! La tua Superbia ti rende incauto!»

Io incasso, senza osare contraddirti.

Non puoi certo scalfirmi fisicamente, ma le tue parole però sanno offendermi.

Ed alle volte è davvero frustrante l’ascendente che hai su di me ed il modo in cui tu sola riesci a sottomettere il Leone della mia tracotanza… ma non posso fare altrimenti. D’altronde tu sei anche l’Unica che, parimenti, in contrapposizione, riesce ad ammantare di coraggio il mio Alter Ego notturno...

«Voglio che tu mi prometta di non agire d’impulso!» continui, ma io - sempre più infastidito – distolgo lo sguardo, incrociando le braccia in petto, per poi sollevare una mano per giocherellare con i baffi, in un fare altèro che manifesta chiaramente il mio disappunto...

Impulsivo io…? Tsk! Le tue parole sono suonate come una critica, ed io fatico ad accettarle.

Certo, oggi posso averti delusa sul piano “sentimentale”… non lo nego… ma adesso pare quasi che, d’improvviso, tu non possa più fidarti di me neanche in battaglia… quando mai - MAI, neanche una volta - ti ho dato motivo di dubitare della mia forza… e la cosa, in prossimità dell’undicesima ora del giorno e del culmine del mio potere, mi rende assai più recalcitrante al giogo.

Di certo non ti sfugge il mio repentino cambio d’umore e di attitudine, ma tu non ti lasci scoraggiare e mi afferri il mento per farmi reclinare il capo all’ingiù, riportandomi subito su di te, affinchè io torni a guardarti… perché sai bene che i tuoi occhi non lasciano scampo.

«Escanor, ascoltami… non voglio che oggi tu agisca da solo. Non devi impressionare nessuno! Per vincere sarà fondamentale fare “gioco di squadra”…» chiarisci in un tono diverso, più morbido e persuasivo, riconquistando così la mia completa attenzione: «Per quanto possibile… non voglio che tu metta la tua vita a repentaglio, se possiamo evitarlo. Dire che la tua Superbia ti rende incauto “alle volte”… è un eufemismo. Ed io…» t’interrompi con un sospiro, come se facessi fatica a proseguire oltre. Allora mi lasci andare il mento e la tua mano discende ancora una volta al mio petto, con delicatezza, facendomi sussultare: «io non voglio che ti accada nulla: non posso sopportare l’idea di perderti

Il mio cuore manca un battito a quella dichiarazione e le braccia mi cadono lungo i fianchi. Colpito e affondato.

Adesso mi sento davvero un idiota completo.

Tu prosegui, accorata: «Per questo devi promettermi che starai attento. Promettimelo, Escanor… anzi, giuramelo.» concludi mentre i tuoi occhi si specchiano nei miei, carichi di una tale emozione struggente, da farmi fremere dalla voglia soverchiante che ho di stringerti a me.

Annuisco allora, solennemente, mentre il semplice tepore della tua mano sembra lenire il mio cuore affranto: «Lo prometto. Lo giuro. Qualsiasi cosa per te.» ti dico, non desiderando altro che renderti felice e vederti serena: «Andrà tutto bene, vedrai.» termino in tono caldo e rassicurante, di nuovo protettivo e dimentico della mia alterigia.

«Ne sono certa.» mi rispondi e, per un momento, le tue labbra accennano persino ad un sorriso e – con un senso di trionfo – penso di avercela fatta… forse, con il tempo, riuscirai persino a perdonarmi… e forse potrà esserci una seconda chances per noi due…

…ma poi ritrai purtroppo la mano dal mio petto, ristabilendo le distanze tra di noi, e intrecci le dita in grembo, riportandomi bruscamente alla realtà. Quella postura e la piega rigida delle tue spalle tradiscono il tuo persistente tumulto interiore, appari ancora tesa, quasi… combattuta.

«C’è dell’altro…?» ti chiedo, con un senso d’angoscia. 

«Sì.» rispondi, chiudendo un istante gli occhi, sospirando a fondo: «Non posso tenermelo dentro ancora, non dopo tutto quello che è successo… so di chiederti molto, Escanor… so che potrai non comprendere questa mia richiesta… ma, per quanto possibile… ti chiedo di non serbare rancore ad Arthur, lui... non ha nessuna colpa. Credimi.»

Ah.

Queste tue parole mi gelano sul posto.

«Ho capito.» ti dico solo, passandomi una mano fra i capelli, a disagio.

Sto mentendo, ovviamente… non capisco alcunché! Perché fra tutte le cose… tu mi chiedi l’impossibile… ma poco fa ho promesso di accontentare tutte le tue richieste, pur di renderti felice, e voglio mantenere la parola data… o quanto meno “provarci”.

Arthur…

Al solo sentirlo nominare le mie labbra fremono di sdegno, ma i tuoi occhi mi scrutano, in attesa, ed io alla fine sospiro sconfitto: «Se questo è quello che vuoi, Merlin… ci proverò.» concludo, incolore.

Non posso fare a meno di chiedermi se il tuo intento sia quello di ferirmi, dimostrandomi che il Re di Camelot è sempre al primo posto nei tuoi pensieri… forse vuoi farmi capire che non c’è alcuno spazio per me nel tuo cuore?

Eppure… nell’osservare il tuo viso… realizzo che c’è dell’altro… che qualcosa ti turba.
I tuoi messaggi contrastanti mi lasciano nell’incertezza… troppe parole non dette tra di noi...

Perché ti importa quello che penso di Arthur? Cosa cambia se lo odio oppure no? Mi chiedo stranito e vorrei dar voce alla miriade di domande che si affacciano nella mia mente - sommergendomi, soffocandomi – perché c’è qualcosa nella tua espressione che mi turba… qualcosa di taciuto tra di noi che mi logora…

E, all'improvviso, percepisco di nuovo quella stessa malinconia, come un'eco lontana di qualcosa di dimenticato... la stessa sensazione di reminiscenza che ho provato nello stringerti a me, questa mattina...

Così strana, eppure, così reale... penso, ma - prima che possa dire qualcosa - si ode in lontananza un limpido squillo di trombe.

«L’adunata.» realizzo ad alta voce, mentre volgiamo entrambi il capo in direzione del richiamo, e - in un frullio d’ali - alcuni passeri spaventati si levano in simultanea in volo dai tetti e dalle fronde degli alberi vicini.

«E’ ora.» sospiri ed ogni emozione sfuma via, sino a scomparire, lasciando il tuo volto splendido ed altèro: la Donna si è dissolta innanzi a me, lasciando posto solo alla Condottiera.

Osservo il tuo profilo regale e nella mia mente s’affacciano malinconicamente gli ultimi versi di uno dei miei primi sonetti giovanili in tuo onore: …selvaggia eppur lucida, un mistero tu sei. La più grande Maga in tutta Britannia.
Ed oggi, al tuo cospetto… - penso, rammaricato - …mi sento purtroppo ancora come quel ragazzo di vent’anni fa…

«Andiamo.» ti dico solo, risoluto, perché non c’è alcuno spazio adesso per “quel ragazzo”.

«Sì, andiamo.» ripeti a tua volta decisa, incamminandoti in direzione della “Boar Hat” dove i nostri compagni ci attendono… e, inutile dirlo, non hai bisogno di girarti per sapere che io sono al tuo fianco.

Oggi… e per sempre.
 
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
NOTE DI FINE CAPITOLO:

 

[1] Questa citazione viene dall'altra mia fanfiction " The Brighter Star " (in questa oneshot Escanor fa un massaggio a Merlin nella vasca da bagno, e la maga scherza con lui, chiedendogli di massaggiarla più forte...)

[2] e [3] Queste citazioni si riferiscono al manga, quando i Sette Peccati Capitali sconfiggono il Clan dei Vampiri ad Edimburgo. (Nella versione italiana dovrebbero essere i capitoli dal n.124.1 al n. 124.3)
 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > The Seven Deadly Sins / Nanatsu No Taizai / Vai alla pagina dell'autore: Wolly